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Una vita meravigliosa
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E-book243 pagine3 ore

Una vita meravigliosa

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Info su questo ebook

Il presente lavoro costituisce un’esperienza di conoscenza e “ri-conoscenza” di un’autrice verso sé stessa, ma soprattutto verso chi l’ha formata nel carattere e nell’impegno civile. 
Tanti valori, principi, interessi, coadiuvati da coerenza e umiltà. Un viaggio autobiografico strutturato a posteriori seguendo un fluido seppur articolato sistema di rimandi, semantici e immaginativi, nell’arcobaleno di ricordi e memorie che si riconnettono in un procedere denso di significati: esempi di vita concreta, analogie, cronache e intense letture storico-filosofiche, politiche, nel senso più alto e nobile del termine. 
Voli pindarici, flashback e citazioni erudite rendono questa autobiografia non la solita riproposizione cronologica di eventi, bensì qualcosa di originale, sicuramente “fuori dal gregge”. 
Un libro che con semplicità, perché rivolto potenzialmente a tutti, dipana un crocevia di concetti ed emozioni comunicati con maestria, ma soprattutto un’occasione per guardare la realtà da un punto di vista diverso.
LinguaItaliano
Data di uscita19 ott 2023
ISBN9791220147323
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    Anteprima del libro

    Una vita meravigliosa - Biancamaria Valeri

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    Biancamaria Valeri

    Una vita meravigliosa

    © 2023 Europa Edizioni s.r.l. | Roma

    www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it

    ISBN 979-12-201-4199-4

    I edizione luglio 2023

    Finito di stampare nel mese di luglio 2023

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.

    Una vita meravigliosa

    Introduzione

    La prima domanda che mi è stata fatta quando ho deciso di raccontare la mia vita è stata: cosa ti ha portato a scrivere la tua autobiografia, a raccontare la tua vita in un libro? È da qui che vorrei partire nel raccontarvi di me. Mah, non è facile rispondere a una simile domanda. Forse l’appartenenza a un percorso culturale e di vita dove la storia familiare, personale, collettiva, civica risultano fondamentali, direi imprescindibili. La famiglia da cui provengo è stata una traccia molto importante nella strutturazione della mia persona – non vorrei dire personalità, perché per il momento non penso di avere titolo a definirmi in questo modo; preferisco persona.

    Mi ricordo che ero piccoletta, proprio una bambina, mi trovavo nello studiolo dove lavorava mamma, che era insegnante e nel pomeriggio si ritirava lì per correggere i compiti d’italiano, di latino; io ammiravo i libri nell’armadio, che prendeva tutta una parete, dove erano conservati i testi di tutto il percorso di studi, sia di papà che di mamma; la stanza ospitava, inoltre, due finestre che guardavano un magnifico orticello fiorito e allora io, con una piccola penna, scrissi sull’infisso di una delle finestre il mio nome e cognome, perché pensai proprio questo: Voglio che il mio nome sia ricordato quando io non ci sarò più. Avrò avuto otto anni a malapena. Questo ricordo è sopraggiunto alla memoria solo adesso. Voglio che il mio nome sia ricordato. Ricordato per il bene, naturalmente, e non ricordato per il male, perché nella mia vita ho voluto compiere azioni degne di memoria positiva. Non ero e non sono mai stata una persona ambiziosa o esibizionista; però già da piccola pensavo al futuro… sentivo il desiderio di lasciare una traccia perché pensavo in mente mia: E se dopo non mi sposo e non ho figli, chi proseguirà la mia vita?.

    Questo è il ricordo di una bambina di otto anni, che frequentava la terza elementare; però così è stato e per sempre sarà. In futuro decisi che avrei cercato di tener fede agli ideali della famiglia, sia da parte di madre che di padre, mantenendo coerenza con le azioni e gli insegnamenti che non solo avrei ricevuto dalla mia famiglia, in particolare dai genitori, ma che poi avrei ricevuto anche dagli insegnanti a scuola, cercando, non dico, di imitare queste persone, ma senz’altro di prendere esempio da loro. Mi colpì alquanto il concetto espresso dal grande Ugo Foscolo nell’incipit della sua celebre opera Dei sepolcri: i sepolcri che sono segni emblematici di memoria; e in particolare le tombe ci ricordano le egregie azioni che hanno compiuto quei defunti che in loro sono custoditi, a cui, pertanto, tributiamo degna memoria; egregie perché appunto uscivano fuori dal gregge, emergevano ovvero non si erano omologate. Ecco: sono sempre stata una persona libera, autonoma, ben strutturata, non perché volessi apparire, essere un’influencer, come si dice oggi, bensì rivendicavo solo il diritto di essere me stessa: diventare ciò che si è. Bisogna porsi questo obiettivo: essere se stessi! Così alla fine ho fatto l’insegnante. Sì, l’insegnante, colui o colei che lascia un segno.

