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L eredità ambita: Harmony History
L eredità ambita: Harmony History
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E-book237 pagine5 ore

L eredità ambita: Harmony History

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Info su questo ebook

Londra, 1821
Al compimento dei ventun anni Frances entrerà in possesso dell'eredità materna e potrà lasciare la casa dello zio, nella quale è sempre stata trattata male. A pochi giorni dal suo compleanno, però, questi le impone il matrimonio con il cugino Charles, infrangendo i suoi sogni. Frances, nascosta nella carrozza dell'affascinante lord Lafford, riesce a fuggire, ma viene scoperta dal nobiluomo che, scambiandola per una sguattera, la bacia. Il mattino seguente, svelata la sua identità, alla fanciulla non resta che accettare il matrimonio di convenienza che Lafford le propone, ma proprio quando inizia a capire che ciò che prova per il marito è qualcosa di più che una semplice attrazione, strani incidenti mettono a rischio la loro felicità.
LinguaItaliano
Data di uscita10 lug 2020
ISBN9788830517486
L eredità ambita: Harmony History
Autore

Anne O'Brien

Nata e cresciuta in Inghilterra, è un'appassionata ricercatrice storica che predilige in particolare il Medioevo e le leggi che riguardano la condizione femminile dell'epoca.

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    Anteprima del libro

    L eredità ambita - Anne O'Brien

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    The Runaway Heiress

    Harlequin Mills & Boon Historical Romance

    © 2004 Anne O’Brien

    Traduzione di Maria Laura Iervicella

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3051-748-6

    Prologo

    «Miss Hanwell, milord.»

    Akrill fece un rigido inchino e si scostò per consentire alla giovane donna di entrare nella stanza. Frances esitò un istante, consapevole di essere l’oggetto dell’attenzione di coloro che erano in attesa nello studio. Nonostante il cuore le battesse all’impazzata, si fece avanti imponendosi di restare calma. La lunga esperienza di umiliazioni sopportate in casa dello zio le suggeriva che non sarebbe uscita indenne nemmeno da quella situazione, qualunque fosse la ragione della sua perentoria convocazione.

    «Akrill mi ha informata che volevate vedermi, zio.»

    «Vieni qui, ragazza.» Il visconte di Torrington le fece cenno di avvicinarsi con un gesto impaziente.

    Frances avanzò fino allo scrittoio e lo fissò, sostenendo il suo sguardo a testa alta. La fanciulla non era abituata a vedere lo zio seduto nello studio. Il gentiluomo non aveva mai mostrato una particolare attitudine per gli affari, e sembrava a disagio mentre rovistava tra le carte ammucchiate alla rinfusa. La zia Cordelia, invece, era seduta su una sedia dall’alto schienale situata accanto al caminetto, la sua espressione era seria e imperscrutabile. Frances, però, credette di scorgere un lampo d’ingordigia in fondo ai suoi occhi, come se stesse pregustando l’esito di qualcosa di molto soddisfacente.

    «Ce ne hai messo di tempo ragazza» l’apostrofò lo zio.

    «Sono scesa non appena Akrill mi ha informata, milord.»

    «Comunque ormai è tutto stabilito» continuò lord Torrington senza alcun preambolo. Lanciò un’occhiata fugace verso la moglie, che continuò a restare in silenzio. «Tra due giorni sposerai mio figlio.»

    Quelle parole sembrarono giungerle da molto lontano. All’inizio Frances pensò di aver capito male, poi si sentì le labbra aride e le risultò arduo formulare una risposta coerente.

    «Sposare Charles?» mormorò alla fine.

    «Lo ritengo un ottimo affare per l’intera famiglia, con vantaggi finanziari da entrambe le parti.» Il visconte guardò accigliato il mucchio di conti e ricevute. «Tutto avverrà senza clamore, non ci saranno feste o invitati. L’unione sarà ufficializzata entro la fine della settimana.»

    «Charles?» Frances si voltò verso il cugino, sempre più incredula. «Anche voi lo volete davvero?»

