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Il bacio del bandito: I Romanzi Storici
Il bacio del bandito: I Romanzi Storici
Il bacio del bandito: I Romanzi Storici
E-book329 pagine4 ore

Il bacio del bandito: I Romanzi Storici

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Info su questo ebook

Inghilterra, 1741 - Lady Roisin Melville è stata mandata dalla madre a Londra per debuttare in società, ma la giovane non desidera affatto partecipare alle frivolezze della Stagione, così decide di fuggire dalla dimora degli zii, presso cui è ospite, per tornare a casa in Irlanda. Durante il viaggio la sua carrozza viene assalita da un affascinante bandito mascherato, che la lascia libera solo dopo averle rubato un bacio. Tornata nuovamente a Londra, Roisin conosce Kit Westhaven, un misterioso gentiluomo che ha un'aria familiare, e quando lui le rivela di avere un disperato bisogno della sua dote per salvare la residenza di famiglia lei accetta di sposarlo. Malgrado le premesse, la loro unione pare diventare di giorno in giorno più salda, finché alcuni indizi non portano Roisin a scoprire una verità sconvolgente sul conto del marito.
LinguaItaliano
Data di uscita20 giu 2017
ISBN9788858966945
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    Anteprima del libro

    Il bacio del bandito - Emily Bascom

    successivo.

    1

    Londra, primavera 1741

    Pioggia. Nient'altro che pioggia. E strade, ciottoli luccicanti, tetti dai quali colava acqua su acqua... Nebbia e pioggia, ovunque.

    Roisin non aveva mai visto un diluvio simile. Appoggiò la fronte ai vetri impiombati della finestra, losanghe grondanti vapore e acqua, e rimpianse la pioggia leggera della sua Irlanda. Spesso torrenziale, incessante talvolta, ma aveva un profumo tutto suo e cadeva in modo meno implacabile. Forse perché la finestra dalla quale era avvezza a guardare il mondo dava su campi e alberi... Forse perché era tanto lontana dalla sua terra. O forse perché quello era il giorno peggiore della sua vita.

    Lei non era irlandese; tuttavia, se qualcuno glielo avesse chiesto, avrebbe risposto che quell'isola verde, ormai così distante, era la sua casa. E, nella residenza di campagna della sua famiglia, a Kinsale, nella contea di York, aveva dimorato a lungo una successione di nobili antenati inglesi, che ora si allungava alle sue spalle. Anzi, che incombeva sopra di lei, pensò scoraggiata, continuando a fissare la pioggia torrenziale.

    Diciotto mesi prima, alla morte del marito, sua madre aveva stabilito che a diciannove anni era venuto per lei il momento di debuttare nell'alta società inglese.

    La figlia del defunto signore di Kinsale, aveva dichiarato, non poteva ignorare quel mondo; il povero conte avrebbe di certo desiderato offrire alla sua unica figlia ogni opportunità.

    Per questo ora si trovava in una locanda di Londra, in viaggio verso la casa dello zio materno e della di lui consorte. Non li aveva mai incontrati in passato, non conosceva nemmeno la loro figlia, che – le avevano detto – aveva all'incirca la sua età. Con tutto ciò quelle persone stavano per diventare la sua nuova famiglia. Non le era stato neppure concesso di viaggiare con una cameriera, come aveva chiesto; così la vecchia zia Millicent, che, a dire il vero, era la zia di sua madre, si era offerta di accompagnarla. Un viaggio lungo, appesantito dall'incessante chiacchiericcio della zia, grazie al quale aveva cominciato a convincersi che si sarebbe ritrovata sposata prima che fosse trascorso un mese della sua nuova vita londinese.

    In quel momento zia Milly dormiva nella stanza accanto alla sua. Senza darle il tempo di obiettare, aveva dichiarato che non era assolutamente possibile disturbare la famiglia degli zii a quell'ora e che pertanto si sarebbero riposate e rinfrescate nelle prima locanda, rimandando alla mattina successiva la tappa conclusiva del loro cammino. Così, dopo un pasto frugale, erano salite subito nelle loro camere.

