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Un archeologa da domare: Harmony History
Un archeologa da domare: Harmony History
Un archeologa da domare: Harmony History
E-book237 pagine2 ore

Un archeologa da domare: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1815
Dopo aver perso tutto quello che aveva di più caro in un terribile incendio, Max Aldersley, Conte di Rivenhall, decide di chiudere il mondo fuori dalla propria vita, fino a quando non sorprende Effie Nithercott a scavare buche nella sua proprietà. Oltraggiato dall'impudenza della giovane e dalla sua avvenenza! Max allontana bruscamente l'intrepida archeologa e il sentimento improvviso che ha suscitato in lui. Un'emozione a cui non era preparato e che mette a dura prova la solitudine in cui aveva deciso di rinchiudersi. Ma Effie non è il tipo di donna che si lascia sopraffare dall'autorità di un uomo, neppure da quella di un conte. Così ritorna più determinata e desiderabile che mai, decisa a scavare non solo nel terreno di Max, ma anche nel suo cuore.
LinguaItaliano
Data di uscita19 giu 2020
ISBN9788830516342
Un archeologa da domare: Harmony History

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    Anteprima del libro

    Un archeologa da domare - Virginia Heath

    successivo.

    1

    Trecento acri...

    «Cosa credete di fare?»

    Il ragazzino scarmigliato si alzò a sedere e lo guardò, perplesso, da dietro le spesse lenti degli occhiali. Quando Max Aldersley aveva visto il monello in ginocchio a terra aveva pensato che fosse un bracconiere e stava per superarlo, non gli importava se qualcuno dei suoi fagiani finiva nella pentola di una famiglia povera. Solo perché lui non aveva più alcun appetito non significava che il resto della popolazione non potesse mangiare, e comunque non gli era mai piaciuto il fagiano neppure quando gustava quello che aveva nel piatto, perciò per lui non faceva alcuna differenza. Però, quando giunse sulla sommità della collinetta al confine della sua nuova proprietà, cercando di ammazzare il tempo, individuò buche in terra, pale, attrezzi e una carriola, e si rese conto che l'intruso stava scavando nel terreno.

    «Vi ho fatto una domanda!» gridò, irritato, perché doveva sforzarsi di parlare e di interessarsi a un altro essere umano quando non era dell'umore giusto per fare nessuna delle due cose. Gli occhiali ingrandivano gli occhi scuri del ragazzino. Erano gli occhiali più strani che Max avesse mai visto, senza stanghette, ma legati dietro la testa con un nastro rosso. Forse il monello era tanto povero da non potersene permettere un paio decente. Spostò lo sguardo sul pennello e la cazzuola che il ragazzo aveva in mano, e poi sulla buca. In mezzo al fango sporgeva un oggetto sferico, come un vaso. Lo stava seppellendo o estraendo? In ogni caso era tutto molto bizzarro e sgradevole, e gli richiedeva uno sforzo esagerato. «Perché avete sconfinato nella mia terra?» lo interrogò.

    «La vostra terra?» ripeté il ragazzo. Però la voce era femminile, e Max si diede dello stupido mentre l'intruso si alzava in piedi.

    Ora era chiaro e inequivocabile che si trattava di una donna. Quando l'aveva vista intenta a raschiare in mezzo al fango aveva dato per scontato che fosse un ragazzino, un errore facile, perché indossava calzoni e scarponi da lavoro. Uno nero e l'altro decisamente marrone.

    «Oh, salve! Dovete essere l'attuale Lord Rivenhall.»

    Per Max sarebbe stato più facile presentarsi, davanti a un uomo. Se avesse saputo che era una donna non si sarebbe avvicinato, indipendentemente da quello che lei stava facendo lì. Però adesso vedeva come i calzoni fasciavano il fisico femminile, i fianchi voluttuosi e, per giunta, che l'ampia camicia di lino infilata alla bell'e meglio nei pantaloni nascondeva a stento il bel seno. Aveva un corpo che sembrava fatto per il peccato. Purtroppo il resto non era all'altezza; e meglio così, tutto sommato, perché i suoi giorni da peccatore erano finiti per sempre.