    L’uomo era girato verso la finestra e stava fissando lo squallido e poco curato giardino. Alla sua domanda si voltò. «Naturalmente.» La sua espressione era gentile, proprio come la voce. «Dovete rendervi conto che si tratta di una buona sistemazione per tutti» affermò guardandola per un istante negli occhi. «Avreste dovuto aspettarvelo, Frances» affermò con un accenno di impazienza notando il suo sgomento.

    «No. No, io non... Come avrei potuto?» Una gelida morsa le attanagliò il cuore. «Credevo che...» Strinse le dita nelle pieghe della gonna per impedire che tremassero. «Quando il mese prossimo raggiungerò la maggiore età potrò disporre della mia eredità ed essere indipendente. La dote di mia madre mi permetterà di...»

    «L’eredità spetta di diritto alla tua famiglia» la interruppe il visconte con un gesto perentorio. «Dal tuo matrimonio con Charles trarremo tutti dei benefici.»

    «No! Io non intendo sposarmi.»

    Lady Torrington si alzò in piedi e si avvicinò alla nipote con sguardo impietoso. «Dovresti metterti in ginocchio davanti a noi e ringraziarci per tutto ciò che abbiamo fatto per te, Frances. Ti abbiamo messo un tetto sulla testa, ti abbiamo dato cibo e vestiti per tutta la vita e senza alcuna ricompensa.» Le parole le uscirono aspre e taglienti mentre si avvicinava al marito mostrandogli il suo incondizionato appoggio. «Tu ci devi tutto. Che diritto hai di rifiutare di obbedire alla volontà di tuo zio? È arrivato il momento che ci ripaghi per i nostri sforzi.»

    Frances sarebbe scoppiata a ridere, se l’orrore non l’avesse quasi paralizzata. Tutte le speranze e i progetti che l’avevano aiutata a superare quei giorni terribili erano di colpo stati spazzati via dalle parole dello zio.

    «Ma in questo caso sarò costretta a restare qui per sempre» sussurrò. «Non credo di riuscire a sopportarlo.»

    «Sciocchezze, ragazza» si infuriò Torrington radunando le carte, per indicare che la discussione era finita. «La questione è sistemata. Mi aspetto che tu non faccia alcun gesto sconsiderato.» Il suo sguardo feroce la trapassò da parte a parte. «Sai benissimo a cosa andrai incontro se oserai disobbedire.»

    Frances chiuse gli occhi per impedire ai brutali ricordi di tormentarla. «Sì. Ne sono consapevole.»

    «Adesso torna al tuo lavoro. Akrill ti metterà al corrente di quali sono i tuoi compiti, questa sera abbiamo ospiti.»

    La fanciulla si voltò, cercando di tenere a bada il senso di nausea che la stava assalendo. Ancora due giorni, e sarebbe stata intrappolata per sempre in quell’inferno terreno.

    1

    Aldeborough si sdraiò con un gesto indolente in un angolo della sua carrozza, puntando un piede contro il cuscino del sedile davanti nel tentativo di attutire gli scossoni provocati dal terreno accidentato. Chiuse gli occhi cercando di ignorare la violenta emicrania che lo aveva assalito. Per fortuna, l’Abbazia, dimora degli Aldeborough, era piuttosto vicina.

    Un’ombra scura si mosse sul lato opposto della carrozza e un raggio di luna illuminò per un istante un viso dalla pelle molto chiara.

    Si era forse addormentato? Frances riponeva tutte le sue speranze in quella eventualità. Nonostante la sua fuga impulsiva dalla dimora degli zii, senza portare con sé altro che gli abiti che aveva indosso, aveva scelto la carrozza con cura, grazie allo stemma dipinto sulle fiancate. Alla tremolante luce delle lampade era infatti riuscita a distinguere il falcone nero che si librava in volo ad ali spiegate, con gli occhi e gli artigli dorati, su uno sfondo di vivido azzurro. Doveva essere il veicolo di Aldeborough, e sarebbe stato il mezzo che le avrebbe permesso di fuggire da Torrington Hall per sempre. Se solo fosse potuta restare nascosta fino all’arrivo all’Abbazia allora avrebbe avuto una concreta possibilità di riuscire a far perdere le sue tracce. E nessuno l’avrebbe potuta seguire costringendola a...

