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Le verità sovrapposte
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Le verità sovrapposte
E-book421 pagine5 ore

Le verità sovrapposte

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Info su questo ebook

1998: Giorgio De Marchi, un famoso scrittore di romanzi gialli in crisi professionale e personale, ripensa agli eventi salienti degli ultimi tre anni della sua vita mentre all’aeroporto di Fiumicino è in procinto di imbarcarsi alla volta di Bangkok. La chiamata del volo accumula un inspiegabile ritardo e nell’attesa si susseguono misteriosi avvenimenti e ambigui personaggi, forse legati al romanzo che egli non ha ancora terminato oppure a un drammatico episodio sepolto nella sua memoria. Nel corso dell’emozionante viaggio in Thailandia e Birmania, una serie di eventi e incontri chiariranno a sorpresa le “verità sovrapposte” e daranno un nuovo equilibrio all’alternarsi fra realtà e immaginazione che attraversa l’intera narrazione.

Marco Enrico Longi è nato a Roma il 19 ottobre 1959. Laureato in Giurisprudenza è un Consigliere del Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica. Ha pubblicato con l’editore Il Ventaglio due volumi di poesie, Non-essere-un altro (1990) e A piccoli passi (1992). Nel 2006 ha pubblicato con l’editore Il Calamo il suo primo romanzo dal titolo La mela d’argento.
 
LinguaItaliano
Data di uscita31 dic 2022
ISBN9791220136303
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    Anteprima del libro

    Le verità sovrapposte - Marco Enrico Longi

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    Marco Enrico Longi

    Le verità sovrapposte

    © 2022 Europa Edizioni s.r.l. | Roma

    www.europaedizioni.it - info@europaedizioni.it

    ISBN 979-12-201-3180-3

    I edizione dicembre 2022

    Finito di stampare nel mese di dicembre 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.

    Questo libro è un'opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell'autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o defunte, è puramente casuale.

    Le verità sovrapposte

    Le verità sovrapposte

    Giorgio osservava con ozioso distacco la marea umana che sciamava in tutte le direzioni: facce che componevano l’anonimato di una mattina qualsiasi, strambe espressioni che animavano i viaggiatori in attesa di imbarcarsi su un aereo. Seduto su una poltroncina nella sala d’attesa alle partenze internazionali di Fiumicino, ripensava alla storia d’amore con Flavia soffermandosi sui primi momenti e sugli ultimi episodi del loro legame, convinto che per conservare l’immagine essenziale di un grande amore si dovessero serbare soltanto le emozioni dell’inizio e della fine. L’episodio del cane, quel fine settimana al Circeo e l’ultima discussione: l’aveva conosciuta nel pianto, l’aveva appena lasciata fra le lacrime.

    La faccia di lei rannicchiata nel dolore gli tornava in mente con l’accusa terribile di chi è preso alla sprovvista, pugnalato alle spalle da una decisione vigliacca, la fuga. Flavia, seduta a gambe incrociate sul letto intriso dei loro sudori e respiri, continuava a ripetere la stessa domanda, quel Parti?... che per lei suonava come una condanna, mentre serrava le labbra tumide tenendosi il viso fra le mani, quasi cercando di opporre uno scudo di tenerezza che la proteggesse dal colpo di grazia.

    Lui, torvo in viso, assalito dai tentacoli dello strazio e della pena, si ritraeva. Temeva di rimangiarsi la decisione: doveva partire, non poteva farne a meno. Era stata la sua unica risposta, con la massima fermezza, sperando di essere convincente. Aveva bisogno di andarsene per un po’ di tempo. Da lei e da quell’amore travolgente nato al crocevia della tristezza, un maledetto incrocio teatro di gravi incidenti sulla strada che collega Fiumicino a Roma.

    Quel pomeriggio, vincendo il timore di una scena raccapricciante, Giorgio aveva accostato l’automobile a quella di una giovane sconosciuta in preda alla disperazione per avere investito un esile cane randagio, al quale il sangue colava a fiotti dal petto squarciato celando sulla pelle anni di stenti e di disgrazie, mentre il muso umido e sbuffante gli schiariva il lucernario della riconoscenza per avergli fatto dono della quiete da sempre agognata.

