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Colpevole di innocenza: Genova 1950, la seconda indagine del "Becchino"
Colpevole di innocenza: Genova 1950, la seconda indagine del "Becchino"
Colpevole di innocenza: Genova 1950, la seconda indagine del "Becchino"
E-book263 pagine3 ore

Colpevole di innocenza: Genova 1950, la seconda indagine del "Becchino"

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Info su questo ebook

La primavera inoltrata del 1950 a Genova mette nelle vene del commissario capo Damiano Flexi Gerardi sangue nuovo. Convinto dal questore a ritirare le dimissioni e ad accettare un caso difficile e delicato si trova a indagare sulla morte di due piccole ospiti dell’orfanotrofio di C.M. Da chi e perché sono state uccise due bambine innocenti? Non è facile per un uomo schivo e refrattario ai contatti umani, come il commissario, che si è meritato il soprannome di “Becchino”, avere a che fare con un gruppo di suore capeggiate da una madre superiora agguerrita e granitica come un generale d’armata. La cognata Angela viene chiamata dal commissario per dargli manforte e per scalfire le difese delle religiose guadagnandosi la fiducia e le confidenze delle piccole orfane. Diversi soggetti sono sospettabili. Ma qual è il movente? Le indagini si complicheranno ulteriormente per avvenimenti personali e delittuosi che turberanno l’animo di tutti. La soluzione arriverà portando con sé la consapevolezza che nessuno è innocente.

Maria Teresa Valle nata a Varazze (SV), risiede attualmente a Genova. Sposata, ha due figli e tre splendidi nipoti. Laureata in Scienze Biologiche ha lavorato per molti anni in qualità di Dirigente Biologa all’Ospedale San Martino di Genova. Per Fratelli Frilli Editori ha pubblicato: La morte torna a settembre (2008, anche in edizione economica per la collana “Liguria in Giallo”), Le tracce del lupo (2009 anche in edizione economica per la collana “Liguria in Giallo”), Le trame della seta. Delitti al tempo di Andrea Doria (2010, anche nella collana “Super pocket in giallo” e distribuiti con il quo- tidiano “Il Secolo XIX”), L’eredità di zia Evelina. Delitti nelle Langhe (2012, ha fatto parte della collana “Noir Italia” pubblicata dal “Sole 24 ore”), Il conto da pagare (2013 tradotto in Spagna col titolo Adjuste de cuentas per “Terapias Verde”), La guaritrice. Piccoli sospetti (2014), Burrasca. Delitto al liceo Chiabrera (2015), Maria Viani e le ombre del ’68 (2016), I ragazzi di Ponte Carrega (2017), Delitto a Capo Santa Chiara (2018) e Il mandante (2019). Su soggetto del gruppo Neverdream (Progressive Rock) ha scritto The Circle la storia noir del loro ultimo concept album. CD e libro sono scaricabili gratuitamente dal sito www.neverdream.info. Ha pubblicato inoltre svariati racconti in molte antologie, tra cui Apro gli occhi premiato al 36° Premio Gran Giallo della Città di Cattolica.
LinguaItaliano
Data di uscita28 gen 2021
ISBN9788869435027
Colpevole di innocenza: Genova 1950, la seconda indagine del "Becchino"

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    Anteprima del libro

    Colpevole di innocenza - Maria Teresa Valle

    1

    Nel vecchio edificio di pietra regnava il silenzio. Tutte le bambine, finito il lavoro di cucito, stavano giocando nel giardino, ma senza fare chiasso. La loro allegria era contenuta, frenata, come se avessero timore di disturbare qualcuno o qualcosa.

    Aurora e Virginia erano accovacciate in un angolo intente in qualche attività che le teneva lontane dalle altre. Suor Addolorata del Bambin Gesù le stava osservando dietro ai vetri della finestra. Da lì a poco avrebbe chiamato tutte le piccole orfane perché andassero a lavarsi le mani. Avrebbe controllato che avessero le unghie pulite, avrebbe dato una ravviata ai loro capelli e le avrebbe condotte in chiesa per la funzione vespertina.

    Nei banchi di legno, sotto le navate che si elevano verso il cielo, le bimbe avrebbero cantato gli inni e ascoltato in silenzio la voce stentorea del prete tuonare contro il peccato e minacciare l’inferno per i peccatori.

