Passeggiate lariane
Di Carlo Linati
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Passeggiate lariane - Carlo Linati
Passeggiate lariane
Copyright © 1939, 2022 SAGA Egmont
All rights reserved
ISBN: 9788728309896
1st ebook edition
Format: EPUB 3.0
No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.
This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.
www.sagaegmont.com
Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.
A
ATTILIO TERRAGNI
Podestà di Como
con viva amicizia
queste rapide visioni
della terra che tanto amiamo
PASSEGGIANDO PER COMO
SANT’AGOSTINO
Trascorriamo un’oretta sul molo di Sant’Agostino osservando il traffico che si svolge nel piccolo porto, tra la diga e la piazzetta.
Quel luogo è luminoso e aperto. Piazza Umberto I. In fondo là, di contro al bastione, c’è la tettoia della Nord, più in là, il ritrovo delle autocorriere: davanti spazia e ride tutto il bacino del lago, coi suoi piroscafi, aeroplani e barchette a diporto, a destra si stende l’ultimo braccio del Lungolario che vi inizia alla passeggiata di Villa Margherita, oggi, senza scherzi, una delle più belle d’Italia. Ma dietro, poi, c’è la Coloniola, c’è Sant’Agostino, c’è questo quartiere popolare e paesano, con le sue casette basse, le sue straducce storte, i suoi piazzuoli deserti, e in fine, come fondale, la montagna di Brunate che va su verde e sassosa contro un cielo che ha già il colore della Brianza.
Confesso che quello è un punto dove mi piace più di sostare: dove più volontieri mi lascio prendere dal piacere del bighellonare senza scopo. Luogo di passaggio, di transito. C’è un caffeuccio di faccia al molo ch’è frequentato in prevalenza da gente di naviglio e vi si ascoltano tutti i dialetti del lago, l’Alto e il Basso. Pulito, tutt’in legno verniciato di dentro, arieggia, a suo modo, certi caffè dei porti d’Anversa o di Rotterdam, impregnati di salsedine e d’avventure. Ci vedi sempre autisti e padroni, scaricatori e gente in partenza pel lago o per la Brianza, pieni di pacchi e di fretta.
Sant’Agostino. Un tempo questo borgo aveva fama di selvaggio. Distaccato dalla città, formava come un quartiere a sé, detto Coloniola. Anzi Coloniola, Città e Borgovico costituivano i tre quartieri di cui Como si componeva un tempo. E anche oggi, benché congiunto e accomunato al resto della città, oserei dire che una sua tipica fisionomia quel borgo l’ha conservata. Quando io penso che dire Sant’Agostino, una trentina d’anni fa, era come dire suburra, luogo di lavandaie e di teppa, di sporcizia e di perdigiorni, e oggi è quel borgo lindo, sano e trafficante che tutti sanno!
Doppiando lentamente la punta della diga il barcone è entrato nel molo, spinto dagli ultimi scoppi del motore, è venuto ad ancorarsi contro la gradinata, in riga con gli altri. Oggi ha portato un carico di calce, o di legna o di ferraglie. Viene da Menaggio, viene da Dongo o da Colico e ha fatto giù in poche ore tutto il lago al teuf teuf cadenzato del motore, guidato dal suo grosso timone. Stasera stessa, greve di altro carico, riprenderà la via del ritorno. E imponente d’ampiezza e di capacità: ha nelle sue linee una certa maestà antica che può richiamare, che so, una galea, una bissona… Strisce di vario colore rallegrano la sua chiglia e davanti, a prua, porta scritto il nome Esterina.
Ancora ritto davanti alla prua sta l’albero maestro che aveva un tempo la funzione di portar la grande vela quadra. Ora la vela è scomparsa, detronizzata dal motore, ma c’è rimasto l’albero; c’è rimasto un po’ per vezzo e un po’ perché certe usanze del passato questa brava gente di lago non osa abolirle, e pensa che debba portare sfortuna.
Ma se non grande è il lavoro sul molo, spesso è divertente e caratteristico per chi lo sta ad osservare, anche per gli strani tipi che vi si vedono: certe facce sparute e pittoresche, certe figure straccione e mal in arnese che paiono uscite da non so che vignette disegnate dal Dorè. Sono gli scaricatori: gente che va dietro ai barconi, che passa la giornata sul molo ad aspettare un carico o uno scarico da fare per buscarsi qualche soldo e che ha pur nei suoi stracci una certa fierezza. Ecco, bisognerebbe che qualche pittore comasco venisse a cercare qui la sua ispirazione, ci ritraesse sul vivo qualcuna di quelle facce, di quei tipi lacustri, bizzarri e grandiosi.
