Federico
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Quindi mi chiese: «Vuoi buttarti?».
Ci pensai poco.
Sicuramente sarei morto nella caduta
eppure risposi «Sì, lo voglio».
«Che strano esercizio è questo», disse lo Spirito,
«rende tutti gli uomini falsi e nessuno saggio.
Infatti tu non vuoi buttarti
eppure hai detto di sì e lo faresti.
Se fossi stato saggio non lo avresti fatto.
E avresti avuto il tempo di imparare a volare».
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Anteprima del libro
Federico - Domenico Riccio
Federico
Così lo Spirito mi portò sulla cima del monte.
Quindi mi chiese: «Vuoi buttarti?».
Ci pensai poco.
Sicuramente sarei morto nella caduta
eppure risposi «Sì, lo voglio».
«Che strano esercizio è questo», disse lo Spirito,
«rende tutti gli uomini falsi e nessuno saggio.
Infatti tu non vuoi buttarti
eppure hai detto di sì e lo faresti.
Se fossi stato saggio non lo avresti fatto.
E avresti avuto il tempo di imparare a volare».
(Scritto nel 2019)
Introduzione e note
Il testo – incompiuto – sembra essere un insieme di appunti per la composizione di una lettera o un diario ed è stato ritrovato nel sarcofago di porfido rosso in cui è sepolto Federico II accanto alla madre Costanza, al padre Enrico VI e al nonno Ruggero II nella cattedrale di Palermo.
Non si conosce a chi fosse indirizzate la lettera o chi dovesse leggere questo diario. Probabilmente il destinatario è da identificarsi tra i suoi consiglieri e persone stimate dall’imperatore (Elia da Cortona, uno dei primi seguaci di San Francesco e, alla sua morte, generale dell’Ordine dei Francescani; Leonardo Fibonacci matematico pisano, che a lui aveva dedicato il suo Liber quadratorum, ma deceduto nel 1235; Ermanno di Salza, Gran Maestro dell’Ordine Teutonico dal 1209, mediatore tra lui e il papa Gregorio IX, deceduto nel 1239).
Il testo è del 1250, ultimo anno di vita dell’Imperatore, quando stava progettando una spedizione in Germania attraverso la Borgogna, per poi cadere malato a novembre, mentre si trovava nel suo luogo di soggiorno preferito, Castel Fiorentino (presso S. Severo), fu colpito da una malattia intestinale. Ivi, in presenza di numerosi dignitari il 7 dicembre dettò il testamento; spirò il 13 dicembre 1250, dopo avere vestito l’abito grigio dei Cistercensi e avere ricevuto l’assoluzione e l’estrema unzione dall’arcivescovo di Palermo Berardo di Castagna, che gli era stato accanto dal 1209.
La salma fu traslata a Palermo e composta nel sarcofago di porfido della cattedrale nel quale è stata rinvenuta la lettera.
Federico
1
In vero, fratello mio, avevo fatto un sogno.
Spiegami cosa significa,
dimmi quello che mi puoi dire.
Ho timore di mettermi a letto la sera, sai.
Sono prigioniero di questo sogno, che torna ancora ogni notte.
Un arcangelo che ripetere queste parole:
«Poiché venne il tempo prima del tempo.
Poiché giunse l’inaspettato.
Poiché la storia traboccò in un palpito.
Poiché eruppe la discontinuità tra le tue cose.
Allora tutto ebbe inizio.
Tutto ebbe inizio.
E per primo venne la morte.
Poi il destino che combina i destini
contro i quali noi combattiamo».
2
Io anelo a conoscere il significato dell’insignificabile,
anche se dovesse costarmi la vita.
Questa infatti m’è cara;
e la permanenza su questa terra
non me l’ha resa meno gradita;
ma ricordo le tue parole
e quanto quelle vollero porre un freno alla mia cupidigia di sapere.
Tu mi dicesti:
«Ti insegnerò il vaticinio
o dell’affermazione del destino;
poiché se tu vedrai l’opera fausta,
ecco che questa si realizzerà;
e quando tu vedrai la rovina,
ecco che questa si materializzerà.
Perché sarà il destino ad affermare il destino
e tu ne avrai sempre ragione:
chi va infatti per una strada
prima o poi ne incontra la fine.
Chi parte giunge.
O non avrà modo di lamentare la fine».
Così le parole dell’Onnipotente inondarono i nostri cuori prima dell’inizio.
Insieme vedemmo i confini del mondo e concepimmo l’eternità.
3
Ma oggi che cosa significano quelle parole?
E perché giunge per prima la morte?
Forse che non abbiamo vissuto?
O che al mondo veniamo da mortali?
In spoglie mortali nasciamo.
Per certo della mia vita
solo il mio cavallo può raccontarti ogni particolare.
Io so che un lungo viaggio abbiamo iniziato all’origine.
Ma noi non lo avevamo capito.
Forse il cavallo. Ma noi no.
E queste frasi ci masticavamo in bocca.
E queste quelle che ci sputavamo addosso.
Io ti dicevo «non ho capito»
e tu mi rispondevi «io invece ho capito tutto, ma non è servito a nulla».
Quando sei in sella, prendi il coraggio del mondo
e ti raccordi con quello che effettivamente sei.
Un uomo è solo il carico di un cavallo.
E adesso ne sento il peso.
Del mio corpo sento il peso.
Come se fossi il destriero di me stesso.
L’impossibile ha preso corpo di uomo.
Poi si è messo a cavallo. Ed ha falciato.
4
So che la felicità ti prende alle spalle.
Come la saggezza.
Questa però ti deruba della prima e ti rende ipocrita.
La saggezza ti ruba la felicità, capisci?
Molte volte l’ho incontrata sul mio cammino.
E altrettante l’ho lasciata.
Ogni volta era un inizio,
ma subito dopo ti accorgevi che ogni cosa finiva.
Ho provato a pensarci,
ma poi ho cancellato tutto quello che avevo pensato
perché nulla che venne fuori da una testa è diventato grande.
Lo sai come siamo andati avanti in questi anni?
Con lo sprone del cavallo:
un colpo ai fianchi e il vento che senti alle tue spalle ti viene in faccia.
Quando parti sai che se torni è perché hai ucciso,
se non torni è perché sei stato ucciso.
Dunque, mettetevi in salvo.
Poiché quando io attacco una città vi ucciderò.
Ma non tutti vi ucciderò.
Poiché alcuni verranno uccisi ed altri si salveranno.
Allora tutti possono salvarsi.