    La vide di spalle, china sull’animale che rantolava. Flavia lo accarezzava ondeggiando tra i singhiozzi, imbrattando il volto della colpa con il trucco sciolto dai rimorsi fino al mento dolcemente curvo, mentre gli sussurrava parole fruscianti per l’emozione nell’universale lingua dell’affetto e della pietà. Lo guardava, quello sembrava il suo cane. In quel momento li univa un genere di armonia privilegiata e senza nome che soltanto il compimento dell’ombra a volte regala e fa apprezzare, come se si trattasse di un insostenibile raggio di luce proveniente da un altro mondo capace di accomunarli in una meravigliosa identità spirituale.

    All’improvviso Giorgio si trovò di fronte lo sguardo latteo e inebetito di quella figura longilinea tremante più di un giunco tormentato dal vento, con i lunghi capelli biondi e lisci splendenti come miele fresco, dalle punte vermiglie gocciolanti degli ultimi sussulti della bestiola immobile.

    Non sembrava affatto un pigro tramonto estivo a Roma, di quelli che l’afa opprimente consegna al refrigerio della brezza di ponente almeno per una breve pausa. Sull’asfalto bollente di una strada secondaria il pennello intrattabile del destino stava ritraendo nell’opalescenza uno scarno paesaggio caliginoso, due anime impietrite e un cane che ormai ne era privo, invitando a raccogliersi in rispettoso silenzio per alcuni istanti senza emettere i soliti suoni e rumori.

    Giorgio e Flavia intuirono di essere stati sorteggiati dal fato per regalare un estremo atto d’amore, ma in un certo senso si sentivano al di fuori della scena e la osservavano a minima distanza: potevano immaginare che la ripugnante comparsa della morte imponesse quel sacrificio per consentire un incontro indifferibile?

    Senza parlare seppellirono l’animale in un campo vicino.

    Possiamo andare, credo..., propose lui.

    Sì, qui non c’è altro da fare e... sei stato gentile ad aiutarmi... mi dispiace... mi dispiace sul serio di averti costretto...

    Non dire sciocchezze. Piuttosto, penso che ti farebbe bene bere qualcosa.

    Flavia aveva proprio bisogno di ingoiare qualcosa di forte per lenire la secchezza della gola e acquietare lo stomaco contratto in uno spasmo di tensione. Inoltre, l’elegante vestito che indossava era gualcito e sporco di sangue: come avrebbe potuto presentarsi in quelle condizioni agli amici che la attendevano? Senza pensarci due volte decise di accettare l’invito. E lo seguì fino a casa sua.

    Sedettero su due piccoli divani bianchi ad angolo nella terrazza.

    Ho sconvolto la tua serata?, domandò Flavia più quieta.

    Nessun appuntamento. Stavo rincasando dall’aeroporto, dopo un lungo viaggio.

    Per lavoro?

    Più o meno.

    Posso essere indiscreta?

    Oh, nessun segreto..., Giorgio sorrise, ho scelto di ambientare il nuovo romanzo in Messico. Perciò sono tornato laggiù a caccia di sensazioni, umori, contrasti, espressioni e respiri che avevo dimenticato, sperando di cogliere fino in fondo il senso tragico che lega quella gente alla vita e ai misteri inaccessibili del destino.

    Sei uno scrittore?

    A tempo pieno.

    Interessante... e curioso.

    Curioso?

    Io organizzo mostre per il mondo. Il prossimo anno mi occuperò di un’importante esposizione di arte precolombiana a Madrid. Ho appena ricevuto libri, documenti e materiale illustrativo. Chissà, ti potrebbero essere utili.

    Senz’altro.

    È buffo, davvero buffo...

    Cosa...

    Quello che è accaduto stasera. Stavo andando al mare, a passare il fine settimana in casa della mia migliore amica e...

    Vestita da gran sera?

    Michelle dà una cena in giardino per festeggiare il suo trentaquattresimo compleanno.

    È una splendida idea.

    Ero contenta di fuggire da questa calura asfissiante. Ultimamente ho lavorato moltissimo per completare una relazione sulle critiche apparse su giornali e riviste specializzate di mezzo mondo in occasione della rassegna di Parigi dedicata agli Impressionisti.

    Ne avevi curato l’allestimento?

    Sì.

    Era bellissima, complimenti.

    L’hai visitata?

    In febbraio.