    Quei bizzarri occhiali e il cappello marrone floscio che copriva i capelli le celavano i lineamenti, il poco che era scoperto del viso era macchiato di fango. Lei gli rivolse un sorriso cordiale, accarezzando il muso del cavallo. «Siamo vicini, milord» lo informò. «Ieri sono venuta a trovarvi, e altre due volte, la scorsa settimana, ma eravate indisposto. Sono Miss Euphemia Nithercott, figlia del dottor Henry Nithercott di Hill House.»

    Gli porse la mano. Max la guardò come se fosse stata un cobra e cercò di dissimulare il suo viscerale timore del contatto umano dietro una maschera scontrosa, ignorando il suo gesto amichevole e restando immobile a incombere minaccioso su di lei dalla sella. «Detesto profondamente i medici» sentenziò.

    «Papà non era un dottore in medicina, ma un accademico, specializzato nella traduzione di testi anglosassoni» gli spiegò lei. «Ha insegnato a Cambridge per trentacinque anni.»

    Blaterava illudendosi che quello che diceva avesse una qualche importanza, ma a lui non interessava più niente. Voleva solo restare da solo, e aveva sperato di poterlo fare, in quella estesa tenuta isolata. E invece, dopo due settimane aveva già una compagnia indesiderata.

    Max arricciò le labbra, per farle capire che non nutriva un'opinione migliore degli accademici, e fu sollevato quando lei ritrasse la mano, imbarazzata, e la strinse con l'altra dietro la schiena, mentre il suo sorriso allegro si spegneva. «Era molto stimato nel suo campo.»

    Mostrare anche il minimo interesse avrebbe aperto una diga di chiacchiere insulse. «Miss Nithercott, questa è una proprietà privata, e non avete alcun diritto di trovarvi qui. Andate via subito.»

    «Veramente stavo per andare. Comunque ho il permesso di stare qui. Non sono un'intrusa.» Gli rivolse un sorriso accondiscendente. «Però capisco che vi siate allarmato vedendo qualcuno qui a quest'ora. Vostro zio Richard, il precedente proprietario, mi ha dato il permesso di scavare queste rovine, anni fa. Forse vi ha parlato di me nelle sue lettere?»

    «No.» Max non aveva contatti con lo zio e con suo padre da tutta la vita. L'unica lettera dello zio l'aveva letta dopo la sua morte, mesi dopo che suo padre e lo zio mai conosciuto erano passati a miglior vita. Nella lettera suo zio gli faceva le condoglianze per la perdita del padre e si diceva dispiaciuto per non essersi mai riconciliato con lui. Max, però, era troppo impegnato a lottare per restare in vita per accorgersi della scomparsa del padre. Quando infine era emerso dall'agonia infernale in cui era precipitato e si era trovato in una nuova vita tetra, aveva maledetto il destino per non essere morto anche lui.

    «Be', non importa.» La ragazza agitò una mano infangata. «Lord Richard era affascinato dai miei reperti, ed era interessato alla storia antica di Rivenhall. Come vedete, ho trovato un importante sito archeologico. A Rivenhall Abbey c'era stato un insediamento per circa mille anni, e da dieci anni conduco scavi per portarne alla luce i segreti. È tutto molto interessante.»

    Max guardò con indifferenza le pietre che spuntavano dal terreno. Distingueva vagamente i resti di un muro, ma per il resto non vedeva niente per cui entusiasmarsi tanto. D'altronde era da tanto tempo che aveva perso ogni interesse per tutto e tutti.

    «Se voleste smontare di sella, milord, sarei più che lieta di mostrarvi ciò che ho trovato finora.»

    Max avrebbe preferito cavarsi gli occhi da solo. Voleva solo raggomitolarsi in un angolo per piangersi addosso. Si detestava per quello, ma non sembrava in grado di uscire dal pozzo di disperazione in cui languiva. «Il vostro permesso è revocato, Miss Non so chi siete. Prendete le vostre cose e lasciate subito la mia terra. Se vi rivedrò qui vi sguinzaglierò contro i cani!» Con quella minaccia, ma pronunciata in tono incolore, senza il piglio necessario, girò il cavallo e fece per allontanarsi, ripromettendosi di comprare dei cani al più presto.

