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Bella Ciao. Riso, libertà e futuro
Bella Ciao. Riso, libertà e futuro
Bella Ciao. Riso, libertà e futuro
E-book264 pagine3 ore

Bella Ciao. Riso, libertà e futuro

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Info su questo ebook

Bella Ciao. Riso, Libertà e Futuro è un curioso excursus storico, poetico e politico attraverso l’evoluzione della musica e del testo del canto che oggi conosciamo con il titolo appunto di Bella Ciao. Dalla nascita delle “frottole” medievali alle canzoni popolari in voga nell’800, dai canti della prima e seconda guerra mondiale passando per il lavoro nelle risaie e i primi scioperi e movimenti sociali per il miglioramento della vita dei lavoratori: Sessa ci conduce per mano nel labirinto dei documenti e delle piccole storie degli individui che vanno a comporre la grande Storia. Questo lavoro, già pregevole in sé, si arricchisce e ci arricchisce ancora di più grazie ai capitoli specialmente dedicati alle donne e alla condizione femminile nelle risaie e nelle file partigiane. Un saggio che sposa una solida documentazione a una narrazione vivace che non può lasciare il lettore indifferente.

Varedese, nato trentanove inverni fa il giorno di San Carlo e diplomato presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, curioso del mondo e ostinato come i papaveri che nascono nei posti più impensabili ama chi “ha dentro di sé tutto l’Ottocento russo, il silenzio delle chiese, l’odore dei libri, la solitudine del mare, l’emozione di un quadro, l’innocenza della prima volta, la saggezza delle puttane, chi è timido perché abita la terra in modo delicato, chi osa come Fetonte perché sa che seppur credendoci stelle siamo solo comete”.
LinguaItaliano
Data di uscita21 ago 2022
ISBN9788830670808
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    Anteprima del libro

    Bella Ciao. Riso, libertà e futuro - Carlo Sessa

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    «Conosci i tuoi diritti, conosci le tue libertà civili,

    impara quali sono i princìpi fondamentali del pensiero

    e del comportamento democratico,

    e non sottometterti all’autorità solo perché si tratta di autorit໹

    «Forse tutti i libri hanno qualcosa di magico, pensò.

    Semplici lettere che nella nostra testa si trasformano

    in immagini, scene e dialoghi»²

    A Gabriele mio nipote,

    affinché ricordi sempre che la biologia ci da un cervello

    ma è la vita che lo trasforma in una mente.

    Che tu abbia il coraggio di tuffarti da qualunque altezza, perché come scritto nella epigrafe dalle Naiadi sulla lapide di Fetonte: "Qui giace Fetonte auriga del cocchio paterno, che non gli riuscì di governare: tuttavia morì osando

    una grande impresa".

    Sii come Fetonte, osa, osa sempre nella tua vita.


    1

    Dahpne Caruna Galizia

    , Dì la verità anche se la tua voce trema, Bompiani, Milano, 2019, p. 389.

    2

    Oliver Pötzsch

    , La figlia del boia e il gioco della morte, Neri Pozza, Vicenza, 2019, p. 508.

    BELLA CIAO, UN GROVIGLIO DI STORIE E SECOLI

    Intonando le prime note le nostre mani - come prese da un riflesso primitivo - cominciano a battere al ritmo della musica. Noi tutti l’abbiamo sentita cantare in famiglia o alle manifestazioni, alla televisione o alla festa del 25 Aprile. Immediatamente la associamo alla Resistenza e ai partigiani della Seconda Guerra Mondiale e ricordiamo i racconti di coloro che combatterono per la fine delle ostilità.

    Cantata sempre durante le manifestazioni della sinistra e ogni volta che un diritto viene violato, oltre a conoscerla come canzone partigiana, mai mi ero domandato come fosse nata e come fosse diventata patrimonio di tutti.

    Questa curiosità di scoprire di più sul suo conto prese vita un po’ per caso durante una vacanza a Berlino: girando tra i tanti musei d’arte che la città offre mi ero imbattuto nel lavoro di un giovane artista, del quale purtroppo ahimè non ricordo più il nome, che aveva vinto in questa mostra temporanea il premio per la miglior opera emergente.