    L’insegnante ha il compito di lasciare traccia, anche di ciò che il mondo è stato e che noi consegniamo alle future generazioni. Infatti il segno è qualcosa che scava. Il senso della traccia, del segno va tutelato anche perché oggi viviamo in un’epoca in cui la storicità delle nostre vite è messa in discussione; sembra che non abbiamo un passato, l’abbiamo proprio quasi rimosso, cancellato. O meglio: spesso vogliamo ignorarlo. Lo definirei un tentativo molto oscuro di damnatio memoriae, come se a noi fosse dato vivere soltanto in un presente sanza tempo tinto, giusto per richiamarci al Sommo Poeta; un presente assolutamente consumato e consunto, sdrucito, che poi, alla fin fine, si perde. La maggior parte delle persone, vivendo in questo presente così rapido, frammentato, nucleare, atomico oserei dire – che poi, pure l’atomo viene spezzato – muore… anzi, forse vive essendo già morta.

    Testimoniare. Questo è uno degli obiettivi di questo libro, fornire testimonianza di un passato esistenziale che può rappresentare, oltre a un esempio di coerenza e franchezza, soprattutto un racconto di ciò è stato, da cui le future generazioni potranno apprendere. Attenzione, l’intento non è affatto celebrativo, bensì espressivo, deriva cioè dal bisogno di comunicare. Uno potrebbe dire: ma tu hai una visione incredibile dei tuoi genitori… ma è ovvio! Sono stati i miei genitori, semplicemente. Ognuno dovrebbe considerare i propri genitori come dei maestri fondamentali, delle persone esemplari, dei fari di civiltà. Non a caso, quando sono stata insegnante di Storia e Filosofia, e successivamente sono diventata anche Dirigente Scolastico – in pratica mi sono messa a fare il direttore d’orchestra – agli alunni, specialmente quando capitavano le due ore mensili di Educazione Civica (dato che nei primi anni di insegnamento ancora il docente di Storia e Filosofia insegnava Educazione Civica) parlavo della famiglia, della società civile, dello Stato, della Costituzione; all’interno della Carta nella parte relativa ai diritti e ai doveri del cittadino, infatti, c’è un articolo dedicato proprio alla famiglia, che nasce dal matrimonio. E io dicevo: Guardate, cari alunni, voi non dovete considerare i vostri genitori come fossero matusalemme, dei trogloditi, delle persone che non capiscono niente, oppure dei dittatori… No, voi dovete semplicemente pensare che sono papà e mamma, coloro che vi hanno dato la vita e vi amano per amore dell’amore: non vi amano per ottenere qualcosa in cambio, ma perché siete voi. Voi siete la conseguenza fondamentale, il fine del loro amore. Allora coi vostri genitori dovete parlare, perché vi potranno trasmettere, attraverso l’esperienza della storia familiare, delle vicende importanti, belle e anche brutte… sì, perché anche il brutto serve, anche il doloroso, il traumatico. Noi, d’altronde, non riusciamo a vedere il sole se non attraverso l’ombra. Siamo in grado di comprendere la luce se sperimentiamo il buio, le ombre e l’alternanza tra il dì e la notte; così anche la libertà la capiamo quando ce la tolgono, la vita la apprezziamo quando temiamo di perderla. Cioè, come diceva il grande Eraclito, la vita nasce da questa lotta tra i contrari, che però a un certo punto si risolve nella scelta della realtà, ovvero dell’essere migliore, del Bene, in ultima battuta.

