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Genova una pallottola per il Becchino: Terza indagine del commissario Damiano Flexi Gerardi
Genova una pallottola per il Becchino: Terza indagine del commissario Damiano Flexi Gerardi
Genova una pallottola per il Becchino: Terza indagine del commissario Damiano Flexi Gerardi
E-book260 pagine3 ore

Genova una pallottola per il Becchino: Terza indagine del commissario Damiano Flexi Gerardi

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Info su questo ebook

Genova 1952. Si prepara per Genova un importante avvenimento. Dal 26 al 28 aprile si svolgerà in città la Venticinquesima Adunata Nazionale dell'Associazione Nazionale Alpini. Il commissario capo Damiano Flexi Gerardi, dal curioso soprannome, il Becchino, per il suo aspetto elegante, dagli abiti sempre neri, e per il suo carattere schivo, è incaricato dal questore di occuparsi dell'organizzazione e della realizzazione del servizio d'ordine dell'intero evento, dovendo sostituire all'ultimo momento un collega ammalatosi gravemente. Per niente contento del compito che gli è stato assegnato vorrebbe al contrario occuparsi delle indagini di un omicidio che lo riguarda molto da vicino. Il legame di parentela con la vittima costituisce però un ostacolo che lo esclude dalle indagini ufficiali. Del caso è chiamato a occuparsi il collega Alfredo Dominici, di cui il Becchino non ha nessuna stima. Insofferente ai vincoli posti dalla legge procede a modo suo, mentre altre morti vengono scoperte nel frattempo. Sono tutte collegate, da un unico movente e un unico assassino, come sembra pensare il Becchino, o sono dovute a mani diverse, come crede il commissario Dominici? Ce la farà Flexi Gerardi a trovare l'assassino e, nello stesso tempo, a controllare il raduno degli alpini, come chiesto, anzi ordinato, dal questore? Gli daranno una grossa mano il fidato ispettore, Silvio Marceddu e il nuovo bonario vice, Demetrio Russo e, mentre l'epilogo vedrà come sfondo il festoso e rumoroso corteo degli alpini, le vicende personali del Becchino si ingarbuglieranno...

Maria Teresa Valle nata a Varazze (SV), risiede attualmente a Genova. Sposata, ha due figli e tre splendidi nipoti. Laureata in Scienze Biologiche ha lavorato per molti anni in qualità di Dirigente Biologa all’Ospedale San Martino di Genova. Per Fratelli Frilli Editori ha pubblicato: La morte torna a settembre (2008, anche in edizione economica per la collana “Liguria in Giallo”), Le tracce del lupo (2009 anche in edizione economica per la collana “Liguria in Giallo”), Le trame della seta. Delitti al tempo di Andrea Doria (2010, anche nella collana Super pocket in giallo e distribuiti con il quotidiano “Il Secolo XIX”), L’eredità di zia Evelina. Delitti nelle Langhe (2012, ha fatto parte della collana “Noir Italia” pubblicata dal “Sole 24 ore”), Il conto da pagare (2013 tradotto in Spagna col titolo Adjuste de cuentas per “Terapias Verde”), La guaritrice. Piccoli sospetti (2014), Burrasca. Delitto al liceo Chiabrera (2015), Maria Viani e le ombre del ’68 (2016), I ragazzi di Ponte Carrega (2017), Delitto a Capo Santa Chiara (2018), Il mandante (2019) e Colpevole di innocenza (2021). Su soggetto del gruppo Neverdream (Progressive Rock) ha scritto The Circle la storia noir del loro ultimo concept album. CD e libro sono scaricabili gratuitamente dal sito www. neverdream.info. Ha pubblicato inoltre svariati racconti in molte antologie, tra cui Apro gli occhi premiato al 36° Premio Gran Giallo della Città di Cattolica.
LinguaItaliano
Data di uscita6 giu 2022
ISBN9788869436185
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    Genova una pallottola per il Becchino - Maria Teresa Valle

