Sulle orme di Renzo
Di Carlo Linati
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Anteprima del libro
Sulle orme di Renzo - Carlo Linati
Sulle orme di Renzo
Copyright © 1919, 2022 SAGA Egmont
All rights reserved
ISBN: 9788728395028
1st ebook edition
Format: EPUB 3.0
No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.
This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.
www.sagaegmont.com
Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.
sulle orme di renzo
pagine di fedeltà lombarda
Sulle orme di Renzo
Ogni anno quando i gigli gialli fioriscono sulle pescaie della Muzza e dell’Addetta e i pioppi, lungo la provinciale della Bassa, perdono nel sereno ventilato i loro bioccoli d’argento che sono come le parolette che si scambiano fra loro questi innamorati della pianura, Donato e io, incavalcate le nostre biciclette, andiamo a festeggiar Maggio sopra uno dei nostri canali. La terra milanese, priva di lamartiniane largure d’acqua, è invece percorsa per ogni dove da una fitta rete di fossi, torrenti, fontanili che ne formano, per così dire, il motivo dominante. Com’è bello passare la giornata sopra uno dei nostri canali, tra la marcita che fumiga e verdeggia alle spalle e l’acqua del canale che specchia qua un’acacia fiorita, là un barcone ancorato, e, nel mezzo, il vecchio cielo lombardo tutto imperlato di bruma!
Quel mattino, usciti da Porta Orientale, raggiungemmo a Crescenzago il Naviglio della Martesana, poi, costeggiandolo, ci demmo a percorrere lo stradone che mena a Bergamo attraverso la campagna di Gorgonzola.
Per lì appunto era passato Renzo Tramaglino ai tempi dei tempi.
Tratto tratto, per ingannare la noia dei lunghi rettifili, scendevamo a terra, ci mettevamo a sedere sul ciglio dello stradone, e lì io traevo di tasca un’edizioncina dei Promessi Sposi e mi mettevo a leggere ad alta voce il primo passo che mi capitava sott’occhi. Ma poiché quel libro l’avevo molto letto e scartabellato, sempre mi capitavan sott’occhi i medesimi passi, o la scena del Lazzaretto o la notte dell’Innominato o i Subbugli di Milano o la Fuga di Renzo… pagine lungamente vagheggiate e accarezzate come l’aria d’un volto la cui bellezza non m’avesse ancora saziato l’anima; pagine a me studiosamente care per la divina felicità dello stile e della materia nobilmente signoreggiata, e, più che tutto, per l’emozione che sempre mi danno della mia terra. E intanto che leggevo, il profumo delle clematidi si veniva mescolando al suono di quella prosa cordiale e il venticello della bergamasca, già odorante di pioggia, accorreva di lontano a rubarmi le parole di bocca e a spargerle sulla distesa dei trifoglietti e dei frumenti.
Donato di colpo mi ferma e guardandosi intorno con aria di meraviglia:
— To’, non ci siam dunque accorti?… Noi ci troviamo a percorrere la strada che fece Renzo quando, per fuggire da Milano, dopo i trambusti della grida, s’era incamminato verso Bergamo attraverso queste campagne. Ricordi?— E qui si lisciava la barbetta per richiamarsi meglio i passi.— Fino a Gorgonzola aveva fatto un gran girandolare su e giù per sentieri e viottole, temendo d’imbattersi in qualche micheletto; poi, giunto colà, vi cenò e ripartì a notte inoltrata, col proposito di raggiungere l’Adda e farsi traghettare sul territorio veneto. L’Adda ha buona voce; e quando le sarò vicino non c’è bisogno di chi me la insegni…
E io di rimando: «E camminava così di un andare tra il viandante e un che vada a spasso. Ma il cuore dentro gli faceva un gran battere… »
— Peccato non s’abbia con noi il libro del Bindoni,— soggiunsi.— Questi pedanti servono pure a qualcosa.