    Prepararla è stato molto complicato, soprattutto a causa delle snervanti trattative per convincere i collezionisti americani a mettere a disposizione i loro quadri. Comunque, quando sono uscita di casa ero di ottimo umore, guidavo senza fare caso alla strada provando a rilassarmi. Pensavo all’Indonesia, ai suoi allettanti paesaggi. Quest’anno trascorrerò lì le mie vacanze. Con Michelle.

    Non te ne pentirai.

    Ci sei stato?

    Qualche anno fa.

    Un altro romanzo?

    Ogni tanto anch’io viaggio per puro piacere.

    Adesso cosa farai?

    Resterò in città per una ventina di giorni, giusto il tempo per mettere a fuoco il soggetto della nuova storia. Il soggiorno in Messico è stato proficuo. Qui non riuscivo a trovare alcuni collegamenti fra i personaggi della vicenda. Quando avrò terminato me ne andrò a sciare su un ghiacciaio.

    Anch’io amo sciare!, esclamò lei contenta.

    Giorgio notò che la donna aveva il bicchiere vuoto e le offrì un altro aperitivo. Lei gli chiese se poteva fare una telefonata: aveva il cellulare scarico e desiderava avvertire Michelle che sarebbe arrivata in ritardo.

    Il telefono è lì., Giorgio indicò il mobiletto in un angolo della terrazza. Si alzò e scomparve nella stanza da bagno. Si dette una veloce rinfrescata e indossò una camicia pulita. Rientrato in salone prese a indugiare con bottiglie e bicchieri per lasciare la sua ospite libera di conversare. Per poco non calpestò una fotografia che si ritrovò tra i piedi: era uno smagliante ritratto a colori del volto di Flavia appena piegato su una spalla nuda, illuminato dall’espressione birichina di chi non riesce a trattenere una risata. Si soffermò sugli zigomi sporgenti punteggiati dalle efelidi, provando a contare quei coriandoli che dilatavano il suo fascino. Poi allungò lo sguardo, seguendo con bramosia lo snello profilo della donna inguantato nella seta bianca, attraverso la quale il bizzarro gioco di luci sulla terrazza faceva risaltare forme sinuose e seducenti, mentre si staccava dal davanzale e girandosi piano ricacciava all’indietro la disordinata chioma dorata con gesto leggero.

    Invece di andare a posare l’apparecchio Flavia si incartò nel silenzio: arrossì lievemente, sentendosi frugare da quell’occhiata intensa e temeraria. Dalle sue verdi torce a mandorla partì senza preavviso il caloroso missile del consenso, ma lui era troppo distante per accorgersene.

    Chi è l’artista che ti ha fatto questa bellissima fotografia?, le chiese Giorgio con ammirazione rientrando in terrazza.

    Il mio ultimo fidanzato., rispose lei con noncuranza.

    Eri felice?

    Innamorata. Eravamo alle Seychelles. Lo sai che mentre scattava mi propose di sposarlo?, il tono della voce di Flavia era tutto ironia.

    Dalla posa sembra che tu stia per scoppiare a ridere.

    Fu una richiesta originale, diciamo così. E tu, sei sposato?

    Ci sono andato vicino un paio di volte.

    Rimpianti?

    Non sono il tipo. Amo il presente, è la mia vita. Il passato, per quanto possa pesare, è soltanto un insieme di capitoli di un libro, il romanzo personale di ognuno di noi. Che contiene gioie, errori, insegnamenti, dispiaceri. Mai rimpianti.

    Anche quando è il destino a scegliere contro la nostra volontà?

    Sì, se si ha fiducia che quell’apparente ingiustizia sarà un giorno compensata da una straordinaria felicità.

    Lo credi veramente?

    Sono in buona fede, ma talvolta ho dubitato che fosse un espediente per tenere sotto controllo la mia inquietudine. E tu?

    Io, più di tutti ho amato due uomini. Uno di loro, però, ha tradito la mia anima. Non potrò mai perdonarlo.

    Il fotografo?

    Non feci in tempo a coinvolgere parenti e amici con la fatidica notizia. Poche settimane dopo essere tornati a Roma da quell’isola stupenda lo lasciai. Senza spiegazioni. Fu terribile, lo amavo senza limiti. Già da un anno vivevamo insieme. Fra noi esisteva un accordo armonioso, spirituale e di quotidianità. Ritenevo che Antonio fosse la persona adatta per realizzare una famiglia insieme a me. Sensibile, attento, era anche un amante virtuoso.