    1

    GENOVA 1952

    Un mese bastardo. Un anno bastardo. È il ventinove febbraio. Il vento tira così forte che devo tenere il cappello con la mano. E faccio fatica a impedire che una folata me lo strappi via. Più mi avvicino alla questura e più le nuvole nere che salgono dal mare schiacciano il cielo verso terra. Fa così freddo che ho il viso completamente insensibile, tagliato in due da questa bufera. Cammino a fatica cercando di contrastare la spinta contraria del vento e per una volta sono contento quando riesco a salire i pochi gradini di accesso al portone e mi posso riparare all’interno dell’androne. Tento di ricompormi e riattivare la circolazione delle mani alitandoci sopra. I guanti non sono serviti ad attenuare il freddo dell’esterno. Solo ora, che ho riacquistato un poco di calore penso al colloquio che mi attende. Non so mai cosa aspettarmi quando il questore mi chiama. E questa volta meno che mai. Non ci sono novità, almeno che io sappia. Nessun cadavere sconosciuto da identificare. Nessun delitto di cui scoprire il colpevole. Non rapine o furti di qualche rilievo. Niente di niente. Tutto stranamente tranquillo, tranne il tempo. Un inverno particolarmente freddo e tempestoso, di cui non si avverte la fine.

    La porta dello studio del mio diretto superiore è chiusa. Non sento provenire nessuna voce dall’interno e busso.

    – Gerardi, venga, venga. – Il questore si alza e mi tende la mano. Poi ci ripensa e torna a sedersi. – Abbiamo convenuto che la chiami così, non è vero? O preferisce Becchino?

    – Come crede. – Se pensa di essere spiritoso non mi ha fatto ridere.

    – Si accomodi, ah già! Lei vuole sempre stare in piedi, faccia come vuole. Secondo me dovrebbe sedersi.

    Alza le sopracciglia e si stropiccia i baffi. Brutto segno. Sembra che non sappia da che parte cominciare. Che sia davvero meglio che mi sieda?

    – Lei saprà che il commissario De Bernardis è in ospedale, vero?

    – Veramente, no. Non lo sapevo. Spero niente di grave.

    – Eh! Purtroppo è grave. Mi hanno avvisato oggi. Un tumoraccio. Ultimo stadio.

    – L’ho visto non più tardi di venti giorni fa. Mi sembrava stesse bene. Forse un po’ dimagrito, ora che mi ci fa pensare.

    – Pare che sapesse già di essere condannato, ma ha cercato fino all’ultimo di resistere. Di non darlo a vedere.

    – Mi dispiace molto, ma...

    – Sì, sì. Lei si chiederà perché io l’abbia fatta venire fin qui per darle questa notizia.

    Torna a stropicciarsi i baffi e a sollevare le sopracciglia. Mi guarda di sottecchi e io sento arrivare la fregatura. Di cosa si stava occupando il collega? Cerco freneticamente di ricordare quale fosse il suo ultimo incarico, ma la mia testa si rifiuta di collaborare. Devo arrendermi all’evidenza che non lo so e quindi sono del tutto impreparato a parare il colpo che sento arrivare.

    E infatti il questore apre nuovamente la bocca.

    – In realtà io l’ho convocata perché ho grande stima di lei.

    Ha preparato la vasellina. Ora aspetto con ansia che continui.

    – Il suo collega stava occupandosi di un incarico molto importante e delicato, a cui stava lavorando da due anni. Ha organizzato tutto con grande professionalità e competenza, per cui lei non avrà difficoltà a portare a compimento il lavoro iniziato. Avrà tutta la collaborazione possibile e io ho fiducia che non incontrerà alcun problema.

    Tace e mi guarda aspettando la mia reazione. Sono sicuro di non aver mosso un muscolo. Non ho battuto ciglio e sono rigido come un baccalà.

    – Vedo che ha accolto con favore la mia richiesta. – Questa volta ha abbassato lo sguardo. Forse un briciolo di pudore gli è rimasto. – Allora siamo d’accordo. Le verranno passati tutti i documenti del collega e potrà contare sulla collaborazione del suo vice.

    – Mi perdoni, ma non mi ha ancora detto in cosa consiste questo incarico.

    – Certo. Ci arrivo. Si tratta degli Alpini.

    – Scusi? – Forse ho capito male. Ha detto Alpini?

    – Gli Alpini. Il venticinquesimo raduno nazionale degli Alpini a Genova.

    – Ma io cosa c’entro?

    – Lei deve organizzare il servizio d’ordine. Segnare i percorsi, parlare con i commercianti. L’organizzazione, la sorveglianza. Tutto quello che serve, ma il suo collega era già a buon punto. Vedrà non avrà problemi.

