Gilgameš
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poiché desidero narrarvi di colui che vide tutto,
di colui che conobbe ogni cosa.
(Scritto nel 2023)
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Anteprima del libro
Gilgameš - Domenico Riccio
Gilgameš
Ascoltate, o popoli della terra,
poiché desidero narrarvi di colui che vide tutto,
di colui che conobbe ogni cosa.
(Scritto nel 2023)
Prologo
Egli si spinse oltre i confini con animo ardito, alla ricerca dei Paesi più lontani, in un viaggio verso la completa saggezza.
I suoi occhi scrutarono i segreti celati e le cose nascoste, rivelando una conoscenza che risaliva ai tempi antecedenti al Grande Diluvio. Egli, con fervore e intrepidezza, percorse vie lontane, senza sosta, finché le sue gambe stanche e affaticate non trovarono riposo.
Nel momento di raccoglimento, decise di conservare per sempre le sue gesta, e così fece incidere tutte le sue fatiche su una stele di pietra, un monumento immortale destinato a tramandare il suo sapere attraverso i secoli.
Questa stele, monumento eretto al coraggio e alla saggezza, racchiude in sé le parole che descrivono l’incomparabile esperienza di colui che tutto vide. È un segno tangibile dell’eredità che egli ha donato all’umanità, un faro di luce che guida i passi degli inquisitori in cerca di verità.
Attraverso le sue storie tramandate, siamo testimoni di un tempo antico, quando gli eventi si dispiegarono in una danza divina. Lasciamo che le parole incise sulla pietra ci avvolgano, conducendoci in mondi perduti, dove il passato e il presente si fondono in un’unica visione.
Così, cari ascoltatori, vi invito a riflettere sulle parole di colui che vide tutto, a trarre insegnamenti dai suoi sforzi e dalle sue scoperte. Che il suo racconto sia una fonte di ispirazione per le generazioni future, affinché possano abbracciare la ricerca della conoscenza e la saggezza che risiede nelle profondità di questo vasto universo.
Ecco, le parole del viaggiatore sono incise nella pietra, un testimone eterno della sua avventura epica. Che le storie di tempi passati ci guidino verso una comprensione più profonda della nostra umanità e ci ricordino che la saggezza può essere conquistata attraverso l’esplorazione, la perseveranza e l’amore per il sapere.
Il re di Uruk
Nel tempo antico, quando gli dèi danzavano nel firmamento e plasmavano l’universo con le loro mani celesti, elessero un essere chiamato Gilgameš. Con sapienza e grazia, gli conferirono un corpo senza paragoni, perfetto in ogni dettaglio.
Dall’essenza divina, prelevarono la bellezza e adornarono il volto di Gilgameš con tratti angelici. Gli donarono il coraggio ardente che incendiava il suo spirito, rendendolo temibile come un possente toro selvaggio che irrompe nella vastità delle praterie.
Con abilità suprema, gli dèi compirono la loro opera, conferendo a Gilgameš una duplice natura. Per due terzi, lo elessero a essere divino, colmando il suo essere di potenza e gloria celestiale. Il terzo rimanente, tuttavia, era di natura umana, avvolto in un manto di fragilità e desideri terreni.
Gilgameš, nato da questa fusione divino-umana, vagò sulla terra come un sovrano temerario e un eroe senza pari. Affrontò prove ardue, sconfisse mostri temibili e cercò la saggezza e l’immortalità con ardore instancabile.
Eppure, nel suo cuore, bruciava l’inesauribile desiderio di oltrepassare i confini dell’umano, di stringere la mano degli dèi e di conquistare l’eternità. Questo era il suo dono e la sua sfida, una dualità in cui risiedevano le sue virtù e le sue debolezze.
Gilgameš, creato con l’incarnazione dell’umano e del divino, intraprese il suo cammino verso l’immortalità, con la consapevolezza che, sebbene possedesse poteri e doti divine, era soggetto alle leggi dell’esistenza umana.
Egli era eroe e uomo. Riflesso delle forze divine che plasmano le nostre vite e delle passioni che ci spingono oltre i limiti del nostro essere.
Nel tempo remoto, Gilgameš si ergeva come sovrano supremo sulla potente città di Uruk, maestosa e fiorente, che si erigeva sulle sponde del fiume Eufrate. Questa città, nella nobile terra di Sumer, fu il luogo in cui Gilgameš, il quinto sovrano dopo il Diluvio, regnò con sapienza e potere.
Sotto la sua guida illuminata, le mura di Uruk furono erette, solide e imponenti, un baluardo contro le avversità e un simbolo della grandezza della città. Fu Gilgameš, con la sua visione lungimirante, a far sorgere le fondamenta dell’Eanna, la Casa del Cielo, il maestoso tempio dedicato ad An, il dio supremo dei cieli, e ad Inanna, la dea dall’amore infuocato.