    A lei, in fondo, non era dispiaciuto affatto. Assai di rado aveva condiviso progetti che contemplavano il venire strizzata in un corsetto, e la prospettiva di un viaggio in Inghilterra le era risultata da subito antipatica. Quanto avrebbe preferito restarsene a Cork, libera di cavalcare e di andare a caccia a suo piacimento in compagnia dei tre fratelli!

    Desideri che naturalmente erano stati del tutto ignorati da sua madre. Sebbene Lady Melville li conoscesse bene, non era certo il tipo da restarsene seduta ad assistere alla lenta trasformazione di sua figlia in una selvaggia che scorrazzava su e giù per le colline. Roisin, aveva proclamato convinta, l'avrebbe ringraziata una volta che avesse visto che cosa poteva offrirle Londra.

    Ebbene, aveva visto. E voleva tornarsene a casa.

    Sul vetro scuro della finestra era riflessa la sua immagine. Dopo una giornata di viaggio i bei capelli rossi le cadevano disordinati sulle spalle, arricciati dall'umidità. La pelle del volto era chiara, pallida quasi, e appena punteggiata di lentiggini, risultato delle lunghe ore trascorse all'aperto e causa del costante disappunto di sua madre. Ebbene, l'Inghilterra vi avrebbe presto posto rimedio, se quel tempo uggioso era la norma, si disse mestamente, e all'improvviso i suoi occhi nocciola picchiettati di verde si riempirono di lacrime.

    Si alzò di scatto, stanca della sua stessa malinconia, e si guardò intorno. La stanza era piccola, ma abbastanza accogliente. Prese il candeliere di legno intagliato che stava sul davanzale e andò verso il letto.

    Se non altro, le lenzuola erano pulite. Si lasciò cadere sulle coltri, arrendendosi alla fatica e all'ennesima ondata di disperazione. Era quello il futuro che l'aspettava? Sarebbe stata costretta a vivere la vita di una damigella viziata? Era stata così felice nella sua casa, circondata dalle dolci colline di Kinsale! La società che aveva conosciuto era quella dell'aristocrazia di campagna, tutta balli dopo la caccia e tranquille cene in compagnia. Non sapeva nulla di Londra, né di ciò che vi accadeva... e cominciò ad accarezzare l'idea di fuggire.

    Perduta nei suoi pensieri, si mise a sedere.

    Fuori passavano le carrozze. La pioggia scrosciava a dirotto. E scappar via le sembrava una soluzione sempre più invitante.

    Aggrottò le sopracciglia. Fuggire. Be', a dirla tutta, non si sarebbe trattato di una fuga vera e propria, bensì di un ritorno a casa. Se fosse riuscita ad arrivare a Bristol e da là a imbarcarsi su una nave, compiendo a ritroso il viaggio che l'aveva portata a Londra... sua madre avrebbe avuto il coraggio di rimandarla indietro?

    Il pensiero che durante gli ultimi cinque giorni aveva sonnecchiato in un angolo del suo cervello tornò prepotentemente alla luce e la fece balzare in piedi.

    Sì, sarebbe fuggita. Ciò che contava più di tutto era la libertà, e lei l'avrebbe inseguita a qualsiasi costo. Non si sarebbe dimenata peggio di un'oca ammaestrata ai ricevimenti, non avrebbe battuto le ciglia a ogni buon partito per compiacere Lady Melville. Oh, non si faceva illusioni... sapeva che prima o poi avrebbe dovuto trovarsi un marito. Ma non così, non come una giovenca al mercato londinese da dare in premio a un uomo che l'avrebbe soffocata. Per adesso voleva vedere il mondo; poi, quando si fosse sentita pronta, e solo allora, avrebbe scelto di persona chi sposare.

    Nel borsellino aveva le monete che i fratelli le avevano donato alla partenza: sarebbero state sufficienti a pagare almeno tre notti in qualche locanda... Dopodiché... ebbene, c'erano tutti i suoi gioielli. Non era ancora sposata, dunque erano di sua proprietà. Non sarebbe stato difficile trovare a chi venderli, per quelle strade si incontrava ogni sorta di viaggiatore.

