Love story: Harmony Collezione
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Sei mesi meravigliosi. La storia fra lei e Michel sembrava davvero la trame di un film d'amore e invece, ironia della sorte, proprio per colpa del cinema si sono detti addio. Quando Michel Lanier ha saputo che lei avrebbe firmato un contratto per girare un film, infatti, si è infuriato e le ha posto un ultimatum. Addolorata ma non pentita della propria scelta, Sandrine se ne va di casa. Alla cena di gala per la presentazione, però, scopre l'inimmaginabile: il misterioso produttore è...
Helen Bianchin
Helen è nata e cresciuta in Nuova Zelanda. Amante della lettura e dotata di grande fantasia, ha iniziato a scrivere storie sin dall'adolescenza. I passatempi di Helen spaziano fra il tennis, il ping-pong, lo judo e la lettura. Inoltre adora il cinema e conduce un'intensa vita sociale.
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Anteprima del libro
Love story - Helen Bianchin
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
The Marriage Deal
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 1999 Helen Bianchin
Traduzione di Lucilla Negro
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2002 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5894-179-9
www.harlequinmondadori.it
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1
«Taglia!» gridò il regista. «Fa schifo.»
Erano le parole più dolci che aveva sentito in tutta la giornata, rifletté Sandrine mentre sollevava una mano per alleggerirsi del peso dell’elaborata parrucca.
Un costume d’epoca non era l’abbigliamento più co¬modo da indossare, né lo era il corsetto dalle rigide stecche allacciato stretto per ottenere un viti¬no da vespa e spingere i seni vertiginosamente in alto, scoprendoli quasi al limite dell’indecenza.
Se a questo si aggiungevano i riflettori, un attore protagonista con un egocentrismo stratosferico e ma-nie di grandezza, un regista delirante, allora l’as¬sioma secondo il quale bisogna soffrire in nome dell’arte non poteva suonare più pertinente.
«Una parola, dolcezza.»
Dalle labbra di Tony, dolcezza non era un termi¬ne affettuoso, e lei si sentì raggelare. Quindi si voltò lentamente per guardare in faccia l’attempato re¬gista il cui talento era leggenda, ma le cui manie¬re, talvolta, appartenevano più a quelle di uno sca-ricatore di porto.
«Cena a casa mia, stasera. Alle sette.» Occhi scu¬ri e metallici perforarono i suoi. «Non manca¬re.» Ruotò il capo e mosse un braccio per circon¬dare idealmente cinque dei suoi colleghi attori. «Questo vale per tutti.»
Sandrine soffocò un flebile gemito. Non deside-rava altro che levarsi quell’ingombrante costume, in-filarsi sotto la doccia, indossare i suoi abiti e cor¬rere in auto alla villa che era diventata la sua casa per la durata delle riprese, mangiare un boccone e ripassare la parte per l’indomani.
«È lecito chiedere perché?» indagò il primo atto¬re in tono petulante.
«Soldi. Il film ha bisogno di soldi. Il mio ospite li ha» dichiarò il regista molto succintamente. «Se questa sua richiesta di incontrare il cast può fruttar¬ci una vitale iniezione di fondi, ben venga.»
«Stasera?» recitò Sandrine beccandosi il suo sguardo affilato.
«Problemi?»
Se così fosse stato, esporglieli non sarebbe servi¬to a nulla; quindi, enfatizzò una scrollata di spalle di rassegnazione. «Direi di no.»
Lui indirizzò il suo sguardo d’aquila contro il re¬sto del cast. «Qualcun altro?»
«Avresti potuto comunicarcelo con un minimo di anticipo» si lagnò il primo attore, guadagnandosi un’imprecazione brutale per la sua temerarietà.
«Impossibile, il tipo è arrivato solo ieri sera.»
«Va bene, va bene, ho capito...»
«Mi fa piacere» fu la risposta. «Copione» ordinò allora, e Sandrine emise un sospiro avvilito.
Un quarto d’ora dopo si era già cambiata e rin-frescata, e stava attraversando l’area del parcheggio per raggiungere l’automobile presa a noleggio.
I pantaloncini e la canottiera offrivano un po’ di refrigerio nel caldo torrido del pomeriggio. Aveva raccolto i lunghi capelli color sabbia in uno chi¬gnon sopra la testa.
Nell’istante stesso in cui mise in moto, Sandrine azionò il condizionatore d’aria; qualche minuto do¬po, guadagnava l’autostrada verso sud.
La sua abitazione provvisoria era una villetta a due piani con vista sul fiume a Sanctuary Cove, un prestigioso quartiere della Costa d’Oro del Queen-sland, a soli dieci minuti di macchina dagli studi cinematografici Coomera.
Inserì un CD nell’apposito lettore mentre infilava l’uscita Hope Island-Sanctuary Cove, e lasciò che il ritmo funky le sciogliesse la tensione accumulata in quella giornata infernale.
Un fiume costeggiato da filari d’alberi serpeggia¬va verso un sistema di canali artificiali, lambendo un gruppetto di ville lussuose e le distese verdeg¬gianti di un famoso campo da golf.
Una vista che comunicava pace e tranquillità, concluse lei mentre svoltava verso Sanctuary Cove e, superato il cancello di sicurezza all’ingresso di una delle tante aree residenziali, imboccava il via¬letto leggermente tortuoso che conduceva alle vil¬lette bifamiliari affacciate sul fiume.