    Aveva realizzato un docu-film di una settantina di minuti in bianco e nero nel quale veniva presentata la vita di una giovane ragazza russa emigrata da sola a Berlino e che, trovatasi priva del controllo familiare, aveva cambiato il suo modo di porsi verso la vita e la sua quotidianità: da diligente studentessa a vediamo come va la giornata e chissenefrega. Nel film, la protagonista fuori da una discoteca in compagnia di un ragazzo appena conosciuto, entrambi sotto l’effetto di qualche sostanza o forse ubriachi, con le braccia sulle spalle l’uno dell’altra iniziano a saltellare intonando il ritornello di Bella ciao.

    A primo impatto fui sorpreso nel vedere e sentire due persone così lontane dalla cultura italiana cantare la canzone della Resistenza, solo in un secondo momento mi soffermai a ragionare chiedendomi come facessero a conoscere Bella Ciao. Come era arrivata a questo ragazzo tedesco e a questa ragazza russa la nostra canzone partigiana?

    Ho continuato a riflettere su questo quesito nato dopo essermi confrontato con un’opera a mio avviso riuscita nel suo intento: l’arte contemporanea dovrebbe essere in grado di analizzare e rappresentare attraverso contrasti e domande il periodo in cui viviamo, pur restandone distaccata, altrimenti c’è il rischio che, come in passato, si trasformi in propaganda: il confine è tanto precario quanto complicato. Partendo da una semplice domanda che quell’opera d’arte aveva fatto nascere in me - e che ora, col senno di poi, potrei indicare come la mia musa creativa perché mi ha spinto a volere scoprire di più - mi sono imbattuto nella vita di tantissime persone.

    Ho preso le mosse da questo interrogativo e, indietreggiando attraverso i secoli, ho cercato di individuarne le origini. Affermare che questa canzone è un intreccio di strade e voci non è sbagliato: è davvero un insieme di tante piccole storie: di persone e fatti spesso anonimi, ognuna con il proprio percorso e bagaglio, che hanno inconsapevolmente dato il loro apporto, e anche quando si pensa di essere arrivati al traguardo ci si rende conto che il viaggio può prendere una svolta inaspettata. Percorrendo la strada di questa canzone non ci sarà mai un sentiero a senso unico, in quanto tutto ciò che appartiene alla cultura del racconto o della tradizione parlata avrà sempre un’altra via, un’altra interpretazione.

    Che la trasmissione orale sia stata presente fin dalla notte dei tempi è cosa certa, tanto che i poemi omerici erano proprio accompagnati dal canto dagli aedi: le canzoni, le preghiere, le ninna nanna, le ballate hanno accompagnato la vita degli uomini, ma ne abbiamo testimonianza solo da quando hanno cominciato ad essere scritte. Farne la storia è una impresa titanica, di questo sono conscio, e in questo lavoro ho scelto una mia strada analizzando, comparando, scartando e assemblando come in un puzzle tutto il materiale trovato per poi suddividerlo in più capitoli così da presentare i personaggi e gli avvenimenti intercorsi tra loro. Tutti passaggi, tutte tappe di un lunghissimo sentiero per cercare di delineare le origini di Bella ciao.

    Forse sarò più volte ripetitivo nel racconto, ma prendendo in prestito una frase letta nel libro In Asia di Tiziano Terzani: «da qui l’attenzione ai dettagli, il tentativo di essere preciso nei fatti, nelle cifre, nei nomi. Se i tasselli di un particolare avvenimento di cui si è stati testimoni non sono esatti, come potrà esserlo il mosaico della storia che qualcuno poi ricostruirà con quei pezzi? Non pretendo affatto che nelle pagine che seguono non ci siano errori; dico solo che ho cercato di evitarli e che non mi sono mai inventato nulla tanto per riempire un vuoto o imbellire un racconto»³.

    Come in un tête-à-tête con me stesso mi sono appropriato di queste parole attraverso le continue ricerche in biblioteche sfogliando libri, cataloghi, articoli, visionando e ascoltando videocassette e registrazioni audio. Lunghe letture e ascolti per confrontare, leggere, rileggere, scartare, avere conferme da diversi autori di tanti e tanti libri, per tentare di essere preciso nei fatti, nei luoghi e nei nomi, per delineare la mia strada attraverso l’infinità dei materiali trovati, senza l’assoluta certezza che il bivio intrapreso tra i tanti che mi si proponevano fosse quello giusto, perché a volte: «La conoscenza può mostrarsi utile, / però è anche divertente fare ipotesi / piuttosto che sapere»⁴, e ogni tanto nella vita bisogna affidarsi al Rasoio di Occam anche se la soluzione può farci assalire dai dubbi in quanto troppo scontata.

