Magia d'amore (La collezione eterna di Barbara Cartland 12)
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Anteprima del libro
Magia d'amore (La collezione eterna di Barbara Cartland 12) - Barbara Cartland
Magia d'amore
Barbara Cartland
Magia d'amore
Translated by Lidia Conetti Zazo
Saga
Magia d'amore
Translated by Lidia Conetti Zazo
Original title: The Race for Love
Original language: English
Immagine di copertina: Shutterstock
Copyright © 1978, 2021 Barbara Cartland and SAGA Egmont
All rights reserved
ISBN: 9788728034750
1st ebook edition
Format: EPUB 3.0
No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.
www.sagaegmont.com
Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.
I
1885
All’ingresso del duca in sala da pranzo due delle signore al tavolo della colazione si affrettarono ad alzarsi in piedi.
«Buongiorno, Hermione!» esclamò il duca, soffermando uno sguardo di approvazione sulla bellezza al latte e alle rose della figlia.
«Buongiorno, papà» rispose Lady Hermione.
Silenziosamente, il duca lanciò uno sguardo alla ragazza che si era alzata a sua volta all’altro capo del tavolo.
«Buongiorno, zio Lionel!» si affrettò a dire questa.
Senza rispondere, emettendo un suono singolarmente simile a un gemito, il duca sedette a capotavola.
Il maggiordomo si affrettò a mettergli davanti una copia del Times
accuratamente stirata in guardaroba. Dopo avergli riempito la tazza un lacchè appoggiò il bricco del caffè davanti a lui, mentre un altro gli offriva un piatto d’argento con il suo stemma.
«Di nuovo animelle?» chiese il duca. «Che altro c’è?»
«Rognone, Vostra Grazia, uova al prosciutto e salmone.»
Il duca rifletté, quindi con espressione che diceva chiaramente come gli fosse tutto ugualmente sgradito si servì le animelle offertegli per prime.
«Dovete essere stanco, Lionel» osservò la duchessa in tono sollecito. «A mia conoscenza il treno non è mai stato in ritardo come ieri sera.»
«Il servizio ferroviario peggiora sempre. Speravo di prendere un treno che arrivasse prima, ma mi è stato impossibile.»
«Impossibile?» chiese la duchessa.
«Intendo appunto parlarvene.»
Aveva usato un tono che la moglie interpretò correttamente come un’allusione al fatto che non desiderava parlare davanti ai domestici. La rastrelliera d’argento con il pane abbrustolito gli venne messa accanto insieme a un campanello d’oro, quindi il maggiordomo e i lacchè si ritirarono; e mentre la porta si richiudeva alle loro spalle tre paia di occhi si volsero impazienti a capotavola.
Il duca era ancora bello. In gioventù era stato molto ammirato, ma ora i suoi capelli diventavano grigi e il volto era segnato da rughe che lo facevano apparire più vecchio di quanto non fosse. Il suo portamento grave e dignitoso lo faceva notare tuttavia dovunque apparisse.
La duchessa non portava gli anni altrettanto bene. Quando il duca l’aveva sposata era una fanciulla graziosa, con i capelli biondi, ma ora sembrava sbiadita, sebbene questo non rendesse meno forte la sua personalità. La sua imperiosità innervosiva gli estranei e otteneva il risultato di raggelare la maggior parte dei ricevimenti che avevano luogo al castello di Langstone, facendoli apparire agli occhi di chi vi partecipava per la prima volta una difficile prova.
Lady Hermione Lang era l’orgoglio del cuore paterno. Molto graziosa, aveva una purissima carnagione inglese, capelli biondi con riflessi dorati e occhi azzurro pallido. Forse non avrebbe ricevuto tante attenzioni e complimenti ove la sua posizione in società non fosse stata quella che era. Ma poiché era la figlia di un duca, il fascino della sua posizione si aggiungeva a quello del suo aspetto facendola sembrare più bella di quanto fosse a chi la vedeva o leggeva di lei nei giornali mondani.
L’altra giovane commensale era molto diversa. Alita Lang era la nipote del duca. Veniva tollerata in casa degli zii e non compariva mai sulla facciata
, come si diceva, se non quando non c’erano ospiti.
Mentre Lady Hermione era vestita all’ultima moda, con un abito guarnito di elaborati ricami, drappeggiato sul davanti e raccolto in un puff sulla schiena, l’abito di Alita era molto diverso. Confezionato da una mano palesemente inesperta in una sgradevolissima sfumatura di marrone, senza alcuna guarnizione, faceva sembrare terreo il suo viso, il che spiegava forse lo sguardo sprezzante che lo zio le aveva lanciato, affrettandosi a distoglierlo.
Ma Alita era troppo abituata a essere trattata così dai suoi congiunti per esserne ferita. Come se il loro atteggiamento rendesse anche lei indifferente al proprio aspetto, si raccoglieva trascuratamente i capelli sulla nuca senza cercare di impedire a qualche ricciolo di sfuggire alle forcine, mentre ciocche leggere le incorniciavano disordinatamente il volto.
Gli occhi che guardavano ora lo zio erano grigi, in armonia con l’insolito colore dei suoi capelli. Qualcuno li aveva definiti una volta color cenere.
«Sei biondo cenere» le aveva detto una delle sue istitutrici. Ma era stato molti anni prima, quando il suo aspetto era importante non solo per il padre e la madre, ma anche per lei.
