Un americano a Londra: Harmony Bianca
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Info su questo ebook
Il chirurgo plastico Mitchell Cooper è abituato a ottenere tutto ciò che vuole, ma quando improvvisamente la sua vita va in pezzi e si ritrova solo con una bambina piccola da crescere, capisce che deve rimettere in discussione tutte le proprie certezze. Per questo si trasferisce a Londra e approda alla Clinica Hunter, per rifarsi una vita e trovare la felicità che lui e sua figlia meritano. Felicità che scopre tra le braccia del chirurgo Grace Turner durante una notte di passione travolgente. Felicità che dura solo lo spazio di qualche ora, ma su cui Mitchell è convinto si possa costruire un futuro. Quello che non sa però è che Grace custodisce dei segreti che cambieranno per sempre le carte in tavola.
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Anteprima del libro
Un americano a Londra - Lynne Marshall
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
200 Harley Street: American Surgeon in London
Harlequin Mills & Boon Medical Romance
© 2014 Harlequin Books S.A.
Traduzione di Rita Orrico
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2015 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-3051-362-4
1
Grace Turner fece vagare lo sguardo intorno a sé nell’appartamento perfettamente arredato. Pareti color crema, un ampio divano beige e la poltrona abbinata, con mezza dozzina di cuscini colorati disposti ad arte, sedie di un rosso acceso dall’altro capo di un basso tavolino di vetro, nel mezzo del quale stava un vaso con delle magnifiche calle fresche. In un angolo del salotto era stata sistemata una bella scrivania in legno di ciliegio, perfetta per accomodare il computer portatile.
Era stato tutto sistemato per il suo comfort e Grace era grata alla Clinica Hunter per la premura con cui l’accoglieva in un paese lontano da casa. Oltretutto, il condominio si trovava a solo una decina di minuti a piedi dal numero duecento di Harley Street, il suo nuovo luogo di lavoro.
Il suo sguardo si spostò sulla camera con l’enorme letto matrimoniale. Quello non avrebbe visto molta azione, si disse Grace. Circondata dal lusso minimalista del suo nuovo alloggio, all’improvviso si sentì vagamente claustrofobica e provò il disperato bisogno di uscire di lì.
Aveva sentito parlare di una piccola strada pedonale non lontana, con negozi e un paio di ristoranti all’aperto, ma Grace era stanca di stare sola. E che senso aveva acquistare abiti nuovi se non aveva nessuno per cui indossarli?
Attraversò il soggiorno e notò l’invito appoggiato sul ripiano del camino. Un duplicato le era stato spedito negli Stati Uniti un paio di mesi prima. Grace si era completamente dimenticata dell’evento di beneficenza che si sarebbe tenuto quella sera ai piedi del London Eye. Leo Hunter, l’uomo che l’aveva assunta per lavorare nella sua clinica, aveva detto che sarebbe intervenuto alla serata. Il fatto di incontrare il proprio capo un giorno prima del previsto e in un ambiente più rilassato, unito alla prospettiva di un po’ di svago londinese, le sembrò l’antidoto perfetto per il vago senso di panico che l’aveva assalita.
Si diresse in camera in cerca di un abbigliamento adatto. Non era mai facile trovare qualcosa che fosse alla moda e al tempo stesso coprisse le sue cicatrici. Frugò nella valigia e alla fine optò per un body di pizzo nero col collo alto e le maniche lunghe, da indossare sotto un abito da sera nero che metteva in mostra il suo attributo migliore: le gambe.
Essendo maggio, il clima era ancora abbastanza fresco da giustificare un abbigliamento che la coprisse così tanto. Inoltre, quel body era anche molto sexy. Col tempo, Grace aveva imparato che non c’era nulla di meglio del pizzo nero per coprire le cicatrici.
Un’ora più tardi, invito in mano e impeccabilmente truccata, uscì dall’appartamento alla volta della festa.
Grace si sentiva di nuovo bambina. Appena scese dal taxi a Westminster Bridge, sollevò lo sguardo sulla celeberrima London Eye, incantata dall’enorme ruota che riempiva la skyline della città. Mostrò il proprio invito all’agente di sicurezza che le fece attraversare il cancello. All’interno, un gran numero di persone eleganti di ogni età chiacchierava, beveva e sbocconcellava stuzzichini serviti su vassoi d’argento da camerieri in smoking.