    In questo percorso si svelavano orizzonti inaspettati che ho cercato di unire pezzo per pezzo, tentando di arrivare a una mia conclusione. In questo lavoro una figura predomina su tutto ed è quello della donna: Bella ciao è una storia fatta di voci e persone e la maggior parte di esse è femminile. Questo saggio è diventato non solo una ricerca sulla nascita della canzone, ma mentre prendeva forma, ho acquisito anche la consapevolezza di voler dare voce e dignità a tutte quelle donne che sono state messe in ombra e che non sono state in grado di combattere un’atavica e perpetuantesi ideologia maschilista: è anche una storia di riscatto, un cercare di ribaltare le carte.

    Così, nel mio piccolo, ho voluto tracciare un percorso per rispondere a quella domanda che nacque per caso durante una spensierata vacanza a Berlino, tra la Sprea e l’orologio universale di Alexanderplatz: come è nata Bella ciao?


    3

    Tiziano Terzani,

    In Asia, Tea, Milano, 1998, p. 8.

    4

    W. H. Auden

    , cit. da

    Maria Grazia Ciani

    , Le porte del mito. Il mondo greco come un romanzo, Marsilio Editori, Venezia, 2020, p. 7.

    ASCOLTATE O DAMA GENTILE ANCHE NELLE FIABE UN PO’ DI VERITÀ C’È

    Cronache di viaggiatori: le ballate popolari

    «Le parole hanno la leggerezza del vento e la forza del tuono»

    Il mondo popolare non ha altro archivio che la memoria e l’insieme delle realtà di un popolo va osservato nella continuità della lunga progressione che attraversa il mutare dei rapporti sociali, economici, storici e le oggettive condizioni di coesistenza comune.

    Le canzoni nascono chissà dove e chissà perché. Attraversano luoghi e regioni differenti e ogni volta assumono diverse caratteristiche risentendo dell’influenza del linguaggio, dei costumi, del clima e delle etnie. Passando di bocca in bocca, di generazione in generazione, in base agli eventi socioeconomici e storici dei singoli territori, ognuno toglie o aggiunge a seconda della propria memoria o estro. È palese per tutti la difficoltà nel memorizzare un brano di prosa mentre risulta assai più facile ricordare un testo accompagnato dal cadenzare ritmico di una canzone e attraverso questa il mondo popolare, un mondo affidato quasi esclusivamente all’oralità, è riuscito a sviluppare un metodo di conservazione della memoria e della diffusione della propria cultura. Questo metodo narrativo ha permesso a quei documenti di perdurare nel tempo, trasformandosi e adattandosi alle esigenze sociali dei vari periodi storici perdendo così la loro funzione originaria⁶.

    Capita che della canzone originale rimanga solamente la melodia mentre il testo viene sostituito da un altro, altre volte è una vecchia melodia che ne fa nascere una nuova. Nell’arco di anni una canzone può cambiare da un luogo all’altro rendendo la sua versione originale quasi del tutto irriconoscibile⁷. Queste variazioni avverranno soprattutto nel corso dell’Ottocento: rispetto al resto della storia, rea di un’evoluzione lenta e faticosa, il XIX° secolo vedrà uno sviluppo socio-culturale veloce, attraverso la nascita e le trasformazioni di nuovi metodi di agricoltura e industrializzazione e favorendo la diffusione di una nuova consapevolezza politica⁸. Questo canto narrativo è presente in Italia sotto forma di ballata composta da cantastorie o da foglietti volanti (volantini) e lo si trova per lo più nelle regioni settentrionali con estensioni fino al Centro e Sud Italia, ad esclusione di Sardegna e Sicilia⁹, che influenzate dalla pratica del racconto in uso nel mondo arabo-mediterraneo aveva più una tradizione del contastorie, cioè colui che narrava, raccontava una storia piuttosto che cantarla¹⁰. È plausibile che i primi cantastorie non cantassero le proprie storie prendendole da dei testi già formati, ma le ricavassero da narrazioni generalmente conosciute che venivano poi plasmate in ballata: questo spiegherebbe il perché delle numerose varianti di una storia spesso corredate da una propria definita localizzazione territoriale. Rielaborandole, il cantastorie adeguava il repertorio personale in un processo creativo che appartiene alla canzone narrativa, adattandolo alle esigenze del fruitore finale – in questo caso il popolo - in base al suo trascorso e preferenza¹¹.

