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Nozze in alto mare: Harmony History
Nozze in alto mare: Harmony History
Nozze in alto mare: Harmony History
E-book233 pagine3 ore

Nozze in alto mare: Harmony History

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Info su questo ebook

Inghilterra/Spagna/Francia, 1818
Jack Worth, scapestrato giramondo, ha ereditato il titolo di Conte di Elderidge ma non l'ingente fortuna a esso legata, che invece è stata lasciata alla giovanissima Lady Laurel. Così, poiché l'unico modo per tornare in possesso di ciò che ritiene suo di diritto è il matrimonio, propone alla fanciulla un'unione di convenienza e la sposa a bordo della nave che li riporta in Inghilterra. L'intesa tra i due appare subito perfetta... finché lui non scopre che Laurel non è affatto la figlia del defunto conte, come gli aveva detto, e minaccia di denunciarla alle autorità. Solo quando lei svanisce senza lasciare tracce si rende conto di amarla alla follia e di non volerla perdere. E allora parte per cercarla. Sperando che non sia troppo tardi...
LinguaItaliano
Data di uscita10 giu 2019
ISBN9788858998847
Nozze in alto mare: Harmony History

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    Anteprima del libro

    Nozze in alto mare - Lyn Stone

    Immagine di copertina:

    Gian Luigi Coppola

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Substitute Countess

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2013 Lynda Stone

    Traduzione di Mariadele Scala

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A..

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-5899-884-7

    1

    Londra, settembre 1818

    Jackson Worth diede uno strattone al nodo della cravatta nuova che indossava. Quella dannata striscia di stoffa inamidata lo strangolava e gli irritava la pelle del mento. Il titolo nobiliare che aveva appena ereditato lo infastidiva ancora di più. Si alzò in piedi e prese a camminare su e giù per la stanza.

    Che cosa se ne faceva di una contea che comportava solo pesanti responsabilità, senza il supporto di un sostanzioso capitale per affrontarle?

    Maledizione, la sua vita gli era piaciuta così com’era! Doveva badare unicamente a se stesso e il più delle volte ci riusciva molto bene. Quando le cose andavano male, solo lui pativa le conseguenze.

    Era stata la filosofia di vita di suo padre, si rese conto con una smorfia di disappunto, tornando a sedersi e tamburellando con le dita sui braccioli della sedia.

    «Siete sicuro che non ci sia nessun altro possibile erede nella linea della successione al titolo?» chiese a Mr. Hobson, che sedeva dietro la scrivania. «Non posso accollarmi questo onere. Tutto il denaro che possedevo era impiegato nella mia ultima attività di trasporto marittimo.»

    Un disastro, come aveva spiegato poco prima all’avvocato. Ne aveva avuti parecchi di disastri, ma si viveva e si imparava. Chi non risica, non rosica: era il suo motto. O meglio, era stato il suo motto.

    La sua unica nave era affondata e il denaro dell’assicurazione era servito per risarcire gli uomini dell’equipaggio che erano sopravvissuti e chi aveva investito nell’impresa. Ah, avrebbe dovuto assumere lui stesso il comando di quella malaugurata imbarcazione.

    Si sarebbe ripreso, era chiaro. L’aveva già fatto. Ma ci sarebbe voluto del tempo: avrebbe dovuto darsi da fare, viaggiare e impegnare tutte le proprie energie. Tre cose che un conte non avrebbe potuto permettersi, dovendo amministrare una grande proprietà e mantenere e controllare le persone che vi abitavano e lavoravano.

    L’avvocato sorrise, girando verso Jack il documento che aveva davanti perché potesse leggerlo. «Vi assicuro che sono state fatte indagini molto accurate, milord. Prima di morire, il precedente Conte di Elderidge aveva ordinato di compiere una ricerca per individuare un erede maschio. Il vostro lignaggio è ben documentato nei registri della parrocchia, dove ci sono le prove certe che vostro padre e il defunto conte avevano un trisavolo in comune, il quarto Conte di Elderidge, per la precisione.»

