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La legge del baccalà: Loano, una nuova indagine per la Berta
La legge del baccalà: Loano, una nuova indagine per la Berta
La legge del baccalà: Loano, una nuova indagine per la Berta
E-book271 pagine3 ore

La legge del baccalà: Loano, una nuova indagine per la Berta

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Info su questo ebook

Il quieto settembre loanese viene spezzato da un evento drammatico e teatrale: il cadavere della proprietaria di un negozio per animali viene ritrovato su un balcone di Palazzo Doria, sede del Comune. Il maresciallo Marmotta non ha un compito facile: deve scoprire, oltre al movente, anche come la vittima possa essere finita in un posto apparentemente così inaccessibile. Per sua (s)fortuna, collaboreranno alle indagini la cocciuta settantenne Berta Riccardi, il suo fascinoso ma sfigato figlio Davide Traverso e l’amico giornalista e palloniforme Marco Castello. Attorno a loro, una variegata umanità che parte da una ex fiamma olandese di Davide, passando da un cugino scroccone ed anticonvenzionale, per approdare ad un mondo caleidoscopico di metallari di provincia. E – sullo sfondo – il gerbillino Roddy li osserva tutti, sorridendone con la sua bonaria arguzia da roditore. La Loano post-vacanziera, archiviata la leggerezza del periodo balneare, si trova alle prese con inspiegabili delitti cui volgere la propria attenzione, mai dimenticando la semplicità dei gesti, la familiarità dei luoghi e la genuinità dei piatti della tradizione, siano essi più elaborati oppure cibo da strada, come i cartocci pieni di deliziose frittelle di baccalà.
LinguaItaliano
Data di uscita15 lug 2016
ISBN9788869431432
La legge del baccalà: Loano, una nuova indagine per la Berta

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    Anteprima del libro

    La legge del baccalà - Nicoletta Retteghieri

    Capitolo 1

    Loano, venerdì 3 settembre – mattina

    Piano! Mi demolisci la porta!.

    La Berta Riccardi corse come meglio poteva – dato il suo stato di ultrasettantenne – prima che il figlio sfondasse l’anta pesante, tenuta ferma dal paletto.

    Ma cosa sarà successo...?, bofonchiava tra sé, mentre finalmente liberava la porta e si scostava, prima che il figlio la travolgesse entrando come una furia.

    Davide Traverso, concupito scapolo quarantenne e abile agente immobiliare, le stampò un bacio frettoloso su una guancia e andò a sedersi poggiando un gomito sul tavolo rotondo.

    La Berta rimise il paletto alla porta e lo raggiunse.

    Lui sembrava così esaltato che non si curò nemmeno di scostarsi – come d’abitudine – il ciuffo castano dalla fronte.

    Ma’, hai sentito cos’è successo?.

    No, manca un quarto alle dieci e mi sono tirata su meno di un’ora fa. Ho appena aperto le persiane e non sono ancora andata neanche sul poggiolo. Chi vuoi che abbia incontrato? Allora, cos’è successo? Vuoi un po’ di caffè?.

    Davide sbirciò in un sacchettino unto posato sul tavolo.

    Focaccia? Ma è di ieri?.

    La Berta sbuffò.

    Se vuoi la focaccia calda e croccante, ti alzi, prendi la porta, e vai da Carlo a prenderla, anzi, magari mi prendi anche quattro panini al latte, che male non ti fai.

    Alla Berta non dispiaceva l’idea, visto che considerava quella del forno Canepa la miglior focaccia di Loano.

    No, va be’, mangio questa qui. Va bene per il caffè.

    La Berta, delusa, prese il pentolino minuscolo d’alluminio e ci versò un po’ di caffè della moka del giorno prima, per farlo riscaldare. Prepararglielo nuovo, neanche per idea. Così imparava a non andare al forno.

    E a non andare al sodo di quello che era successo.

    Davide sembrò leggerle nel pensiero.

    Un altro omicidio, Ma’!.

    La Berta quasi rovesciò il pentolino. La notizia era succosa.

    Quasi meritevole di ricompensa. Ricompensa che consisteva nell’aprire il mobile dietro a sé, tirare fuori un’altra moka e caricarla con del caffè bello fresco.

    Pazienza per il pane, se lo sarebbe comprato lei, tanto le avrebbe fatto bene sgranchirsi un po’.