    Sapeva che Aurora non sarebbe riuscita a stare ferma durante il sermone e la madre superiora le avrebbe rivolto uno sguardo severo, preludio della punizione che le avrebbe inflitto per la sua irrequietezza.

    Virginia, invece, sarebbe rimasta immobile. Gli occhi fermi sull’officiante, senza un battito di ciglia, ne avrebbe fissato le labbra come se ne stesse ascoltando attentamente le parole. Ma gli occhi vitrei e imbambolati avrebbero dimostrato che la mente era altrove.

    Suor Addolorata sospirò. Scorse le due bambine spostarsi sul retro della casa, allontanandosi. Due bimbe minute, con ossa piccole e fragili che si muovevano con leggerezza. Parlavano sommessamente e si tenevano discoste dalle altre. La loro pelle aveva un pallore perlaceo. Vene azzurre che affioravano sotto l’epidermide. Capelli chiarissimi. Palpebre, prive di ciglia, trasparenti come carta velina. Occhi del colore dell’acqua, così azzurri e liquidi che parevano fissare senza vedere. Pupille talmente piccole da sembrare ingoiate dall’iride. Mani esili dalle lunghe dita agili. Creature lunari. Silenziose e delicate. Difficile pensarle fatte di carne e sangue. Piuttosto di una materia impalpabile, indefinibile. Eppure nessuna creatura era più terrena di loro. Suor Addolorata guardandole non poté fare a meno di farsi il segno della croce. Quelle due gemelle la inquietavano.

    – Hai visto il diavolo? – Le chiese la superiora che stava passando nel corridoio per recarsi in chiesa.

    – Reverenda Madre, non l’avevo sentita arrivare.

    – Allora, questo diavolo?

    – No, no. Sono solo le gemelle. Quando le guardo sento un brivido corrermi lungo la schiena. Non so neppure io perché.

    – Non sono né meglio né peggio delle altre. Bambine che vanno sorvegliate e punite se non seguono le regole. Tutto qui.

    – Sì Madre. Ma quali regole? E perché punirle?

    – Tu sei arrivata da poco. Dovrai seguirle anche tu, mia cara. Imparerai.

    – Certo Madre. Imparerò. – Suor Addolorata del Bambin Gesù chinò la testa in segno di obbedienza. Il cuore in tumulto per aver colto in quel mia cara una velata minaccia e negli occhi della badessa lo sguardo duro di chi non conosce la compassione. La osservò allontanarsi mentre il pavimento del lungo corridoio rimandava il rumore dei suoi passi.

    2

    – Ha sentito quello che le ho detto?

    – Sì, signor questore. – Rispondo guardando il mio interlocutore, ma so di non essere convincente. – Ho sentito.

    – Ha sentito, ma non ha capito. Lo vedo dalla sua faccia. Commissario? Sto parlando con lei!

    – Sissignore. La ascolto. Tuttavia le ricordo...

    – Vuole smetterla? Le ho detto che le sue dimissioni io non le ho viste. Tanto meno accolte. Le ripeto che qui abbiamo bisogno di lei.

    – Ma ci sono tanti commissari più bravi e anche più discreti, più obbedienti di me, non vedo perché...

    – Lei non vede. Non vede! Non è lei che deve vedere. Basta. È deciso. Ho scelto lei per un incarico di fiducia. Delicato. Difficile. Io sono sicuro, le ripeto, sono sicuro che lei sia la persona adatta. – Il questore misura l’ufficio a grandi passi. Tenendo le mani dietro la schiena e fissando il pavimento. – Io posso capire le sue riserve. Mi creda. E anche la sua frustrazione. La sua tentazione di mollare tutto. La sua ultima indagine... Non poter perseguire i mandanti degli omicidi... Capisco. Ma, senza offesa, mollare tutto non le sembra un gesto codardo? Dal momento che io, in persona, le chiedo di restare, le ripeto che abbiamo bisogno di lei?

    – Non so che dire. – Rispondo alla fine, esasperato e in parte già rassegnato. Dentro di me sento che il poliziotto stenta a morire e si dibatte per riprendere il suo posto. In fondo non desidero veramente smettere di fare questo mestiere. Volevo solo uscire da una situazione che non mi si lasciava scelta, e che mi impediva di fare con libertà il mio lavoro. Ragioni di stato, motivi politici, rischi di incidenti diplomatici. Tutto è stato tirato in ballo per impedirmi di continuare un’indagine che avrebbe disturbato troppe persone, coinvolto organismi governativi di diverse nazioni. Tutto più grande di me. Solo un pazzo avrebbe insistito. E solo il mio orgoglio mi ha fatto pensare di tirarmi fuori rinunciando al mio lavoro.¹

    – Non so che dire. – Ripeto con ostinazione.