    «Nessuno mi aveva mai informato di questo» bofonchiò Jack.

    «La parentela era piuttosto remota. Forse vostro padre pensava che fosse un dettaglio di scarsa importanza. Eravate all’estero quando sono riuscito a reperire l’indirizzo di vostra madre a Plymouth e ad avvertirla che avreste dovuto mettervi in contatto con me appena foste ritornato in Inghilterra.»

    «Se avessi saputo, sarei rimasto ad Amsterdam» disse con un sospiro.

    «Una richiesta è già stata presentata alla Camera dei Lord, e lettere patenti sono già state emesse. Presto il vostro nome sarà pubblicato sul giornale. Il titolo e tutto ciò che comporta sono incontestabilmente vostri.»

    «Miei, dite?» Jack tornò a sospirare. «Senza mezzi per mantenere la proprietà. Che ne ha fatto Elderidge della sua ingente fortuna? L’ha sperperata al gioco?»

    «No. L’ha lasciata a sua figlia.» L’avvocato abbozzò un lieve sorriso. «La vostra lontana cugina, Lady Laurel, è l’unica figlia del conte.» Si appoggiò contro lo schienale della sedia e si accarezzò i grossi baffi con fare meditabondo. «Se posso darvi un consiglio, dovreste far uscire la ragazza dal convento, dove Sua Signoria l’aveva mandata, e sposarla. Così risolverete i vostri e i suoi problemi.»

    «In convento? Il conte era cattolico?» domandò Jack, non perché gli importasse, ma solo per avere il tempo di riflettere sulla proposta.

    Non aveva mai pensato a sposarsi, soprattutto non per interesse. Nemmeno per amore, a dire il vero. Amava la libertà di viaggiare e di fare ciò che voleva senza impegni e legami permanenti. Tuttavia, la situazione critica in cui era venuto a trovarsi all’improvviso richiedeva una soluzione. Doveva prendere seriamente in considerazione quel suggerimento.

    «Il conte era anglicano, naturalmente» precisò Mr. Hobson. «Ma la sua prima moglie era cattolica ed era anche una... cortigiana» soggiunse sottovoce. «Era stata la sua prima amante.»

    «Davvero?» Jack era allibito.

    Hobson annuì. «La mise incinta e scappò con lei. Fu uno scandalo, ma anche un oltraggio! Lei morì dando alla luce la bambina e il conte si risposò dopo pochi mesi. La sua nuova moglie non volle avere niente a che fare con la piccola nata dall’unione con una prostituta, così lui la affidò alle Suore di Nostra Signora di Cambre, in Spagna.»

    «Perché in Spagna?» Jack era incuriosito. Lui, figlio di un ufficiale di marina e della figlia di un mercante, non poteva immaginare la vita di un nobile. Tuttavia non capiva come un uomo, di qualsiasi rango, potesse abbandonare la sua primogenita, relegarla in un paese straniero e farla allevare da persone estranee. E lasciarla là, mentre la guerra infuriava.

    «Lord Elderidge aveva visitato la Spagna da ragazzo, credo» rispose Hobson. «In quel paese ci sono molti conventi di ordini religiosi inglesi, fondati secoli fa, dopo che qui furono sciolti. I cattolici inglesi mandano spesso le loro figlie a studiare in quei luoghi. In ogni modo, lei fu affidata alle Suore di Cambre quando era in fasce, ma il conte contribuì generosamente al suo mantenimento. Probabilmente pensava che la figlia avrebbe preso i voti, appena avesse raggiunto l’età adatta.»

    «E adesso le suore hanno deciso di buttarla fuori dal convento perché dopo la morte del conte non hanno più ricevuto il denaro?» chiese Jack, interessato suo malgrado.