Ma intanto quella notizia ci aveva messo in corpo una trepidazione gustosa; quel ritrovarci proprio sull’orme del un buon montanaro, il simbolo più schietto e rappresentativo della nostra terra, invase i nostri animi di una esultazione quasi religiosa. Da quel momento il nostro cammino diventò un delizioso pellegrinaggio.
Andavamo innanzi, a rilento, osservando con attenzione ogni aspetto della campagna, studiando di richiamarci alla mente i particolari del viaggio di Renzo.
— Qui certo si è fermato a bere,— diceva Donato.
— Quaggiù fece l’elemosina alla vecchia,— soggiungevo io.— In quella casa là stava forse la vecchia che filava… Forse è quella la capanna dove ha passato la notte…
E via, via. Le reminescenze sfilavano quasi suscitate in noi da quell’atmosfera di signorile freschezza che pare adagiarsi su ogni aspetto toccato dall’arte miracolosa dello scrittore.
Che buona fortuna quel Manzoni ritrovato cosi all’impensata dopo tanto scorazzare per l’orbis pictus delle letterature europee! L’arte sua come la sentii espressione di quella terra utile e bella, di quei campi, di quel cielo, di quelle acque! Quella prosa nitida, arguta, pieghevole, miracolo di finezza e di pudore, e dove le parole, punto gareggiando fra loro di nerbo e di luce, anzi si accompagnano amorosamente insieme come buone sorelle, la sentii balzare da quelle campagne come creatura nata là: come una di quelle brianzole di bei fianchi quando d’estate ti si mostrano fuor della messe, col torso eretto, col capo ravvolto in una rossa pezzuola.
Vi sono scrittori che hanno il dono di scoprire con l’arte loro la forma immanente di un paesaggio, di rivelare lo spirito della loro terra celato sotto l’apparenze dei colori e la caducità delle stagioni. Un paesaggio sul quale si sia esercitata per qualche tempo l’inspirazione e la ricerca di uno scrittore di genio, se lo rivedi dopo aver lette le sue pagine, ti appare trasfigurato, ricostruito a nuovo dal suo pensiero. Ma altri si compiaccia sentire sulla dorata Lorena sospirare la musica della frase barresiana, o leggere delle dune del Wessex la sanità contadinesca di Thomas Hardy, io, per me, m’accontento di queste scene umili e vaste di praterie, e niente mi dà più gioia che starmene là verso sera ad ascoltare, quasi armonia generata dal mio essere, il ritmo di questa prosa distendersi sulle mie campagne che hanno, nella loro trionfante ubertà, non so che tedio soave e quasi la delicata desolazione delle cose troppo opulente.
Se ben mi esamino, scopro che la sensazione manzoniana giace in me come alcunché d’antico e di ereditario.
Ricordo che, bambino, discendevo un’estate il lago di Lecco s’una di quelle grosse chiatte che là chiaman comballi e trasportano legna e sabbia dall’alto lago ai villaggi delle sponde. Lasciata la ventosa Varenna e la sua scena di laureti, la barca aveva preso il largo ed, entrata nel letto della breva che s’era levata allora forte e durabile, teneva il mezzo del lago. Quel buon vento gonfiava la vela quadra e spingeva innanzi il comballo con un andare placido e trasognato che pareva quasi una musica su quella gran lama di acque, nella luce e negli odori della estate violenta. Seduto in cima al cumulo delle legna, io godevo rimirarmi intorno quella divina ariosità di cose, vedermi sfilare a lato la spiaggia e il monte di Lierna, le ombrose coste della Valassina con tutti quei paeselli accoccolati tra il blu dell’acqua e la sassaia del torrente, e che hanno nomi così soavemente orobici: Limonta, Vassena, Onno… Ed ecco che la sensazione manzoniana penetrava in me fusa e congiunta con la sensazione di quelle terre, di quell’acqua, di quei colori. Non avrei saputo dire, ma le spiagge serene, le costiere alte