    «Non potete! È un sito di immensa importanza...» Max sentiva i suoi passi pesanti mentre lei gli correva dietro, e gli giunse una fragranza di rose, quando si avvicinò. «Devo continuare gli scavi. C'è ancora così tanto da scoprire. Non capite?»

    Max avrebbe dovuto ignorarla, e invece tirò le redini e si fermò, poi si girò a guardarla, pentendosi non appena vide il suo sguardo speranzoso. «Tornate a casa, Miss Nodcock

    Andatevene, vi prego.

    «Nithercott» lo corresse lei. «So che è un nome strano, ma che posso farci? È originario del Somerset, ma mio padre è venuto nel Cambridgeshire prima della mia nascita. Un caso fortunato, perché dubito che avrei trovato un sito di valore come Rivenhall Abbey. Vi garantisco che trovereste affascinante la vostra storia, se mi permetteste...»

    «Non ci scommetterei.»

    «L'abbazia risale al quindicesimo secolo» continuò lei, imperterrita, indicando le rovine in lontananza. Max lo sapeva già, l'aveva letto in un libro che aveva aperto quando era entrato per la prima volta nella biblioteca il giorno dopo il suo arrivo, prima di buttarlo via per crogiolarsi nella commiserazione di sé fissando il muro. A sentire sua sorella, gli piaceva troppo piangersi addosso. Max era d'accordo, ma non aveva la forza di smettere. Almeno compatirsi gli dava qualcosa da fare, nelle interminabili ore vuote delle sue giornate. «Ma le parti più antiche sono chiaramente normanne» riprese lei. «Ci sono degli interessanti reperti medievali intorno alle mura dell'abbazia, ma solo quando ho cominciato ad allontanarmi dalla costruzione, negli scavi ho trovato delle prove di un insediamento precedente.»

    Mentre parlava, una lieve brezza gli scostò i capelli dal volto e lei vide le cicatrici. Sgranò leggermente gli occhi sotto le lenti di quei ridicoli occhiali e per un attimo il sorriso vacillò, ma poi lei si riprese in fretta. Il suo sorriso era più cordiale di molti di quelli che si trovavano per la prima volta davanti alla sua deformità, ma era comunque educato e venato di quella pietà che Max detestava.

    Girò istintivamente il cavallo per farle vedere solo la parte intatta del suo profilo, poi le lanciò un'occhiata irritata, nascondendo l'orrore del suo volto alla sua vista. Lei continuava a sorridere gesticolando mentre indicava qua e là, infastidendolo con il suo chiacchiericcio continuo e turbandolo con la sua femminilità.

    «Per esempio, quelle mura sono romane, e sembrano resti di abitazioni povere. Ho già raccolto diversi manufatti di uso quotidiano del periodo, molto utili per ricostruire la vita dell'epoca. L'anno scorso mi sono spostata qui nella speranza di trovare un tempio, o una villa, che spiegherebbe la presenza di edifici più piccoli tanto vicini. Però di recente ho fatto delle scoperte che hanno mutato del tutto la mia prospettiva. Credo di essere sul punto di dimostrare che l'insediamento è precedente alla conquista romana. Lord Richard sarebbe stato entusiasta! Non vedo l'ora di riportare alla luce tutto.»

    Dio, quanto parlava! Era con lei da qualche minuto e aveva già un ronzio alle orecchie. Max evitava ogni incontro, quando poteva, e avrebbe dovuto troncare sul nascere quella conoscenza per avere la pace e la solitudine che desiderava. L'ultima cosa che voleva era una donna che scavava nella sua terra e intendeva continuare a tempo indeterminato.

    «Non so come dirvelo, ma Lord Richard è morto, e insieme a lui qualsiasi accordo che abbiate fatto» replicò con sarcasmo. Lei batté più volte le palpebre, e Max non poté fare a meno di notare le sue lunghe ciglia. Basta, doveva smetterla di accorgersi di particolari femminili. Quella parte della sua vita era finita.