    I primi che cantarono e recitarono le gesta eroiche dei capi e degli eroi furono i cronisti del mondo latino e barbarico, poi arrivarono i giullari nel Medioevo che portarono attraverso l’Europa i loro spettacoli di canto e ballo tramutandosi poi nei cantastorie delle corti del Rinascimento e dell’Età Moderna¹². Queste ballate si formarono nel tardo Medioevo attraverso le rappresentazioni durante le feste religiose o profane, il dramma popolare con il teatro di strada e di piazza, dove le manifestazioni sacre si confondevano e si assimilavano alle processioni carnevalesche¹³.

    In questi canti, soprattutto per quanto riguarda l’Italia centrale, ricorrenti erano le grandi storie romanzesche e cavalleresche tratte dai poemi letterari: si ispiravano alla Divina Commedia all’Orlando Furioso e la Gerusalemme Liberata, affiancandoli a fatti di cronaca nera o di brigantaggio, che attraverso la stampa su foglietti volanti trovarono la loro diffusione¹⁴.

    Chiamate un tempo canzone epico-lirica, oggi le si raggruppa sotto il termine ballata: questo nome nacque verso la metà del Duecento per indicare una canzone da ballo la cui origine è popolare¹⁵.

    La prima parte del XIII secolo vide la fine delle Chanson de Geste (le canzoni delle gesta eroiche come quelle di Carlo Magno N.d.A.), dando vita a un nuovo modo di raccontare le storie: siccome questi canti erano lunghissimi, si preferiva che il cantore si soffermasse solo sulle parti salienti in modo da poterle riascoltare più volte e memorizzarle. La gente esigeva una narrazione meno rituale pur svolgendosi seguendo un’ortodossia narrativa che le era propria: questa doveva svolgersi in una determinata maniera e doveva arrivare a dei precisi risultati¹⁶. Le persone comuni poi, raccontando le parti memorizzate, elaboravano nel tempo diverse versioni, che passando di bocca in bocca si allontanavano dalla storia originale della ballata¹⁷, accentuando sempre più nei testi i sentimenti dell’amore, dell’odio, dello scherno, della protesta e della satira sociale, assumendo così gradualmente caratteristiche proprie diventando da europea a regionale¹⁸. Quando poi nel tempo l’archetipo della ballata venne dimenticato, quei testi mutati e fissati nella memoria della gente sopravvissero come autonomi. Quelle giunte fino a noi non sono altro che l’ultima manifestazione di quelle memorizzazioni e mutazioni delle ballate originali¹⁹, che di parola in parola e attraverso il passaggio dei secoli arrivarono alla bocca dei contadini che si ritrovavano nelle stalle nei lunghi mesi invernali, raccontandosi per occupare il tempo le vecchie storie del Guerin Meschino e dei Reali di Francia²⁰.

    La ballata, la cui nascita e diffusione più arcaica la si ritrova in Piemonte, nella sua struttura di solito racconta un solo avvenimento, tende all’esposizione sintetica, è impersonale, utilizza spesso la forma dialogata evitando i commenti salvo una morale che viene applicata da altri. Descrive sommariamente i personaggi, impiega largamente formule, presenta ripetizioni e ha un ritornello²¹. La più celebre delle ballate italiane è Donna Lombarda, di origine lombardo-piemontese è uno dei brani più studiati nel canto narrativo popolare. Costantino Nigra vi identifica nella protagonista la Longobarda Rosmunda²², proponendo nel 1858 che la donna della canzone e la regina fossero la stessa persona descritta nella Historia Longobardorum di Paolo Diacono²³. Rosmunda moglie di Alboino, da lei odiato e fatto uccidere da Elmichi, scudiere reale, con il quale

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