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Eppe e Tore. I due min...oni
Eppe e Tore. I due min...oni
Eppe e Tore. I due min...oni
E-book391 pagine5 ore

Eppe e Tore. I due min...oni

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Info su questo ebook

Giuseppe e Salvatore, conosciuti da tutti con i loro diminutivi di Eppe e Tore, sono due ragazzini siciliani di umili origini legati da una fortissima amicizia, al punto da poter quasi essere definiti fratelli. Insieme sembrano completarsi a vicenda: tanto pacato e riflessivo è l’uno, quanto ingenuo e impulsivo è l’altro, e la loro difficoltà nel relazionarsi con i propri coetanei finisce inevitabilmente per preoccupare le rispettive famiglie. Ma i due sono destinati a intraprendere un percorso di crescita che, tra nuove esperienze e (dis)avventure, trasformerà la loro vita con coraggio e determinazione, avvicinandoli all’età adulta.

Bruno Vittoria nasce a Siracusa nel 1941. Nel clima del secondo dopoguerra italiano le condizioni economiche della Sicilia erano allo stremo. Il costante entusiasmo e un’innata intraprendenza danno il coraggio
all’autore di lasciare la sua terra all’età di soli sedici anni. Raggiungerà Napoli, dove troverà l’amore della sua vita e successivamente si trasferirà a Pesaro, dove tuttora vive. Sempre affiancato da sua moglie e con innumerevoli sforzi e sacrifici donerà a tutta la sua famiglia un futuro ben diverso da quello a lui riservato dal destino.
LinguaItaliano
Data di uscita13 set 2022
ISBN9791220133913
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    Anteprima del libro

    Eppe e Tore. I due min...oni - Bruno Vittoria

    Eppe e Tore. I due min…oni

    Questa è la storia di due ragazzini nati nelle case popolari di tanti poveri operai che sicuramente, con la paga che bastava appena a comprare da mangiare, non si sarebbero mai potuti permettere di comprare una casa; lo Stato, facendosi carico del problema, assegnava alle famiglie numerose e con scarse possibilità economiche una casa, non certo di lusso ma che servisse per avere un tetto sulla testa, e la famiglia che ne avesse assegnata una, era non felice, ma felicissima.

    I due ragazzini protagonisti della storia, nati a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, appunto in queste case, si erano ritrovati a stare sempre insieme e non interessava loro di fare altre amicizie.

    Il più grande dei due si chiama Giuseppe, ma per economia si riduceva il nome in EPPE. L’altro, più piccolo di pochi mesi, si chiama Salvatore, ma anche per lui si poneva il problema di risparmiare, così veniva chiamato TORE.

    Le mamme dei due ragazzi cercavano di convincerli a trovare altri amici ma loro, imperterriti, rifiutavano, si trovavano davvero bene da soli.

    Un giorno Tore dice: «Perché non facciamo il patto di sangue? Ho sentito dire che facendo il patto di sangue, non ci potrà mai separare nessuno.»

    E- «Ma lo sai come si fa il patto di sangue?!»

    T- «No, non lo so, credevo che tu lo sapessi.»

    E- «Io lo so, si fa così, ci si punge un dito e quando esce un po’ di sangue, uniamo le dita e diciamo una frase, per esempio per sempre insieme

    T- «Cosaaa?!, pungerci un dito e vedere scorrere il sangue? No, allora non lo possiamo fare, io quando vedo il sangue cado a terra come morto.»

    E- «Ma nooo che non moriremo, non sentirai niente.»

    T- «Facciamo così, quando mia mamma sabato compra il pollo, io ne prendo un po’, lo metto in un tappetto e useremo quello per fare il patto.»

    E- «Va bene fifone, faremo il patto con il sangue del pollo.» Tornano a casa.

    La domenica mattina, Eppe era ancora a letto, sente… toc… toc… toc… il vetro si rompe, si alza di corsa e va alla finestra, la apre e vede Tore, di sotto…

    «Disgraziato hai rotto il vetro!»

    La mamma di Eppe, sentito il rumore del vetro che cade per terra, entra nella camera.

    «Hai rotto il vetro?!»