    Però proprio in quel momento lei sciolse il nastro, e le lenti si abbassarono a rivelare due begli occhi della stessa tinta del buon whisky scozzese invecchiato. Troppo belli e troppo intelligenti, pensò mentre lei lo fissava.

    «Fuori dalla mia terra, Miss Nithercott! Non voglio più rivedervi qui.»

    Lei si indignò e negli occhi castani con pagliuzze dorate si accese un lampo d'ira, mentre metteva le mani sui fianchi deliziosamente tondi. Aprì la bocca, ma lui sollevò una mano per troncare sul nascere le sue proteste.

    «Chiuso il discorso. Prendete le vostre carabattole e andatevene. Da questo momento in poi non potrete più mettere piede a Rivenhall Abbey, e gli accordi con lo zio che non ho mai conosciuto sono rescissi.»

    Max non si curò di attendere la sua reazione e, ansioso di darsi alla fuga, spronò Drake e si lanciò al galoppo, il più lontano possibile.

    2

    Giorno di scavi 756: nessun progresso, a causa di circostanze assolutamente impreviste...

    Malgrado si sforzasse di restare calma, Effie era talmente furibonda che neppure la bella passeggiata di due miglia da Hill House all'abbazia era riuscita a calmarla.

    Che individuo sgarbato e insopportabile! Come aveva osato cercare di impedirle di continuare gli scavi? Il passato era tutto, per lei, e non avrebbe saputo cosa fare, se non poteva tenersi impegnata a svelare i segreti nascosti dell'abbazia. Quello che era cominciato come un diversivo per evitare la disperazione per il suo strano destino era diventato la sua salvezza, l'unico posto in cui si sentiva veramente a casa.

    Che uomo orrendo! Che differenza faceva, per lui, se scavava intorno alle rovine? Era al margine estremo della sua tenuta, e il terreno non poteva essere sfruttato per l'agricoltura, per la presenza di quelle antiche fondamenta che erano lontane da casa sua. Aveva tanti acri di terra in cui scorrazzare a cavallo. Era stato irragionevole e ostile, e lei non avrebbe avuto tempo per un tipo così, in circostanze normali.

    Però, da un punto di vista legale Lord Rivenhall non aveva torto. Non aveva alcun obbligo di onorare un impegno tra vicini preso dallo zio anni prima, perché ora la tenuta era sua e poteva farne quello che voleva. Non c'era un contratto scritto perché non serviva, tra amici e, a quanto Effie ne sapeva, la promessa di un gentiluomo moriva con lui. A meno che non potesse contrattare altre condizioni con il suo burbero nuovo vicino, Lord Rivenhall aveva tutto il diritto di impedirle di scavare nelle sue terre.

    Quella prospettiva la faceva infuriare ancora di più. Come osava, quell'individuo arrogante, essere tanto insensibile nei confronti del lavoro importante che stava facendo all'abbazia? Si aspettava davvero che abbandonasse i suoi studi solo perché gliel'aveva ordinato? Aveva una mezza idea di presentarsi alla sua porta, chiedere udienza e dirgliene quattro. Certo, se avesse ceduto all'impulso avrebbe potuto dire addio ai suoi scavi, insieme ai suoi obiettivi e alla sua sanità mentale.

    Se suo padre fosse stato ancora in vita le avrebbe raccomandato prudenza. Le avrebbe consigliato di appellarsi alla ragione, di mettere da parte le emozioni e trovare un compromesso. Le avrebbe citato Benjamin Franklin: Le parole aspre non procurano amici, un cucchiaio di miele cattura più mosche di un secchio di aceto. Gli erano sempre piaciuti gli aforismi e detestava discutere, al contrario di Effie, che non si tirava indietro quando riteneva che la situazione lo richiedesse. E quell'insopportabile Lord Rivenhall lo richiedeva, eccome! Se non fosse stato il proprietario della terra su cui stava conducendo gli scavi gli avrebbe spaccato la testa con la vanga!

    Per colpa sua ora stava sprecando l'intera mattinata per una missione diplomatica invece di terminare di estrarre quel magnifico vaso. In tutti gli anni di scavi a Rivenhall non aveva mai trovato un reperto di simile importanza. Al solo pensiero era piena di emozione e impazienza. Non farlo emergere dalla sua prigione di fango per esaminarlo e non continuare a scavare intorno sarebbe stata una vera tragedia.