Ora si dava raramente la pena di guardarsi allo specchio quando si alzava alla mattina, e se lo faceva quando si cambiava per cena era solo per assicurarsi di non avere un aspetto tanto trascurato da attirarle i rimproveri della zia.
«Quanto devo comunicarvi» diceva ora il duca con la lentezza che spesso infuriava i suoi coetanei «è che Yeovil, il fiduciario del povero D’Arcy, mi ha trattenuto fino a tardi al club per parlarmi della vendita di Marshfield House e della proprietà.»
«È stata venduta?» esclamò la duchessa. «Perché nessuno me lo ha detto?»
«Ve lo sto dicendo, cara.»
«Ho chiesto al signor Bates solo una settimana fa se avessero un acquirente» proseguì la duchessa in tono lamentoso «e mi ha assicurato che la casa era troppo grande per interessare molta gente. Ha affermato che i fiduciari speravano di trovare un milionario!»
«E è esattamente quanto hanno trovato.»
«Un milionario?»
«Un multimilionario!»
«Oh, papà, è emozionante!» esclamò Hermione.
«Molto emozionante, Hermione. Sono stato presentato al gentiluomo in questione due giorni or sono, al castello di Windsor, dall’ambasciatore Americano.»
«L’ambasciatore americano?» chiese la duchessa.
«L’acquirente di Marshfield House, mia cara, è americano.»
La duchessa non celò il proprio disappunto, ma senza darle il tempo di esprimere i suoi sentimenti il duca proseguì:
«Clint Wilbur è un giovane gentiluomo molto attraente, vi assicuro. L’ho invitato a cena per questa sera.»
«Questa sera? Ma non c’è molto tempo per organizzare un ricevimento.»
«Non abbiamo alcun bisogno di un ricevimento. Pensavo potesse essere piacevole per il signor Wilbur conoscerci nell’intimità familiare.»
Lanciò uno sguardo a Hermione. Alla duchessa, che non era una sciocca, non sfuggì quanto pensava il marito.
«Ma un americano!» disse, quasi egli avesse espresso a alta voce i suoi pensieri.
«A quanto ho saputo, i Wilbur sono una famiglia che gode di grande rispetto e prestigio. L’ambasciatore mi ha detto che sono imparentati con i Vanderbilt e gli Astor.»
«È davvero tanto ricco, papà?»
«Mi hanno detto che è uno degli scapoli più ricchi e ambiti d’America: possiede una quantità astronomica di giacimenti di petrolio, di ferrovie, di linee marittime e chissà quante altre cose.»
Come se avesse finalmente accettato il suo messaggio, la duchessa disse: «Senza dubbio dovremo fare del nostro meglio per aiutare il signor Wilbur a ambientarsi. Non capisco tuttavia perché desiderasse acquistare una proprietà tanto vasta in Inghilterra».
«Wilbur mi ha detto di essere interessato a acquistare cavalli, in particolare cavalli per la caccia.»
Ora il duca lanciò uno sguardo alla nipote, e come gli sembrasse di vederla disattenta la richiamò all’ordine con asprezza:
«Avete udito quanto ho detto, Alita?»
«Sì, zio Lionel.»
«Allora vogliate avere la bontà di assicurarvi che i cavalli ai quali dedicate tanto tempo appaiano nella loro luce migliore quando il signor Wilbur verrà a vederli.»
«Lo farò, zio Lionel.»
«Discuterò con Bates i prezzi che dovremo chiedere per loro.»
«Sono in grado di giudicare di gran lunga meglio del signor Bates quanto renderebbero a un’asta di cavalli» ribatté Alita.
Seguì un breve silenzio, come se la sua competenza avesse indispettito il duca, che rispose quindi a malincuore:
«Benissimo, ne discuterò con voi. È la vostra occasione di dimostrarmi che tutto il denaro che mi avete indotto a spendere per le scuderie è stato un buon investimento.»
«Sono certa che il signor Wilbur non troverebbe facilmente cavalli migliori da acquistare, almeno in questa zona.»
«Non vendete troppi cavalli, papà» esclamò Hermione con petulanza. «Voglio alcuni dei migliori per andare a caccia quest’anno. Quelli che ho cavalcato l’anno scorso erano di gran lunga troppo sfrenati. Mi facevano paura!»
Alita guardò la cugina pensando, come aveva fatto spesso, che Hermione non avrebbe dovuto cavalcare affatto. Aveva sempre paura del cavallo, per quanto docile potesse essere, e era ben più attraente quando assisteva alla caccia seduta in carrozza o in calesse, senza prendervi parte.
Ma Hermione sapeva benissimo che se desiderava conoscere dei gentiluomini senza la rigida formalità che vigeva in casa dei genitori l’occasione migliore era una battuta di caccia.
Ogni inverno si costringeva dunque a cacciare, sebbene odiasse farlo.
«Di quanti cavalli avrà bisogno il signor Wilbur?» chiese la duchessa.
«Auguriamoci che li compri tutti! Sapete bene che abbiamo bisogno di denaro.»
La duchessa sospirò.
«Volevo parlarvi di questo, Lionel, ma ho deciso di aspettare il vostro ritorno da Windsor.»
«Se intendete chiedermi un aumento dell’assegno per la casa o un inutile abbellimento al castello potete risparmiare il fiato!» Aveva parlato con asprezza e ora volse la sua attenzione al Times
, aprendolo con un gran frusciare di pagine e ripiegandolo accuratamente per poter leggere, come faceva sempre, l’articolo di fondo.
«È facile per