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Ogni cinque anni
Ogni cinque anni
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E-book364 pagine5 ore

Ogni cinque anni

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Info su questo ebook

Nell e Vian si incontrano quando sono ancora bambini, perché il padre di lei e la madre di lui si innamorano. Presto, però, una tragedia costringe Vian a trasferirsi dall’altra parte del mondo. Cinque anni dopo si incontrano di nuovo e il loro legame si trasforma, andando oltre il semplice rapporto tra fratello e sorella. Tuttavia, ancora una volta, sono costretti a separarsi. Per le due decadi successive, il destino incrocerà le vite di Nell e Vian ogni cinque anni, ma le circostanze troveranno sempre il modo di dividerli. I due troveranno la felicità? Potranno mai amarsi e stare insieme per sempre?
LinguaItaliano
Data di uscita25 lug 2019
ISBN9788863939262
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    Anteprima del libro

    Ogni cinque anni - Paige Toon

    Cinque

    C’era un bambino sul letto di Nell.

    Lei strinse Coniglietto ancora più forte mentre guardava il bambino là sotto. Lui la fissò di rimando, scontroso. 

    «Nell, questo è Vian» disse papà, usando la sua vocina Stai-tranquilla-va-tutto-bene.

    «Vian, scendi dal letto» lo sollecitò Ruth, con tono gentile.

    Nell aveva già incontrato Ruth al piano di sotto. Aveva un sorriso carino e dei riccioli rossi che si muovevano su e giù quando camminava. D’istinto, le era piaciuta. Ma se Ruth era il motivo per il quale c’era un bambino nel suo letto, Nell avrebbe dovuto riconsiderare il suo affetto. 

     «Vian» sollecitò di nuovo Ruth.

    Nell distolse lo sguardo dal bambino con gli occhi scuri e imperscrutabili, e lo alzò su suo padre. «Perché è sul mio letto?»

    Per un momento papà sembrò a disagio, ma tornò subito al suo tono allegro. «Abbiamo pensato che ti sarebbe piaciuto dormire nel letto di sopra, ora che sei grande.»

    Nell scosse la testa. «Voglio il mio letto.»

    Suo padre si scambiò un’occhiata imbarazzata con Ruth.

    Ruth si inginocchiò. «Per favore, Vian, puoi alzarti?»

    «No» borbottò Vian, spostandosi lentamente, fino a buttarsi con il corpo contro il muro. I suoi capelli risaltavano sulla vernice bianca.

    Gli occhi di Nell vagarono per la stanza; ora capiva perché c’erano degli orsacchiotti sconosciuti sul copriletto e delle macchinine allineate sulla mensola stretta, quella che si trovava dietro il cuscino. Qualcosa le disse che Vian dormiva lì da un po’ di tempo.

    Era il suo letto. Era sempre stato il suo letto ed era sempre stata la sua camera. Aveva addirittura le stelle fosforescenti attaccate alle doghe di legno che sostenevano il materasso. Nell dette un’occhiata veloce per vedere se erano ancora lì. C’erano.

    «Non importa.» Il padre di Nell ignorò Ruth, scostandole la mano posata sul suo braccio. «Perché non ci facciamo tutti una bella cioccolata calda con i biscotti?»

    Cioccolata calda e biscotti prima di cena? A Nell piacque l’idea, ma Vian aveva ancora la fronte aggrottata. Era come se pensasse che l’intrusa fosse lei.

    «Papà, io non voglio dormire nel letto di sopra» sussurrò agitata, mentre seguiva il padre fuori dalla camera, non riuscendo a capire il motivo di quello sconvolgimento. «E le mie stelle fosforescenti?»

    «Possiamo prendertene altre e attaccarle al muro» promise papà, girandosi per prendere in braccio Nell quando la bambina raggiunse l’ultimo scalino.

    «Ma a me piace guardarle in su» disse lei, con gli occhi che le bruciavano per le lacrime, mentre suo padre la portava in braccio per il resto del tragitto verso la cucina.

    «Allora ti prenderemo delle stelle per il soffitto» rispose

    papà.

    «Ma a me piace il mio letto.»

    «Nell, per favore.» Quando la rimise a terra, la fronte di suo padre si corrugò in un’espressione di impazienza. «Fa’ la brava, d’accordo?»