    Naturalmente non avrebbe potuto spostarsi con la carrozza che lei e la zia avevano affittato e che le aveva condotte fin là. Innanzitutto il conducente ormai era a letto e, inoltre, avrebbe di certo riferito alla zia le intenzioni della nipotina fuggitiva. Increspando la fronte in modo assai poco degno di una gentildonna, pensò al modo migliore per organizzare la sua fuga. Per prima cosa doveva inventare una storia per il locandiere.

    Detto fatto. Radunate tutte le sue cose, poco dopo si trovava già a faccia a faccia con lui.

    «E per quale motivo una damigella tanto giovane avrebbe bisogno di una carrozza a quest'ora?» le chiese l'uomo.

    Lei assunse un'espressione preoccupata. «Mia zia vuole che porti un messaggio dall'altra parte della città. Mi ha detto che è urgente.» Poi, prevenendo l'obiezione in arrivo, si affrettò ad aggiungere: «Insiste perché lo consegni io stessa. Ora, per favore, gentilissimo signore, vorreste chiamarmi questa carrozza? Meglio non disturbare il nostro conducente, i suoi cavalli devono riposare, per poter proseguire il viaggio domattina».

    «Andate da sola, milady?»

    «Non spetta certo a voi far queste domande!»

    Non le fu facile rispondergli in quel modo, ma solo un atteggiamento altezzoso avrebbe avuto presa sul locandiere, che infatti ci pensò qualche istante, poi fece un cenno d'assenso.

    «Se volete attendere, manderò mio figlio a cercare la carrozza che vi occorre.»

    Roisin lo ringraziò e, per incoraggiarlo ulteriormente, gli spinse nel palmo della mano ben più di quanto fosse necessario. Poi sedette ad aspettare in un angolo del locale, mentre i pochi avventori, ancora chini sul loro boccale di birra, la guardavano con curiosità.

    Non le restava che far affidamento sulla natura corretta del locandiere e sperare che non andasse a svegliare sua zia. Almeno fino a quando lei non fosse stata abbastanza lontana... Non aveva idea di quanto tempo ci sarebbe voluto per arrivare a Bristol, ma era decisa a procedere il più velocemente possibile.

    «Milady, la carrozza è fuori.»

    Roisin alzò gli occhi e sorrise all'oste. «Vi ringrazio e vi prego, non disturbate mia zia: è già andata a dormire.»

    L'uomo annuì e lei, ostentando una sicurezza che era ben lungi dal provare, gli porse un'altra moneta accompagnandola con un cinguettio di ringraziamento e uscì nella pioggia.

    Per fortuna, non diluviava più; tuttavia il cocchiere, che la stava osservando con sguardo fisso, indossava ancora un pesante mantello di lana. Le fece un cenno di saluto e lei si assicurò che la porta della locanda fosse perfettamente chiusa alle sue spalle prima di parlare.

    «Devo andare a Bristol. Fino a dove potete portarmi?»

    «Bristol?» L'uomo rimase qualche istante meditabondo, gli occhi infossati nel volto magro. «C'è una locanda a Hammersmith» rispose alla fine. «Posso condurvi fin là e, domattina, potreste noleggiare un'altra carrozza.»

    Lei accettò. «Vi ringrazio. Devo arrivarci per la strada più breve, per favore.»

    L'uomo esitò. «Sì, ma potrebbe non essere la più sicura...»

    «Vi prego, è molto importante per me.» Una volta ancora, estrasse una moneta dal borsellino.

    «Come desiderate.» E il cocchiere scese per aprirle lo sportello. Raccogliendo le gonne, Roisin salì in carrozza, mentre l'uomo balzava a cassetta e incitava la coppia di cavalli a rimettersi velocemente in moto.

    Appena la vettura cominciò a muoversi, Roisin lanciò un'occhiata intorno a sé. Quasi si aspettava di vedere il locandiere che agitava il pugno al di là del finestrino sudicio, che apriva la porta urlando... Invece c'era silenzio nella locanda, poche le finestre illuminate, e poté soltanto sperare che si mantenesse così il più a lungo possibile.