    Perché gli tacesti i motivi della rottura?

    Non volli umiliarlo. Non potevo proprio…

    Flavia si voltò verso l’oscurità per nascondere l’amarezza. Prese tempo ravviando i capelli, poi si girò guardando Giorgio dritto negli occhi. Il suo bel volto era incorniciato da un alone di rabbia repressa, come chi ha subito un terribile torto.

    Il destino mi impose quella decisione!, sbottò, Ho sofferto come una bestia, mi sono disperata: in un attimo è cambiato tutto. Succede, lo so. Ma quando capita non c’è tempo per ricordare che la vita può cambiare in un istante! Ora sono di nuovo serena, anche se porterò per sempre con me il rimpianto per un’occasione irripetibile finita nella spazzatura!

    Giorgio annuì senza fiatare, credendo d’istinto che una grave ragione l’avesse costretta a interrompere la sua storia d’amore. Continuarono a chiacchierare per un po’, scivolando con eleganza da un argomento all’altro. Nessun ostacolo né diffidenza intralciavano l’aleggiante volteggiare giocondo di affinità, libere di frantumare il tempo a piacimento e di favorire i primi sguardi furtivi sostenuti dalla curiosità. A un tratto la perdurante latitanza del disco rosso affondato all’orizzonte risvegliò sonoramente il languore della fame. Giorgio e Flavia commentarono divertiti le vibranti proteste dei rispettivi stomaci.

    Sei sfortunata, sono un pessimo cuoco.

    Peccato, non capita tutti i giorni l’opportunità di cenare in una magnifica terrazza in mezzo a fiori e piante tanto curati…, lo blandì lei con una smorfia da gatta.

    Se ti accontenti di un piatto semplice semplice…

    Non preoccuparti. Mangerò a casa di Michelle.

    Forse è tardi.

    Troveremo qualcosa da parte per noi., Flavia rise e lo fissò.

    Noi?!

    Ho raccontato a Michelle quello che è successo e le ho chiesto di darmi una mano per sdebitarmi. Sei invitato anche tu.

    Ma… io…

    Per la festa o per l’intero fine settimana, se non hai altri impegni.

    Flavia continuava a ridere da monella e lo incalzava con dolcezza. Godeva a metterlo a disagio con un pizzico di provocazione.

    Stai scherzando?

    Michelle possiede una villa faraonica.

    Ti ringrazio per la proposta, ma sono così stanco… sai, il fuso orario… devo ancora disfare i bagagli.

    Ho la soluzione: guiderò l’automobile senza ascoltare musica per farti riposare. Le valigie le aprirai al ritorno, a meno che… che stupida!, non ci avevo pensato…, Flavia si accigliò e tornò seria.

    A cosa...

    Una donna.

    Sono libero, nessuna fidanzata.

    Allora partiamo. Vai a prepararti.

    Prima di spegnere le luci sulla terrazza Giorgio si catapultò con l’anima nella smisurata protezione del buio. Aveva mentito. Federica sarebbe tornata l’indomani dall’Algarve, dove era volata a concludere il contratto di acquisto di un altro albergo. Il loro rapporto, che negli ultimi mesi procedeva per inerzia, si era ulteriormente incrinato a causa di quell’affare: lei si sarebbe trasferita in Portogallo per un anno, per seguire le opere di ristrutturazione dell’immobile e per impostare la nuova attività. Giorgio non l’avrebbe seguita: a sua sorella restavano nove mesi di vita. Un amore può attendere, la leggendaria signora falciatrice dei campi, no.

    A disagio per la bugia detta e più seccato per avere ricordato i suoi irrisolti problemi, Giorgio si protendeva con il volto affilato nella notte ancora densa di calore, quasi supplicandola di aiutarlo a rintuzzare le moleste provocazioni delle miserie dell’umanità e ad accettare con serena tolleranza l’ignota dinamica dei ritardi che nella vita sovente infiammano di delusione chi rifiuta di sottomettersi a questa legge. Quando lo sguardo gli cadde sull’accendino d’oro che Flavia aveva dimenticato vicino a un vaso si ricordò che lei lo stava aspettando. Sorrise, confidando che la nera immensità innanzi a lui avesse smesso di allattare dubbi ed esitazioni. E si affrettò a chiudere porte e finestre.

