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L'angelo dalle ali verdi
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E-book162 pagine2 ore

L'angelo dalle ali verdi

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Info su questo ebook

Darjo è sempre stato un marito, un padre e un uomo opposto alla figura tipica che ci si aspetta e questo suo modo di essere ha comportato un allontanamento dagli affetti familiari, un rapporto a metà; poi, un tragico evento lo fa incominciare una sorta di atto di redenzione, ma, forse, è troppo tardi. Il libro parla di un viaggio biografico di una figlia che, per la prima volta, reinterpreta i gesti, i comportamenti e i messaggi celati di un uomo, che, a modo suo, è stato sempre un eroe-antieroe e anche, effettivamente, un marito, un padre, un nonno e, soprattutto, Darjo.
LinguaItaliano
Data di uscita25 nov 2022
ISBN9791221443073
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    Anteprima del libro

    L'angelo dalle ali verdi - Dajla Jakomin

    1. IL PIU' GRANDE INSEGNAMENTO

    Sebbene non avessi ancora raggiunto la maggiore età e non avessi potuto ancora incominciare a prendere lezioni di guida mio papà mi aveva già suggerito alcune accortezze da utilizzare una volta ottenuta la patente.

    Il primo consiglio era quello di non guardare il veicolo davanti a sé durante la guida, ma quello ancora avanti per poter prevedere cosa avrebbero fatto entrambi i veicoli (rallentamenti, frenate brusche, inversioni di marcia, etc.) e, quindi, agire di conseguenza e in tempo.

    A me è sempre piaciuto guidare, mio padre mi ha trasmesso questo piacere, in quanto distensivo e rilassante, ma, se devo scegliere, preferisco guidare di giorno che di sera e, di certo, con il maltempo preferisco starmene a casa; non sopporto ancora guidare quando c'è la nebbia, mi dà una sensazione di vuoto, di sospensione facendomi perdere il contatto visivo-orientativo della strada , così mio papà mi ha sempre detto di non focalizzarmi sulla corsia, ma sulla segnaletica orizzontale, quelle utilissime strisce bianche che delimitano la carreggiata e che hanno evitato di farmi guidare ondeggiando o a singhiozzo nelle giornate nebulose e fitte.

    Quando ho potuto farmi la patente, per le lezioni di guida, oltre a quelle obbligatorie con la scuola-guida, potevo avere come insegnante anche una persona che avesse da più di vent'anni la patente e, ovviamente, è stato mio padre a farmi fare le prime uscite; me la ricorderò sempre la prima vera volta al volante: Renault 5 grigia di mio nonno parcheggiata nel cortile interno di casa sua, prima accensione del motore, incerta ma speranzosa, pregna di entusiasmo misto ad un'isterica adrenalina e poi...tentativo di gestire l'accoppiata frizione- acceleratore per far partire l'arcaico veicolo; io su di giri come il motore della Renault, mio padre visibilmente serafico, paziente, tranquillo come non lo era mai stato. Sono riuscita ad uscire dal cortile del rione dove abito io tutt'ora e mio padre ha ben pensato di darmi una fiducia tale da farmi affrontare il centro città in piena ora di punta, per poi giungere fino allo Stadio Grezar e tornare indietro scendendo per via Revoltella. Certo che oramai sapevo già affrontare il gomitolo cittadino, nella seconda uscita aveva deciso di farmi prendere confidenza con le strade dell'altopiano carsico, facendomi guidare attraverso i paesi limitrofi a dove abitava lui, da Opicina a Sgonico per arrivare a Rupinpiccolo, fermarsi per una breve lezione sulla partenza in salita senza l'uso del freno a mano (non so dire quante volte mi si è spento il motore, ma ancora oggi uso questo metodo per ripartire alla fine di via Commerciale e inserirmi su Strada Nuova per Opicina, ogni volta che lo faccio è come se confermassi che è stato proprio mio papà ad insegnarmi a guidare, che posso sentirmi orgogliosa al volante, perché lo è anche lui) e concludere al confine con la Slovenia.

    La firma di mio padre come insegnante di guida me la sono portata in tutte e dieci le uscite obbligatorie con l'istruttore, durante l'esame, superato al primo colpo, e anche nella mia prima uscita ufficiale come neopatentata, quando, sempre con la stessa Renault 5 grigia, ho portato me e mia sorella ad un'uscita con il parentado in Slovenia attraversando una strada di soli tornanti...tornanti...tornanti e ancora tornanti.