    Nell si sentì ferita. Lei faceva la brava. Amava andare in Cornovaglia a stare con papà. Erano dei momenti solo per loro. Perché le cose dovevano cambiare? Perché anche queste persone dovevano stare qui?

    Mamma glielo aveva spiegato, certo. Papà aveva una nuova fidanzata «che era andata a vivere con lui alla velocità della luce». 

    «Non è da lui, è del tutto insolito per uno come tuo padre. Mi sono chiesta se gli abbiano fatto il lavaggio del cervello, ma abbiamo parlato e lei pare abbastanza carina. Probabilmente gli fa bene, così smette di fare l’eremita. In più avrai compagnia, perché suo figlio ha la tua stessa età. È nato due giorni prima di te. Tuo padre pensa sia destino. Crede che diventerete come quei gemelli della tv, Topsy e Tim.»

    A Nell era girata la testa dopo aver ricevuto tutte quelle informazioni, però era stata contenta, perché mamma di solito era troppo impegnata per parlare e adesso invece sorrideva.

    L’unica persona che ultimamente aveva fatto ridere mamma era Conan, il suo allenatore di tennis. 

    Anche se mamma non faceva tennis con Conan da un po’.

    «Ruth, ci sei?» chiamò papà ad alta voce.

    «Un minuto e arrivo» rispose.

    Papà sorrise a Nell. «Vian è un po’ timido, ma è molto simpatico. Ti piacerà, te lo assicuro.»

    Era così convinto anche quando glielo aveva detto per telefono.

    «Allora, quali biscotti mangiamo?» domandò papà. «Quelli alla crema pasticcera o i Bourbon alla cioccolata? Oppure i Jammie Dodger alla marmellata?»

    «I Jammie Dodger» rispose Nell, sorridendo. Suo padre le fece un sorriso raggiante, aprì il pacchetto e rovesciò l’intero contenuto in un piatto. «Eccoli» disse felice, mentre Ruth arrivava mano nella mano con Vian.

    Il bambino era alto suppergiù quanto Nell, forse un paio di centimetri in più. Ora, alla luce della cucina, riuscì a vedere che i suoi occhi erano blu, di un blu scuro. Sembrava ancora molto arrabbiato.

    Nell cullò Coniglietto sul petto e si nascose dietro le gambe di papà.

    «Tutti smistati» disse Ruth allegramente. «D’ora in avanti Vian dormirà nel letto di sopra.»

    «Ma…» iniziò il padre di Nell.

    «Shh» lo bloccò Ruth. «È tutto a posto. Starà bene, non è vero, tesoro?»

    Vian lanciò un’occhiata a sua madre e scostò una sedia dal tavolo. Il suono del legno che graffiava le mattonelle del pavimento fece sobbalzare tutti tranne il colpevole di quel rumore.

    Si lasciò cadere sulla sedia tenendo il broncio, con il labbro inferiore che sporgeva e le braccia incrociate, mentre fissava dritto davanti a sé.

    Vian non sembrava simpatico.

    Nell cercò di fregarsene. Dopotutto, aveva solo ristabilito ciò che era suo di diritto. E il suo letto le piaceva davvero. 

    Più tardi quella notte, dopo quella che era stata una cena spiacevole, visto che il padre di Nell aveva parlato troppo rispetto al solito, mentre Vian non aveva detto una parola, Nell si sedette sul pavimento, agitata, al buio, dietro la porta del bagno. Ruth stava aiutando suo figlio a prepararsi per la notte, mentre il padre di Nell puliva la cucina. Nell stava aspettando di andare in bagno per lavarsi i denti, come mamma le diceva sempre di fare, ma Vian e Ruth sembravano metterci secoli. La porta era socchiusa e lei riusciva a vedere Vian vicino alla vasca, aveva la testa bassa. 

    «Non voglio metterlo» borbottò e Nell pensò che la sua faccia dovesse essere rossa.

    «Solo fino a quando non ti abituerai alla scala» disse Ruth sottovoce.

    «Ma i pannolini sono per i neonati.»

    Nell ascoltò con interesse. Vian bagnava il letto?

    Lui tirò su col naso.

    Stava piangendo?

    Ruth si accovacciò accanto a lui. «Andrà tutto bene, Vian, te lo prometto. Domani andrà meglio dopo che tu e Nell avrete avuto il tempo di giocare insieme.»

    «Non le piaccio.»