    Il marchese si mosse. Frances si appiattì ancora di più nel suo angolo fino a quando non sentì il respiro dell’uomo rilassarsi di nuovo. Prometteva di essere un lungo viaggio, così decise di chiudere gli occhi nell’oscurità...

    All’improvviso, una mano le afferrò un lembo del mantello tirandola con violenza a sedere sul pavimento, per poi passare a stringerle un braccio. Lei sussultò per il dolore che quella pressione le aveva suscitato e non riuscì a reprimere un grido soffocato.

    «Che accidenti...?» Aldeborough si interruppe e, non appena si accorse dell’errore, dovette fare appello a tutto il proprio autocontrollo per soffocare l’impulso di colpire l’intruso. Quindi si lasciò sfuggire una breve risata sarcastica. «Bene, bene. Sembra proprio che non si tratti di un comune malfattore, ma, udite udite, di una donna. Sapevo che la mia proverbiale fortuna non mi aveva abbandonato. Cosa fate nella mia carrozza a quest’ora di notte? O forse dovrei dire di mattina...»

    «Sto scappando, signore.» Frances decise che sarebbe stato più saggio raccontare soltanto una parte della verità. La sua voce era venata da una profonda stanchezza e da un’infinità di emozioni diverse.

    «Da Torrington Hall, suppongo. Lavorate lì?»

    «Sì, signore. Nelle cucine...»

    «Forse dovrei far voltare la carrozza e riportarvici. In ogni caso, dubito che Torrington accoglierebbe di buon grado un gesto tanto generoso da parte mia.» Si sentiva riluttante a tornare in quella casa, anche se solo per riportarvi una sguattera che ne ra fuggita.

    «No, signore.» Frances cercò di nascondere il terrore che provava a quella prospettiva. «Non ne varrebbe la pena. Io... sono solo una serva e nessuno sentirà la mia mancanza.»

    «Se è così, perché avete ritenuto necessario nascondervi nella mia carrozza? La logica del vostro ragionamento mi sfugge. Credete che sia il brandy a offuscare la mia capacità di ragionare?» le chiese come se stesse facendo conversazione.

    «Indubbiamente, signore.»

    «E allora ditemi, cosa dovrei fare con voi ora?»

    «Potreste condurmi all’Abbazia, signore.» Frances si morse nervosamente il labbro inferiore e attese la sua risposta.

    «Sì, potrei. Sarebbe la soluzione più semplice. Potrei affidarvi a... al diavolo!, ho dimenticato il suo nome. Alla mia governante. Starete di certo meglio se lavorerete per me che per Torrington.»

    «Niente potrebbe essere peggiore di quel posto, signore.» Le sue parole furono poco più che un sussurro e lui faticò a capire cosa avesse detto.

    Nel silenzio che seguì, Aldeborough si limitò a osservare la sua inattesa compagna di viaggio.

    «Vieni a sederti vicino a me.»

    L’improvvisa confidenza che il nobiluomo le aveva concesso non sfuggì alla ragazza. «Preferirei restare qui, signore.» Devo rimanere calma, si disse Frances cercando di non farsi prendere dal panico. «A quanto pare stiamo viaggiando a una notevole velocità.» Si appiattì nell’angolo cercando di restargli il più possibile lontana.

    Cogliendola ancora una volta completamente di sorpresa, Aldeborough si sporse in avanti e, afferrandola per un polso, la tirò accanto a sé. Lei si ritrasse contro i cuscini per evitare di finirgli addosso o di cadere a terra a causa dei sobbalzi della carrozza. La luna piena illuminava l’interno, non abbastanza però da rivelare la sua identità al marchese.

    «Adesso che abbiamo stabilito il motivo per cui ti trovi qui, dimmi come ti chiami» le domandò Aldeborough fissandola con lo sguardo acuto tipico del falcone.

    «Molly Bates, signore» rispose lei immediatamente, consapevole che l’uomo le teneva ancora il polso.

    «Bene, Molly Bates. Temo di essere ubriaco.»