    «Sarebbe potuta rimanere come novizia, ma dall’ultimo rapporto che ho ricevuto su di lei ho saputo che ha preferito accettare un impiego come istitutrice» riferì Hobson.

    «Sono stupito che le suore le abbiano permesso di accettare un lavoro, considerando chi è.»

    «Le suore non sono mai state a conoscenza dell’importanza della posizione sociale di Sua Signoria.»

    «Non andava mai a far visita alla figlia?»

    «Lei e il conte non si sono mai incontrati, dopo che lui la portò dalle suore. Ma allora era troppo piccola perché potesse mantenere un qualche ricordo. Dovete capire le circostanze, milord. A quel tempo, Elderidge non aveva ancora ereditato il titolo, era pungolato da suo padre, il conte, dalla sua nuova moglie e dai suoi pari. Tutti volevano che quella incresciosa storia fosse dimenticata e la bambina sarebbe stata il costante ricordo vivente del suo errore di gioventù.»

    «Ma è ingiusto e inconcepibile che l’abbia privata dei privilegi di cui avrebbe goduto» protestò Jack.

    «Sì, ma le risparmiò anche il disprezzo che avrebbe dovuto sopportare a causa della reputazione di sua madre, e le ha lasciato tutto il denaro che aveva ereditato, più quello accumulato in seguito.»

    «Che ne è della seconda moglie del conte?»

    «La vedova ha ricevuto la sua parte, naturalmente, che corrisponde in sostanza a ciò che aveva portato in dote. Ma l’eredità della figlia è considerevole, più che sufficiente per mantenere e far prosperare quella che ormai è la vostra proprietà. A dire il vero, è più di quello che voi e lei potreste mai spendere insieme. Sta a voi provvedere al bene della signora.»

    «Sposandola e privandola dell’unico compenso per il torto subito da parte di quel vecchio mascalzone? Mi assicurerò un posto all’inferno.»

    «È meglio che voi abbiate paura di andare all’inferno nell’altra vita, ma la salviate dall’inferno che lei deve sopportare in questa. La vostra unica alternativa è lasciare che al suo arrivo in Inghilterra si ritrovi alla mercé della donna che ha ordinato il suo allontanamento dalla vita del conte quando era una neonata indifesa. Fatela diventare una contessa, come le spetta, e amministrate il suo capitale nel migliore dei modi. Entrambi ne trarrete beneficio. È la cosa giusta da fare» decretò l’avvocato, spingendo una cartella di pelle verso Jack. «Qui dentro ci sono i documenti e le indicazioni relative alla tenuta in campagna e alla casa di città, e denaro per il viaggio. Duecento sterline dovrebbero bastare per recarvi in Spagna e ritornare con l’ereditiera.»

    «Io? Perché devo andare io a prenderla?»

    «Chi è più adatto?» Hobson sorrise. «Potreste andare laggiù, farle un po’ di corte e sposarla prima che arrivi in Inghilterra.» Fece una pausa e terminò. «Sarà riluttante al matrimonio se aspetterete che sappia della fortuna che ha ereditato. Potrebbe pensare che miriate al suo denaro invece che alla sua persona. Dubito che crederebbe che volete sposarla per il suo bene.»

    Jack si alzò in piedi e raddrizzò le spalle. «E se rifiutassi tutto? Il titolo di conte, la proprietà e il matrimonio di convenienza?»

    Anche Hobson si alzò, l’espressione grave. «Per legge, non potete rifiutare il titolo. Vi consiglio di sfruttare al meglio la situazione, servire il vostro paese e far fronte ai vostri doveri. Le persone che lavorano a Elderidge House e nelle terre, come la servitù qui in città, adesso dipendono da voi per campare... milord. E anche la giovane Lady Laurel» concluse, tornando a sospingere la cartella verso Jack.