    Forse era davvero meglio che mi fossi seduto.

    2

    18 SETTEMBRE 1943

    Quelli della 4° armata, dopo l’accordo di Casalecchio tra i Comandi Supremi tedesco e italiano, sapevano di dover abbandonare la Francia. Già il 10 agosto la Divisione Alpina Alpi Graie era stata trasferita a La Spezia, la Divisione fanteria Legnano a Bologna e la Divisione fanteria Rovigo a Torino. Ma noi della Regia Marina Italiana eravamo fermi in porto a Bordeaux al comando del Capitano di Vascello Enzo Grossi a bordo dei nostri due sommergibili il Bagnolini e il Finzi. E non ci saremmo mossi da lì. Queste erano le uniche informazioni che avevo.

    Ero in licenza ad Arcachon con parecchi commilitoni quando ricevemmo l’ordine di rientrare immediatamente a bordo.

    Non ricordo come facemmo ad arrivare. Io ero completamente ubriaco. Credo di aver dormito tutta la notte e mi sono svegliato solo per il brusio che il mio orecchio aveva percepito come un rumore insolito. La severa disciplina che vigeva a bordo non avrebbe mai permesso una tale disordinata confusione. Le solite voci che scandivano secchi ordini, il fischio acuto dell’ufficiale che sottolineava le operazioni non si sentivano e al loro posto avvertivo suoni confusi che la mia mente, ancora intorpidita, aveva difficoltà a classificare. Anche le immagini che arrivavano ai miei occhi non mi aiutavano. Marinai e ufficiali formavano capannelli in ogni parte del ponte, come se ognuno fosse uscito dalle proprie cabine, non per un ordine preciso, ma alla rinfusa e le facce denunciavano una preoccupazione evidente, mentre i gruppi si scomponevano e si ricomponevano come per la necessità di uno scambio di notizie e opinioni. Francamente non ci stavo capendo nulla. Per di più la testa mi faceva male. Forse avevo esagerato con il Bordeaux. Il buon vino francese che non aveva niente da invidiare ai nostri vini italiani. Decisamente ne avevo bevuto troppo.

    Appena mi sentii meglio mi alzai e afferrai per un braccio il commilitone più vicino a me.

    – Cosa sta succedendo?

    – Ma dov’eri stanotte, non hai sentito?

    – Ero ubriaco, devo essermi addormentato. Che cosa dovevo sentire?

    – Ieri sera alla radio Badoglio ha annunciato che è stato firmato l’armistizio con le forze alleate.

    – Alla Radio? Ma si può annunciare una cosa simile alla radio?

    – È quello che ha fatto.

    – Quindi è per questo che ci hanno richiamati tutti dalla licenza! Cazzo! E adesso?

    – E adesso sono cazzi, appunto.

    – Cioè, fammi capire, quelli che erano i nostri nemici, e che noi stavamo combattendo, quelli che ci hanno sganciato bombe sulla testa fino a ieri, ora sono nostri alleati.

    – Hai sentito, no, quello che ho detto? Ma la cosa peggiore, il vero casino, è che quelle merde dei tedeschi, adesso li abbiamo contro.

    – Ma il re?

    – Sembra che sia scappato, con tutta la corte.

    – E il capitano Grossi?

    – Pare che sia partito per Berlino.

    – Cosa dicono gli altri?

    – Cosa vuoi che dicano? Quello che dici tu. È tutta la mattina che se ne parla. Vedremo cosa succederà. Qui siamo senza ordini. I superiori non sanno cosa fare.

    Mentre stavamo discutendo e io cercavo di raccapezzarmi, non essendo ancora sicuro di essere sveglio o sobrio, era arrivato il marconista. Aveva richiamato la nostra attenzione sventolando un foglio e chiamandoci tutti intorno a lui.

    – Ragazzi, attenzione, pare che stanotte all’una meno dieci il capo di stato maggiore dell’esercito, Mario Roatta, abbia diramato l’ordine di attuare la circolare 44. Quella in cui si dice testualmente di interrompere a qualunque costo, anche con attacchi in forze ai reparti armati di protezione, le ferrovie e le principali rotabili alpine e di agire con grandi unità o raggruppamenti mobili contro le truppe tedesche.