    Beh, me lo dici che è successo, allora? Un altro morto al Ponte du Nicciu?.¹

    Quasi, rispose Davide, strappando il bordo croccante dal rettangolo di focaccia.

    Il bordo è l’unica cosa che il giorno dopo fa ancora crunk.

    La Berta era impaziente.

    E dai!.

    Davide la guardò con un sorrisino ammiccante.

    Indovina chi era la vittima.

    La Berta si stizzì.

    Insomma, smettila di fare questi giochini! Me lo vuoi dire o no?.

    Davide prese un tovagliolo di carta nell’anta a vetro e andò a recuperare il dolcificante nel pensile.

    Gabriella Valdesi, trentaquattro anni, lavorava in un negozio di animali.

    La Berta scosse il capo e si aggiustò una forcina infilata nei capelli candidi.

    Hmmm… non la conosco. Tu?.

    Davide continuava ad avere un’aria furbetta.

    "Ma come, non ti dice niente? E Mauro, il figlio di Nicu u massacan²?".

    Il caffè cominciava a gorgogliare.

    La Berta rimase immobile, come se cercasse di ripescare qualcosa, o meglio, qualcuno, nella memoria.

    Nicu u… eeeh? Non era mica la nuora?.

    Bingo!, esclamò Davide, raggiungendola e alzando il coperchio della caffettiera per controllare che il caffè fosse pronto.

    O Segnù... E come l’hanno uccisa?.

    Per quel che ne so, l’hanno strangolata e poi l’hanno lasciata sul terrazzo di sinistra del palazzo del Comune, in una posa strana.

    Gli occhi della Berta erano sgranati. Era talmente presa dal racconto che Davide cominciò a prendere le tazzine e a fare tutto da solo.

    Cosa vuol dire in una posa strana?.

    Eh, vedrai, ne parleranno i giornali. Da quanto ho capito, stava con le braccia che sporgevano dalle colonnine della balaustra del terrazzo, assicurate da corde, e il resto del corpo restava all’interno. Omicidio, quindi.

    E il movente?. La Berta già soffriva per non essere sul luogo del delitto.

    Ma’, che ne so? Non lo sanno neanche i Carabinieri, figurati. Io la notizia l’ho avuta casualmente da Marco, in anteprima.

    Era il vantaggio – ammesso che di vantaggio si trattasse – di avere un amico giornalista.

    Dietro a loro Roderico detto Roddy, il gerbillo della Berta, sembrava abbastanza irrequieto nella gabbia superaccessoriata.

    Infilò il musetto tra le sbarre ed emise un debole squittio.

    La Berta staccò un acino d’uva Italia e lasciò che lui lo prendesse nelle zampine.

    Mentre il topolino ci affondava gli incisivi, lei infilò le dita tra le sbarre e gli diede una grattatina sulla schiena, senza guardarlo.

    Stava pensando alla storia personale di Nicu e del figlio, e a ciò che ricordava.

    E soprattutto a come poteva fare per saperne di più.

    1 Vedi N. Retteghieri, L’importanza delle acciughe, Fratelli Frilli Editori, 2011.

    2 Massacan: muratore.

    Capitolo 2

    Loano, venerdì 3 settembre – mattina

    Era quasi mezzogiorno.

    Nella sua casa di Boissano, Marco Castello appoggiava il suo lato B taglia L, preceduta da una decina di X, su un povero, miserevole e per niente invidiabile sgabello ergonomico in legno chiaro preso al Brico di Cisano.

    Ad uno dei sostegni metallici della spalliera era annodata una sciarpa di cotone a righe verdi e nere.

    Sulla scrivania, attorno al PC portatile, una buona quantità di briciole variegate formava strati croccanti tra un foglio e l’altro; tuttavia Marco, completamente a suo agio, continuava a picchiettare sui tasti e contemporaneamente a sgranocchiare una serie di Loacker al cacao.

    Guardò gli appunti sparsi sul blocco a quadretti azzurri.

    Gabriella Valdesi gestiva un negozio di animali e accessori vari a Loano, sull’Aurelia, verso Borghetto, e abitava poco distante, in un condominio di via Genova che dava sulla strada ferrata, al di là della quale si apriva lo spettacolo del bizzoso Mar Ligure.

    Marco stava cercando di raggranellare le informazioni fondamentali per inquadrare la vittima e, possibilmente, ipotizzare un colpevole, oltre che un movente.

    Dal momento che nella vicenda – al momento – non era coinvolto un maggiordomo utile come capro espiatorio, l’unico capro che gli sembrava interessante era il marito.