    Ho sempre creduto che mio papà fosse orgoglioso che avessi fatto la patente e che mi piacesse guidare, ma non me l'ha mai detto; dopo una delle mie ultime uscite in macchina con lui, quando mi ha accompagnato a fare benzina, una volta tornato a casa, ha detto a mia mamma: Dajla xe proprio una mula in gamba (Dajla è proprio una ragazza in gamba) e semplicemente perché avevo fatto benzina. Non lo ha detto a me, lo ha detto a mia mamma; l'ho saputo da lei, a me non lo avrebbe mai detto, ma forse ho saputo e capito che si accontentava di poco per essere orgoglioso di me.

    ***

    Ho a casa un quadro con la firma di mio padre, datato 1972; è un dipinto che mio papà ha fatto prima che mia sorella ed io nascessimo ed è uno dei miei preferiti; questo dipinto, infatti, lo aveva appeso sul muro del salotto (la mia attuale camera da letto) già mio nonno materno ed ogni volta che venivo a trovare i miei nonni andavo a guardarlo, perché mi trasmetteva un senso di pace e, forse, quand'era ancora appeso sulla carta da parati dei miei nonni, anche un senso di inquietudine, ma mi ha sempre affascinato, tanto che ho voluto tenermelo quando mio marito ed io abbiamo ristrutturato la casa e siamo venuti ad abitare qui; il quadro è molto semplice, un giovane capriolo, in primo piano, all'interno di un fitto bosco, ti guarda, il capriolo, ma, sembra che anche il bosco ti stia osservando, pronto ad avvolgerti nei suoi colori intensi e scuri. I colori scelti da mio papà fanno sì che l'animale si confonda con il resto dello scenario e che l'intero dipinto sia un unico e profondo sguardo. Mio papà ha sempre scelto elementi naturali e del suo quotidiano come oggetti dei suoi dipinti: la facciata della nostra casa di campagna, le vie interne di Komeno, in Slovenia, con i suoi vecchi portici fatti in pietra e i portoni di legno rustico e ruvido; ma gli bastava anche un groviglio di foglie autunnali accartocciato sopra lucide pietre carsiche per realizzare due piccole rappresentazioni del suo amore per la natura circostante; i volti umani non erano il suo forte, ma è ancora appeso nell'atrio di casa dei miei, due contadine sedute davanti ad un portico. Non amava gli artifizi, i ghingheri e la ricercatezza, amava davvero il quotidiano, il rustico, il tanto naturale; ciò che non era evidente, ciò che la natura ritraeva, lui lo inquadrava e poteva decidere di dipingerlo, come anche di fotografarlo, come ancora di farne un video, tracciare una semplice storia e farne venir fuori un documentario. Ricordo ancora, quando abitavo con i miei, la mattina presto, in estate, quando mio padre riguardava il mondo marino che aveva filmato con la sua telecamera subacquea il giorno prima: il filmato non aveva suoni particolari o immagini travolgenti, ma la danza costante di semplici pesci locali, la coreografia di alghe più o meno fitte ed un unico monotono suono, quello delle sorde onde marine; ciò che rendeva più fiero mio papà di questi filmati era la nitidezza delle immagini al di sotto del mare o quando riusciva a scovare qualche animale acquatico nascosto sotto a qualche pietra: il semplice gioco del nascondino, a pensarci bene.

    Il suo più grande lavoro, la sua più grande fatica l'ha realizzata in ben trent'anni e si intitola Timavo - Reka - tra leggende e realtà: 85 minuti di storia della nascita e della vita di questo fiume e di tutto ciò che lo circonda e a cui lui dà nutrimento con le sue acque. Nel 2014 lo ha concluso, io ne ho voluto una copia e quasi ogni giorno mi chiedeva se l'avessi visto ed io sempre a rispondergli che non avevo il tempo, con due figli, di mettermi in santa pace a guardare il risultato finale e so che ci rimaneva male, ma non me lo diceva perché, in fondo, lo avevo anche aiutato alla realizzazione di questo filmato, avevo seguito le tappe e gli intoppi della realizzazione, quindi, in realtà conoscevo già il suo contenuto, o, forse, sono scuse che trovo io per non averlo guardato prima che se ne andasse, per non essere riuscita a dargli questa soddisfazione, per non aver commentato l'opera della sua vita. So che ormai non ha senso, papà, ma lo guarderò, davvero, e renderò merito ai tuoi sforzi, alla tua professionalità, alla tua passione e, credo, che nel mio piccolo, lo farò in grande.