    «No mamma, non sono stato io, sarà stato un uccello che non si è accorto del vetro, ci è sbattuto e il vetro si è rotto. Guarda, guarda, vedi, i pezzettini di vetro, sono caduti dentro la camera, se lo avessi rotto io sarebbero caduti fuori dalla camera.»

    «Speriamo che tuo padre ci creda, sennò saranno guai per te.»

    Eppe esce di casa, vede Tore che si allontana, lo raggiunge e dice: «Ma che pietra hai tirato per rompere il vetro?!»

    T- «Dormi come un maiale, sono dieci minuti che cerco di svegliarti, ho tirato diversi sassolini, poi non ho trovato più sassolini piccoli, ne ho preso uno un po’ più grande e il vetro si è rotto.»

    E- «Sì, ma perché sei venuto a svegliarmi?»

    T- «Non ti ricordi che oggi dobbiamo fare il patto di sangue?»

    E- «Ah già, è vero, hai portato il sangue?»

    Tore tira fuori dalla tasca un tappetto: «Eccolo!»

    Eppe lo guarda: «Ma questo non mi sembra che sia sangue.»

    T- «No, non è sangue, ho cercato nel pollo ma di sangue non ne ho trovato, allora ho preso un po’ di salsa di pomodoro che mia madre ha preparato per fare i maccheroni… lo faremo con questo.»

    E- «E che patto di sangue faremo, faremo allora il patto di sangue di pomodoro?!»

    T- «Ma è rosso come il sangue, nessuno lo verrà mai a sapere.»

    «E va bene facciamolo.» Uniscono le dita.

    E- «…ma cosa aspetti, devi dire come me, per sempre

    T- «Hai ragione! Per sempre.»

    Finito il rito… si sentono come e più di due fratelli, nessuno li potrà mai più separare.

    Tornano a casa, sentendosi anche un po’ più grandi.

    Eppe vi trova il padre.

    «Di’ un po’, minchione, come si è rotto il vetro?» gli chiede.

    «Mah… l’ho già detto a mamma, sarà stato un uccello che non ha visto che c’era il vetro.»

    «Ma… mi vuoi prendere ppò culuuu?»

    «Ma no papà, lo spiego anche a te, se il vetro lo avessi rotto io, i pezzetti sarebbero caduti fuori dalla finestra, vedi… vedi che i vetri sono caduti dentro?!»

    Dopo pranzo, come tutti i giorni si incontrano per andare al solito posto: due grossi scogli, uno più piccolo, ma comunque molto grande, l’altro molto più grande, ed era conosciuto da tutti come I Ru Frati.

    Si diceva in giro che lì ci fossero annegati due fratelli, altre voci dicevano che ci fossero morti due religiosi, ma a nessuno importava di approfondire la cosa, loro vi arrivavano e si sedevano a contemplare la bellezza del posto. Per arrivarci bisognava attraversare i binari della ferrovia che da Siracusa andava verso Catania e ancora verso Messina, bisognava stare molto attenti, erano già successi degli incidenti. Sedevano sugli scogli a pochi centimetri dal mare, ammiravano la trasparenza dell’acqua, al punto che si sarebbe potuta bere, ma era salata!

    Chissà perché Tore sognava e diceva: «Come sarebbe bello vedere galleggiare una cassa piena di oro e pietre preziose, la tireremmo su e saremmo ricchi!»

    Eppe, un po’ più sveglio: «E da dove dovrebbe arrivare questo forziere pieno di ori e preziosi?!»

    T- «Da un veliero-pirata che a causa di una tempesta affonda e tante cose galleggiando si vanno a fermare sulle spiagge o sulle scogliere come questa.»

    E- «Ma lo sai da quanti secoli non ci sono più i pirati?! E poi…anche se ci fossero ancora, non navigherebbero in questi mari; navigavano nell’oceano lungo le coste africane.»

    T- «Ma tu come fai a sapere tutte queste cose?!»

    E- «Mia sorella Annita studia per diventare maestra e, per sapere tante cose che poi insegnerà ai suoi alunni, legge tantissimi libri e ogni tanto li legge a voce alta per farci sentire le storie.»

    T- «Ma perché hai detto che i pirati non ci sono più, sono tutti morti?»

    E- «Non lo so questo, lo chiederò a mia sorella e lei mi spiegherà perché i pirati non ci sono più.»