    Per dirla con Hegel, è un processo dialettico. E già Eraclito diceva che pólemos è padre di tutte le cose, ma il padre dà la vita. Il greco pólemos, infatti, non è solo la guerra realizzata per affermare priorità economicistiche o di potenza, perché il mondo, il reale sono fondati sul contrasto. A ben vedere, noi diventeremo quello che siamo se a un certo punto prenderemo anche le distanze da chi sta davanti a noi; ci dobbiamo ri-conoscere e identificare. Identificandoci ci accorgiamo che in parte siamo anche diversi da papà e mamma. Certo, siamo una loro prosecuzione, ma non siamo copie conformi. Questo cercavo di insegnare agli alunni e in questo modo si insegnava pure la dialettica; difatti loro erano tutti felici quando c’erano le mie lezioni. Posso dire con orgoglio che gli alunni non si sono mai lamentati di me. Mai! Ricordo in particolare una preside che diceva: Valeri, nessun alunno si lamenta. Ma che significa? Significa forse che lei non lavora, oppure non assegna i compiti, perché tutti gli alunni si lamentano dei professori di Storia e di Filosofia… di lei perché no?. La risposta era semplice. Io tanto tempo prima avevo letto un libro che s’intitolava La filosofia dalla scala di servizio di Wilhelm Weischedel. Il discorso è il seguente: se tu, insegnante, la filosofia la fai uscire dal portone principale di casa, la vedrai rientrare dalla finestra, perché filosofia significa amore del sapere e, quindi, più o meno consapevolmente, più o meno coscientemente, tutte le persone che ragionano, filosofano. Questo è un assunto fondamentale di Aristotele: anche chi asserisce che la filosofia non esiste, per dimostrarlo è costretto a filosofare. Filosofare, non filosofeggiare, c’è una bella differenza…

    Capitolo I

    Prima di arrivare alla vita adulta e al mio mestiere di insegnante, è giusto approfondire il rapporto con i miei genitori. Ho appena sottolineato che, in qualità di figli, inevitabilmente ereditiamo il mondo che i nostri genitori ci consegnano, ma al tempo stesso non siamo mere copie. Nemmeno papà e mamma avrebbero voluto una cosa del genere: un figlio soprammobile. Il mio rapporto con loro è stato ottimo. Chi erano i miei genitori? Mio padre si chiamava Carlo Valeri, mia madre Loreta Bastoni. Papà è stato per tutta la sua vita lavorativa direttore di un ente assistenziale, l’

    Inadel

    , Istituto Nazionale Assistenza Dipendenti Enti Locali, un ente che aveva struttura provinciale. I dipendenti degli enti locali, comuni, province, ecc. erano assistiti da questo istituto. Però papà aveva fatto studi filosofico-pedagogici e poi si era dedicato anche alla vita politica, perché era una persona molto generosa, proiettiva; papà non aveva bisogno che qualcuno gli chiedesse aiuto. Appena si accorgeva che una persona si trovava in difficoltà, le andava incontro spontaneamente. Era davvero un altruista. In questo aveva preso molto da suo padre, nonno Ignazio. Si faceva carico dei problemi altrui, non perché fosse invadente o curioso; al contrario, questa attenzione sociale, questa indole generosa, gli derivavano non solo dagli studi che aveva fatto, ma anche dalla pratica religiosa. Lui aveva fatto parte in gioventù dell’Azione Cattolica e all’interno del gruppo di Ferentino i sacerdoti, che ne curavano le attività, avevano istituito un circolo culturale-politico, il Fortes in Fide.