    Mica perché ci fosse un motivo; semplicemente perché i coniugi o compagni o vattelapesca vengono sempre indiziati d’ufficio e – soprattutto – perché si può sempre fantasticare su una relazione clandestina.

    La Valdesi – guardando le foto che era riuscito a racimolare in seguito ai primi contatti con chi la conosceva – era una bella donna, mora, minuta e ben fatta; quindi perché mai sarebbe stato così fantascientifico ipotizzare una relazione con qualcuno che costituisse un’alternativa a quel bue muschiato del marito?

    Il quale bue muschiato, al secolo Mauro Chiappe, evolutosi rispetto al genitore massacan, dirigeva un’impresa edile che dava lavoro ad una decina di persone, perlomeno calcolando quelle ufficiali, visto che si diceva che anche lui – come altri – non disdegnasse frequenti collaborazioni in nero.

    Tuttavia – rifletteva Marco – la foto del bovino, avendo per l’appunto una discreta somiglianza con l’animale, non suggeriva un’intelligenza particolare e quindi allontanava l’idea che il marito potesse essere l’autore dell’omicidio. Più che altro, il fatto che il cadavere fosse stato disposto in quel modo tra le colonne del balcone del palazzo comunale di Loano, faceva pensare che il responsabile fosse dotato di un Q.I. superiore alla media.

    E qui si faceva strada la domanda più elementare: come aveva fatto l’assassino a portare il cadavere dov’era stato trovato? La Valdesi era stata uccisa lì? Chi aveva accesso al palazzo? Marco scribacchiò i suoi dubbi sul blocco, sottolineando più volte le domande a colpi di biro.

    E poi, se il movente non fosse stato passionale, quale sarebbe potuto essere?

    Magari c’entrava di nuovo il bue muschiato, visto che aveva un’impresa edile e che avrebbe potuto essere coinvolto in qualche strano traffico.

    Magari gli avevano ucciso la moglie per vendetta.

    Altri parenti della Valdesi? A parte il figlio, un bambino di sei anni, c’erano i genitori, che vivevano vicino a loro, insieme al fratello Paolo, di due anni più giovane. Paolo lavorava con lei, nel negozio, ed aveva velleità da rockstar, militando come tastierista nel gruppo heavy metal Insects Revenge, che tradotto suona tipo La Vendetta degli Insetti, il che scatenava non pochi interrogativi in coloro che erano digiuni di quel mondo musicale. Probabilmente i sindacati delle sei zampe progettavano una rivalsa in grande stile contro le multinazionali dei pesticidi. O si erano scocciati di essere presi a ciabattate per avere invaso uno spazio aereo off limits, che peraltro non veniva mai segnalato con appositi cartelli.

    E poi c’erano i suoceri, Nicu u massacan e la moglie, lui in pensione, ma ancora indaffarato nell’impresa edile del figlio, e lei casalinga. Abitavano a Borghetto Santo Spirito, sulla strada per Toirano.

    Marco pensò che sarebbe stato bello avere qualche dritta dal maresciallo Marmotta, il capo della stazione loanese dei Carabinieri, che sapeva unire le regole dell’appartenenza militare ad ingredienti come buon senso e umanità, roba mica da poco.

    Nei limiti del suo ruolo, più di una volta aveva passato al giornalista qualche elemento che gli aveva fatto sfornare un buon articolo.

    Ma certamente non era quello il momento di consultarlo, visto che probabilmente era indaffarato con le indagini.

    Mentre osservava – senza troppo interesse – un ragno di quelli dalle lunghe e sottili zampe che, immobile in un angolo del soffitto, sembrava assorto in meditazioni da aracnide – di qualunque tipo fossero – Marco pensò che sicuramente, da quando aveva passato la notizia dell’omicidio a Davide, lui e la Berta fossero già in subbuglio alla ricerca della soluzione del caso. Gli avrebbe dato il tempo di raggranellare qualche notizia e poi avrebbe chiesto lumi.

    Intanto una cosa la poteva fare: andare in Comune a Loano per scoprire chi fosse in possesso delle chiavi di accesso, e poi verificare se per arrivare al balcone incriminato ci fosse bisogno di altre chiavi.

    Dopo questo intento, prese coscienza dell’aracnide, chiedendosi che senso avesse stare immobili per così tanto tempo. Ma era ancora vivo, quel ragno? Mangiava, qualche volta? Non gli sembrava di scorgere mosche intrappolate nella poco estesa ragnatela. Forse aspettava che si cacciassero nei guai da sole. Bella, la vita del ragno.