    «Non ti conosce. Ricordati che anche per lei questa è una novità. È abituata ad avere il suo papà tutto per sé quando viene qui. Sono le uniche volte che si vedono.»

    «Perché io non vedo il mio papà?»

    Ruth sospirò profondamente e si tirò su. «Forza, tesoro» borbottò. 

    La mente di Nell si mise in moto. Chi era il papà di Vian? Dov’era?

    «Mettilo stanotte, per sicurezza. Non vorrai mica che accadano incidenti mentre Nell è sotto di te.»

    Le sopracciglia di Nell fecero un balzo.

    Quando furono entrambi in pigiama, papà lesse loro una storia sul divano al piano di sotto, non sul letto di Nell, come era solito fare. Nell guardò verso Vian, che stava seduto immobile e ascoltava con attenzione. Aveva i riccioli come la sua mamma, ma erano più corti e gli incorniciavano la faccia, cadendogli in parte sugli occhi. Aveva i capelli color marrone scuro, quasi nero.

    Vian non le parlava in modo diretto sin da quando era arrivata. Non riusciva a immaginare come sarebbe potuto diventare un compagno di giochi, uno con cui avrebbe voluto passare del tempo.

    «Bene, è tutto. È ora di dormire» disse il papà di Nell, dando una pacca sulle ginocchia di entrambi i bambini.

    Nell saltò su e stampò un bacio sulle labbra del padre.

    «Notte, notte. Ti voglio bene» disse lei.

    Suo padre sembrò sorpreso quando lei si allontanò e si precipitò su per le scale.

    In passato Nell aveva cercato di rimandare il più possibile l’ora di andare a dormire, supplicandolo di leggerle solo un’altra storia, di darle solo un altro bacio della buonanotte, magari di cantarle una canzone…

    Ma stanotte Nell andò in camera determinata.

    Lanciò Coniglietto sul letto di sopra e salì sulla scala tra i due letti. Quando Vian si affacciò alla porta, lei era già rannicchiata sotto le coperte. Lui la guardò stupito.

    «Puoi dormire nel letto di sotto» disse Nell, affabile. «Non importa.»

    Vian corse fuori dalla stanza, urlando. «Mamma, Nell dice che posso dormire nel letto di sotto!» 

    «Oh, che gentile!» Nell sentì il tono entusiasta di Ruth provenire dal salotto. 

    Nell si sentì come se tutto il suo corpo stesse per esplodere di felicità, mentre ascoltava i passi di papà sulle scale. Apparve nella stanza, i suoi occhi color cioccolata brillavano d’orgoglio.

    «Grazie» sussurrò, arrivando a metà della scala tra i letti e dando un bacio sulla guancia di sua figlia. «Significa molto per me. Lo apprezzo davvero. Hai fatto la cosa giusta.»

    Sì, era stata brava.

    E, onestamente, aveva poco a che fare con il fatto di non volere che Vian le facesse la pipì in testa.

    Il padre di Nell, Geoffrey Forrester, viveva da tutta la vita nello stesso cottage a due camere, sul fiume Helford. Gli era stato lasciato in eredità dopo la morte prematura di sua madre, e Geoff si aspettava che anche lui sarebbe stato portato via di lì soltanto in una bara.

    Si trovava sulla cima di una collina ripida, con una bella vista sul fiume, e a Geoff niente piaceva di più che starsene seduto sulla panchina in giardino, di fronte alla grande ortensia viola, a osservare in tutta tranquillità le onde provenienti dal mare lì vicino, che si alzavano e si abbassavano lungo il fiume. 

    Tuttavia oggi aveva compagnia, e tranquillità non era la parola giusta per descrivere il suo stato d’animo. 

    «Pronti, partenza, via!» chiamò Ruth.

    Nell cercò di far sì che il suo corpo si assottigliasse il più possibile prima di metterlo in moto. Strillava mentre rotolava giù per il pendio ripido. Sperava davvero che Ruth la acchiappasse, come promesso, prima di cadere sulla sponda del fiume. C’era la bassa marea, ma il fango assorbiva tutto, si ricordò Nell, visto che l’anno prima aveva perso uno stivale di gomma nella melma. 

    Ruth acchiappò la bambina euforica e la rimise in piedi, ma appena toccò a Vian, il suono della risata fu sovrastato dall’urlo di guerra.

    «Birbante» esclamò Ruth, acchiappando suo figlio per il sedere. «Non ero pronta.»