    I ragazzini si godono lo spettacolo della natura e, qualche ora dopo, decidono di tornare alle loro case.

    E- «Ohh… mi raccomando, mio padre me le stava suonando, ha detto che se si accorge che lo prendo ppò culuu, mi fa sentire come brucia la cinghia, perciò, trova un altro sistema per svegliarmi, prova a fischiare… non so… sai, di questi tempi non ci sono nemmeno i soldi per comprare da mangiare.»

    T- «Va bene, farò come dici, e se non ti svegli? Io a casa mia impazzisco, siamo in troppi e ho bisogno di uscire; se avrei una cameretta tutta per me, allora sì, potrei anche restarmene in casa a studiare.»

    E- «Non si dice se avrei ignoraaante! Si dice se avessi una cameretta tutta per me, sarebbe anche piacevole stare in casa

    T- «E non fare il professoreeee!»

    E- «E sei venuto da me a rompere il vetro?!»

    T- «Ma come te lo devo dire che non avevo nessuna intenzione di rompere quel vetro della minchia?!»

    E- «Perché, a casa mia credi che abbiamo tanto spazio? Cerco di studiare nei momenti in cui alcuni dei miei fratelli e sorelle siano usciti.»

    Il mattino dopo, come tutti i giorni, dopo aver fatto colazione preparano la cartella per andare a scuola e come tutti i giorni tornano a casa.

    Eppe accettava di buon grado la scuola, Tore meno, molto meno, già diceva che alla fine di quell’anno scolastico sarebbe andato a lavorare con il padre, a fare il muratore. Dopo aver fatto i compiti il pomeriggio si incontrano.

    T- «Volevo parlare di alcune cose, sperando che tu ne sappia più di me; dai, camminiamo e andiamo al solito posto, dove non ci rompe la minchia nessuno.»

    E- «Ma ’sta minchia ce l’hai sempre pronta, non riesci a completare un discorso senza che la tiri fuori dalla bocca?!»

    Il solito posto era I Ru Frati e ci erano arrivati.

    E- «Dai, sentiamo cosa ti tormenta il cervello!»

    T- «Questa notte, e non solo questa notte, quando siamo tutti a letto, sento degli strani lamenti provenire dalla camera dei miei genitori, mi sono alzato e ho bussato alla porta; sono entrato e mio padre: «Che minchia vuoi?»

    E- «Anche tuo padre ha la minchia in bocca?!»

    T: «Dai, Eppe, non fare lo stronzo; dicevo che, appena entrato, mio padre mi ha urlato:

    Vai a dormire e non ti preoccupare.

    Io gli ho risposto: «Pensavo che la mamma stesse male, se vuoi corro a chiamare il dottore.»

    Mio padre: «Non ci serve nessun dottore, va’ a dormire!» e per farmelo capire meglio mi lancia una scarpa!

    Mia madre mi chiama, mi avvicino e nell’orecchio mi dice: «Non mi sento male, anzi sto benissimo.» Mi dà un bacio: «Va’ pure a dormire.»

    T- «Hai capito? Quei lamenti ci sono perché si sentono bene, immagina se si sentissero male!

    A casa tua non succede?»

    E- «Sì, anche a casa mia succede, ma io non mi sogno più di andare a vedere il perché fanno tanti lamenti di notte. Una volta, anch’io, sentendo quegli strani lamenti, andai come te a vedere e a chiedere se avessero bisogno di aiuto; appena entrai, mio padre mi tirò una scarpa in fronte! Guarda, ci deve essere ancora il segno, fortuna che mi arrivò sopra i capelli e la cicatrice non si vede.»

    T- «Forse siamo ancora piccoli per sapere e capire delle cose che i grandi sanno.»

    E- «Io credo che i nostri, come tutti gli altri genitori che hanno avuto tanti figli, non hanno tempo per spiegare a noi il perché succedano certe cose. In casa mia siamo sette fratelli più i genitori, siamo in nove.»

    T- «A casa mia siamo otto figli, più i genitori siamo in dieci, un altro ancora e possiamo fare una squadra di calcio mista!»