    Questi pensieri procurarono a Marco un orrido flashback: quando era piccolo (si fa per dire; vista la stazza, non era mai stato realmente piccolo), sui sette-otto anni forse, la mamma gli aveva fatto confezionare appositamente un costume di carnevale da Uomo Ragno. All’epoca non erano diffusi come adesso.

    Quel pauroso capo di vestiario aderiva perfettamente alla figura di Marco e ovviamente nel suo caso, lungi dal farlo rassomigliare all’agile e longilineo supereroe, gli dava l’aspetto di un rosso salume in rete, cui nessuno si sarebbe mai rivolto per essere salvato in caso di pericolo.

    Marco rabbrividì al ricordo, e decise che aveva bisogno di un po’ di conforto.

    Aprì il freezer ed estrasse una delle otto confezioni di lasagne al forno Findus che aveva comprato. Lesse le istruzioni per la cottura e aprì la scatola.

    Guardando il contenuto, decise che, per non essere depresso, le scatole da utilizzare sarebbero dovute essere almeno due.

    Capitolo 3

    Loano, venerdì 3 settembre – mattina

    Davide non era meno ansioso di sua madre in merito a saperne di più, ma aveva pur sempre un lavoro.

    Al momento si trovava in via Ghilini, cercando di convincere una tipa che sembrava la Moira Orfei de’ noantri che il minuscolo magazzino cosparso di efflorescenze saline (che manco un lanciafiamme avrebbe spianato) sarebbe stato la sua fortuna.

    La tipa voleva aprire un negozio di unghie. Ovvero, una botteguccia in cui si costruivano tutte le possibili appendici artigliformi che la fantasia suggerisse.

    Davide banalmente, come qualunque comune mortale, si era sempre chiesto che senso avesse dotarsi di simili accrocchi, dal momento che poi sarebbero stati un frequente intralcio quotidiano. Soprattutto in bagno.

    In quel momento, però, non poteva indulgere in queste considerazioni, tutto intento com’era a persuadere la Gorgone cofanata, sgranando i suoi mitici occhi verdi e contando sul suo consolidato fascino acchiappafemmine. Non che in quel caso volesse acchiappare la buzzicona che aveva davanti, ma acchiappare un contratto, quello sì.

    Mentre la circense fissava un po’ troppo – secondo lui – la parete sfarinata, l’iPhone di Davide squillò.

    Numero riservato.

    Gli scocciava vagamente quando qualcuno occultava il proprio numero di telefono, ma nel suo mestiere non poteva permettersi piccole soddisfazioni come quella di non rispondere.

    Dopo il suo Pronto? riuscì a percepire solo un gran casino. Ronzio di fondo, scariche e una voce a pezzetti. Questa voce, comunque, era giovane e femminile, il che gli procurò una buona disposizione all’ascolto.

    Prontooo? Chi parla? Non sento beneee!.

    Dall’altra parte, in mezzo alla confusione del messaggio, giunse un brandello di nome, e poi un altro brandello che, uniti insieme, gli consentirono di capire chi lo stava chiamando.

    Britte, sei tu?.

    Davide ebbe improvvisamente un’immagine indimenticabile in mente: la Britte, la bonona olandese, con la quale aveva avuto incontri molto ravvicinati per una settimana ad Amsterdam, durante le vacanze di Capodanno.

    Alta, ovviamente bionda, con le trecce e l’aria da bambina, ma con curve da manza e qualcosa tipo una sesta di reggiseno. Non ne aveva notizie da alcuni mesi, e si chiese se l’Olandesina Volante lo avesse chiamato per via di un progetto di viaggio in Italia.

    Perché no? Bisogna incoraggiare l’amicizia tra i popoli, o sbaglio?

    Mentre cercava di costruire una conversazione che avesse un senso, la Moira Orfei de’ noantri gli fece un cenno.

    Davide si diresse verso di lei con una certa leggerezza.

    Arrivo, arrivo, buzzicona mia; non immagini nemmeno che gnocca ho al telefono.

    In inglese – la lingua che usavano per comunicare – urlò alla gnocca in questione di mandargli un messaggio con il numero in chiaro e che l’avrebbe richiamata entro pochi minuti.

    La cofanata, sorridendo, disse a Davide che avrebbe preso in affitto il magazzino.