    Papà era nato l’11 febbraio 1924; quindi tutta la sua adolescenza e giovinezza le aveva trascorse sotto il fascismo. Ma papà non venne mai colpito da questa infatuazione di massa, perché, in fin dei conti, tale è stato il ventennio fascista; senza entrare nei particolari di questo episodio totalitario che ha conosciuto il nostro paese, il mio papà, proprio perché apparteneva alle strutture associative di matrice cattolica, oppositive nei confronti del regime, aveva maturato un profondo spirito critico. Quella del fascismo e del totalitarismo in generale rappresentava una visione politica, storica, sociale nient’affatto in linea con la prospettiva della dottrina sociale della Chiesa, che è la dottrina della libertà, perché si fonda sul Cristianesimo e vede l’uomo libero, che testimonia con la sua vita la parola di Dio, ma sempre come atto libero della coscienza. Gesù lo esprime chiaramente nel Vangelo: Non vi ho chiamato servi, ma amici. Voi figli, fratelli siete uguali a me. Se vogliamo, è proprio questo il potere rivoluzionario del Cristianesimo e papà ci credeva con fermezza, profondamente. D’altronde, era stato curato, educato da sacerdoti di grande spessore culturale, teologico. C’erano in quel periodo Vescovi di tutto rispetto nella diocesi di Ferentino, specialmente i due vescovi che sono stati presenti durante l’adolescenza e la giovinezza di papà: il vescovo Alessandro Fontana (1922-1941), che era romano de Roma, e il vescovo Tommaso Leonetti (1942-1962), che era di Montefiascone. Mons. Leonetti non era molto alto e al contrario del cognome, che rimanda a un diminutivo o vezzeggiativo, era un leone; basti pensare a come ha difeso la città di Ferentino, i suoi giovani, anche a rischio della sua incolumità fisica specialmente durante gli anni più bui della Seconda guerra mondiale (1943-1944). Ma anche il vescovo Alessandro Fontana ha difeso i giovani, i valori della libertà, della giustizia sociale, dell’amore solidale, coerente con la dottrina sociale della Chiesa, con i sani principi della democrazia, al punto tale che i fascisti l’hanno condannato agli arresti domiciliari in episcopio. Ci sono stati a Ferentino episodi come questi durante il ventennio; papà ne ha visti parecchi, li ha vissuti in presa diretta e non li ha mai tollerati. Papà era un uomo che amava la libertà!

    Mi viene in mente un ricordo, a tal proposito. Quando eravamo piccoli e ci invitavano alle festicciole papà ci domandava: «Chi partecipa a questa festa?» e noi rispondevamo elencando i nomi dei nostri compagni; allora papà a volte si mostrava perplesso: «Non so se sono ragazzi con i quali si può trascorrere un’esperienza di vita educata, però tu sei libera, fa’ quello che credi». Ci diceva così, lasciandoci massima libertà, però intanto ci faceva capire che bisognava osservare e valutare bene, con criterio, le giuste compagnie da frequentare. D’altro canto, il motto della mia famiglia paterna è sempre stato: Vai con chi è meglio di te e facci le spese. Perché solo se vai con chi è meglio di te, riesci a migliorare. Se, al contrario, ti accompagni a chi è peggiore, è probabile che peggiorerai anche tu, non è vero? Chi va col lupo impara a ululare. Si badi bene, papà non ha espresso in tutta la sua vita giudizi inflessibili o valutazioni sulle persone, è stato sempre prudente, anche in questo, fedele alla massima: non giudicate se non volete essere giudicati. Di fronte a ciò che non condivideva, lui preferiva stare zitto. Piuttosto ci diceva: «Dovete conoscere!». Ecco, papà ci ha insegnato la via maestra per la conoscenza. Una conoscenza che poi ci doveva far migliorare, non solo nella nostra persona, nella morale, ma anche nel comportamento con gli altri. Lo stesso indirizzo di studi che ho scelto in seguito può essere letto come una naturale estensione di questo atteggiamento, perché seguendo il motto socratico la filosofia insegna a conoscere se stessi, prima di esprimerti devi riflettere, allenarti a coltivare il sano dubbio onde pronunciarti su qualsiasi argomento. Conoscersi e dubitare per smascherare il falso sapere, dubbio metodico questo che riprenderà il grande Sant’Agostino, declinandolo in una chiave fondamentale anche per la stessa dottrina cattolica.

