Tempesta di Natale (eLit): eLit
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Info su questo ebook
Robert non ha dimenticato Margaret e, al suo ritorno in Inghilterra dopo tre anni di lontananza, spera di poter riprendere il loro amore. Ma la realtà lo sbatte di fronte a una fredda e distaccata donna, che per nulla ricorda la dolce e innocente fanciulla di un tempo. Poi una tempesta di neve ci mette lo zampino...
Amanda McCabe
Autrice originaria dell'Oklahoma, ha scritto il suo primo libro a sedici anni, durante le lezioni di matematica, e da allora i suoi romanzi hanno ottenuto prestigiosi riconoscimenti letterari.
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Anteprima del libro
Tempesta di Natale (eLit) - Amanda McCabe
successivo.
1
Inghilterra, 1569
«Shh, Bea! Ti sentiranno. Non sapremo mai cosa sta succedendo se ci trovano qui» sussurrò arrabbiata Margaret Clifford, mentre con la cugina cercava di entrare a forza nel minuscolo ripostiglio proprio sopra il salone della residenza della famiglia Clifford.
Beatrice era la sua migliore amica, ma aveva solo quindici anni, tre meno di lei, e tendeva a ridacchiare spesso. Era sempre stato così, da quando i genitori, ossia la zia materna di Meg e il marito, erano morti e la bambina era andata a vivere con loro.
Beatrice si colpì la bocca con una mano e si avvicinò ancora di più, accovacciandosi insieme a lei sul pavimento. «Non dirò una parola, Meg, lo giuro.»
«Non avrei dovuto lasciarti venire» mormorò Meg. Aveva provato a sgattaiolare fuori dalla stanza che dividevano, ma non era stata abbastanza veloce. Beatrice aveva iniziato a piangere e a pregarla di portarla con sé, e Meg non aveva potuto fare altrimenti. C'era poco tempo, e doveva scoprire di che cosa stessero parlando i suoi genitori con Lord e Lady Erroll.
Raccolse nelle mani la gonna di velluto e si inginocchiò sul pavimento per cercare di spiare da un minuscolo buco nel legno la sala sottostante. Bea le strinse la manica, tremando dall'eccitazione, e lei dovette zittirla di nuovo. Era già abbastanza difficile sentire qualcosa. Ed era fondamentale che ascoltasse.
Niente di più vero, e il modo in cui i suoi genitori si rifiutavano di parlare con lei era così esasperante! La trattavano come se fosse ancora la bambina di casa, addirittura come se fosse più piccola di Beatrice.
Meg non era più una bambina, no di certo. Era più che pronta per...
Per il matrimonio.
Era quello il motivo per cui gli Erroll erano a Clifford Manor? Meg fletté i polsi sul legno del pavimento, il cuore che le batteva all'impazzata. Oh, magari fosse stato vero!
Eppure le sembrava tutto troppo, davvero troppo bello per essere reale. Da quando aveva visto Robert Erroll per le feste di Natale qualche mese addietro, da quando avevano ballato, si erano toccati, si erano guardati negli occhi, non era riuscita a pensare ad altro. Anche durante le passeggiate in giardino con Bea, o quando sua madre la sgridava se ingarbugliava i fili da ricamo, tutto ciò che vedeva erano gli occhi azzurro cielo di Robert Erroll. Non si era mai più sentita come quando le loro dita si erano intrecciate.
Persa nel ricordo, continuava a chiedersi se mai lo avrebbe rivisto.
Fino a quel giorno.
Camminando lungo il viottolo, aveva scorto un cavallo galoppare verso di lei e...
«"O sii come l'inverno che pieno di assilli saluta l'estate tre volte più desiderata perché più rara..."» Meg canticchiava il motivetto natalizio mentre agitava il cestino.
Vai a prendere le uova da Mistress Brown, Margaret, aveva sbottato sua madre mentre scacciava i gemellini, figli minori, che le si infilavano tra le gambe. Non mi sei di grande aiuto oggi, sempre con la testa tra le nuvole. Beatrice può finire di rammendare.
Clifford Manor esisteva da secoli e quella dei Clifford era una famiglia antica, ma non ricca abbastanza da avere chi si occupasse di tutti i lavori di cucito. O di andare a prendere le uova.
Era una giornata piuttosto fredda, il vento gelido le aggrediva la mantella e del fumo saliva dai vecchi comignoli, ma a Meg non importava. Poteva stare qualche momento da sola, via dal caos che regnava in casa. Non c'era nemmeno Beatrice a interrompere il flusso dei suoi pensieri. A mano a mano che si allontanava, la campagna si faceva sempre più calma, e lei si immaginava di essere di nuovo al ballo.
Costeggiò l'angolo del sentiero, canticchiando un po' più forte, e vide un grande cavallo nero precipitarsi verso di lei.
Lanciò un grido e si abbassò fra le siepi, strappandosi la mantella. Per poco non cadde nel fango, e il panico si impadronì di lei come uno spirito maligno, mentre il cappuccio si afflosciò coprendole gli occhi.
Il cavallo passò al galoppo, a poca distanza dai suoi piedi. Mentre cercava con tutte le sue forze di tirarsi su, udì il bestione girarsi e l'urlo di un uomo.
Meg si tirò indietro il cappuccio e si guardò alle spalle. Vide un uomo balzare giù dalla sella. I vestiti erano di velluto e cuoio, aderenti sul bel corpo e di gran lunga troppo raffinati per la piccola nobiltà locale.
«Siete ferita?» gridò, e mentre le si