    – Ecco. Non dica niente. – Il capo della polizia si ferma di fronte a me e mi pianta gli occhi in faccia. Non l’ho mai visto così deciso. – Siamo alle prese con un caso veramente spinoso. Ho bisogno di un uomo intelligente e capace, ma anche sensibile e discreto. E non sono molti i poliziotti che conosco che abbiano queste caratteristiche. Non lo dico per lusingarla. Dio solo sa quanti grattacapi mi ha dato. Ma vede, sono stati proprio i carabinieri di C.M. che hanno chiesto il nostro aiuto. Non hanno abbastanza esperienza. Non si sono mai trovati davanti a un caso del genere. Io ripongo in lei la mia fiducia. Avrà mano libera. Potrà condurre le indagini come crede. Le darò tutto l’appoggio necessario. Lei dovrà rispondere direttamente a me. Le pongo un’unica condizione. Ogni sera dovrà farmi un rapporto dettagliato. – Con un gesto della mano blocca il mio tentativo di interrompere le sue parole. – Non dica niente. Anch’io come lei devo rendere conto... Allora?

    3

    Dal capanno in fondo all’orto Bastiano spiava ciò che stava succedendo attraverso una fessura tra le assi di legno. Quello era il suo posto di osservazione preferito. Non visto, guardava lo svolgersi della vita nell’orfanotrofio. I piccoli avvenimenti quotidiani. La cuoca stava mettendo a bollire la pentola per la zuppa della sera, aiutata dalla sguattera che stava sbucciando le patate. Le loro figure si muovevano in cucina dietro i vetri della finestra. Il ragioniere aveva acceso la luce nello studio. Le suore stavano passando nel corridoio per raggiungere le bambine e accompagnarle in chiesa per la funzione vespertina.

    Soprattutto gli piaceva osservarle. Sarebbe stato ore a guardarle. Quando giocavano. Quando tutte in fila andavano nell’aula, o in chiesa. Quando erano in refettorio o in giardino.

    Le regole imponevano che le piccole ospiti non si allontanassero dal piazzale antistante l’orfanotrofio in modo che le consorelle potessero sorvegliarle con facilità, ma Aurora e Virginia spesso ignoravano il divieto e si appartavano. A volte si mettevano a giocare o a trafficare, con il loro strano modo di fare, proprio davanti al suo capanno.

    Bastiano amava questi momenti. Quando le due gemelle erano vicine. Così vicine che poteva quasi sentire il loro respiro. E loro non si accorgevano di lui. Ascoltava i loro discorsi, anche se parlavano sottovoce, con quel modo così personale, così intimo, come chi è abituato a farsi capire anche con poche frasi.

    – Vieni Aurora, Suor Addolorata non ci sta guardando. Andiamo, presto.

    – Arrivo. Ci sarà ancora?

    – Certo. Dove vuoi che vada? Lo stagno è lì e ha bisogno dell’acqua. Hai portato la scatola?

    – Ce l’ho qui. Ma facciamo presto. Tra poco ci chiameranno per andare in chiesa.

    – Ecco. L’ho presa. Attenta a non farti vedere dal vecchio Bastiano. Sai che quello non fa altro che spiare.

    – Tranquilla non è in giro. Sarà nel capanno degli attrezzi.

    Bastiano sorrise a sentir che le bambine lo nominavano, felice che non avessero ancora scoperto che poteva osservarle senza essere visto da loro. Le guardò mentre si allontanavano furtive, camminando leggere, come se non toccassero terra. Procedevano tanto vicine che le loro braccia lunghe e magre si sfioravano. I passi erano misurati, le gambe si muovevano all’unisono, come appartenessero a uno stesso organismo. La divisa del collegio era troppo larga per ospitare i loro corpi scarni e il pallore della pelle le rendeva simili a piccoli spettri. Bastiano le seguì con lo sguardo fino a quando scomparvero all’interno del portone dell’ingresso. La palpebra dell’occhio destro si mosse con lo spasmo di un tic fino a che la sua mano non corse a fermarla.