    Sospirando, si appoggiò allo schienale imbottito e rivolse una muta preghiera al cielo. Tutto ciò che voleva era semplicemente tornare a casa.

    Nel folto di un boschetto la pioggia gocciolava dalle foglie su una figura molto, molto diversa da quella del locandiere. Un mantello avvolgeva l'alta persona e il viso era immerso nell'oscurità che lo circondava.

    Tutto intorno era silenzio, poiché gli animali che solevano brucare da quelle parti si erano nascosti, cercando riparo dall'acqua torrenziale. Lungo il cammino che lo aveva condotto fin là, aveva incontrato ben poca gente, il che gli andava bene: significava che lo avevano visto in pochi. Quella non era certo una notte per i convegni clandestini.

    La sua puledra si agitò, irrequieta. L'animale sapeva, per lunga esperienza, ciò che sarebbe accaduto di lì a poco e, come il suo padrone, era impaziente di portare a termine l'impresa, così entrambi avrebbero potuto finalmente mettersi al coperto e scaldarsi un po'. L'uomo si voltò e tese l'orecchio, in attesa del rumore di un'eventuale carrozza in arrivo.

    Nulla.

    Nessun carro postale, con il suo prezioso carico strettamente sorvegliato.

    Nessuna diligenza, gremita di viaggiatori con i borsellini rigonfi di denaro.

    E nemmeno l'ombra di una carrozza privata che portava ricche dame con altrettanto ricchi mariti a qualche evento mondano.

    Soltanto la notte. E la pioggia incessante.

    Non era certo quello il momento di deprimersi ulteriormente, vista la situazione nella quale si trovava, eppure fu proprio ciò che lo sconosciuto fece nell'attesa.

    C'erano stati giorni, nella sua vita, in cui avrebbe riso di cuore al pazzo che gli avesse detto che un giorno si sarebbe trovato là. Forse allora avrebbe usato parole di condanna per gesta come quelle che andava compiendo da tempo. Ormai non più. Negli ultimi mesi aveva imparato molto, anche quanto le circostanze possano cambiare un uomo.

    Gli sfuggì un sospiro. A dirla tutta, un tempo sarebbe morto piuttosto che tentare il gesto che aveva in mente. Era stato un gentiluomo e, sotto diversi aspetti, lo era ancora... anche se dubitava che le sue vittime la vedessero così.

    Scosse il capo e, dai capelli legati sulla nuca secondo la moda del tempo, cadde una piccola pioggia di gocce. La cavalla, infastidita da quel movimento, soffiò piano e, a sua volta, si scrollò l'acqua dalla criniera. Il padrone allungò una mano e le carezzò il collo fradicio, ma, in quella notte desolante, nessuna parola di conforto gli venne alle labbra.

    Avrebbe voluto essere a casa.

    Roisin si avvolse ancor più strettamente nel mantello e lanciò uno sguardo cupo fuori dal finestrino. Aveva smesso di piovere e da poco avevano lasciato l'acciottolato per avanzare in quella che, dagli alberi che intravedeva attraverso il vetro sudicio, sembrava campagna. I rami sfioravano la carrozza, che ondeggiava sul sentiero fangoso, di cui sentiva ogni buca. Erano in cammino da poco e non le pareva possibile che si fossero già lasciati alle spalle la città: Londra non era tanto piccola... Se anche fosse stato quello il caso, tuttavia, non ne sarebbe stata affatto dispiaciuta poiché si sentiva esausta.

    Appoggiò il capo sul lato del poggiatesta e, nonostante il sedile fosse scomodo e dondolasse di continuo, si assopì, sognando colline ondeggianti e vento tra i capelli. Il caro vento pungente di Cork, con il quale era cresciuta e che non avrebbe mai voluto lasciare. Sembrava reale, e per un po' lo fu.

    Si svegliò dopo quelli che le parvero pochi minuti allorché incapparono in una buca particolarmente profonda, e il balzo improvviso quasi le fece mordere a sangue la lingua, mentre la carrozza sprofondava.

    Portandosi una mano alla bocca per soffocare uno sbadiglio, vide che era ancora buio. Non sapeva quanto avesse dormito, ma aveva l'impressione di non riuscire più a star dritta.