I mattoncini di un azzurro chiaro con finiture in bianco, i giardini coi sentieri acciottolati e adorni di statue fornivano un primo impatto piacevole e rilas-sante, ammise mentre azionava il comando au¬toma-tico che apriva la porta del garage.
All’interno, era tutta una profusione di pavimenti in marmo, mobili laccati, divani e poltrone in mor-bida pelle, e una cucina da scatenare le invidie di un cuoco provetto per la modernità delle attrezzatu¬re a disposizione.
Una larga scalinata ricurva, in fondo all’ingresso, conduceva a una galleria che si snodava al piano superiore, che ospitava ben tre camere da letto e relativi servizi. Ampie porte a vetri scorrevoli con-sentivano l’accesso dalla zona soggiorno-pranzo a un terrazzo che conduceva a una piscina privata.
Sandrine appoggiò la borsa, indossò un bikini e si concesse alcuni preziosi minuti di puro rilassa¬mento fisico e mentale, immersa in quell’acqua fresca.
Un’altra doccia bastò a ristabilire il giusto livello di energia, quindi si tamponò i capelli con un asciugamano e adoperò il phon per completare l’ope-razione, prima di incamminarsi verso l’ampia cabina armadio per scegliere l’abito per la serata.
Rigorosamente nero, decise mentre frugava tra i capi del suo limitato guardaroba.
La vita mondana non era stata in cima ai suoi pensieri, quando aveva preparato in fretta e furia le valigie per quel soggiorno, perciò la maggior parte dei suoi vestiti erano sparpagliati fra le tre lussuose abitazioni, troppo distanti da quella sua temporanea residenza.
Non ti azzardare neppure a pensare a quelle case o all’uomo con il quale le dividi, s’impose mentre gettava un abito firmato sul letto; poi estrasse un paio di scarpine nere col tacco a stiletto e una borsetta in tinta.
Tuttavia, la sua immagine le invase la mente, i suoi lineamenti marcati erano ossessivamente vivi¬di. Occhi grigio-ardesia che sembravano perforarle l’anima, e lei fremette al ricordo della sua bocca, morbida e sensuale, e della devastante abilità delle sue carezze.
Michel Lanier.
Trentacinque anni, dieci più di lei. Imprenditore di successo, estimatore d’arte, capelli e occhi scuri, li¬-neamenti da principe rinascimentale, e mentalità scaltra da guerriero della strada. Nato a Parigi da ge-nitori francesi, studi iniziati in Francia e conclusi in America.
Marito. Amante. Un uomo che l’aveva accolta fra le sue braccia, nel suo cuore, e l’aveva fatta diven¬tare sua moglie.
Si erano conosciuti alla festa di un amico comu¬ne a New York. Sandrine aveva appena terminato un incarico da modella durante una pausa stagiona¬le e doveva ritornare a Sydney la settimana succes¬siva per riprendere le riprese di una lunga serie televisiva.
Ci era andata con Michel, e nel giro di una setti-mana l’aveva presentato alla sua famiglia, aveva annunciato il loro fidanzamento e costretto gli sce-neggiatori a riscrivere tutta la sua parte nella serie televisiva.
Appena ultimato di girare gli agghiaccianti epi¬sodi relativi all’incidente e al decesso del suo per¬sonaggio, aveva riaccompagnato Michel a New York.
Due mesi dopo si sposavano con una cerimonia privatissima a Parigi, e dividevano il loro tempo tra la capitale francese e New York.
Michel aveva acquistato un lussuoso appartamen¬to nella prestigiosa Double Bay di Sydney, con una magnifica vista sul porto. La loro base australiana, diceva.
Per sei mesi tutto era stato perfetto. Troppo per-fetto, rifletté Sandrine mentre sceglieva della bian-cheria intima nera e la indossava, poi infilava un collant velato nero e raggiungeva lo specchio per truccarsi.
I problemi erano iniziati tre mesi prima, mentre trascorrevano due settimane a Sydney e un amico le aveva dato una sceneggiatura da leggere.
La storia era buona, anzi, ottima, e lei aveva provato all’istante un’istintiva affinità con il perso-naggio. Si era appassionata subito alla parte e si era rifiutata di partire.
Sandrine sapeva che i tempi della produzione non combaciavano con quelli di permanenza in Eu¬ropa di Michel. Si era detta che per nulla al mondo suo marito avrebbe accettato che lei trascorresse quattro settimane in Australia senza di lui, ma ave¬va deciso di presentarsi ugualmente all’audizione, convinta che le possibilità di successo fossero pari a zero. E non ci aveva pensato più quando, qualche giorno dopo, erano tornati a New York.
La telefonata del suo agente, con la quale le con-fermava che aveva ottenuto la parte, l’aveva gettata in uno stato di eccitazione e trepidazione. Le ripre¬se sarebbero iniziate il mese dopo negli studi cine-matografici della Coomera, nel Queensland.
Aveva firmato il contratto quando era arrivato, ma non l’aveva detto subito a Michel, immaginando fin troppo bene quale sarebbe stata la sua reazione.
Ogni giorno che passava aveva reso la sua con-fessione sempre più difficile, finché non erano ri-masti che pochi giorni alla partenza.
Aveva ripetuto mentalmente