    E- «Pensa… la famiglia Cardone, quelli che abitano nella palazzina gialla, sono in dodici. Il padre fa il netturbino, quello che spazza le strade, eppure a vedere come vestono, sembra che non se la passino male, boooh. Sentii dire ad uno dei figli che il padre, scopando le strade, trova per terra di tutto: monete, anelli, portafogli e tante altre cose; dovrebbe portare tutto in ufficio, ma porta le cose che non hanno nessun valore e le altre se le tiene per sé, ecco perché se la passano bene!»

    T- «Anche a te hanno detto che i bambini li porta la cicogna?»

    E- «Così dicono, ma mi sa che è proprio una grossa minchiata!»

    T- «Hai detto minchiata? Ah, ah, ah… allora anche tu hai la minchia in bocca!»

    E- «Mi è scappata… a forza di stare con te, che la tiri fuori ogni momento, anche a me ogni tanto mi viene fuori.»

    T- «Allora potrebbe essere che la cicogna possa venire ancora da noi a portarci un altro fratello o sorella?»

    E- «Eh sì… pensa che ci sono tante famiglie che hanno più di dieci figli. A pensarci bene ogni due, tre anni ne porta uno o una.

    E quando arriva, dice: Ho portato altra felicità!»

    T- «Eh no eh, siamo già in troppi, la sera per poter andare a dormire bisogna fare i letti a castello, divani-letto, brande varie; la casa è piccola e la sera diventa un accampamento! Sai cosa farò? Da questa sera mi metto di guardia e se la vedo scendere dal cielo, perché vengono dal cielo, vero? e atterrare nell’unico balcone di casa, esco subito e le dico: «Ha portato altra felicità, vero?! Allora dia un’occhiata dentro, guardi non sappiamo più dove mettere i letti, in questa casa siamo anche troppo felici, quindi porti altra felicità a chi ne ha di meno.»

    E- «Senti Tore… ho pensato… visto che sappiamo poco di come si svolge la vita, perché non troviamo un ragazzo più grande di noi e ci facciamo spiegare alcune cose che non sappiamo?»

    T- «Chi vuoi che perda tempo con noi, i grandi ci considerano quasi niente, però posso chiedere all’amico di mio fratello Calogero se ci può spiegare qualcosa, ma immagino che appena gli chiederemo qualcosa, ci dirà che siamo troppo piccoli e che non abbiamo l’età giusta. Ci manderà a fanculo, comunque chiedere non costa niente.»

    E- «Basta, mi sono stancato di stare seduto su questa roccia.»

    T- «Dai, restiamo ancora un poco.»

    E- «Sì, sì, continua a sognare, aspetti di vedere la tua cassa piena di oro e preziosi?!»

    T- «Proprio così, tutto è possibile e io sono sicuro che prima o poi diventeremo ricchi!»

    E- «È vero, tutto può succedere, ma non credo proprio che diventeremo ricchi vedendo una cassa galleggiare proprio davanti ai nostri occhi! Ma lo sai dove si trovano queste isole e i mari dove i pirati attaccavano i vascelli? Lungo l’oceano Atlantico. Qui siamo in Sicilia, poter avere la fortuna di vedere galleggiare un forziere… e se poi fosse pieno, come dici, di oro e pietre preziose, come farebbe a galleggiare?!»

    T- «Ma cosa vuoi, sognare non costa niente, anzi stavo pensando di procurarci un binocolo per potere vedere più lontano.»

    E- «Tutti i sogni sono impossibili, dove troviamo i soldi per comprare un binocolo?»

    T- «Io so dove potremmo trovarlo. Quando andiamo dal rigattiere a vendere i chiodi di rame che troviamo nel cantiere dei calafatari, lui ha di tutto sul bancone, pentole di alluminio, lampadine, attrezzi di ogni genere e anche un binocolo, l’ho già visto! Allora, ho pensato, la prossima volta che andiamo lì, mentre tu lo distrai, io me lo rubo… in mezzo a tante cianfrusaglie, non si accorgerà mai che manca!»

    E- «Mi stai dicendo di rubare?»

    T- «Eeehh rubare, ma cosa vuoi che sia, è un aggeggio che sicuramente ha trovato da qualche parte, chissà dove e poi è tutto sporco e arrugginito, non gli sarà costato niente.»