L’Eanna, sontuoso santuario, si innalzava verso il firmamento, testimone delle preghiere e delle lodi offerte agli dèi. Le sue pareti risuonavano di cantici e di incenso, e i suoi altari accoglievano le offerte di cuori devoti. In quel luogo sacro, le anime potevano intraprendere il viaggio verso la comunione con gli dèi, cercando la protezione divina e l’amore senza fine.
Gilgameš, sovrano giusto e illuminato, comprese l’importanza di onorare gli dèi, di preservare la loro benevolenza e di proteggere la sacralità della sua terra. Attraverso il suo regno, Uruk si elevò a un’incarnazione della grandezza umana, un faro di civiltà e prosperità.
Nelle parole sacre, il nome di Gilgameš risuona come un legame tra il divino e l’umano, tra la città e i cieli. Il suo regno fu una testimonianza della potenza dell’amore, della saggezza e dell’ardente fede che può risiedere nel cuore di un sovrano giusto.
Creazione di Enkidu
Nel tempo in cui regnava Gilgameš sulla maestosa città di Uruk, An, il Dio del cielo, vigilava con occhio benevolo sulla sua creazione. Ma il suo sguardo penetrante non sfuggì ai lamenti dei sofferenti, ai gemiti degli oppressi che risuonavano nelle strade di pietra.
Le voci dei deboli salirono fino alle altezze celesti, raggiungendo gli orecchi di An, che ascoltò con compassione il grido del suo popolo. Mosso da pietà e giustizia, decise di portare la questione all’assemblea divina, dove si radunavano le potenti divinità.
Dinanzi all’assemblea, An solennemente si levò e parlò: «Oh divini esseri, udite le mie parole! Una dea, con il suo potere, ha dotato Gilgameš di una forza simile a quella di un toro selvaggio, capace di abbattere ogni avversario con le sue armi invincibili. Ma nonostante ciò, egli si è reso colpevole di arroganza verso il suo stesso popolo, con un comportamento che urta l’ordine stabilito. Giorno e notte, le trombe dell’allarme risuonano incessantemente nelle vie, turbando la pace degli abitanti. Inoltre, nemmeno una sola fanciulla della città può dirsi al sicuro dalle sue brame!»
Le parole di An risuonarono come tuoni divini nell’assemblea, e le divinità ascoltarono attentamente il suo appello. Si alzarono le voci dei potenti dei, risuonando come onde scroscianti in un mare di silenzio. Ciascuno dei presenti pesò con giudizio le azioni di Gilgameš e il suo modo di regnare su Uruk.
Alla fine, Enlil, il saggio dio della tempesta e custode degli ordini divini, si alzò dal suo trono e rispose: «Il nostro popolo, colui che abbiamo creato e che vive sotto il nostro sguardo, merita un governante degno di rispetto. Se Gilgameš abusa del suo potere e tratta con disprezzo coloro che gli sono affidati, allora dobbiamo agire per ripristinare l’equilibrio».
Gli dei concordarono e giunsero alla conclusione che Gilgameš dovesse essere ammonito e che le sue azioni avrebbero portato conseguenze indesiderate. Così, An, con la volontà degli dei, decise di inviare un messaggio al re di Uruk, ammonendolo delle sue malefatte e mettendo in guardia sulle conseguenze che lo avrebbero raggiunto.
In quel momento, il popolo di Uruk alzò gli occhi verso il cielo, pregando che il re comprendesse il suo errore e si ravvedesse dei suoi modi tirannici. Ma la decisione finale spettava a Gilgameš, che doveva decidere se abbandonare il suo orgoglio e ritornare a essere un re giusto e misericordioso.
E l’antica città di Uruk rimase sospesa tra la speranza e il timore, mentre gli eventi divini si dispiegavano per svelare il destino del suo sovrano e del suo popolo.
Gli dèi compresero che Gilgameš, l’ardente re di Uruk, aveva bisogno di un degno avversario. Essi si volsero verso Aruru, la signora della creazione, colei che aveva dato origine a ogni forma di vita. Con voce solenne, dissero: «O Aruru, tu che plasmasti il potente Gilgameš, ora creane un altro, un eroe che possa reggere al suo stesso valore. Che sia come lui in ogni aspetto, un riflesso fedele della sua potenza, con un cuore tempestoso che sappia affrontarlo. Che si scontrino in battaglia e lascino la città di Uruk in pace!»
La dea Aruru, con la sua sapienza e il suo potere, si chinò verso le acque purificatrici e immerse le sue mani nell’argilla umida. Con abilità divina, plasmò una figura nobile e forte, dando vita a Enkidu, l’eroe destinato a sfidare Gilgameš.
Le sue mani sagge e artistiche modellarono il corpo di Enkidu, conferendogli la statura di un leone e la forza di una tempesta. I suoi occhi brillavano come stelle luminose, e il suo cuore batteva con la fiamma dell’avventura. Era un essere selvaggio,