    «È così, milord.» Ne era sicura, nonostante le uniche indicazioni in questo senso venissero dal suo sguardo bruciante e dal lieve farfugliamento quando parlava. «Sono pronta a scommettere che domani avrete un feroce mal di testa.» Provò una maliziosa soddisfazione nel predire quell’imminente disagio.

    «Io non ne sarei tanto sicuro.» Il marchese sorrise, mostrando una fila di denti bianchissimi. «Lascia che ti guardi.»

    La tirò più vicina a sé e, lasciandole il polso, le sollevò il mento con la mano libera scostandole dal volto i riccioli scuri che le nascondevano i lineamenti. Lei si scoprì incapace di incontrare il suo sguardo, ma restò seduta, immobile e rigida, imponendo a se stessa di non ritrarsi. Non doveva fare niente che potesse provocarlo, si disse. Non si aspettava pietà e comprensione da quell’uomo ed era certa che, se avesse scoperto la verità, lui l’avrebbe ricondotta a Torrington Hall. Ma per quanto si sforzasse, non riuscì a evitare di tremare al tocco delle sue dita.

    «Quanti anni hai, Molly?» le chiese lui all’improvviso.

    «Quasi ventuno, milord.»

    Lui seguì la linea del suo zigomo con il pollice e poi proseguì lungo il mento. Istintivamente Frances si ritrasse trasalendo.

    «Non preoccuparti, non ti farò del male.» La sua voce era dolce e rassicurante. «A condizione che tu mi obbedisca, naturalmente. Devi comprendere che una ragazza graziosa che si rifugia nella carrozza di un gentiluomo deve pagare un prezzo per la sua imprudenza.»

    Frances trattenne il respiro: il significato di quelle parole era molto chiaro. «Sì, milord.» Nonostante il suo proposito di non irritarlo, non riuscì a nascondere l’amarezza e il disgusto che provava.

    Aldeborough si lasciò sfuggire un risolino che le fece gelare il sangue nelle vene.

    Prima che potesse reagire, lui si chinò su di lei e le chiuse la bocca con la propria. Frances lottò con tutte le proprie forze premendogli le mani sul petto, ma i suoi tentativi non sortirono alcun effetto su quel corpo agile e muscoloso. Le braccia di lui le circondarono le spalle, mentre le sue labbra implacabili continuavano a tormentarla esigendo una risposta. Frances era determinata a restare impassibile, ma le carezze della sua lingua le procurarono un lungo brivido. Non era mai stata baciata prima di allora, e il groviglio di emozioni che si agitavano nel suo intimo la terrorizzò.

    Poi lui si allontanò, con la stessa rapidità con cui l’aveva assalita.

    «Come osate?» La collera ebbe il sopravvento su tutti i suoi propositi di essere cauta non appena fu di nuovo in grado di respirare normalmente.

    «Come ho osato?» L’uomo scoppiò a ridere. «Dal momento che sei stata così avventata da infilarti nella mia carrozza e metterti nelle mie mani, sono io a dettare le condizioni. E tu, mia cara Molly, non puoi far altro che adattarti, e scoprirai molto presto che non ho nessuna pietà. E poi perché tanta indignazione? Sono sicuro che sei stata già baciata, graziosa come sei. Sono pronto a scommettere che nelle cucine di Torrington Hall hai lasciato un fidanzato dalle mani untuose.»

    «Non è così, e non vi ho dato il permesso di chiamarmi per nome!» Visto che non riusciva a trovare un’altra risposta, Frances si rifugiò in una formale dignità che, tuttavia, risultava piuttosto strana provenendo da una inerme sguattera di cucina di nome Molly. «Voi non vi comportate da gentiluomo, milord!»

    Aldeborough scoppiò di nuovo a ridere, questa volta con una punta di cinismo. «Forse no, mia cara. Ma prometto di essere un bravo amante.» Mentre Frances sussultava per il nuovo affronto, lui la afferrò ancora e tornò a baciarla.

    Fu un violento scossone della carrozza a venirle in aiuto, dandole l’opportunità di divincolarsi e di rifugiarsi nell’angolo opposto, mentre l’uomo la scrutava con aria divertita.