    Lui accettò il denaro e tutto il resto. La maggior parte degli uomini avrebbe colto al volo quell’opportunità. Perché non doveva farlo anche lui? Aveva una contea da mantenere e il matrimonio con l’ereditiera gli avrebbe assicurato il futuro. Avrebbe detto addio alle imprese rischiose, non avrebbe più dovuto affannarsi a cercare investitori. Non era stupido. «Dove si trova?»

    «L’indirizzo è nella cartella.»

    «Il minimo che possa fare per quella povera ragazza è andare a prenderla e portarla a casa, qui in Inghilterra.»

    Mr. Hobson sorrise, soddisfatto. «Soprattutto, dovete mettervi in testa che non è una povera ragazza, ma il mezzo che avete a disposizione per salvarvi.»

    D’accordo, forse aveva bisogno di salvarsi da una situazione disperata. Sarebbe andato a dare un’occhiata per vedere se la ricca signorina e la sua fortuna potevano fare l’impossibile.

    «Toglietemi le mani di dosso!» gridò Laurel, sferrando un calcio negli stinchi del suo molestatore.

    L’uomo imprecò fra i denti e indietreggiò verso la porta, mentre lei si rifugiava dietro l’angolo della scrivania.

    «Non siete migliore dei vostri figli! Non hanno bisogno di un’istitutrice, signore, ma di un gendarme munito di randello. E anche voi!»

    L’uomo si raddrizzò e le lanciò un sorriso untuoso. «Usted sabe que usted está en mi misericordia!»

    «Non sono alla mercé di nessun uomo, signore!»

    La porta si aprì e la governante si fermò sulla soglia, facendo scorrere gli occhi allibiti dall’uno all’altra. «Señor Orencio?»

    Un uomo grande e grosso passò davanti alla donna prima che quella potesse annunciarlo e si avvicinò a Orencio. «Sono venuto per Miss Laurel Worth» disse. Poi si girò verso la giovane. «Siete voi?»

    Lei annuì, stupefatta del fatto che quell’uomo conoscesse il suo nome.

    «Fate i bagagli. Dovete venire in Inghilterra.»

    «In Inghilterra?» sussurrò lei.

    «Sì. Il prima possibile. La nave sta aspettando» rispose l’uomo, tornando a guardare Orencio, che doveva aver recepito qualche silenzioso ordine perché si scostò per permetterle di uscire dalla stanza.

    Laurel corse su per le scale e ripose in fretta e furia le sue poche cose nella borsa da viaggio di panno. Aveva i capelli in disordine e una manica del vestito strappata, ma non sprecò tempo a ricucirla per timore che lo sconosciuto cambiasse idea e se ne andasse senza di lei.

    Dopo pochi minuti era di nuovo nell’ingresso, davanti alla porta della biblioteca di Orencio, la borsa da viaggio stretta nella mano.

    Chi era l’uomo che era arrivato, e chi lo aveva mandato? Lui conosceva il suo nome e sapeva che era di origini inglesi. In quel momento, comunque, lei avrebbe accettato l’aiuto del diavolo in persona, pur di andarsene da lì.

    Lo sconosciuto era sicuramente inglese, oltre a essere molto bello e ben vestito. Ed era anche molto arrabbiato. Laurel sperò che non fosse in collera a causa sua, perché l’aveva sentita discutere con Orencio. L’idea che fosse il suo stato d’animo abituale la fece rabbrividire, ma lo avrebbe seguito ugualmente.

    Il gentiluomo in questione uscì dalla biblioteca proprio in quel momento. «Andiamo» le ordinò seccamente, dirigendosi verso la porta d’ingresso. Non si girò a vedere se ubbidiva, ma camminava come una furia.

    Laurel affrettò il passo per stargli dietro. «Dove mi portate?» gli domandò quando lui le strappò la sacca da viaggio dalla mano, la prese per la vita e la sollevò per metterla sul sedile di una carrozza aperta.

    «Ve l’ho detto: in Inghilterra» rispose, gettando la sacca in un angolo e prendendo le redini.

