Una tata per Nate
Di Lisa Worrall
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E Parker va nel panico.
Non che Jake non sia perfetto per quel lavoro. Lo è, e anche un po’ troppo. In mezz’ora di colloquio riesce a risvegliare in Parker sentimenti che lui credeva perduti per sempre.
Come farà Parker a vivere con quell’uomo sotto il suo tetto ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette?
Per Jake, invece, ciò che gli viene offerto rappresenta il lavoro perfetto, almeno fino a quando non si rende conto che non solo si è affezionato a Nate, ma si è anche innamorato di Parker.
Lisa Worrall
I live in Leigh on Sea, a small seaside town just outside London on the coast of Essex, about ten minutes from Southend, which boasts the longest pier in the world. I live with my partner and two ever-growing children, who I let think are the boss of me; along with a dog who actually is. As the wonderful Beatrix Potter said, "There is something delicious about writing the first words of a new story. You never quite know where they'll take you." I know exactly what she means and hope you'll join me for the ride.
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Anteprima del libro
Una tata per Nate - Lisa Worrall
Pubblicato da
Triskell Edizioni – Associazione culturale Triskell Events
Via 2 Giugno, 9 - 25010 Montirone (BS)
http://www.triskelledizioni.it/
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il frutto dell’immaginazione dell’autore. Ogni somiglianza a persone reali, vive o morte, imprese commerciali, eventi o località è puramente casuale.
Una tata per Nate - Copyright © 2014
Copyright © Giugno 2013 A Nanny for Nate
di Lisa Worrall
Traduzione di Barbara Belleri
Cover Art and Design di Barbara Cinelli
Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in alcuna forma né con alcun mezzo, elettronico o meccanico, incluse fotocopie, registrazioni, né può essere archiviata e depositata per il recupero di informazioni senza il permesso scritto dell’Editore, eccetto laddove permesso dalla legge. Per richiedere il permesso e per qualunque altra domanda, contattare, l’associazione al seguente indirizzo: Via 2 Giugno, 9 – 25010 Montirone (BS)
http://www.triskelledizioni.it/
Prodotto in Italia
Prima edizione – Agosto 2014
Edizione Ebook 978-88-98426-25-6
img2.jpgGrazie per aver comprato questo libro. Spero davvero che vi possa piacere, ma vorrei chiedervi di ricordare che gli unici soldi che autori come me ricevono sono quelli dati dalla vendita dei libri. Se vi piacciono le mie storie, sentitevi liberi di fare pubblicità e dirlo ad altre persone, ma per favore evitate di condividere i miei libri in qualsiasi forma, visto che io dipendo dalle vendite per supportare la mia famiglia.
Se vi capita di vedere questo libro o altri scritti da me offerti su siti pirata, per favore mandate una mail con i link a: lisaworrall69@gmail.com
A Lord Puddington e Mrs Pickles
Le mie ispirazioni costanti per ogni cosa.
E per Jan, la mia migliore amica, il mio supporto costante, la spalla alla quale appoggiarmi, l’orecchio che sempre mi ascolta e, qualche volta, la mia spina nel fianco;
ogni volta che ho bisogno di una spinta, tu sei sempre lì per darmela e sei la persona che, crescendo, aspiro a diventare.
img3.jpg«Papino. Papino.»
La voce insistente provocò buchi nel mantello di sonno nel quale Parker era avvolto. L’uomo gemette piano, sperando che, se ignorata, la voce se ne sarebbe andata.
«Papino, svegliati.»
Nate. Il suo cervello funzionò quel tanto che bastava per riconoscere la voce dolce di suo figlio e Parker aprì gli occhi assonnati, sbattendo le palpebre diverse volte mentre cercava di mettere a fuoco il piccolo bambino in piedi di fianco al letto. Lanciando uno sguardo all’orologio si passò una mano sul viso e strizzò gli occhi individuando Nate grazie alla striscia di luce che veniva dal corridoio e passava dalla porta lievemente aperta. «Che succede, piccolo? Sono le due del mattino.»
«Ho fatto un brutto sogno,» rispose Nate sollevando il vecchio orsacchiotto malconcio che teneva tra le braccia e chiudendo poi la bocca attorno all’orecchio macchiato. «Posso dormire con te?» La domanda era un borbottio che proveniva da una bocca piena di pelo, ma Parker aveva capito il concetto.
Solitamente sarebbe partito con il solito mantra del ‘i sogni non sono reali’, portando Nate nella sua camera e rimettendolo nel suo letto, ma non quella notte. Il caso nel quale era sommerso fino al collo al lavoro lo stava letteralmente prendendo a calci in culo ed era riuscito a mettersi a letto solo un’ora prima. Perciò, troppo stanco per inventarsi delle banalità, sollevò il piumino e scivolò dall’altra parte del letto, lasciando spazio a suo figlio per salire e mettersi vicino a lui.
«Solo questa volta, d’accordo, piccolo?» mormorò Parker, sistemando il piumino sopra Nate e dandogli un bacio tra i capelli biondi. Era di nuovo quasi addormentato ma ripeté ancora: «Solo questa volta.»
