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Jackie
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E-book84 pagine1 ora

Jackie

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La vita ha donato a Jackie, una straniera in Italia, un libro bianco sul quale poter scrivere la sua storia. Eppure, la protagonista di questo vero racconto romanzato, ha dovuto fare i conti con schizzi d’inchiostro che hanno macchiato le sue pagine. Con ironia, J. scrive una ricetta di tartare come metafora per spiegare le gerarchie, i soprusi e le diversità delle classi sociali. J. vuole lasciare intatte le imperfezioni linguistiche sul foglio bianco per mantenere viva la sua identità con coraggio e determinazione. È un’eroina della sua esistenza, afferrando la penna, spiega, in un paese che non è la sua madre terra, la forza di affermare sé stessa e i suoi gusti nonostante le discriminazioni e gli abusi subiti…

Luna Denoi è una persona simile ad ognuno di voi. 
Luna, nomen omen, il nome è un presagio, potrebbe incarnare una conosciuta sconosciuta. 
Ma è anche e soprattutto L’una, Unica.
Denoi, letto alla francese, se si tratta di una straniera di prima categoria o alla romena. Potrebbe essere un avvocato francese oppure una badante romena, non ha alcuna importanza.
Comunque sia, il cognome è coniato da Di noi.
È una di voi. Una qualunque.
LinguaItaliano
Data di uscita18 ago 2022
ISBN9788830669734
Jackie

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    Anteprima del libro

    Jackie - Luna Denoi

    La tartare piatto servito freddo

    Quando si legge la parola tartare, dovete pensare ad un presuntuoso nouveau riche della Terronia che la ordina. Uno di quelli che si è arricchito a Milano. Il suo accento è stato rimosso con una precisione chirurgica e parzialmente sostituito con una pronuncia francofona.

    Ma che confusione ♪♫¹, cerchi di elevarti sopra lo stato sociale della famiglia d’origine con le parole della lingua nemica?

    Vorrei ordinare un po’ d’integrità, almeno come contorno. Grazie.

    In realtà, gli basta la parvenza, gli basta far credere di essere stato allevato nei collegi della Confédération Suisse. In pratica, vuole disperatamente apparire migliore, o superiore rispetto ad altri.

    Quanto appena detto è solo un minuscolo ingrediente della giornata della segretaria Jackie. Questo, e altro, lei se lo chiede mentre si deve mordere la lingua e far apparire un sorriso al Padron de office.

    Sì, Jackie è straniera… scrive questa ricetta di tartare con un italiano non perfetto.

    Voi non la correggerete.

    Jackie è una delle forze lavoratrici straniere di questo Belpaese.

    Sì, sembra, che Jackie sputi nel piatto dove mangia.

    In realtà, Jackie è voi. Tutti voi.

    E questa non è una ricetta leggera.

    Anche se, la ricetta è assai semplice: carne cruda.

    Il diavolo sta nei dettagli.

    E il male, sta nella carne cruda andata male.

    Gli ingredienti per fare una tartare:

    Carne fresca e di alta qualità triturata finemente.

    Carne, perché siamo in alto alla catena alimentare.

    Fresca, perché ai maschi piace la carne fresca.

    Di alta, Perché apparteniamo ad una classe superiore. Perché siamo convinti di appartenere ad una razza superiore.

    Qualità, perché esigiamo solo il meglio.

    Macinata, perché esercitiamo il potere, (ti schiaccio e tu stai al posto tuo).

    In altre parole, uno straniero, una classe inferiore, una donna non è nessuno. Non siamo nessuno.

    Sì sì, le basi per una denuncia al datore di lavoro ci sono. O potrei semplicemente andarmene.

    Invece no. Non è semplice. Perché una straniera, nemmeno comunitaria, senza un lavoro, non può restare in Italia per più di tre mesi². In più, senza un lavoro, in quanto straniero non si ha più l’accesso al servizio sanitario, ovvero si perde il medico di base, indipendentemente da quanti anni si versava, regolarmente, i contribuiti. Almeno così ha il piacere di rimarcarmelo ogni volta l’impiegata dell’ASL.

    Resto anzi, resisto dunque, perché non posso andarmene. E mi faccio forza, cosa può essere un Padron sdentato che tenta ti ruggire nella mia direzione. Almeno così riesco a contare quanti denti gli sono ancora rimasti.

    La vita mi offre dei limoni, va beh, siamo in Italy, facciamoci un limoncello!

    O comunque te lo spremo sulla tua tartare!

    Perentesi.

    Io la metto sul ridere e faccio battute sarcastiche, sono il mio modo di affrontare le difficoltà a testa alta. Non lo faccio e tanto meno voglio incoraggiare nessuno ad affogare le proprie difficoltà e il proprio dolore nell’alcol.

    Chiunque però si trovi in questo spiraglio di dipendenza, sappia che non giudico.

    Non deve finire così, chiedi o accetta l’aiuto. Non sei solo.

    Perentesi chiusa.

    Sofferenza intima e personale a parte, lavorare in centro del gran Milan è appagante al punto che dovrei quasi essere io a pagare per poter assistere allo show.

    Dal viaggio in metrò, dove io sono una di voi. Non cercate di capire se lo sono veramente, tanto questi sono i pensieri di ognuna di voi. Non cercate di negarlo.

    Questa non è una vendetta. Spero sarà una sveglia.

    Non è una chiamata alle armi e tanto meno un invito allo sciopero.

    È una mera apertura di finestra nel nostro meraviglioso mondo. Farò ridere qualcuno, che bello, mi fa piacere. Porterò sollievo a qualcuno, che bello, mi fa piacere. Veramente. Senza sarcasmo. Alla fine, sono una di voi.

    Appunto, quindi la mattina in viaggio mi gioco quel cavolo di Candy crash. Veramente me lo gioco anche in bagno al lavoro e in viaggio di ritorno. Eh, è uno sfogo. E un modo di dimenticare. Lo conosciamo tutti questo bisogno. Non giudico.

    Anzi, in realtà, io non lo gioco. Però, vedete che la penso come voi.

    Anzi, mi date pure fastidio. A volte. Con le vostre facce incollate agli schermi. Infastidiscono me, che sono una di voi, mi immedesimo su cosa provocate al Dott. Giacca e Dott. Cravatta, di basso livello, quando hanno appena iniziato a lavorare e ancora sbagliano ad usare la metro per spostarsi a Milano.

    Anche se la loro permanenza nella metropolitana dura ben poco, di fatto prima delle ore nove, la fauna migratoria della metropolitana è composta per il novanta per cento delle donne e degli stranieri, in quanto è in atto una discriminazione invisibile, tra quelli che usano la metropolitana per venire al lavoro e non.

    Quando ne parlate con un nuovo Dott. Cravatta, che prende anche uno stipendio più basso di noi, osservate il suo sguardo e la sua micro mimica facciale mentre dice che viene in ufficio a piedi, mentre voi raccontate dell’affollamento o di un qualsiasi disaggio nella metropolitana. Diventa, quasi invisibile, l’ennesima discriminazione. Da parte di chi si sente sopra e meglio di noi.

    Che poi, uno di venticinque, trenta anni, che non sia un milanese autoctono, per potersi permettere di vivere in centro con

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