    Ormai erano in viaggio da tempo e un buon letto non doveva essere lontano.

    Stava per bussare sul tetto della carrozza per chiedere al conducente se mancava tanto per arrivare alla locanda quando qualcosa di nero passò accanto al finestrino. I cavalli nitrirono, il veicolo s'inclinò su una fiancata e di colpo lei si ritrovò del tutto sveglia.

    In un istante, con un contraccolpo che la fece finire sul pavimento in un groviglio di balze e di pizzi, la carrozza si fermò e tutto tacque.

    Inebetita, si rannicchiò al buio, immobile.

    Si udì un breve nitrito, poi il rumore di stivali sul terreno. Lentamente, in un fruscio di gonne, si risollevò e si riaccomodò sul sedile.

    Fuori c'era qualcuno. Si sentì raggelare dal terrore. Il cuore che le batteva impazzito nel petto, gli occhi chiusi, attese.

    Sapeva cosa stava accadendo. Probabilmente era solo una ingenua damigella di campagna, ma aveva sentito parlare più d'una volta dei briganti e aveva capito che stava per essere rapinata.

    I passi si avvicinavano. Rapida, si sfilò l'anello dal dito. Era l'unico gioiello che aveva deciso di indossare durante il viaggio. Uno smeraldo, dono del padre per il suo diciottesimo compleanno, e non aveva nessuna intenzione di farselo rubare. Proprio mentre lo sportello veniva spalancato, lo lanciò nel miglior nascondiglio che le venne in mente.

    L'uomo che le stava davanti le sembrò alto, snello e largo di spalle. Una maschera gli copriva il volto, tranne la bocca e gli occhi, incolori nell'oscurità. La guardava con un'espressione sorpresa.

    «Buonasera, milady.» Aveva una voce gentile, disarmante, e una lieve cadenza scozzese ne ammorbidiva il tono ironico.

    Roisin deglutì.

    «Tutta sola su una strada tanto pericolosa? Non sapete che ci sono in giro dei fuorilegge?»

    «Lo so anche troppo bene» ribatté lei, con voce quasi ferma.

    Lo sconosciuto inclinò il capo. «Allora devo desumere che mi stavate aspettando. Volete gentilmente scendere dalla carrozza, milady?»

    «Preferirei di no» rispose in fretta Roisin.

    «Temo che sarò costretto a ignorare i vostri desideri.» L'uomo tese una mano per aiutarla e i suoi polsini di pizzo bianco risaltarono nel buio.

    Dopo un momento d'esitazione, lei decise che sarebbe stato meglio ubbidire. Forse, una volta all'aperto, avrebbe avuto maggiori possibilità di fuga.

    «Molto bene» fu dunque la sua gelida risposta. Ignorando la mano che le veniva offerta, lasciò il relativo calore della carrozza e scese sul sentiero fangoso. Soltanto la luce delle lanterne sui lati della vettura la separava dalla completa oscurità nella quale si trovava l'uomo.

    Si guardò intorno, in cerca della figura in qualche modo confortante del conducente, ma non ve n'era traccia.

    «Dov'è il mio cocchiere?»

    «A quest'ora sarà già arrivato all'incrocio più avanti» le rispose, divertito, lo sconosciuto. «Non ho mai visto due gambe correre tanto veloci.»

    «Sarà andato a cercare aiuto» dichiarò lei con sicurezza.

    Il bandito inarcò le sopracciglia. «Se lo dite voi...»

    Si sentì mancare. Il suo misterioso assalitore aveva ragione: con ogni probabilità quel miserabile vetturino non si sarebbe mai più fatto vedere. Dopotutto non le doveva alcuna fedeltà.

    Lo sconosciuto colse immediatamente la sua disperazione, poiché un sorrisetto gli increspò le labbra. «Ebbene, mia piccola delizia, inutile restare qui a perdere la notte. Senza dubbio avrete sentito in che modo vanno queste cose: o la borsa o la vita.»

    Aveva ragione: tutto procedeva come nelle storie che aveva ascoltato tante volte. Lui se ne stava lì, in paziente, gentile attesa – gentile in modo addirittura irresistibile – che gli porgesse il borsellino. Solo che lei non poteva... come avrebbe potuto tornare a casa, altrimenti?