    4

    Quando ho affrontato la lunga passeggiata a piedi da casa mia alla questura, mi sentivo leggero. Avevo preso la mia decisione e la mia coscienza mi aveva suggerito che quella era proprio la strada giusta per recuperare la mia dignità.

    Il mio ritorno a Genova, da cui ero stato lontano, mio malgrado, e in cui avevo riposto tante speranze si è rivelato più difficile di quello che credevo. Ai vecchi fantasmi se ne sono aggiunti altri. Del tutto inaspettati. Non ho potuto perseguire i veri colpevoli dei delitti di cui mi sono occupato appena arrivato. Per la seconda volta questa città mi ha riservato il destino più amaro che si possa immaginare per un poliziotto. Non riuscire a dare un volto agli assassini, permettere ai colpevoli di non pagare il loro debito con la società, impedire alle vittime di avere giustizia. Difficile da accettare.

    E tuttavia...

    Ammetto che il questore ha colto nel segno giudicando il mio desiderio di andarmene, di sfuggire alle mie responsabilità, come vigliaccheria. Questo è stato forse l’argomento che mi ha punto sul vivo. Che ha fatto leva sul mio amor proprio facendomi decidere di accettare l’incarico.

    Contro ogni buon senso.

    La voglia di riscatto è stata più forte del timore di non riuscire.

    Non nascondo che ha giocato un ruolo anche la stima che il mio superiore ha dimostrato nei miei confronti. Mi ha buttato un’esca e io ho subito abboccato. Non sapevo di essere così sensibile alle lusinghe. Non mi sono neppure chiesto se resistere o cedere. Ho accennato una fiacca opposizione, ma non ci credevo neppure io.

    – Commissario Damiano Flexi Gerardi sei solo un vecchio coglione debole e bisognoso di attenzione, di vedere riconosciuto il tuo merito. Come fossi ancora a scuola e aspettassi il voto dalla maestra. Bravo Damiano! Hai preso dieci. E io volevo dieci e lode... – E mi accorgo di aver parlato a voce alta quando un ragazzo che mi sta passando accanto mi lancia uno sguardo perplesso. E se ne va ridacchiando tra sé e sé.

    5

    La chiesa era silenziosa. Nella penombra della navata suor Addolorata avanzò senza fare rumore con il passo veloce. Sentiva l’abito lungo sfiorare il pavimento e le grandi ali della cuffia bianca muoversi leggere tagliando l’aria intorno a lei. Si diresse verso il confessionale dove don Mario la stava aspettando. Si inginocchiò e sentì lo sportello di legno aprirsi sulla grata di metallo. Mostrò al sacerdote il suo volto rigato di lacrime.

    – Sia lodato Gesù Cristo – disse il prete, cercando di nascondere il suo stupore e la sua curiosità, – Cosa c’è, sorella, di così urgente, che mi hai fatto chiamare per la confessione, in questo orario insolito?

    – Sempre sia lodato. Padre, io ho bisogno di confessarmi. – Cercò di ricacciare indietro le lacrime. Il pianto le velava la voce.

    – Coraggio. Dimmi.

    – Padre, ho peccato. Io... io non riesco a smettere di pensare a lui.

    – Chi è questo lui?

    – È un uomo, padre. Un uomo che amavo. Che amo. Alla mia famiglia però non piaceva. È povero, non ha un nome. Uno scandalo il solo pensare di potermi fidanzare con lui. Mio padre ha scelto per me l’uomo giusto. Più grande di me di vent’anni. Ricco. Di buona famiglia. Secondo i miei il marito adatto. A me però non piaceva, mi sono ribellata con tutte le mie forze e mi è stata data una seconda scelta. Il convento. Ed eccomi qui. Ma non riesco a smettere di pensare a lui. L’uomo che amo. Io dovrei prendere i voti a breve. Cosa dirò a Dio, che amo un uomo più di lui? Non posso. Non posso...

    – Pensavo che certe cose succedessero solo nei romanzi. Avrebbero dovuto chiamarti suor Gertrude...

    – Suor Gertrude? Perché?

    – Lascia perdere... Figliola, capisco il tuo sgomento, ma ora che hai vestito questo abito hai dei doveri. Devi scacciare dal tuo cuore questo amore umano. E sostituirlo con l’amore di Dio. Di Gesù.