    Verso il mare, taciturno, Giorgio galleggiava nei pensieri provando a rilassarsi. Rimuginava, colpito dalla naturalezza con la quale Flavia lo aveva seguito in casa sua come se avesse incontrato un vecchio amico. Che donna imprudente! Invitarlo addirittura per il fine settimana senza conoscerlo strideva, sembrava eccessivo. Però, quel comportamento disinvolto più che audace lo aveva intrigato...

    L’intuito lo rassicurò. Flavia era il ritratto della finezza. I suoi gesti misurati, il sorriso schietto sul viso glabro dai tratti irregolari ma con una bocca perfetta, che lei piegava di traverso quando lo guardava dal basso in alto un po’ in diagonale, accrescevano la gioiosità del timbro della sua voce appena sottotono. Gli ricordava Brigitte, un’avventura impossibile e invadente in un novembre mite in Normandia, che nel gioco e nell’esaltazione della provocazione era riuscita a resistere a lungo in una favola antica. Ma più che altro Flavia sembrava confermare che in talune rare occasioni è possibile imbattersi in soggetti che ci sono simili, al punto di dovere soltanto riconoscere in loro quelle caratteristiche che di solito provocano amabile sorpresa quando sono scoperte per la prima volta.

    Anche Flavia evitava di parlare, intenta a processare la sua ingovernabile irruenza. In verità se ne compiaceva: era riuscita a mettere Giorgio in imbarazzo e gli aveva scombussolato la serata e i giorni successivi. Sensibile e garbato, la attirava con quello sguardo vivo e severo, magnetico negli occhi del colore dell’acciaio, in apparenza gelidi da mettere in soggezione ma rivelatori di una certa di umanità. Le piaceva il suo viso lineare, appena femmineo, con la fronte solcata da minuscole rughe. Solo i capelli, biondo cenere pettinati con riga corta da una parte, stonavano sulla sua faccia e sul fisico atletico.

    Flavia ripensava alle sue attenzioni in occasione dell’incidente: si era fatto avanti con discrezione e generosità nel momento in cui il lunghissimo viaggio aereo e il differente fuso orario insieme al caldo sciropposo che illanguidiva la città davano il colpo di grazia alla sua stanchezza. Non aveva esitato a sporcarsi di sangue e di terra quando avevano seppellito il cane. Si era mostrato premuroso nell’offrirle la possibilità di ristorarsi prima di andarsene. Perché non ricambiare invitandolo a casa di Michelle?

    Il suo comportamento nei confronti di Giorgio, notò, era un segnale inconfutabile di ritrovato dominio di sé indipendentemente dal tragico episodio che li aveva fatti incontrare. Nell’ultimo anno aveva avuto poche occasioni per rallegrarsi. Il dolore per avere lasciato Antonio di punto in bianco l’aveva perseguitata. Di più, l’insofferenza per la noiosità dei nuovi spasimanti, rivelatisi superficiali e che l’avevano indotta a consacrarsi al lavoro, in attesa di imbattersi in una persona di spessore intellettuale in grado di solleticare la sua curiosità. Giorgio ci stava riuscendo... involontariamente, come sempre accade quando sboccia un favoloso sentimento, grande perché fin dall’inizio mette le radici nella semplicità e nella naturalezza.

    Hai sonno?

    Tento di rimanere sveglio.

    Vedrai, a casa di Michelle ti divertirai. I nostri amici sono persone formidabili. Qualcuno è un po’ matto. Andrea, il pianista. Nella vita di tutti i giorni è un ingegnere oberato dal lavoro. Alla sera si trasforma. Getta la maschera della serietà per sfogare il suo inguaribile romanticismo nell’abilità con lo strumento. Suona qualsiasi pezzo, leggero e di jazz. Ci mette l’anima, riesce a fare sognare anche chi nell’amore non crede più.

    L’amore..., sospirò gravemente Giorgio gettando un’occhiata allusiva all’oscurità che inghiottiva il mondo ai lati della strada.

    Ho detto qualcosa che non va?

    No, ma... tu credi all’amore?