    «Non mi ucciderete?» gli domandò, dubbiosa.

    Lui scosse il capo, gli occhi scintillanti. «Be', non ho mai ucciso nessuno, ma...» Il suo sguardo indugiò sulla scollatura di lei, sulla dolce curva dei seni.

    «Ma... cosa?» Tentò di non arrendersi al panico. L'avrebbe violentata, abbandonandola poi su quella strada gelida? A dire il vero, le storie che le avevano narrato in Irlanda non facevano cenno a simili atrocità, ma forse erano state censurate per le sue orecchie innocenti. Il terrore le salì agli occhi.

    Il sorriso dello sconosciuto si fece più largo. «Mi fraintendete. Io voglio soltanto il gioiello che avete nascosto prima del mio arrivo.»

    «Quale gioiello?»

    «Sembrava un anello.»

    Oh, Dio. L'ha visto. «Io... io non ricordo...»

    L'espressione del bandito le impedì di proseguire. Avanzò verso di lei e il suo volto, ora illuminato dalle lanterne, emerse dall'ombra. La prima cosa che lei notò fu che, a differenza della maggior parte degli uomini, sembrava non indossare una parrucca. Sebbene i suoi occhi fossero scuri, i capelli avevano un singolare riflesso color del miele, simile al colore dei volpacchiotti che spesso aveva visto giocare nei campi dietro casa. Per un attimo la distrassero: non aveva mai visto un uomo con una capigliatura di quel magnifico castano luminoso. Lo sconosciuto non indossava cappello e teneva i capelli legati sulla nuca con un nastro che gli dava un tocco di raffinata eleganza.

    «Ho bisogno di un bel fuoco e di un buon pasto stasera» le stava dicendo. «E l'anello mi consentirà di avere l'uno e l'altro. Dunque, lo prendete voi o devo farlo io?»

    Roisin incontrò il suo sguardo. Ora capiva perché li chiamavano ladri gentiluomini. Ma quella cortesia avrebbe potuto rovinarlo. «Vi prego, accomodatevi» lo invitò, con voce gelida.

    Di nuovo, quello sguardo di velata sorpresa. «Se è vostro desiderio, milady...»

    «Lo è.»

    «Molto bene.»

    La sua mano si avvicinò a lei, il polsino le sfiorò la pelle. Le sue dita, fredde nell'aria della notte, si posarono sulla curva del petto, là dove nessun uomo l'aveva mai toccata. Roisin raddrizzò le spalle. Si guardarono negli occhi. Il volto dello sconosciuto era imperscrutabile, ma un sorriso danzava sulle sue labbra mentre, lentamente, la sua mano scendeva verso l'ombra tra i seni. Poi, all'improvviso, si immobilizzò e la sua espressione cambiò.

    «Qualcosa non va?» gli domandò, fredda.

    Lo sconosciuto deglutì. «Uhm...»

    Allora fece in modo che la pistola gli premesse sull'inguine. «Ho l'aria di essere appena sbarcata su queste coste?»

    Incredulo, lui annuì. «Sì, a dire il vero, sì.»

    Lei sorrise. «Ebbene, è così, solo che ho portato questa con me. In campagna, negli ultimi tempi, tutte le damigelle ne possiedono una.»

    Lui restava immobile. «Io... io vi chiedo scusa per l'imbarazzo che vi ho causato...»

    «Vi ringrazio. E ora toglietemi le mani di dosso.»

    Cosa che fece in tutta fretta, arretrando di un passo.

    «Molto obbligata» replicò la fanciulla, sistemandosi il corpetto.

    Stava per parlare di nuovo, quando un calcio le colpì con violenza i piedi. Perse l'equilibrio e cadde a terra, battendo la testa contro lo sportello della carrozza. Prima ancora di potersene rendere conto si ritrovò una pistola puntata contro, mentre la sua luccicava sotto le ruote, ormai irraggiungibile. Stordita, si accorse che il bandito le stava frugando nelle tasche. Tuttavia, quando finalmente la testa smise di girarle, lui era di nuovo in piedi e la guardava, dall'alto della sua statura.