    E- «Come fai a essere così tranquillo a pensare di rubare; anche se si trattasse soltanto di un chiodo, è comunque rubare. Mia mamma e mio padre mi chiuderebbero in una stanza e non mi farebbero più uscire di casa per un anno intero, sempre che i Carabinieri non ci mettano dentro.»

    T- «Ma nooo, siamo dei ragazzini, se dovessero scoprire che ci siamo fregati il binocolo, ci porterebbero a casa dicendo ai nostri genitori che abbiamo fatto una bravata e di tenerci di più sotto controllo.»

    E- «E va bene… lo faremo, ma io già mi cago sotto, a prenderlo sarai tu, e se ci scopre il robivecchi io dirò che non sapevo nulla.»

    T- «Allora domani andiamo al porto e vediamo se ci sono dei lavori a qualche bastimento; quando gli operai a fine giornata vanno via, noi entriamo nel cantiere e cerchiamo i chiodi di rame.»

    E- «Adesso è ora di tornare a casa, mia mamma vorrà sapere dove sono stato e con chi, e spero che mio padre non me le suoni per quel vetro che hai rotto tu. Pensi che crederà che un uccello abbia davvero potuto rompere il vetro? Mah… speriamo che ci creda. Adesso torniamo a casa, ma poco prima di arrivare ci separiamo, non dobbiamo farci vedere troppo spesso insieme, le boccacce sono sempre pronte a sparlare.

    Domani, dopo i compiti, ci vediamo in viale Tunisi vicino al bar e mi raccomando non venire a casa, saresti pronto a rompere un altro vetro!»

    T- «Mi hai abboffato la minchia con il tuo vetro. Allora per stare più tranquillo non vengo sotto casa tua e sii puntuale alle cinque vicino al bar.»

    Eppe arriva a casa e la mamma: «Dove sei stato? Tuo padre continua a dire che lo vuoi prendere per i fondelli.»

    «Oh mamma, ma cosa vuoi che faccia, se vuoi romperò il mio salvadanaio e se ci sono i soldi per poterlo comprare lo farò, ma purtroppo non credo che ci siano soldi sufficienti.»

    «Chissà dove sei stato e cosa hai toccato là fuori, allora quando torni devi subito correre in bagno a lavarti le mani.

    Ahh, io ti ho creduto ehh, è tuo padre che dice che un uccello non sarebbe così stupido da sbattere contro un vetro.»

    Dopo essersi lavato, trova il padre indaffarato a riparare un attrezzo.

    «Ciao papà.»

    «Ciao Eppe, mi vuoi dire la verità? Come hai fatto a rompere il vetro della finestra?»

    «Ve l’ho già detto, ho sentito il vetro rompersi; non che io abbia visto l’uccello sbatterci, l’ho immaginato, altrimenti in quale altro modo si sarebbe potuto rompere?»

    «Guardami negli occhi e dimmi se mi vuoi prendere ppò culu?»

    «E allora papà, mettiti tu al posto mio, senti il rumore, e vedi i pezzettini di vetro dentro la camera, anche tu penseresti come me. Ho fatto vedere alla mamma i cocci del vetro caduti all’interno della cameretta, se l’avessi rotto io, i cocci sarebbero caduti fuori.»

    Il papà: «Va bene, diciamo che è stato come dici tu, ma se vengo a sapere che mi vuoi prendere ppò culu, allora sentirai come fa male la cinghia.»

    «Va bene papà, se davvero scopri che sono stato io, sentirò come brucia la cinghia. Ciao.»

    Il giorno dopo di pomeriggio i due ragazzini si recano allegramente al porto piccolo, dove ci sono i cantieri per le riparazioni delle barche e delle navi.

    Sperano di trovare in cantiere un bastimento in riparazione per recuperare i chiodi di rame.

    Arrivati lì, nessun bastimento in riparazione, niente chiodi e niente binocolo. «Che facciamo?»

    «E che facciamo, ormai siamo qui.»

    A Siracusa il porto piccolo, dove ci sono i cantieri per la riparazione delle barche, è a poche centinaia di metri dalla città antica, l’isola di Ortigia; l’isola è collegata alla terraferma da un ponte di pietra costruito con tanti piccoli archi, dove passano delle piccole barche.