    Giro lo sguardo sulla mensola dove sta questo documentario e mi ritrovo altre opere firmate Darjo: il mio matrimonio, il mio viaggio di nozze, il battesimo di Jacopo, i suoi primi tre compleanni e la storia completa di Cinzia e Dajla (mia sorella ed io), tutto ciò che mio padre ha filmato e conservato, da quando si è sposato a quando siamo nate e cresciute; lui faceva così, l'obiettivo era il suo modo di esprimere ciò che provava, ma non solo: non ha mai detto a me e a mia sorella di volerci bene, ma ha catturato ogni singolo nostro momento, ha registrato, su vecchie musicassette, i nostri primi vagiti, i nostri primi pianti, gli spettacoli di fine anno a scuola, le mie singole esibizioni, i balli improvvisati come due sceme a casa; quando eravamo piccole, ci ha messe davanti ad un microfono e ci ha fatto parlare e cantare, ci ha fatto improvvisare anche canzoni nostre (a parte Come on baby, mini melodia da me creata quando avevo 14 anni, la mia unica composizione, degna di essere presente nelle hit parade mondiali l'ho creata a due anni e mezzo - La Bambina di stella - e la prova è tutta contenuta nella registrazione di mio padre); non bastava questo a far capire che lui ci teneva a noi due? non era forse il suo modo di esprimere il suo amore per noi? nel filmato del battesimo di mia sorella aveva creato un breve cartone animato come prologo (esatto, lo aveva fatto tutto lui) nel quale Teppete, il coniglietto del film Bambi, annuncia agli animali del bosco l'arrivo di una nuova bambina, ossia mia sorella; per il mio battesimo, invece, il cartone animato riguardava degli gnomi che costruiscono una nuova culla per la neoarrivata; quale altro papà avrebbe realizzato dei cartoni animati per le proprie figlie?

    Ho un altro nitido ricordo della creatività di mio papà ossia i mobili in miniatura che aveva costruito per le Barbie mie e di mia sorella: il tavolo tondo, bianco, e quattro piccole sedie; c'era anche il letto e, ogni volta che ci penso, mi sembra di rivedere la nostra cameretta in versione lillipuziana.

    Per non parlare del presepio che era riuscito a costruire con le sue abilità amanuensi; mia mamma mi ha raccontato che ne aveva già costruito uno, ancora più particolareggiato, ma che era rimasto in qualche scatolone nella soffitta della casetta dove stavamo prima di trasferirci a Opicina; ad ogni modo quello che aveva fatto per noi e che componevamo assieme in ogni Natale, per me era bellissimo e suggestivo: i tetti delle case erano piatti come quelli tipici della Giudea, le abitazioni erano tutte dipinte di bianco con qualche sfumatura di verde humus e di grigio, per dare un'idea di usura del tempo; c'era anche un piccolo pozzo fatto con minuscole pietruzze di ghiaia ed un secchiello da cui far finta di attingere l'acqua; mi ricordo che, il giorno prima di costruire il presepe, andava in bosco a raccogliere zolle di humus per dare un'immagine il più possibile veritiera di erba e, siccome il Natale, almeno qui da noi, è in inverno, sopra quest'erba fittizia ci mettevi del talco, per simulare la neve; dentro alle mini abitazioni inseriva piccole luci e sembrava davvero che gli abitanti di quel presepe se ne stessero attorno ad un focolaio o sotto ad una grondaia, di sera, ad attendere il grande Evento. Nel frattempo, poneva i Re Magi sopra una mensola non lontano dal presepe e ogni giorno avvicinava di poco le tre statuine al presepio come a voler rappresentare il loro cammino nel deserto e li faceva arrivare davanti alla mangiatoia del Salvatore esattamente il 6 gennaio.

    Era accurato nella disposizione di ogni singola statuina, ognuna di esse, per lui, rappresentava un personaggio con la sua storia alle spalle, il suo presente e il suo ruolo nello scenario natalizio; tutte assieme mettevano in scena il dipinto tridimensionale dell'Avvento.

    Anche l'albero era un tripudio di luci intermittenti e colori distribuiti meticolosamente, seguendo una logica di cromatismo e sfumature e il risultato era un coro intonato di gradazioni supportato da un ritmo di bagliori e sfavillii. L'albero cantava e ballava le note della tua composizione.

    ***

    Era il 2 aprile 1986 quando mia mamma arrivò a casa la sera tardi ed entrò in camera nostra; io avevo sette anni e mia sorella ne aveva dieci; fino a quel momento eravamo con mia nonna, perché mia madre era dovuta correre d'urgenza all'ospedale; entrò nella nostra stanza, al buio, mia sorella ed io eravamo già a letto, in uno stato misto di titubanza, attesa, incomprensione, con la mente indolenzita ed ingenuamente spaventata; entrò e ci disse papà si è rotto la testa, è in coma.... Non ho altri ricordi di quella notte assurda, non mi ricordo nemmeno se ho pianto, non mi ricordo se mia madre è tornata subito all'ospedale o se è rimasta con noi, ma mi ricordo

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