    Vian cominciò a saltellare urlando: «Ancora! Ancora!».

    Catturò l’attenzione di Nell e lei capì che la gara aveva inizio. Allora corse, corse, corse sulla collina più veloce che poteva, prima di lanciarsi, ansimante, a terra.

    Ruth gridò. «Oddio, Geoff! Aiuto!»

    Ruth raggiunse Nell giusto in tempo, mentre Geoff prese Vian, ma nella fretta di acchiapparlo, si rovesciò il tè bollente sulla mano.

    Nell e Vian si sentirono in colpa quando Geoff imprecò ad alta voce, ma Ruth buttò la testa indietro e si mise a ridere, e tutti fecero lo stesso. 

    «Avete un po’ di erba in testa» disse Ruth più tardi, togliendo i fili di erba fresca dai capelli dei bambini, mentre i due mangiavano panini al formaggio fatti con il pane croccante dell’alimentari del paese. Erano seduti al tavolo della cucina. Da lì si poteva vedere il fiume allungarsi immenso davanti a loro. Le ripide sponde erano fatte di vecchie querce, le cui cime verdi sembravano soffici come il cotone.

    «Tua madre mi ha detto che quest’anno dovrò spazzolarli meglio, altrimenti te li taglia» disse papà, ironico, dando una pacca sulla spalla di Nell.

    Lei rimase stupefatta. Sapeva che quella minaccia era vana. Aveva già chiesto di potersi fare i capelli come Isabel, la sua compagna di scuola, ma mamma aveva risposto che Isabel sembrava un maschio e, dal tono usato, Nell aveva dedotto che non era una cosa positiva.

    «Te li spazzolo io» disse Ruth, gentile. «Hanno un colore così bello, somiglia al grano che cresce nei campi, dall’altra parte del fiume.»

    «Stasera vuoi tornare a dipingere?» chiese Geoff, con naturalezza. Nell si ricordò che mamma le aveva detto che Ruth era una pittrice. «Posso badare io ai bambini» si offrì lui.

    «No, voglio venire anche io» disse Vian con entusiasmo. «Posso?»

    Ruth sorrise a suo figlio. «Certo che puoi.»

    «Evvai!» Vian guardò di sottecchi Nell. «Sto costruendo una tana» confessò lui.

    «Posso andare?» domandò Nell, fiduciosa, a suo padre.

    «Be’, direi che possiamo andarci tutti quanti e fare un picnic. Posso dare una mano a Vian mentre mamma lavora.»

    Furono tutti d’accordo: era un’ottima idea. 

    «Dov’è LouLou?» domandò lei in seguito, chiedendo della barca a remi che portava il nome di sua madre.

    In realtà, il vero nome di sua madre era Louise. Nell non aveva mai sentito nessuno chiamarla LouLou, ma a quanto pare papà lo faceva, tanto tempo fa. 

    «Era un po’ troppo piccola per tutti quanti, quindi ne ho presa una nuova» rispose suo padre.

    Nell guardò la barca a remi arancione. Era di un colore brillante. Oscillava delicatamente sull’acqua torbida e un po’ puzzolente.

    «Che ne pensate del nome Ornitorinco?» chiese suo padre. «È un’idea di Ruth.»

    «Gli ornitorinchi vengono dall’Australia» intervenne Vian, serio. «Mio papà è australiano.»

    Nell conosceva gli ornitorinchi. La sua maestra era australiana e spesso, nell’ora di lettura, portava in classe libri che parlavano degli animali di quel continente. Ma la seconda informazione era del tutto nuova.

    Nell esaminò le espressioni delle persone intorno a lei, e il suo sguardo infine si posò su Vian. Si decise. «Mi piace.»

    L’intero volto di Vian si illuminò in un sorriso e quello spettacolo riempì Nell di affetto.

    La marea si alzava e si abbassava due volte al giorno, ma gli orari cambiavano. Oggi e per i successivi due giorni era possibile attraversare il fiume nel tardo pomeriggio e tornare a casa poco dopo il tramonto, senza paura di urtare contro

    l’argine.

    Ruth prese posto nella parte anteriore della barca, mentre i bambini si sedettero dietro. I loro corpi erano diventati grandi il doppio a causa dei pesanti giubbotti di salvataggio gialli che stavano indossando. Il padre di Nell era al posto di comando, ma a metà del percorso lei chiese di fare a turno, suggerendo a Vian di seguirla. La barca vacillò quando Geoff fece cambio di posto con i bambini. Dopo aver girato in cerchio per dieci minuti, tornarono a scambiarsi un’altra volta, così Ruth poté continuare a lavorare.