«Va bene, Papino,» replicò Nate sbadigliando, sistemandosi contro il petto di Parker. Sorrise nascondendo Emo sotto il braccio e chiuse gli occhi, respirando il profumo di suo padre. Nate non aveva davvero avuto un incubo, si era solo alzato per fare pipì, ma non aveva visto Papino per tutto il giorno. Non che a lui non piacesse andare dalla signora Harper dopo la scuola. Lei aveva dei bellissimi giocattoli e gli faceva mangiare il gelato per merenda, ma non era come quando Papino gli preparava i maccheroni al formaggio e mangiavano orsetti gommosi di fronte alla TV. Sospirò drammaticamente come solo un bambino di sette anni poteva fare; era da molto tempo che Papino non gli preparava i maccheroni al formaggio. Ma il giorno dopo era sabato, il loro giorno. Nate strinse di più Emo a sé e sorrise. Il giorno dopo avrebbe chiesto a Papino di preparare i maccheroni.
***
«Nathaniel Hopkins Adams!» urlò Parker dal fondo delle scale per quella che sembrò la centesima volta. «Questo è l’ultimo avvertimento, piccolo! Nemmeno a me piace questa situazione, ma devo andare in ufficio oggi, fine della storia. Perciò porta qui il tuo culetto, ora!» Frustrato, Parker si passò una mano tra i capelli. Quello non era il momento per uno dei capricci di Nate. Abbassandosi per infilarsi le scarpe da ginnastica, Parker sospirò profondamente. La verità era che non poteva davvero incolpare Nate del fatto di essere arrabbiato; suo figlio aveva sette anni, per l’amor del cielo. Come si poteva spiegare al proprio bambino, senza suonare come un completo bastardo, che si doveva lavorare di sabato perché il caso di cui si stava occupando aveva il potenziale per definire il futuro del proprio studio legale? O cercare di fargli capire che c’era in gioco la libertà di un uomo? A Nate non interessava chi andava o non andava in prigione; quello che gli interessava era che suo padre lo avrebbe lasciato dalla babysitter… di nuovo. Parker si raddrizzò e, tenendosi alla ringhiera, chiamò un’altra volta il nome di Nate.
«Arrivo,» urlò il piccolo, trascinandosi per le scale con la velocità di una tartaruga a due gambe. Era come se ogni passo portasse tutto il suo peso fino a quando non arrivò all’ultimo gradino e fissò i suoi occhi azzurro chiaro in quelli del padre.
Parker conosceva quello sguardo. Dannazione, lo aveva perfezionato lui stesso; poteva addirittura dire di essere di fronte a uno specchio, uno specchio molto piccolo e incazzato. Ignorando l’espressione accigliata del bambino, prese le sue chiavi e la sua valigetta e indicò a Nate di recuperare il suo zaino. Parker camminò a grandi passi verso la porta d’ingresso e la tenne aperta mentre aspettava che il suo arrabbiatissimo figlio gli passasse accanto sbattendo i piedi e scendesse i gradini del portico. Combattendo contro la voglia di dire qualcosa, chiuse la porta e contò fino a dieci prima di premere il pulsante del telecomando per aprire la macchina, alzando lo sguardo al cielo dopo aver guardato Nate gettare lo zaino sul sedile posteriore e chiedendosi per quanto tempo sarebbe stato punito per quella storia.
Sistemandosi dietro il volante, Parker accese il motore e lanciò uno sguardo a Nate dallo specchietto retrovisore. Usò un tono leggero mentre lo istruiva su come allacciare la cintura di sicurezza e dovette reprimere un sorriso allo sguardo feroce che Nate gli lanciò prima di afferrare la cintura e infilare la linguetta di metallo al suo posto con un click rumoroso. Parker guardò la propria maglietta aspettandosi di vedere del sangue sgorgargli dal petto, perché se uno sguardo poteva uccidere, quello di Nate si era appena aggiudicato la vittoria.
«Io non voglio passare il giorno con quel raccontastorie di Toby,» sbottò Nate guardando dal finestrino mentre la macchina si immetteva sulla strada.
«Nate.» Parker mantenne un tono fermo. «Quante volte devo dirti di non dare nomignoli a Toby? È di cattivo gusto.»
«Sabato è il nostro giorno,» ripeté il bambino, petulante.
Parker sospirò e accese la radio. Nate stava diventando troppo abile a rigirare il coltello nella piaga e lui non poteva discutere con suo figlio, non quando aveva ragione. Quando fermò la macchina fuori dalla casa di Ellie Harper dieci minuti dopo, l’ostilità dal sedile posteriore si riversò su di lui come una marea. Non si sentiva già abbastanza in colpa? Spense il motore e scese dall’auto, facendo il giro della macchina per aprire la portiera di Nate. «Saranno solo un paio d'ore, piccolo. Te lo prometto.»
«Tu fai sempre promesse e poi non le mantieni,» disse Nate, la sua voce densa di lacrime non versate.
Parker sibilò tra i denti quando il bambino scese dalla macchina e camminò con passo pesante sul vialetto, mentre lui si sentiva come se all’improvviso fosse stato colpito da un pugno. Come aveva pensato poco prima, Nate stava diventando davvero bravo a rivoltare il coltello. La verità fa male, vero? Parker ignorò il suo subconscio e guardò Nate suonare il campanello prima di girarsi a osservarlo da sopra la sua spalla, la piccola faccia rossa di rabbia e dolore.
«Non mangerò i cavoletti di Bruxelles!»
Appoggiato alla macchina, Parker aspettò che Ellie aprisse la porta. Alzò una mano in un saluto rassegnato quando Nate le passò accanto rabbioso entrando in casa e lei lanciò a Parker uno sguardo interrogativo. «Scusa,» disse lui, andandole incontro sul vialetto, «il suo atteggiamento è tutta colpa mia.»
«Posso gestirlo,» replicò Ellie con un sorriso dolce sulle labbra. Parker non aveva dubbi che potesse farlo. Ellie si prendeva cura di bambini da quasi trent’anni