O₂ Non avrai altro ossigeno
Di Matt Briar
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Fantascienza - racconto lungo (42 pagine) - Un germoglio, un solo germoglio in un mondo devastato. Per continuare a sperare.
Oddech, una città sotto vetro nata sul monopolio dell’ossigeno. Fuori, un mondo devastato che aspetta un miracolo scientifico per poter rinascere. Per realizzarlo, il vecchio professor Laggiani si affida all’ispettore Nicolis, disposto a infrangere le regole pur di dispensare il germoglio della speranza.
Una missione che esige più coraggio, che richiede un sacrificio più grande di quanto si possa immaginare..
Matt Briar (al secolo Matteo Barbieri) nasce a Reggio Emilia nel 1985. La scrittura lo seduce sin da bambino quando si impossessa della Olivetti Lettera 32 di famiglia. Crescendo diventa un lettore vorace e sperimenta vari generi, fino a innamorarsi della letteratura fantastica, e in particolare della fantascienza per la sua capacità di riflettere il presente.
Dopo un paio di racconti pubblicati su riviste e web, fa il suo vero esordio vincendo il premio Kipple con un’opera sperimentale, L’era della dissonanza (Kipple, 2014). Subito dopo cercandosi su Amazon si accorge dell'esistenza di altri scrittori con il suo stesso nome di battesimo, e decide di dotarsi di pseudonimo.
Nel 2018 ha pronti due nuovi romanzi con i quali si classifica finalista ai due maggiori premi italiani di scifi: Urania e Odissea. Uno dei due, Terre Rare, esce per Watson Edizioni nel 2019.
Tra i progetti a cui ha partecipato, le antologie NeXT-Stream e La prima frontiera (Kipple), e la raccolta di saggi Stephen King: L’altra metà oscura (Weird Books).
Sul web scrive per Tom's Hardware, Rockinfreeworld e cura il suo blog.
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O₂ Non avrai altro ossigeno - Matt Briar
1
Adesso
Le due valige danno nell’occhio. Sono troppo fuori dall’ordinario, troppo evidenti. Marroni, rettangolari, con ganci di metallo, vecchie di un secolo. Roba che a Oddech non si vede più. Basterebbe che un bambino alzasse lo sguardo oltre la propria cupola, fuori dalla finestra, e lo indicherebbe alla mamma sbraitando tutto esaltato. Un Senza Cupola che si aggira ai margini della città. Qualcuno di cui ricordarsi in seguito.
Dio, ma perché ti sei fatto coinvolgere?
La sicurezza di qualche ora prima evapora insieme al suo sudore a ogni passo che lo allontana da Oddech. Nonostante il respiratore, la scarsa ossigenazione lo sta affaticando. Ed è fuori da non più di dieci minuti.
Sono maledettamente pesanti, quelle valige.
Non è vero, sei tu che sei affannato. Devi solo abituarti. Avanti, non fare la mammola.
Il suo non è un respiratore, è solo un filtro a ioni attivi. Va bene per spostarsi di cupola in cupola, tragitti di pochi minuti, o per sostare all’esterno senza particolari sforzi. Ma non per una maratona di tre chilometri con quindici chili per braccio. Con un pass da due ore, tuttavia, non può certo chiedere un respiratore come si deve.
Concentrati. Respiri regolari, passi regolari. Trova il ritmo. E trova quel dannato silo.
Deve passare oltre il vecchio pioppeto, poi percorrere l’alveo dell’Argione e procedere in linea retta mantenendosi fuori vista. Allora dovrebbe avvistare un silo con la scritta PROFED.
Non manca molto, riesce già a scorgere quella rastrelliera di aghi spuntare dal terreno, neanche fossero gli aculei di una bestia immonda. Sebbene non ci sia granché dietro cui nascondersi, tra quei tronchi morti si sentirà almeno un po’ più coperto.
Non è poi così diverso da come lo vedo ogni giorno dalla finestra.
Casa sua affaccia verso est, mentre ora si sta dirigendo a sud, ma non è che cambi molto. Abita in periferia, nei vecchi centri commerciali riconvertiti. Forse con una promozione potrebbe permettersi qualcosa di più centrale. La Caelis offre vari benefit ai suoi dipendenti, almeno a quelli che puntano in alto. A lui non hanno mai offerto niente e lui, dal canto suo, non ha mai chiesto alcunché.
Dalla sua camera è abituato a vedere l’esterno al di là delle ultime cupole. Un’immensa distesa vuota, gialla e marrone, costellata di tronchi rivolti al cielo, duri e grigi come la roccia, e ruderi crollati per metà.
Ogni tanto vede passare qualcuno a piedi o su un mezzo. Nessuno si ferma mai, ovviamente, non così vicino a Oddech. A volte ha provato a calarsi nei loro panni e immaginare come sarebbe scorgere sé stesso dall’esterno, un profilo appena visibile dietro ai vetri delle finestre, e la sua cupola accanto a tutte le altre a formare quella specie di gigantesco pluriball che è la città di Oddech.
Bene, ora lo sai. Ora sei qui che la guardi.
Si ferma e si volta indietro. Le semisfere coprono l’intero orizzonte settentrionale, riflettendo le nubi opache. A vederle così, si direbbe che manchi poco perché le due parti arrivino a sfiorarsi come l’indice di Dio e quello di Adamo in quel dipinto famoso… Dov’è che si trova? Non ricorda, ma il pensiero gli provoca un brivido freddo tra le scapole.
Davanti ai suoi occhi ci sono soltanto le abitazioni marginali, umili case popolari come la sua, con poche luci e nessuno in giro. Il cuore pulsante di Oddech è tutt’altra cosa, ma non c’è modo di vederlo da fuori, tranne forse dall’alto. È nascosto, circondato da anelli concentrici di crescente disperazione.
Inutile far finta che non sia così. In questa semplice considerazione risiede la ragione per cui ora si trova lì fuori. Al di là di Laggiani, al di là del suo lavoro, al di là di tutto, le cose si riducono a poco. Basta polverizzarle e lanciarle in aria, e a quel punto sono sorprendentemente uguali a tutto il resto. Ridotte all’essenziale. Sicuramente quel famoso dipinto è finito così, in polvere, sotto cumuli di macerie.
L’unica eccezione alla regola è Laggiani. La sua cupola, pur essendo esterna, è verde e rigogliosa come il Borneo