    Si fermò davanti alla porta dell'orribile conte e trasse un respiro profondo. Le parole aspre non procurano amici, si ripeté. Non che avesse molti amici, però, più per la sua particolarità che per la sua lingua tagliente. Lord Rivenhall non ne era a conoscenza, a meno che la notizia non gli fosse giunta tramite i pettegolezzi o i domestici ficcanaso, benché Effie vivesse praticamente da eremita.

    La casa di per sé non la intimidiva, andava in visita dal precedente Lord Rivenhall sin da quando aveva dieci anni. Per assecondare la sua passione per l'antichità lui le aveva sempre permesso di esplorare la sua vasta biblioteca, oltre a condurre gli scavi. Era morto da un anno, e fino ad allora Effie aveva preso il tè con lui almeno due volte alla settimana. E adesso il suo destino era nelle mani del burbero nipote.

    Per educazione, Effie bussò alla porta, invece di entrare dalle cucine come sempre. Come offerta di pace per quel bisbetico del conte aveva in mano un cestino pieno di dolci appena sfornati e una bottiglia di ottimo brandy della riserva di suo padre.

    Il maggiordomo, Smithson, guardò con aria divertita i suoi omaggi e con stupore il vestito che indossava, ma subito l'imbarazzo velò la sua espressione. «Domando scusa, Miss Euphemia, ma Lord Rivenhall è di nuovo indisposto. Se volete lasciare il cesto, gli dirò che siete passata» la informò, implorandola con lo sguardo di andarsene.

    Effie se l'aspettava. In paese non si parlava d'altro che del fatto che il nuovo proprietario di Rivenhall Abbey si rifiutava categoricamente di ricevere visite. Oltre a lei, anche il vicario e sua moglie erano stati respinti, quando erano andati a trovarlo, per ben due volte, per dargli il benvenuto nella parrocchia. La stessa fine avevano fatto il giudice locale e il medico, il dottor Samuels.

    Però quel giorno le cose sarebbero cambiate. Volente o nolente, Lord Rivenhall l'avrebbe ricevuta!

    Effie aveva addirittura indossato un vestito, per l'occasione. Lo faceva di rado, visto che passava le giornate da sola a scavare, ma purtroppo per esperienza sapeva che gli uomini reagivano sempre con maggior indulgenza se cercava di assomigliare all'immagine che avevano della figlia di un gentiluomo. Come se gonne e nastri potessero bastare a farla sembrare meno strana! Effie si era ripromessa anche di dissimulare il proprio intelletto. Niente intimidiva un uomo quanto una donna troppo intelligente... anche se non portava i calzoni.

    Sorrise al maggiordomo con aria di scusa. «No, grazie, Smithson. Aspetterò finché Sua Signoria non mi riceverà, anche a costo di mettere radici in salotto. Potete avvertirlo?»

    Smithson annuì piano, con un accenno di smorfia. «Ci proverò, Miss Euphemia.» Poi si sporse verso di lei e bisbigliò: «Se fossi in voi, comunque, non ci conterei. Non è un tipo molto socievole».

    Si allontanò mentre Effie entrava nel salottino e si sedeva sulla sua poltroncina preferita vicino all'ampia portafinestra che dava sul bel giardino. Avrebbe dato qualsiasi cosa per trovarsi all'aperto, invece di essere bloccata in quella casa.

    Pochi minuti dopo il maggiordomo tornò, visibilmente agitato. «Ho l'incarico di dirvi che Lord Rivenhall è indisposto e che tale rimarrà nel prossimo futuro, e anche che...» Si interruppe e si guardò le scarpe, imbarazzato, «... che d'ora in avanti vi è proibito mettere piede in questa tenuta. Mi rincresce moltissimo.»

    Effie alzò gli occhi al cielo, poi si sforzò di sorridere. «Grazie di avermi riferito la posizione del conte, Smithson, però, come ho detto, sono decisa ad aspettare tutto il tempo che servirà» replicò con sussiego.

    La

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