    T- «Eppe andiamo in Ortigia a vedere i negozi?»

    Si avviano e superato il ponte si addentrano nella zona marinara, dove si trovano tanti negozi che vendono attrezzature per la pesca.

    Si fermano a guardare una vetrina nella quale era esposto un binocolo, il sogno di Tore, scintillante, bellissimo, nulla a che vedere con quello vecchio e arrugginito che volevano rubare al ferrivecchi.

    «Che dici, entriamo e chiediamo quanto costa?

    Facciamo vedere di essere molto interessati, così il negoziante crederà che vogliamo comprarlo!»

    Un grosso sospiro per incoraggiarsi ed entrano.

    Eppe, dietro a Tore, lo tira per la maglietta e gli dice: «Oh, se non ti dispiace, parlo io al negoziante.»

    T- «Va bene, sei tu il professore.»

    Il negoziante stava servendo un cliente che era interessato all’acquisto di cime, di nylon, ami, piombi e anche una canna per la pesca d’alto mare; loro due guardavano e ascoltavano con interesse questo cliente che era sicuramente un esperto del mare.

    Aspettavano con calma e nell’attesa guardavano le meraviglie esposte, tra le quali anche il binocolo dei loro desideri e una bussola lucida e bellissima.

    Il commerciante intanto, finito di servire il facoltoso cliente, si rivolge a loro: «Dite pure ragazzi.»

    «Vorremmo vedere il binocolo in vetrina.»

    Il negoziante, vedendoli in male arnese, pensa: e va bene, non ho altri clienti da servire…

    Lo prende e lo mette sul bancone.

    Eppe lo prende in mano e chiede: «Ci può spiegare come funziona e a che distanza si arriva a vedere?»

    Il negoziante spiega ai ragazzi come si usa. Sapeva che stava perdendo il suo tempo.

    «E quanto costa?»

    Il negoziante prende un listino dove vi erano scritti i prezzi dei prodotti, lo sfoglia e trova la pagina. «Ecco, ecco, allora questo costa diecimila lire.»

    T- «Min…!»

    Eppe gli dà un calcio ad uno stinco.

    T- «Ahiiii!»

    Eppe all’orecchio del negoziante: «Non ci faccia caso, mio fratello è un po’… capisce?…»

    «Ha anche la custodia.»

    «E quanto costa?»

    «No» dice «la custodia non ce l’ho in negozio» e per stare al gioco: «Lasciatemi un acconto e in pochi giorni arriva la custodia, così potrete ritirare il tutto.»

    Eppe doveva continuare a sostenere l’intenzione di acquistare i prodotti. «Guardi, ordini pure la custodia, in questo momento non abbiamo abbastanza soldi con noi, passeremo tra una settimana e porteremo i soldi che ci ha chiesto, anzi volevo anche chiedere se potesse regalarcela la custodia.»

    «E va beeene ragazzi, voglio essere buono, la faremo rientrare nella spesa. Ci vediamo tra una settimana e potrete ritirare il binocolo e la custodia.»

    Sapeva benissimo che i ragazzi non li avrebbe più visti nel suo negozio.

    «Grazie, grazie…» ed escono.

    T- «Ma che miiinchia fai, mi hai dato un calcio allo stinco, roba da mandarmi in ospedale.»

    E- «Stavi per fare la solita figura, appena hai sentito il prezzo stavi per dire… minchia!»

    T- «E che minchia c’è di male???»

    E- «C’è di male che facciamo la solita figura da poveracci, quali davvero siamo!»

    Usciti, cominciano a ridere fino quasi a sentirsi male.

    T- «Ma questo tipo è davvero pazzo! Ci vogliono diecimila lire, i nostri padri devono lavorare chissà quanto, per guadagnarli!

    Ahh, credi che non immagini cosa hai detto all’orecchio di quello stronzo di commerciante? Gli avrai detto che tu sei l’intelligente e io il deficiente. Se avessi sentito bene, adesso ti darei tanti calci nel culo fino ad arrivare a casa.»