    3

    Spalanco la porta del mio ufficio e appendo cappotto e cappello. Vado di corsa a lavarmi le mani. Una sola volta non basta. Ripeto l’operazione e rientro. Immediatamente si materializza dietro di me l’ispettore Silvio Marceddu. Non ha bisogno di guardarmi in faccia per capire di che umore io sia.

    – Caffè? – Non aggiunge altro e non aspetta la mia risposta. Sparisce e torna poco dopo con una tazzina fumante. Intercetta il mio sguardo e – È pulitissima, – precisa, – l’ho fatta risciacquare dal barista, perché non mi fidavo che fosse abbastanza a posto.

    – Grazie. – Non riesco a dire altro, ma Silvio non si scoraggia. Ha pazienza. Conosce i miei silenzi e aspetta. – Siediti, no! Cosa fai in piedi come un attaccapanni?

    So di essere stato sgarbato, ma con qualcuno mi devo sfogare. Marceddu lo sa. Del resto essendo un sottoposto non potrebbe ribellarsi neppure se volesse. Vigliacco da parte mia. Il pensiero serve a calmarmi e un vago senso di colpa mi spinge finalmente a confidarmi.

    – Oggi sono stato dal questore.

    – Sapevo che le aveva chiesto un colloquio.

    – Non mi aspettavo davvero quello che aveva da dirmi.

    Mi alzo perché non riesco a stare seduto e mi avvicino alla finestra. Volto le spalle a Silvio e guardo il cielo pieno di nuvole cariche di pioggia che, quasi l’avessi evocata, si riversa sbattendo sui vetri come una gragnola di sassi. Mi scosto istintivamente quasi dovessi evitare lo scroscio. I rivoli scorrono in un fiume liquido lavando la superficie della finestra che brilla alla luce di un lampo. Il rumore del tuono fa quasi tremare la stanza. Mi viene da sorridere. Nominare il questore ha scatenato gli elementi. Tuoni e fulmini.

    Anche la pazienza di Silvio ha un limite.

    – Commissario, se non ha bisogno di me io andrei, ho...

    – Scusa. Hai ragione. Siedi, per favore. Ascolta. Tu conosci il commissario De Bernardis?

    – Non di persona. Ne ho sentito parlare. Un bravo cristo, dicono. Competente. Però mi hanno riferito che è malato. Grave, a quanto pare.

    – Sì. È in ospedale. In fin di vita. Tu sai di cosa si stava occupando ultimamente. In questi ultimi due anni, diciamo?

    – Veramente non so. – Abbassa gli occhi. Si tormenta le mani. E si dondola da una gamba all’altra. – Non so.

    – Silvio, le bugie non le sai dire. – Mi alzo e gli punto l’indice al petto. – Tu lo sai e non hai il coraggio di dirmelo. E hai capito anche che il questore mi ha ribaltato addosso questa patata bollente, questo pacco pieno di merda. – Per la seconda volta ho alzato la voce e me la sono presa con Silvio. Come fosse colpa sua. – Guai a te se sento una risata di là in corridoio. Un sorriso, una alzata di sopracciglio. Vi mando tutti a Gaeta.

    – Signorsì, signor commissario. Stia tranquillo. Ci penso io. – Mi saluta militarmente e si avvia verso la porta.

    Prima di uscire si volta e mi guarda con l’espressione più seria che può trovare.

    – L’incarico non mi sembra poi così male. – Ed esce.

    Il faldone colpisce la porta ormai chiusa.

    4

    SETTEMBRE 1943

    Il capitano di corvetta Mario Arillo, che comandava la base dei sommergibilisti a Gotenhafen, aveva fatto convergere tutto il personale italiano a Bordeaux. In pochi giorni arrivarono dalle località della Francia e anche dalla Germania quattromila unità. Il mio compagno di cuccetta era sempre più agitato. Io non sapevo cosa pensare, ma pareva che lui avesse le idee più chiare di me. Non avevo molta voglia di parlarne con lui, ma la situazione non lasciava più spazi all’improvvisazione e quella mattina mi decisi a confrontarmi con lui.

    – Io non ci capisco nulla. Secondo te cosa sta per succedere?

    Mi fissò come chi sta decidendo se si può fidare o no. Allora cercai di rassicurarlo.

    – Guarda che a me preme solo salvarmi il culo. Per il resto sono una tomba.