    «Datemi una spiegazione, vi prego!» implorò Laurel. Quell’uomo le faceva paura quasi quanto Orencio, che aveva respinto per più di una settimana. «Come fate a conoscermi?»

    L’uomo tirò fuori dalla tasca della marsina una lettera. «Leggete qui.»

    Laurel strappò il sigillo di ceralacca e lesse la missiva, che proveniva da Mr. Hobson, l’avvocato di Londra che in quegli anni le aveva mandato denaro per conto di suo padre. Le aveva anche fatto visita un paio di volte per vedere come stava e come procedevano i suoi studi. Ma non le aveva mai accennato a un suo ritorno in Inghilterra. Fino a quel momento.

    «Qui è scritto che siete Jackson Worth, Conte di Elderidge!» Laurel fissò lo sconosciuto. «Un conte?»

    «Sì. Vi chiedo scusa per essere stato sgarbato. Anzi, vi chiedo scusa per tutto il genere maschile. Dovete essere sconvolta e io ho aumentato il vostro tormento» disse con un profondo respiro.

    «In questo momento, sono più stupita che sconvolta, signore... milord» disse Laurel.

    «Il mio nome è Jack» rispose lui, più calmo.

    «Mr. Hobson scrive che siete l’erede di mio padre. Nessuno mi aveva mai detto che era un nobile!»

    E così era una bastarda. Lo aveva sospettato. Per quale altro motivo un padre avrebbe voluto escludere sua figlia dalla vista e dalla mente? Be’, non del tutto dalla mente, forse. Almeno aveva provveduto a lei finché non era diventata grande. Era già qualcosa.

    «Perché siete venuto a cercarmi? Voglio dire, perché proprio voi. Direi che il compito non era di vostra competenza» osservò Laurel, ravviandosi una ciocca di capelli, imbarazzata che qualcuno la vedesse in quello stato.

    Lui si voltò, poi tornò a spostare l’attenzione sulla strada. «Sono venuto perché siamo parenti. Sono vostro cugino. Se avessi saputo della vostra esistenza, sarei venuto prima a liberarvi da quel bruto.»

    Suo cugino. Laurel lo fissò, facendo scorrere gli occhi dal viso brunito alle spalle larghe, strette nella marsina dal taglio perfetto. La polvere del viaggio non sminuiva il suo fascino, e lui doveva saperlo.

    «Avete fatto i bagagli in fretta, o li avevate già preparati prima che arrivassi» osservò lui, abbassando gli occhi sulla sacca da viaggio. «Avevate deciso di andarvene. Dove?»

    «Sarei ritornata in convento» rispose, rinunciando a negare.

    «Non avevate intenzione di prendere i voti, altrimenti non sareste uscita.»

    Quella supposizione era irritante, come il sussulto allo stomaco che aveva provato quando aveva visto quell’uomo. Laurel inspirò profondamente per calmare i nervi. «Non avevo altra scelta.»

    «Non ha più importanza. Adesso ci attende una vita diversa» asserì lui in tono quasi allegro. «So che ignoravate che vostro padre era nobile. Mi hanno detto che nessuno in convento lo sapeva. Immagino sia stato un colpo per voi.»

    Laurel annuì e tornò a inspirare. Molti interrogativi le frullavano nella mente e non riusciva a metterli in ordine.

    «Dobbiamo raggiungere la costa prima che si faccia buio» disse lui, battendo le redini sul collo del roano.

    Avevano percorso un buon tratto di strada quando Laurel rientrò in possesso delle sue facoltà mentali e si rese conto che era alla mercé di un affascinante, perfetto estraneo. E se la lettera fosse stata falsa? Non aveva mai conosciuto un conte, ma aveva sempre immaginato che i nobili avessero un aspetto più signorile e un atteggiamento più cortese.

    In ogni modo aveva solo tre scelte. Poteva chiedergli

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