    Papà ha sempre seguito gli ideali politici del cattolicesimo liberale, frequentando il circolo Fortes in Fide, in pratica una velata forma di prosecuzione delle attività del Partito Popolare fondato da Don Luigi Sturzo, che a Ferentino era molto forte. Non a caso, durante il ventennio i fascisti si accorsero di questo secondo fine delle fasce più illuminate del clero. Basti pensare che i sacerdoti a lezione leggevano anche testi eterodossi, spiegavano financo il sindacalismo rivoluzionario, socialisteggiante, perché loro erano convinti che il cittadino ben istruito dovesse sapere tutto, perciò spiegavano anche il filone materialistico, ateo¹, dato che solo avendo giusta cognizione delle varie posizioni, anche di quelle che non si condividono, si può rettamente agire e valutare. La Storia è importante anche per capire le linee-guida dei vari partiti politici; gli insegnanti ce lo dicevano sempre: se non conosci la Storia non puoi capire neanche la politica. Se non hai conoscenza storica non hai la minima cognizione del presente, lo vivi senza consapevolezza. Ebbene, mio padre era un grande lettore di libri di Storia, libri, non rotocalchi. Mi torna in mente questo particolare: nel pomeriggio mamma correggeva i compiti degli alunni oppure rivedeva qualcosa per le lezioni del giorno dopo, mentre papà leggeva i libri di storia, la Storia di Roma contenuta nella Storia Universale di Corrado Barbagallo, per esempio. Lui era un grande studioso, gli piaceva tanto il personaggio storico di Cesare, per cui lesse e rilesse la Vita dei dodici Cesari di Svetonio. Anche papà, come mamma, amava il latino, sebbene poi l’avesse abbandonato per dedicarsi agli studi filosofico-pedagogici; invece mamma si laureò in filologia classica, quindi il latino e il greco circolavano da sempre a casa nostra.

    Nonostante mamma fosse insegnante non ci ha mai acculturato, mai! Ci ha mandato a scuola desiderosi di apprendere, ma analfabeti, più che ignoranti. Avevano due caratteri diversi papà e mamma: lui molto generoso, simpatico, esuberante, lei invece più austera. Mamma non voleva avere dei figli che fossero, come diceva lei stessa, delle cornacchie ammaestrate; dovevamo andare a scuola analfabeti, perché era la scuola che doveva insegnare a leggere e scrivere. Mamma non ha mai interferito con i nostri insegnanti, perché da insegnante sapeva che correggere un errore è più faticoso che insegnare ex novo. L’esperienza da docente l’aveva forgiata in maniera tale da non commettere questo tipo di errore con i figli. Infatti quando si svolgevano i ricevimenti scuola-famiglia non andava certo mamma a chiedere di noi; ci andava papà. Allo stesso modo, quando incontrava gli insegnanti a scuola o per strada, mamma non chiedeva mai di noi; tant’è vero che spesso erano proprio gli insegnanti a domandarle: «Loreta, non ci chiedi niente di Roberto, di Biancamaria, di Maria Teresa?», al che lei rispondeva: «Voi che mi dite?". Questo fa intendere il suo modo di essere e l’abitudine a non interferire con il ruolo degli altri insegnanti che avevano il compito di istruirci e formarci culturalmente e civicamente. A casa c’era l’esempio; a scuola l’istruzione.

    Come dicevo, avevano caratteri diversi papà e mamma, ma andavano di comune accordo nell’educazione dei figli, seguivano la stessa linea di principio. Papà ha avuto i suoi dolori fortissimi in famiglia. Il fratello di nonno Ignazio, che si chiamava Francesco, uomo del 1891, morì al fronte durante la Prima guerra mondiale, sul monte Sabotino nel novembre 1915, disperso in combattimento; il suo corpo fu disintegrato sicuramente da una granata (Francesco Valeri, di Giuseppe e Antonia D’Agostini, soldato del 56° reggimento fanteria, nato a Ferentino il 16 gennaio 1891, disperso il 18 novembre 1915 nei pressi del monte Sabotino in combattimento). In conseguenza del tragico avvenimento, la mamma, Antonia, morì di dolore. Zio Francesco veniva descritto in famiglia come un bel giovane, simpatico, buono, così raccontava nonno Ignazio. Partì per il fronte il 24 maggio 1915 e a novembre del medesimo anno trovò la morte in un’operazione di guerra, in quel bagno di sangue che fu la Prima guerra mondiale. Durante la Seconda guerra mondiale, il figlio di Maria, sorella di nonno Ignazio, che si chiamava Nazzareno, fu chiamato ad arruolarsi e partì per il fronte russo; anche lui non tornò più a casa. Trovò tristemente la morte per aver contratto il tifo petecchiale in campo di concentramento russo (Pro Nazzareno, di Giacinto e Maria Valeri, nato il 22.06.1920 a Ferentino - Roma; 52°

    rgt. art. Div. ftr. artigliere

    ; morto il 03.05.1943 nel

    Campo 58 tiomnikov prigioniero

    ). Nonno e gli altri parenti sapevano tutto di ciò che era successo, ma a zia Maria, detta Marietta essendo di piccola statura, non hanno mai detto

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