Sono arrivati in questo momento due barconi con rimorchio, della Lariana, carichi di bestiame. Provengono dalla Fiera di Menaggio. È un avvenimento questo per il molo, ch’è pur abituato a tanto variare di sbarchi; e lo si capisce subito dal movimento di gente che va e viene sulla gettata e sul Lungolario. C’è là in un canto una piccola folla di mercanti di bestiame, che li ravvisi subito da quelle loro rozze figure di campagna: visi sbarbati, calzoni rimboccati, bastone in mano e sciarpacce al collo. Attendono in gruppo, di pié fermo, le loro bestie acquistate in qualche mercato dell’alto Lago.
I due barconi han fatto manovra, han doppiato la diga e si sono fermati contro la scalinata. Dentro le loro stive profonde stanno allineate un centinaio di mucche. Un po’ di pubblico s’è fermato lì ad assistere a quello sbarco straordinario. E lo spettacolo è tanto più strano in quanto che splende sulla scena il più magnifico sole d’autunno e il passeggio del Lungolario è in piena animazione.
Hanno messo fuori da prima, come avanguardia, una grossa scrofa che tra strilli, grugniti e divincolamenti venne trascinata alla vicina piazzuola e imbarcata su di un carretto. Poi è comparso un branchetto di capre che si è diportato assai saviamente. Infine fu la volta delle mucche.
Ciascun compratore adesso è entrato dentro al barcone, ha legato la sua mucca pel collo e la tira fuori a gran fatica facendole varcare una passerella di legno. La scena è quanto mai strepitosa. Spesso giunta su l’orlo della murata la mucca non vuol passare, e ci vogliono i savi e i matti per strapparla fuori. Altre volte giunta sulla passerella dà uno sdrucciolone e stramazza rotolando giù sull’assito e trascinando con sé l’uomo che la tiene e andandogli sopra con le zampe. Una è caduta perfin in acqua ed è stata ripescata a fatica. Qualche altra riesce a rompere la cavezza e si dà a scappare in mezzo alla gente, che se la svigna da ogni parte, in un fuggi fuggi generale.
Ma ecco che alla fine, Sant’Agostino aiutando, le stive sono svuotate e tutte le bestie son fuori. Ma ancora lo spettacolo non è finito e l’ultima parte è data da quella furia bellissima di uomini e di bestie, commisti in una specie di lotta finale, che si svolge lì in piazzetta davanti al gruppo dei veterinari municipali chiamati a esaminare le gengive degli animali per garantirle immuni dall’afta. Le bestie non ne vogliono sapere e sgroppano alla sfuriata da tutte le parti, mentre gli uomini con facce da demoni si sforzano di rattenerle per le cavezze e vengono loro malgrado trascinati via, come di volo, in mezzo alla folla, mentre da ogni parte suonano le bastonate e i muggiti e dappertutto è un diavolìo di groppe e di pastrani, di corna e di facce imbestiate dall’ira e di gente che scappa, che ride e che urla.
Vero è che di lì a un buon quarto d’ora tutto è tornato in quiete sul molo e sulla piazzetta. Ciascun mercante s’è portato via il suo gruppo di mucche, e le avvia su per Viale Varese, su verso le campagne di Grandate o di San Fermo. I veterinari se ne sono andati pei fatti loro ed il passeggio elegante riprende gaio e chiacchierino verso la Funicolare o verso Villa Margherita.
Ma questa volta non s’interrompe, anche se le povere bestie, senza farlo apposta, hanno ingombrato il Lungolario con un ricordo non troppo profumato delle loro passate paure.
LA CITTÀ SUL PENDIO
Da Sant’Agostino si diramano di qua e di là, su per le falde e le coste della montagna di Brunate, strade e stradicciole di cui tre quarti degli abitanti di Como forse ignora resistenza.
M’è piaciuto percorrerne qualcuna anche perché queste modeste stradette servono un lembo di periferia che non conoscevo ancora.
Anch’esse sono assai tipiche. Vanno su serpeggiando per lo scoscio del monte, ora di qua or di là, or pigliandolo d’ abbrivo, ora girandone con cautela i pendii troppo ripidi, e fin che ci son case da servire passando loro sulle porte, poi gittandosi liberamente, a capriccio, su per la montagna selvatica, tanto, magari, da condurvi sulla cima. Lungo le falde, vale a dire fin dove è possibile farci stare una casa, una nuova città è sorta a Santa Croce, a San Giuliano, alla Garzola: una città nuova, una curiosa città pedemontana, linda e lucente, abbarbicata alle radici del monte, e che si gode da egoista il sole, buona parte della giornata, e la vista del lago.