    Mi fa paura, non so se sono ancora disponibile a lasciarmi coinvolgere.

    Perché...

    Te l’ho detto, ho paura.

    Come la maggior parte della gente.

    A me non interessa l’opinione dominante!, si indispettì Flavia.

    Neanch’io me ne curo. Tuttavia, è innegabile che viviamo in un’epoca oscura, avara di sentimenti pieni, di creatività. Questo mondo pare precipitare senza rimedio verso la sua fine. Probabilmente è questa la fine del mondo, non il grande cataclisma paventato da alcune scritture sacre.

    Il Kali Yuga... i miei amici indiani affermano che siamo nel Kali Yuga, il periodo della grande distruzione di tutti i valori etici e spirituali.

    È così, basta guardarsi attorno.

    Ma non andrà tutto in cenere. Qualcuno resisterà, lotterà e l’umanità avrà nuove possibilità di risorgere e di risplendere. Il mondo non può arrestarsi. Ogni fine reca con sé un altro inizio, il seme della vita germoglia nella morte già mentre questa spiega i suoi effetti. È una legge alla quale credo ciecamente.

    Non sembrerebbe. Hai timore di amare., opinò lui.

    È diverso. Ho fiducia nel mondo che si rigenera prima di crollare, nell’arte chiamata a testimoniare la vita oltre le barriere del tempo, ma negli uomini...

    Sono d’accordo, la gente non ama i propri simili.

    Caro Giorgio, le priorità sono denaro e comodità. Nient’altro. In questo mondo balordo non c’è spazio per un briciolo di umanità.

    È così, purtroppo.

    Quante persone si sarebbero fermate a soccorrere quel povero cane?

    Molti si sarebbero arrabbiati per il danno alla carrozzeria., rise lui sarcastico.

    E per le sporcature sul cofano.

    O sui vestiti.

    E lo avrebbero lasciato lì, alla mercé delle ruote di un’altra automobile, giusto?

    Magari lo avrebbero spostato a calci al margine dell’asfalto.

    Ma perdere tempo per dargli dignitosa sepoltura...

    E arrivare tardi a una cena...

    Ignorando che per un gesto di pietà e di amore il destino può essere riconoscente...

    Alludi?

    Certamente. Ma non ti sto corteggiando!, rise lei birichina.

    Meno male...

    Spiritoso...

    Però, è strano...

    Cosa...

    Mi è rimasta impressa la scena: quella bestiola agonizzante, il silenzio compatto, inscindibile intorno a noi, due sconosciuti di fronte alla morte di un cane qualsiasi, non saprei… ma ho avuto la sensazione che il tempo avesse rallentato di colpo la sua frequenza… o smesso di battere. Noi, lì, sembravamo spettatori sospesi da un territorio breve al confine tra la vita e la morte.

    Anch’io ho creduto di assistere all’evento dal di fuori, per alcuni istanti in una dimensione che mi costringeva a guardare me stessa a distanza. Mi osservavo e non provavo nulla: per niente e per nessuno, neanche pena per quell’animale. Nessuna emozione.

    Eppure si trattava di un episodio qualsiasi nella quotidianità di questo mondo, che si stava svolgendo secondo regole naturali. Ma in quel momento né a te né a me importava: era un fatto, un semplice fatto che accadeva. Così, senza poesia, senza pietà, logico e inevitabile come tanti altri. Sai cosa penso? Che il mondo esisterebbe lo stesso, anche senza di noi, senza le nostre sensazioni e tutti i sentimenti. Forse, l’anima colora gli avvenimenti che altrimenti dipingerebbero l’universo in bianco e nero, tutto uguale e soltanto rispondente a una legge di continuità.

    È così, caro Giorgio. Se riesci a sfuggire al condizionamento del carattere, delle emozioni e dei sentimenti, della coscienza, della capacità di separare il bene dal male, al fascino dell’ignoto che attira chi non si accontenta di vivere tanto per farlo o perché vi è costretto, ti rendi conto che l’esistenza è una pedissequa ripetizione a mosaico di fatti diversissimi soltanto in apparenza, sui quali proiettiamo la nostra interiorità come colori spruzzati da una fonte misteriosa che non può fare a meno di erompere. È l’infinito che si manifesta e prende forma, che prima di rientrare in sé stesso ci concede la possibilità di dare intensità e rilievo alle immagini destinate a essere riassorbite nel grande vuoto dal quale provengono. Come noi.