    – Va bene. Ti dico quello che so. Grossi ha fatto un patto con Dönitz.

    – Chi è questo Dönitz?

    – L’ammiraglio Karl Dönitz. Tedesco, come puoi sentire dal nome. Grossi gli ha assicurato che la maggior parte dei marinai italiani aderirà alla Repubblica Sociale Italiana costituendo la 1a Divisione Atlantica Fucilieri di Marina affiancata dal Comando della 4a Flotta Vorposten.

    – Bisogna farlo per forza? O si può scegliere?

    – Si può scegliere.

    – E quelli che non aderiscono?

    – Bella domanda.

    Si era voltato dall’altra parte rifiutandosi di rispondere. Avevo dovuto ricorrere alle maniere forti prendendolo per il bavero e minacciandolo per fargli sputare quello che sapeva.

    – Ci sono dei campi di concentramento almeno in tre posti in Francia. Io so di uno, a Sospello, a nord di Nizza, ma ce ne sono degli altri e poi la destinazione finale non la conosco, ma posso immaginare: campi di lavoro in Germania.

    – Porca puttana! Dunque questa merda continua. Guerra o campo di concentramento. Una delle due. Io mi sono rotto il cazzo.

    – Una possibilità ci sarebbe. – Mi ha rivolto un’occhiata di sottecchi, ormai si era sbilanciato, non è servito neppure che lo incoraggiassi a parlare.

    – Quelli della 4a Armata, che non sono ancora stati rimpatriati nelle settimane scorse, si stanno organizzando per scappare in Italia verso Mondovì e Cuneo dove si radunano per combattere, ma dall’altra parte.

    – Dall’altra parte? Cioè?

    – La resistenza.

    – Non capisco un cazzo.

    – Si tratta di disertare. Il termine giusto è questo. Scappare da qui. Attraversare le Alpi e unirsi ai gruppi che si stanno formando e organizzando per cacciare i tedeschi.

    Ero rimasto sconcertato. Non ero sicuro di avere capito bene la situazione. Non volevo fare la figura dello stupido perciò cercai di riassumere dentro di me le cose che avevo sentito. Io ero un semplice marinaio della Regia Marina Italiana. Ero stato arruolato per combattere a fianco dei tedeschi. E fino qui era tutto chiaro. Ora mi si diceva che noi, gli italiani avevamo firmato l’armistizio con le forze alleate che ci combattevano. Armistizio per me voleva dire che era finita la guerra. Invece no. Perché a quanto pare i tedeschi non erano per niente contenti. Era da qui in avanti che non capivo più cosa sarebbe successo.

    – Senti, ma prima io ti ho chiesto cosa capita a quelli che non aderiscono, ma non ho capito a cosa si aderisce, scusa.

    – Mussolini ha creato a Salò la Repubblica Sociale, che è ovviamente sostenuta dai tedeschi. E sta formando le forze armate per difenderla. Noi militari abbiamo due scelte. Una è entrare a far parte di queste forze armate e l’altra è cadere prigionieri dei tedeschi.

    – Allora avevo capito bene. Guerra o campo di concentramento.

    – Ma io ti ho spiegato che c’è una terza possibilità.

    Mi stava tendendo un tranello per poi denunciarmi come traditore o mi stava indicando la via d’uscita da quella situazione?

    5

    Chiedo a Silvio di accompagnarmi. Seduto accanto a me sulla mia improbabile auto, sembra a suo agio. Accarezza il cruscotto mentre si accomoda meglio sul sedile.

    – Ti piace la mia macchina, vero?

    – Lei non sa quanto! Il mio amico le ha dato proprio un buon consiglio. Da quando l’ha presa due anni fa, non faccio che sognarmela, ma io non me la posso permettere. So tutto di questo gioiellino. La Fiat ha sostituito la 508 Balilla con questo modello, aumentandone le prestazioni. Trentadue cavalli, trazione posteriore, cambio a quattro marce, velocità massima centodieci chilometri all’ora. La sua, poi, ha questi sedili in pelle che sono una bellezza. E la carrozzeria? Lucida come appena uscita dalla fabbrica!

    – Ah! Tutte queste cose? Io pretendo solo che mi porti dove devo andare.

    – E dove dobbiamo andare?

    – Andiamo a

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