Che impensata ricchezza di caseggiati si scopre passeggiando da quelle parti! Non siete mai stati, per esempio, in Via Privata Prudenziana, una viuzza solitaria che partendo da Via Giuseppe Brambilla vi conduce su su, anguillando in mezzo a orti, giardini e villette, fino all’ingresso di un magnifico palazzo sulla cui facciata sta scritto:
Purior hic aër
Late hic prospectus in urbem?
Oppure non avete mai percorso Via Crispi fiancheggiata fin sotto al dirupo da belle case e ville?
Par neanche città lassù. Comunque lo spirito della città è mutato. Dall’umidiccio, dalla nebbietta, dall’odor di lago d’un tratto si esce all’asciuttore luminoso della montagna. Vegetazione e clima da riviera. Bisogna cavarsi il pastrano. Le finestre son tutte spalancate ad accogliere il sole che infiamma le facciate delle case gialle e rosse. E canti a gola spalancata dei canarini sui davanzali: e profumi di giardini e di rupe, e una gran pace dappertutto!
Una strada, per esempio, di quel tipo e che mi piace sempre di fare è quella che dipartendosi angusta e tutta scalottole dal primo gomito di Via di Torno, col nome di Via Antonio Stoppani, fa una svolta e sale poi in costa verso nord, fiancheggiata dalle solite ville e villette da un lato e da un basso muricciolo da cui si gode in pieno la vista del lago e dei monti. Non credo che molti comaschi conoscano questa stradetta remota la quale arrivata ad una certa altezza si biforca e si chiama la Peltrera. Continuando dritto essa va a raggiungere un’erta che vi condurrà, dopo un’ora buona d’inerpicata, a un’osteria sotto Brunate, detta, Falchett, ma svoltando a destra si caccia subito su ripidissima per la montagna che affronta nel suo versante più discosceso. E la vecchia stradetta di Brunate.
Qualche volta m’è piaciuto farmela su a passo a passo. È la prima che fu intagliata in quel monte, per menare a quel paese.
Sempre erta, sempre duramente selciata, a zig zag, solitaria, essa ti addentra a grado a grado nello spirito della montagna ed è piena del suo profumo d’allori e di mente: se la sbiscia su in mezzo ai corbezzoli, ai pinastri, alle rosedimacchia, tra i calcari grigiastri, i macchioni arsi e lo spittinir dei pettirossi, mentre il vasto panorama del lago sale con te dilatando sempre più alla vista la sua enorme parata di monti e di vallate, sempre più maestoso, cantante, eterno… Passa accosto a qualche vecchio casolare, infila un’arca del ponte della funicolare, ritorna al di qua e tocca una località detta il Carescione.
Non dico che di luglio sia tutta una delizia a percorrerla, ma a tutta primavera e d’autunno e d’inverno, quell’arrampicata vi fa bene, vi tiene la linea per un mese.
Penso però a quelli che abitano sulla Peltrera. Certo questo bel sole eh’essi godono da quassù e questa bellezza di viste e il poco prezzo che pagano dell’affitto lo debbono scontar in tante scomodità.
Poveretti, farsi su tutti i giorni a piedi, questa litania di scale e questi selciati!
Intanto ch’io scendevo l’altro giorno dalla Peltrera, dietro di me scendevano due donne. Udivo che ragionavano fra loro di un appartamentino che una di esse voleva affittare all’altra, la quale pareva appunto impensierita di tutte quelle scomodità.
- L’è question de abituass - incalzava la affittante. - Del rest el pan gh’el porten su in cà. E ven su el macelar tutt i matin a toeu i ordin.
L’altra ch’era una magruzzia in ghingheri, con scarpette scamosciate:
- Ma minga vessich nanca on strascc de cinema! - sospirava.
AL CARESCIONE
Il Carescione è il Brunate in minore, il suo, diremo, parente povero.
Se tutti, salendo in funicolare, han per meta l’eldorado alpestre e gaudente, ben pochi si fermano al Carescione, ch’è a poco più di metà strada. Per fermare al Carescione dovete avvertire prima il bigliettario, altrimenti la vettura tira dritto. Non è però a dire che, massime d’estate, una fermata ufficiale il Carescione non se la meriterebbe.
Da qualche tempo a questa