    «Forse questa non è l’ambientazione più adatta per una scena di seduzione.» La sua bocca era atteggiata a un sorriso, ma Frances sapeva di non poter trovare alcuna comprensione in lui. «Vuol dire che aspetteremo fino a quando non saremo arrivati all’Abbazia. Non assumere quell’espressione piena di apprensione, cara Molly, non ti toccherò. Non fino a quando saremo arrivati a casa, almeno.»

    Aldeborough tornò ad appoggiarsi ai cuscini, chiudendo gli occhi. Dopo qualche minuto il suo respiro si fece profondo e irregolare. Sembrava addormentato e questo diede a Frances l’opportunità di ritornare con la mente ai traumatici eventi accaduti appena un’ora prima. Rivisse la dura e insensibile indifferenza dello zio, e le sembrò di rivedere la caraffa del porto che andava in frantumi, proprio come i suoi sogni di amore e felicità. Strinse le dita sul tovagliolo macchiato legato attorno al polso e chiuse gli occhi per respingere le lacrime che minacciavano di travolgerla. Sei solo stanca, si disse. Il giorno seguente sarebbe stata libera e avrebbe visto le cose sotto una luce migliore. Girò il capo e osservò il suo inconsapevole salvatore. Aveva un viso attraente, anche se i suoi tratti non erano così regolari come quelli di suo cugino. La pelle abbronzata suggeriva che trascorreva molto tempo all’aria aperta. Il naso era dritto, il mento deciso e gli occhi di un grigio incredibile, come quello del mare d’inverno, spazzato dal vento. Le sottili rughe agli angoli della bocca, dalla linea classica, gli conferivano un’aria cinica. I suoi capelli folti e scuri avevano una naturale tendenza a ondularsi e le sopracciglia, anche queste scure e ben marcate, accentuavano l’aria autoritaria e decisa. Doveva essere un uomo esigente, pericoloso da contraddire nonostante i modi indolenti che aveva assunto con lei quella sera.

    Gli occhi le caddero sulle mani dalle dita lunghe e forti e immediatamente un brivido le percorse la schiena al ricordo delle sue carezze. Non era mai stata toccata in quel modo da nessun uomo.

    In quale situazione si era andata a cacciare? Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di fuggire da Torrington Hall, da un matrimonio di convenienza e dall’autorità dello zio, quindi era scappata senza curarsi delle conseguenze di quel gesto. Ma a quale prezzo? In quel momento era troppo stanca per riuscire a pensare con chiarezza.

    Si portò le dita gelide sulle labbra che ancora bruciavano per il bacio ricevuto e chiuse gli occhi.

    2

    Aldeborough fu svegliato da Webster, il suo valletto, che tirò le pesanti tende di broccato della sua camera da letto. Il sole inondò la stanza indicando che il giorno era ormai inoltrato, ma il marchese si limitò a gemere e a tirarsi le lenzuola sopra la testa.

    «È quasi mezzogiorno, milord. Vi ho portato dell’acqua calda.» Webster ignorò un secondo grugnito e si apprestò a raccogliere gli abiti di sua signoria, disseminati sul pavimento.

    Aldeborough si rigirò sui cuscini portandosi le mani alle tempie. «Oh, Dio! A che ora sono tornato a casa la notte scorsa?»

    «Non saprei dirlo, milord. Se rammentate, mi avevate dato istruzioni perché non vi aspettassi alzato. Presumo che sia stato Benson a mettervi a letto, milord.»

    Aldeborough storse la bocca. «Sì. Adesso ricordo.» Trasalì ripensando ai modi bruschi con i quali il cocchiere lo aveva quasi trascinato attraverso l’ingresso e poi su per lo scalone principale. Si sollevò a sedere, cercando di ignorare le acute fitte che lo assalivano a ogni movimento. «Che serata terribile. Ancora non capisco cosa mi abbia indotto ad accettare l’invito di Torrington. Se non fosse stato per l’insistenza di Ambrose non sarei mai andato.»

    «Se posso permettermi, milord, sarebbe stata una decisione molto saggia. Che abiti devo prepararvi per oggi, milord?» Webster era al suo servizio da parecchi anni, da quando era soltanto il capitano Hugh Lafford, che combatteva distinguendosi con onore nella campagna di Spagna, e

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