    Una volta che la barca fu legata in modo sicuro ai rami bassi di un albero, la nuova famiglia si fece strada sotto i rami delle querce che crescevano dalla sponda ai pendii ricoperti d’erba, al confine con il campo di un contadino.

    Nell osservò Ruth. Saliva faticosamente la collina da sola. Portava il cavalletto di legno ripiegato sotto il braccio e una borsa a tracolla sulla spalla. I suoi riccioli rossi luccicavano nel sole del pomeriggio.

    Più tardi, quando costruire la tana smise di essere un’attività interessante, Nell si arrampicò andando verso Ruth, curiosa di vedere cosa stesse combinando.

    «Ciao» disse Ruth, sorridendo gentile. Si trovava tra le fronde di grano, che avevano lo stesso colore dei biscotti. Teneva nella mano sinistra un pennello intinto nell’arancione. «Papà sa che sei qui?»

    «Sì, ha detto che potevo venire» rispose Nell. Aveva il fiatone per essersi arrampicata sulla collina. «Cosa stai dipingendo?»

    «Questo» disse Ruth, indicando col capo il panorama.

    Nell guardò dietro di sé. Il cielo azzurro formava un arco sopra la sua testa, accarezzando le soffici cime degli alberi dall’altra parte. Il fiume in basso scorreva così placido da sembrare uno specchio, e alla sua destra il loro cottage e la rimessa si trovavano sulla sommità di una verde collina. Brillavano di un bianco quasi accecante nella luce del sole.

    «Vuoi dare un’occhiata?» chiese Ruth, facendo cenno a Nell di raggiungerla dall’altra parte del cavalletto, dove si trovava lei.

    Nell si avvicinò.

    Rimase sorpresa da ciò che vide. La tela era strapiena di colori. Blu e verdi accesi, gialli e arancioni intensi, rossi e viola luccicanti. Era carino, ma non sembrava affatto realistico.

    «Ti piace?» 

    «Sì» rispose sincera Nell.

    «Non sempre dipingo quello che vedo» spiegò Ruth. «A volte dipingo quello che sento.»

    Nell rifletté su quelle parole. Guardò la mamma di Vian. «Sei felice?»

    Ruth rise, il suo naso pieno di lentiggini si arricciò e i suoi occhi azzurri danzarono. «Sì, tesoro. Lo sono.» Sorrise a Nell. «A te piace l’arte?»

    Nell fece cenno di sì, decisa. «La faccio a scuola» ma i suoi disegni non erano mai così luminosi o così belli come questo.

    «Qualche volta possiamo scambiarci gli acquerelli, che ne dici?»

    Nell non era sicura di cosa fossero gli acquerelli, ma fece un sorriso enorme.

    «Sei così dolce» osservò Ruth, stringendo le labbra. «Forse un giorno posso ritrarti?»

    Lo disse come una domanda, quindi Nell annuì.

    «Guarda» disse Ruth spezzando una spiga dorata di grano e mettendola vicino ai capelli della bambina. «Non ci ero andata lontano, vedi?» Prese una ciocca di capelli di Nell e la arrotolò, portandogliela davanti agli occhi, così da poter paragonare i colori. «Ma i tuoi occhi» disse Ruth, aggrottando le sopracciglia. «I tuoi occhi sono più difficili… Sono come… come il colore del miele quando cola. Alla luce del sole» aggiunse, pensando a voce alta, scrutando la bambina. «Bellissimi.»

    A Nell questa descrizione piacque un sacco.

    In quel momento suo padre la chiamò dalla riva del fiume là sotto. La brezza gli scopriva la fronte, sollevandogli i capelli castani, mentre le faceva cenno di tornare giù. Nell vide che aveva steso una coperta a quadri rossi e neri, sulla quale Vian si era stravaccato e aveva già cominciato a mangiare. Sorrise a Ruth un’ultima volta e iniziò a correre, i suoi capelli biondi che le fluttuavano dietro le spalle mentre i piedi la conducevano giù per la discesa.

    «Qual è il tuo colore preferito?» chiese Vian a Nell, quando furono nel letto a castello.