    E- «Oohh, mi sbaglio o sei stato tu a creare tutto questo casino? Non sono io che voglio osservare il mare sperando di vedere galleggiare un forziere e, adesso che io mi sono prestato a questa commedia degna di un attore, mi devo sentire colpevole? Di’ la verità, credi che saresti stato capace di interessare il negoziante come ho fatto io? Gli ho fatto almeno credere che avremmo comprato qualcosa, se avessi parlato tu, dopo cinque minuti ci avrebbe buttato fuori… avrebbe capito che sarebbe stata una perdita di tempo darci tante spiegazioni.»

    Decidono di fare una passeggiata per il corso a vedere le vetrine.

    Si fermano davanti a un negozio dove vi erano esposti vestiti di lusso e scarpe che loro non avrebbero mai sognato di poter comprare.

    T- «Ma chi min…»

    E- «E bastaaa, sembra che mangi minchie tutto il giorno e tutti i giorni… ma possibile che non riesci a parlare senza tirare fuori dalla bocca le minchiate? Dai guardiamo quel negozio di articoli sportivi.»

    Si avvicinano alla vetrina e vedono i prezzi.

    T- «E quando mai saremo in grado di poter comprare queste meraviglie… ma quanta gente può acquistare questa roba?»

    E- «C’è, c’è la gente, che può, ma non certamente i morti di fame come le nostre famiglie e poi guarda dentro, ci sono cinque, sei clienti e da come sono vestiti, si vede che sono persone che possono… Mio padre dice che bisogna studiare per potere avere dei posti di lavoro ben pagati, ma non si rende conto che nelle nostre famiglie non ci sono le possibilità economiche, e non solo quelle; se davvero avessimo tanta voglia di studiare, in casa mia, non ci sarebbero comunque le condizioni per farlo, bisogna comprare i libri e, per come vanno le cose, non credo proprio che sarà mai possibile farlo; ci vorrebbe anche un ambiente adatto; a casa mia sembra sempre di essere al mercato del pesce! Un gran casino tutti i giorni e a tutte le ore.

    Mia sorella Annita ci sta riuscendo, perché va da una sua amica dove possono studiare in pace. Quest’anno si diplomerà maestra e potrà sperare di avere un lavoro fisso e ben pagato.

    Adesso torniamo a casa, ma prima… vogliamo passare dal cantiere delle barche?

    Chiediamo quando faranno un lavoro ad un bastimento?»

    T- «Va bene passiamoci, e se ci domandano perché vogliamo saperlo? Cosa gli diciamo?»

    E- «Ohh, Tore, sei proprio un testa di minchia!»

    T- «Eccola, eccola la minchia, vedi che anche tu la tiri fuori dalla bocca?»

    E- «È vero, ma a stare con te scappa, non riesci a fare nessun discorso senza che venga fuori!»

    Vanno presso il cantiere, dove si vedevano alcune barche in riparazione, e chiamano un addetto che si avvicina al cancello: «Che volete?»

    «Niente, volevamo sapere, quando ci sarà in cantiere un bastimento per le riparazioni?» Il tipo risponde: «E a voi che minchia ve ne frega di saperlo?»

    Si guardano.

    Tore dice a bassa voce: «Che minchia diciamo a questo stronzo del perché ci interessiamo al cantiere?»

    E- «Zitto, zittooo, ci parlo io.»

    «Vogliamo saperlo perché un nostro parente che è proprietario di un bastimento piuttosto grande ci ha incaricato di venire a chiedere quando sarà disponibile il cantiere.» Il tipo li guarda: «Allora accomodatevi; avete tutte le informazioni dello scafo che ha bisogno di fare i lavori?»

    «Beh, no, era solo per sapere, comunque diremo al mio parente che nel cantiere non vi sono grandi navi e che può venire lui a prendere l’appuntamento! Grazie.» Vanno via e il tipo resta di stucco, ma non rinuncia a dire: «Ma tu guarda questi stronzetti… vengono a prenderci ppò culu! Questi due non hanno nemmeno una barchetta di carta!»

    E- «Si è fatto tardi, torniamo a casa, mia mamma vorrà sapere dove sono stato in giro per tanto tempo e non mancherà di dirmi che, se non studio, finirò come mio padre a fare il muratore.»