Sebbene per gli standard dell’Arizona Grace fosse considerata benestante, la sua ricchezza impallidiva di fronte al lusso di quella festa. Mangiò una sfogliatina di salmone, bevve mezza flûte di champagne e si guardò attorno in cerca di un volto noto. L’unico che conosceva, in effetti, era quello di Leo Hunter, e solo perché l’aveva visto in un’intervista televisiva.
Mezz’ora più tardi non aveva ancora trovato traccia del suo futuro capo, perciò decise di concedersi un giro sulla ruota panoramica. Forse non sarebbe riuscita a incontrare Leo Hunter quella sera, ma almeno poteva godersi la straordinaria vista di Londra di notte.
Lesse un cartello con alcune informazioni sulla ruota e si rese conto che ben presto si sarebbe trovata sospesa a più di cento metri di altezza dal suolo. Grace non aveva paura tanto dell’altezza, quanto piuttosto di cadere nel vuoto. Guardò le cabine ovoidali in vetro e acciaio e le giudicò abbastanza solide da attenuare i suoi timori, così si unì a un piccolo gruppo di persone che stava per imbarcarsi.
La cabina era già occupata da un uomo che non fece cenno di scendere. Due coppie anziane si diressero all’altro capo della cabina e Grace accarezzò l’idea di sedersi sulla panchina sistemata nel centro, ben lontana dalle finestre. Poi però cambiò idea. L’uomo solo, che stava per affrontare il secondo giro, non si voltò nemmeno al loro ingresso. Qualcosa nella sua postura la indusse ad avvicinarsi a lui. Visto da dietro, aveva spalle larghe che riempivano la giacca dello smoking alla perfezione e folti capelli castani che sfioravano appena il colletto della camicia. Sembrava più vicino alla sua età che a quella degli altri occupanti della cabina. A braccia conserte, teneva lo sguardo fisso davanti a sé, assorto nei propri pensieri.
Grace fece un cauto passo avanti, senza invadere la sua privacy ma abbastanza vicina da vedere il suo profilo.
Wow.
Quell’uomo era un vero schianto, con la fronte alta, la mascella forte e un naso che, sebbene non perfetto, conferiva al suo profilo un non so che di aristocratico. Aveva anche una magnifica fossetta sul mento. Dal punto di vista di un chirurgo ricostruttivo, quell’uomo era un’opera d’arte. Persino le sue orecchie erano attraenti.
Grace non era mai stata tipo da andare in estasi per l’aspetto fisico di un uomo, soprattutto perché la sua professione la metteva quasi ogni giorno di fronte a persone che alteravano il proprio aspetto per apparire più belle.
Tuttavia, la bellezza di quell’uomo le provocò un fremito di puro piacere. Un formicolio le attraversò il braccio e raggiunse la nuca, risvegliando dentro di lei qualcosa che aveva dimenticato da tempo.
Trasse un profondo respiro. Forse si sentiva le gambe molli perché presto si sarebbero trovati a un’altezza doppia di quella della Statua della Libertà. Lanciando all’uomo un’altra occhiata di sottecchi, Grace si aggrappò al corrimano.
In lui c’era qualcosa di più della semplice bellezza esteriore. Qualcosa nella sua espressione contemplativa, nelle labbra leggermente imbronciate, nell’apparente insoddisfazione verso chissà cosa attirava Grace.
Per sua sfortuna, aveva sempre avuto un debole per gli uomini misteriosi e pieni di fascino e non riusciva a distogliere lo sguardo da lui.
Di fronte a lei stava un uomo dal guscio perfetto che sembrava profondamente infelice e quello era l’aspetto che la toccava di più, perché in esso poteva identificarsi.
«Salve» lo salutò Grace sorprendendo anche se stessa. Che diamine, se doveva trascorrere la mezz’ora seguente a dondolare nel vuoto al di sopra del Tamigi, tanto valeva chiacchierare con l’uomo più bello sul quale avesse mai posato gli occhi!
Se, a dispetto di ogni logica, qualcosa si fosse guastato negli ingranaggi di quell’enorme ruota panoramica, quelli potevano essere i suoi ultimi trenta minuti di vita. La scelta più intelligente, in uno scenario del genere, era passarli guardando un bell’uomo negli occhi.
Quello era l’ultimo posto in cui Mitch Cooper desiderasse essere, ma Leo aveva bisogno di qualcuno che presenziasse al posto suo, mentre lui e Lizzie organizzavano il loro imminente viaggio di nozze a Parigi. Visti gli innumerevoli impegni di Leo e dell’agente di viaggio, l’appuntamento era stato fissato alle otto di una domenica sera.