    «Il verde» rispose Nell, senza un attimo di esitazione. Era sempre stato il verde, fin da quando cominciavano i suoi ricordi. «Il tuo qual è?»

    «Il rosso» rispose lui. «Ma prima era il blu.»

    «Perché tuo papà vive in Australia?» domandò Nell, cambiando l’argomento della conversazione.

    Dal letto di sotto non arrivò alcuna risposta. «Non lo so» disse Vian, alla fine.

    Nell sentì un fruscio e un secondo dopo la faccia di Vian apparve alla fine della scala tra i letti. «Mi manda le cartoline» sussurrò lui, passandole un cartoncino rettangolare.

    Nell si tirò su a sedere e guardò l’immagine nella luce fievole. Il tessuto giallo delle tende era troppo sottile per schermare il chiarore esterno, persino a quell’ora della sera. 

    L’immagine mostrava una barca su un immenso oceano blu.

    «È un pescatore» disse Vian, aggrappandosi con il braccio magrolino alla barriera di legno delle scale. 

    «Ti manca?» gli chiese Nell, perché a lei suo papà mancava un sacco quando era a Londra. La Cornovaglia era troppo lontana per tornarci nei fine settimana e nell’ultimo anno era riuscita ad andare a trovarlo solo durante le vacanze scolastiche.

    Vian scrollò le spalle. «Non lo so.»

    A Nell questa risposta parve strana. «Lui ti piace?» chiese.

    «Non lo so» disse di nuovo Vian, lasciandola ancora più sorpresa. «Mamma ha detto che una volta mi porterà in Australia a conoscerlo.»

    «Non lo hai mai incontrato?» Nell non era sicura di aver capito bene.

    Vian scosse la testa e si riprese la cartolina, sporgendosi verso il letto di Nell, per poi tornare sul suo.

    «Sei triste?» chiese lei.

    «No» rispose Vian.

    Ma Nell non ne era così sicura.

    Dopo la prima settimana del mese che Nell doveva passare in Cornovaglia, Geoff tornò al lavoro. Faceva il giardiniere a Glendurgan, una proprietà del National Trust dall’altro lato del fiume Helford, e sua figlia spesso lo accompagnava. Nell preferiva così, piuttosto che restare con quell’adolescente lunatica che in passato le aveva fatto da babysitter. Sebbene Geoff la tenesse impegnata con alcuni compiti, come potare i fiori e strappare le erbacce, i giorni scorrevano lenti per una della sua età. 

    Quindi, quando Ruth le propose di rimanere a casa con lei e Vian, Nell prese seriamente in considerazione l’offerta, ma alla fine decise di fare ciò che aveva sempre fatto. Solo che, quando si ritrovò a vagare da sola nel labirinto del giardino, mentre il padre potava le siepi, si rese conto che le mancava il suo nuovo compagno di giochi.

    Durante l’ultima settimana avevano costruito tane sulle sponde del fiume e castelli di sabbia sulla spiaggia. Avevano fatto volare gli aquiloni dalle cime ventose delle colline e si erano gettati a capofitto lungo le ripide discese. Quando a Vian era caduto il gelato nella sabbia, Nell gli aveva dato metà del suo. E quando lei aveva ammesso che le mancavano le stelle che suo padre non le aveva ancora ricomprato, Vian aveva staccato metà di quelle vecchie e le aveva attaccate con la colla sul soffitto sopra il letto di Nell.

    Raggiunto il piccolo rifugio di paglia al centro del labirinto, Nell si sedette sulla panchina e lasciò che la sua mente tornasse alla notte precedente. Vian e Nell si erano ancora una volta tenuti svegli, bisbigliandosi storie e parlando del loro desiderio di avere un cucciolo. Nell si era ricordata di aver lasciato fuori in giardino Barky, il suo cane di peluche, ma appena uscita dalla camera per andare a riprenderlo aveva sentito Ruth parlare con papà in salotto. 

    «Lo sguardo che oggi aveva Nell era inestimabile» aveva detto Ruth. Immaginava che Ruth stesse sorridendo, anche se non poteva vederne il viso.

    «La sua risatina mentre scendeva la duna di sabbia con Vian… È adorabile, Geoff. Già la amo alla follia.» 

    A Nell si sciolse il cuore e suo papà rispose con un tenero «oh.»

    Avendo sentito un rumore, Nell si guardò intorno e vide Vian sgattaiolare fuori dalla camera. Mise un dito sulle labbra e indicò la scala. Poi si sistemarono, pronti a origliare.