    Nonostante la ritenesse una follia, lui si complimentò per la scelta e le propose di seguirlo in agenzia per una parte delle pratiche.

    Mentre si incamminavano a piedi verso l’ufficio – roba di un minuto, visto che si trovava sul vicinissimo corso Roma – Davide pensava che quella dovesse essere la sua giornata fortunata: una cicciona allocca che aveva accettato di prendere in affitto un infelice locale e una bonazza nordica che si era rimessa in contatto con lui, sicuramente per venirlo a trovare e riprendere le attività ludiche risalenti al Capodanno passato.

    Arrivati in agenzia presentò il pachiderma al suo socio, Cesare Ferrari, pregandolo di dare avvio alle pratiche, mentre lui avrebbe fatto una telefonata.

    Uscì sul marciapiede e fece un cenno di saluto alla Marianna, la racchiona – ancorché sua buona amica – che gestiva il negozio di abbigliamento adiacente.

    Poi attraversò la strada e raggiunse la passeggiata, mentre un jingle familiare gli annunciava l’arrivo del messaggio atteso.

    Faceva caldo e Davide, prima di accomodarsi su uno dei muretti, tolse il giubbotto di renna color miele e lo pose al suo fianco.

    Richiamò il numero della Britte.

    L’Olandesina – o forse meglio, l’Olandesona – Volante rispose immediatamente.

    Dalla conversazione semi-maccheronica, Davide capì che effettivamente la fanciulla aveva intenzione di farsi una vacanza in Italia, possibilmente presso di lui.

    Davide le chiese – per capirsi meglio – di inviargli una mail, specificando quando sarebbe arrivata ed esattamente dove, così forse sarebbe riuscito ad andarla a prendere.

    Per il momento, glissò sull’argomento alloggio. Avrebbe potuto ospitarla e non gli sarebbe dispiaciuto, ma doveva prima fare mente locale sul suo attuale giro di pollastre, quasi tutte più o meno frequentatrici del suo appartamentino fronte mare, situato un po’ più in là dell’agenzia immobiliare.

    Si chiese cos’altro gli avesse detto la Britte, nel suo inglese inasprito dall’accento neerlandese, ma pensò che avrebbe avuto il tempo di scoprirlo all’arrivo della ragazza.

    La prospettiva di ospitarla gli fece venire in mente che aveva il frigo mezzo vuoto. Indipendentemente da quando lei sarebbe arrivata, forse era comunque il caso di riempirlo un po’.

    Guardò l’orologio. Sì, forse il tempo per fare un po’ di spesa lo avrebbe avuto, peccato che detestasse girare per supermercati e negozi.

    Però alla cosa avrebbe potuto ovviare, avendo una madre che – non avendo sostanzialmente un tubo da fare – certamente non si sarebbe rifiutata di procurargli qualche vettovaglia, magari pure cucinata da lei.

    Provò a telefonarle, senza risultato, e poi si diede dello stupido.

    Le aveva appena riferito di un cadavere, e sicuramente la Berta era uscita per una battuta di caccia.

    Per il momento, si trattava di caccia di notizie, ma poi la selvaggina sarebbe cambiata.

    La Berta sarebbe andata a caccia dell’assassino.

    E di guai.

    Capitolo 4

    Loano, venerdì 3 settembre – mattina

    La Berta aveva in mente un itinerario ben preciso.

    Dopo avere constatato che nel bar sottostante l’Agnese du Besagno – racchiona improbabile che svolgeva le funzioni da gazzettino – non c’era, uscita da casa sua in via Colombo si diresse verso la piazza del Comune, con l’intenzione di raggiungere il vecchio cimitero, dove le comari anziane – ma perché no, anche alcune più giovani – si davano appuntamento, più che per conversare coi morti, per farlo coi vivi, scambiandosi informazioni più o meno fantasiose ed affibbiando giudizi senza appello, che evidentemente di fantasioso avevano ben poco.

    Roddy, il gerbillo, sporgeva il musetto curioso dall’imbracatura che la Berta si era fatta realizzare da Giulin il cuoiaio, per trasportarlo agevolmente appeso al collo.

    Data la propensione alla fuga dell’animaletto, che in passato aveva causato alla padrona più di una situazione imbarazzante, lei era tornata da Giulin per chiedergli se ci fosse il modo di rinforzare il portagerbilli, per impedire future evasioni.

    Giulin aveva quindi aggiunto un

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