Mitch avrebbe preferito restare a casa a leggere un bel libro a Mia. Con la bambina c’era Roberta, ma una babysitter non poteva sostituirsi all’affetto di un padre. O di una madre.
Purtroppo, ci sarebbero state altre serate di quel tipo, perché Leo aveva chiesto ai suoi chirurghi di dargli una mano con gli eventi sociali e di beneficenza in cui era coinvolta la Clinica Hunter. Soprattutto adesso che il titolare si era sposato e che avrebbe dedicato più tempo alla propria vita privata.
In qualità di membro di una squadra, Mitch non poteva rifiutare di fare la propria parte. Dopotutto, oltre che sui pazienti paganti, la clinica si reggeva in gran parte sul denaro dei benefattori. Se voleva stabilirsi a Londra in pianta stabile e dare alla figlia il genere di vita che sognava per lei, quello era un prezzo piccolo da pagare.
Dopo aver passato un paio d’ore a chiacchierare di tutto e niente con molti dei presenti, Mitch era finalmente riuscito a sgusciare via e concedersi un giro sulla ruota. Adesso voleva godersi la vista un’ultima volta prima di fare ritorno a casa. Doveva portarci Mia, un giorno o l’altro: le sarebbe piaciuto.
Mitch amava molto Londra, in particolare di notte e soprattutto dopo essersi lasciato alle spalle la vita di Hollywood con i suoi cattivi ricordi.
Qualcuno parlò. Una donna. Lui si sottrasse ai propri pensieri e rispose in modo robotico. «Salve» mormorò, continuando a guardare davanti a sé. «Si sta divertendo?» Solo dopo aver parlato ricordò le buone maniere e guardò la persona alla sua sinistra.
Il tempo rallentò la sua corsa mentre lui contemplava la bellissima donna. Grandi occhi chiari e interrogativi, esaltati dall’eye-liner nero e da ciglia folte, erano fissi su di lui. Mitch non l’aveva mai vista prima – si sarebbe ricordato di un viso così bello – e ne dedusse che si trattava di una ricca benefattrice.
Non c’erano segni di ritocchi estetici o iniezioni di Botox su di lei. Il suo sorriso era naturale, con minuscole rughe d’espressione intorno agli occhi e la bocca quando sorrideva.
La bellezza naturale di quella donna lo incantò. «Era già stata sul London Eye prima di oggi?»
Lei scosse la testa. I capelli color cioccolato erano per metà raccolti in alto sulla testa e il resto cadeva in morbide onde intorno al collo. «Sono appena arrivata a Londra.»
Probabilmente era lì per qualche ritocco estetico, visto che la serata era solo su invito. Tutte le belle donne che Mitch aveva conosciuto consideravano la chirurgia estetica il loro piccolo segreto di bellezza. Forse poteva dissuaderla dal sottoporsi a qualsiasi intervento fosse venuta a fare. Che senso aveva ritoccare una genuina perfezione? Soprattutto, lui sperò con tutto il cuore che non intendesse farsi ritoccare le labbra. Erano splendide, con l’arco di Cupido perfettamente delineato e il labbro inferiore pronunciato. Persino con la sua abilità di chirurgo estetico, lui non avrebbe saputo riprodurre l’incanto di una bella bocca naturale.
«Se non è mai stata a Londra prima d’ora, immagino che dovrei comportarmi da gentiluomo e indicarle alcuni dei luoghi d’interesse della città.»
Lei continuò a sorridere. «Ottima idea. A proposito, ho notato che anche lei è americano.»
Lui annuì. «Sono originario della California. E lei?»
«Arizona.»
La città di Scottsdale, in Arizona, era famosa per le ottime cliniche di chirurgia estetica, ricordò Mitch. Forse lei non voleva che si sapesse dell’intervento, magari aveva detto a tutti che andava in vacanza e al ritorno a casa sarebbe sembrata più riposata che mai. Ma che importanza aveva? Forse doveva smetterla di pensare sempre il peggio delle donne.
«Io mi chiamo Mitchell, a proposito. E lei?»
«Grace. Piacere di conoscerla.»
Non c’era da stupirsi che lei si chiamasse proprio Grace. La grazia sembrava il requisito essenziale di quella donna. «Allora, Grace, al