    Pareva divertito: lei aveva chiazze di fango sulle mani e sugli abiti. Che razza di uomo era per trattarla così?

    «Vi chiedo scusa una volta ancora» le disse piano. Mentre cercava di mettersi a sedere, lei vide che stringeva il suo portafoglio.

    «Quello mi serve!»

    «Anche a me.» Sempre tenendola sotto tiro, lo sconosciuto le porse la mano, un'espressione beffarda sul volto. «Suvvia, non litighiamo.»

    «Litigare? Ma se state rubando il mio denaro!» strillò lei, scostando con rabbia la mano che le veniva offerta.

    L'uomo parve non udirla nemmeno e scrollò le spalle. «Bene, se preferite restare in mezzo al fango, io me ne vado.»

    «Ma...»

    Fatto un inchino, lui si girò e si diresse verso il suo cavallo, mettendo via la pistola. Con un balzo felino Roisin si lanciò sotto la carrozza e, allungandosi, riuscì ad afferrare la sua.

    «Alt!»

    Il grido risuonò nella strada deserta, il bandito si voltò e si trovò l'arma puntata contro. La disperazione, unita alla convinzione che non poteva permettergli di portar via il suo denaro, le dava la forza di mantenersi calma.

    «Restate dove siete.»

    Lo sconosciuto rise. «Sapete almeno come caricarla?»

    «È già carica» sibilò lei.

    Di nuovo, sorpresa da parte di lui. «Davvero?»

    «Ridatemi il mio borsellino.»

    «Perché?

    Roisin prese un gran cipiglio, rifiutando di cedere alla delusione. «Perché, caro signore, altrimenti vi sparo!»

    «Oh, sì, certo!» L'uomo si voltò e cominciò ad allontanarsi. Roisin trasse un profondo respiro e premette il grilletto.

    Non si aspettava facesse tanto rumore. La forza della violenta esplosione la spinse all'indietro, contro la carrozza, mentre una nuvola di fumo si levava dalla canna dell'arma. Con un sussulto la gettò lontano, e la sentì battere sul terreno con un tonfo sordo.

    Silenzio.

    Un lungo, orribile silenzio.

    Poi, quasi impercettibile, un gemito.

    Roisin si costrinse a guardare l'ammasso informe sul terreno dove, fino a pochi istanti prima, troneggiava il suo assalitore. Giaceva riverso su un fianco, e lei poteva vedere il suo petto abbassarsi e sollevarsi in un crescendo di profondi, affannosi respiri. Dunque non era morto. Ma non sapeva bene se fosse una buona o una cattiva notizia...

    «Per Dio...» mormorò il bandito, alzando la testa. «Mi avete sparato!»

    Da qualche parte, nelle profondità più recondite del suo essere, lei ritrovò la voce. «Ve l'avevo detto.» Avanzando con grande cautela, raccolse la borsa del denaro e quella dei gioielli dal luogo in cui erano cadute, a poca distanza da lui. Gli occhi scuri dell'uomo seguivano ogni suo movimento. Cercando di non incontrare il suo sguardo, Roisin tornò alla carrozza, e stava già per salire a cassetta quando un grido la fermò.

    «Aspettate! Non potete lasciarmi qui!»

    Lei si voltò. «Perché?»

    L'uomo si era appoggiato a un gomito e la guardava. «Perché, piccola, sono ferito, e se il vostro amico dovesse ritornare io verrò catturato e messo a marcire in una cella... in altre parole, mi avrete assassinato.»

    «Ma avete detto voi stesso che quell'uomo non tornerà mai» gli fece notare lei.

    «Allora morirò dissanguato su questa strada.»

    «Il fatto non mi riguarda...» Roisin deglutì, vedeva che all'altezza della spalla il sangue gli arrossava la camicia.

    «Vi prego...» Gli occhi del bandito erano pieni di dolore.

    «Ma stavate per uccidermi!»

    Lui scosse la testa. «Non l'avrei fatto veramente.»

    «Be'...» Roisin esitò. «È molto grave la

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