    – Ci provo, padre. Io amo Gesù, ma lui...

    – Basta. Prega, sorella Addolorata, prega e dedicati a queste povere orfanelle che hanno tanto bisogno di te. Questo è quello che devi fare. Non ti viene chiesto altro, per ora.

    – Va bene padre. Seguirò i suoi consigli. – Aveva sperato invano che don Mario avesse il potere di scacciarle dal cuore il ricordo dell’uomo che amava, ma si era illusa. Ora se ne rendeva conto. Quel prete non era in grado di aiutarla.

    – La tua penitenza sarà inginocchiarti davanti all’altare e dire tanti Padre, Ave e Gloria fino a che le ginocchia ti faranno tanto male che non riuscirai più a stare inginocchiata. Fino a che la tua schiena non potrà più stare diritta. Fino a che la tua bocca sarà così asciutta che non ti resterà più saliva. Vai! Sia lodato Gesù Cristo.

    – Sempre sia lodato. – Suor Addolorata sentì il rumore dello sportello che si chiudeva e si alzò asciugandosi gli occhi con il dorso della mano.

    Trasalì trovandosi davanti la madre superiora.

    – Sei appena arrivata e hai già bisogno di confessarti? Che segreti nascondi dietro a quel viso angelico?

    – Nessuno, nessun segreto, madre. – La sua voce tremava. La superiora le faceva paura.

    – Attenta sorella. Io ti terrò d’occhio. Sarò sempre a un passo da te. Ricordati.

    Aveva l’impressione che la madre superiora le leggesse dentro. Si mise a correre per uscire dalla chiesa il più presto possibile.

    6

    Mi sono già pentito della mia decisione. Troppi pensieri che cozzano gli uni contro gli altri. Non dovevo accettare l’incarico. Questa si rivela l’ennesima indagine in cui si vuole stabilire una verità che faccia comodo a tutti. Senza pestare troppi piedi, senza turbare l’opinione pubblica. Senza frugare troppo a fondo nei panni sporchi della società, ma facendo venire a galla solo comode verità da salotto, di cui il questore e tutta la compagnia possano vantarsi senza tirare in ballo personaggi importanti.

    Questa volta, però, si fa a modo mio. Non mi fermerà nessuno. Arriverò fino in fondo, costi quello che costi. Comincerò dalle autopsie. E mi dirigo verso l’Istituto di Medicina Legale per incontrare il dottor Piazza.

    Il nome non mi è nuovo, ma non riesco a collegarlo a nessun viso.

    Quando me lo trovo davanti rammento di averlo già visto anche se non ricordo dove. Il fatto che siamo in una sala anatomica e il patologo indossi un camice verde che gli arriva fino ai piedi e i guanti, mi esonera dall’obbligo di dargli la mano. Infilo tutti e due i pugni nelle tasche dei pantaloni e mi qualifico.

    – So chi è lei – mi apostrofa con un mezzo sorriso – il Becchino. In fondo tra me e lei non c’è molta differenza. Sa come mi chiamano gli studenti di medicina? La Iena. Perché sostengono che mi nutra di cadaveri e, perché faccio a pezzi gli ignoranti che si presentano agli esami di anatomia senza conoscere a menadito ogni singolo muscolo, osso, nervo, anfratto del corpo umano. – E scoppia in una risata che mi fa pensare che quello sia un altro buon motivo per quel soprannome.

    – Immaginerà anche perché sono qui.

    – È alla ricerca di qualche cadavere? Qui ne abbiamo parecchi. C’è un’ampia scelta.

    – Le bambine.

    – Ah! Certo. Le bambine. Venga.

    – Ma io, – provo senza successo a defilarmi – non è necessario che le veda. Basta che lei mi dia i risultati dell’autopsia.

    – Risultati? Niente risultati. Sono appena arrivate.

    – Come, appena arrivate?

    – Sì. A quanto mi hanno riferito, i carabinieri di C.M. hanno fatto un gran casino. I cadaveri sono stati rimossi prima che arrivasse il medico legale sul posto. Li hanno portati nell’orfanotrofio. Insomma lei capisce. Hanno ritardato di molto l’intervento dei necrofori che hanno consegnato i corpi solo ieri sera tardi. Purtroppo io ero già andato via.

    Si

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