    Mancano poche settimane alla fine della scuola, è stato un anno piuttosto lungo e non vuol dire che sia durato più giorni degli altri anni: ma lungo perché non vedono nessuna luce all’orizzonte, un orizzonte di vita nera e di miseria come quella delle loro famiglie.

    T- «Sto pensando di lasciare la scuola, quando mi daranno la licenza elementare, credo che andrò a lavorare insieme a mio padre.»

    E- «Allora ti arrenderai? Sai cosa ti aspetta, lo sai? Fare il lavoro di tuo padre… la stessa vita di stenti e immagino che la cicogna verrà spesso a casa tua.»

    T- «Io mi chiedo, come mai la cicogna va tanto spesso nelle case della povera gente e poco nelle case dei ricchi? Per quello che so io, quelli ne hanno pochi di figli!»

    T- «A proposito, quell’amico di mio fratello ha detto che in questi giorni ha un po’ di tempo per spiegarci quello che vogliamo sapere; ma cosa gli chiediamo?»

    T- «Eh già… cosa gli chiediamo? Io direi di cominciare con la prima domanda, se è vero che i bambini li porta la cicogna e perché va così spesso nelle case della povera gente, dicendo che porta felicità. Ma io dico, tre, quattro felicità non bastano? Continuano a portare cinque, sei, sette, otto e anche nove, dieci bambini. Ma poi, mi chiedo, perché mio padre e mia mamma, così come il tuo papà e la tua mamma e tutte le famiglie che hanno tutti questi picciriddi non dicono grazie signora cicogna, ma abbiamo già avuto tre bambini e ci bastano, siamo felicissimi

    E- «Forse non possono rifiutare… e allora… Prepariamoci con le domande, anzi facciamo così, quando torno a casa prendo un foglio di carta e scrivo le domande che vogliamo fare. Mettiamoci d’accordo, io vorrei chiedergli, sempre che lui lo sappia, come mai di notte i miei genitori e anche i tuoi si lamentano come se avessero mal di pancia o gli facessero male le mani o i piedi… E glielo dico eh, che quando io, nel sentire i lamenti di mia mamma, sono andato nella loro camera per chiedergli se avessero bisogno di qualcosa, mio padre mi ha tirato in fronte uno scarpone! E se non ci crede, gli faccio vedere la cicatrice sotto i capelli!»

    Eppe si rivolge a Tore: «Tu cosa vorresti chiedergli?»

    T- «Io gli vorrei chiedere, come mai a chi fa lavori tanto faticosi danno così pochi soldi e invece il direttore della fabbrica che sta seduto su una comoda poltrona guadagna molto di più?»

    E- «Solo questo? Solo due domande? Ma questo ragazzo sentendo che viene solo per darci solo due, tre risposte si arrabbierà e ci dirà che ha da fare e ci manda a fare nel culo.»

    T- «Stasera ci pensiamo meglio, sicuramente ci verranno in mente altre domande da fare. Ma… a proposito, non vorrà niente? A mio fratello Calogero ha detto che ci incontriamo al bar di viale Tunisi.»

    E- «Ahi, ahi… questo ragazzo, allora vuole qualcosa in cambio…e va bene, nessuno fa niente per niente, gli offriremo un caffè.»

    T- «Seee, un caffè… e tu credi che solo per un caffè questo si scomodi e perda il suo tempo?»

    E- «Ohhh, Tore, ma trovi sempre problemi, vuol dire che gli offriremo anche un cannolo, dai!»

    T- «E chi paga? Lo sai che io non ho una lira!»

    E- «Io non ti credo, anche a te, la tua mamma ti darà un po’ di soldini ogni settimana, o no?»

    T- «Tu sai quando ho qualche soldino? Quando la mia mamma mi manda a comprare qualcosa, io le dico che costava cinque, dieci lire in più! E invece… me li tengo io quelli spiccioletti!»

    E- «Bene, e quei soldini che rubi alla tua mamma dove li metti? Avrai un salvadanaio! Tutti i ragazzi lo hanno, lo rompi e prendi un po’ di soldi, così come un giorno farò io, e poi cosa credi che gli dobbiamo offrire, un pranzo?!»

    T- «E che facciamo, a lui offriamo il caffè e un cannolo e noi niente?! Anche noi dobbiamo mangiare qualcosa!»

    E- «Vuol dire che

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