    «Quando scoprii che stavo per avere Vian, credetti che la mia vita fosse finita» disse Ruth, e a Vian gli si gelò il sorriso in faccia, portando anche Nell a irrigidirsi per quella svolta della conversazione strana e improvvisa. Aveva stretto il mignolo di Vian con il suo.

    «Dovetti tornare a vivere con mamma. Ero così spaventata. Ma se allora avessi saputo dove mi sarei trovata cinque anni dopo» continuò Ruth «non mi sarei mai preoccupata. Ti amo, Geoff. Anche Vian ti vuole bene, e siamo felicissimi qui, con te e Nell. Grazie per tutto quello che hai fatto per noi.»

    «No, grazie a te, tesoro» Nell sentì rispondere suo padre, e notò che la sua voce era più rauca del solito. «Hai riportato la luce nella mia vita. Mi sento incredibilmente fortunato ad avervi tutti qui con me.»

    Nell tirò un sospiro di sollievo e incontrò gli occhi di Vian. Le sorrise con dolcezza, poi si rinfilarono nei letti. Aveva deciso che Barky ce l’avrebbe fatta a sopravvivere da solo in giardino per una notte.

    Ora, mentre se ne stava seduta nel mezzo del labirinto, un pensiero le balenò nella mente. Saltò in piedi e corse a cercare papà. 

    «Papà» disse, tirandogli la camicetta verde e guardandolo fiduciosa.

    «È quasi ora della pausa tè e di qualche biscotto» promise lui, immaginando che quello fosse il motivo per il quale sua figlia fosse venuta a cercarlo.

    Lei scosse la testa. «Io e Vian ne abbiamo parlato.»

    «Eh?»

    «Papà, possiamo prendere un cucciolo?» chiese guardandolo, mentre le sue folte sopracciglia si univano. Prima che lui avesse il tempo di dire una parola contraria, lei insistette. «Per favore, papà. Lo vorremmo tantissimo un cucciolo. Lo porteremo a passeggiare e gli daremo da mangiare e lo faremo giocare tutto il tempo. Sia io che Vian vogliamo davvero un cane e ti promettiamo che ce ne prenderemo cura.»

    In passato Nell aveva già pregato suo padre di prenderle un cane, ma le aveva sempre detto di no. Lui lavorava troppo e lei non era quasi mai in Cornovaglia. Ma adesso, per la primissima volta, lui sembrò considerare la proposta.

    Per il fine settimana Geoff si era arreso e il cottage era già stato sistemato per il cucciolo. Geoff portò Ruth e i due bambini, eccitatissimi, in un paese a due miglia di distanza, dove i proprietari del pub della zona avevano una cucciolata di meticci pronti per trovare casa. La palla di pelo bianco e nero che scelsero fu chiamata Scampi, in allusione al posto dal quale veniva.

    Fu l’estate più bella della sua vita e, quando agosto stava per giungere al termine, Nell non voleva tornare a casa. Pianse quando Vian si provò la nuova divisa scolastica, tutto pronto per iniziare il primo anno alla piccola scuola su in paese. Nell pregò e supplicò di poter rimanere in Cornovaglia, così da poter andare a scuola con lui, invece che tornare alla sua severa scuola privata a Londra.

    Ma, ahimè, non fu possibile. Almeno, non per i successivi due anni, finché Louise non decise di fare i bagagli e trasferirsi sulla riviera francese per inseguire un uomo. Allora il desiderio di Nell si avverò. Quando la volta successiva partì per il lungo viaggio verso la Cornovaglia, sapeva finalmente che ci sarebbe rimasta.

    Dieci

    «Nell!» urlò Vian, spuntando dalla porta d’ingresso. «Dove sei?»

    «Qui.» Era al tavolo della cucina, intenta a iniziare i compiti di metà trimestre. Era arrivata a casa da scuola appena mezz’ora prima. 

    Vian, come al solito, si era rifiutato di unirsi a lei.

    Mentre la chiamava, sprizzava energia da tutti i pori. «C’è un anatroccolo che ha perso sua madre. Fa’ presto!»

    Subito Nell saltò in piedi e corse veloce dietro di lui.

    Avevano parlato spesso di quanto sarebbe stato divertente crescerne uno, ma fino ad allora nessun anatroccolo era stato abbastanza sfortunato

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