    Io, però, credo nell’aldilà. Che tutto questo abbia un senso. Ci sfugge, ma c’è.

    Dici? Io non possiedo il dono della fede, ma il tormento dell’ignoranza per il dubbio di appartenere a un gioco a incastro forse inutile e insensato, al quale sono costretta mio malgrado e che mi offre soltanto una speranza senza entusiasmo.

    Quale speranza?

    Te lo dirò, forse un giorno te ne parlerò.

    È questa la villa della tua amica?

    Sì, siamo arrivati.

    A che ora vengo a prendervi?

    Chiameremo un taxi., rispose Flavia con noncuranza.

    Mi farebbe piacere accompagnarvi all’aeroporto. È il minimo che possa fare per ringraziare te per il fine settimana al Circeo e la tua amica Michelle per la sua squisita ospitalità.

    Come sei formale!

    Cosa dici...

    Che hai già ringraziato Michelle con un superbo mazzo di fiori!

    Te l’ha detto?

    Fra noi non esistono segreti.

    Meglio così.

    Non puoi fare a meno di salutarla prima che partiamo, vero?

    Vorrei augurarvi buon viaggio...

    Non ti credo.

    Sei gelosa, inutilmente gelosa., la canzonò lui.

    Può darsi.

    Non ce n’è motivo.

    Sicuro?

    Puoi credermi. Davvero.

    Va bene. Per le dieci. A casa mia.

    A domani.

    Giorgio chiuse il telefono con un risolino. Accese la pipa e rimase per un po’ alla scrivania a meditare. Non aveva voglia di scrivere. La mente vagabondava inquieta fra le emozioni di quei tre giorni al mare.

    Si era ritrovato in quel villone squadrato dalle immense pareti bianche e con grandi vetrate fumé, nel quale imperava un arredamento essenziale e moderno che contrastava con gli ambienti delle camere da letto, nelle quali Michelle aveva sistemato il mobilio d’antiquariato e i quadri della casa di campagna ereditata da suo padre. Il giardino, curato come quello di una residenza principesca, lo aveva incuriosito per la presenza di pregevoli sculture astratte, per i prosperosi salici piangenti e la piscina a forma di serpente, attorno alla quale erano seminati ombrelloni variopinti su carta di riso thailandese.

    In compagnia di una cinquantina di persone mai viste prima, tutte euforiche e desiderose di festeggiare Michelle e il nuovo ospite lasciandosi andare alla sfrenatezza della musica, si era fatto contagiare subito dal clima goliardico e spensierato che esaltava la serata. Un quartetto di buontemponi aveva immediatamente sequestrato Flavia per farle pagare una penitenza a causa del ritardato arrivo alla villa. L’avevano bendata e spinta giù dal trampolino della piscina tutta vestita, obbligandola a consumare la cena in acqua. Poi, Giorgio si era avvicinato ad Andrea, già scatenato al pianoforte e alle tastiere insieme ad altri amici alla batteria e alle chitarre, impegnati a inondare il giardino con serratissimi ritmi sudamericani che trascinavano tutti in danze indiavolate sull’onda selvaggia della sensualità.

    Faceva un caldo infernale e la musica imperversava nell’afa stagnante. Giorgio si sentiva pieno di energie, come quando in gioventù trascorreva le vacanze estive in Costa Brava tuffandosi nelle effervescenti atmosfere dei locali notturni: rideva e sorrideva a tutti, ballava, tracannava alcolici senza mai fermarsi. Ogni tanto prendeva fiato e aguzzava la vista tra i fasci malandrini delle luci psichedeliche alla ricerca di Flavia. Soltanto una volta gli era sembrato di riconoscere i suoi capelli a caduta libera sul volto di un uomo accoccolato su un divano poco illuminato, ma i sensi annebbiati dal torpore e dalle abbondanti libagioni l’avevano costretto a girare gli occhi altrove per il timore di perdere l’equilibrio.

    Si incontrarono la mattina dopo a colazione. Era da poco scoccato mezzogiorno. Il sole si appannava di vapore in un cielo terso che andava perdendo l’azzurro. Una ventina di facce stravolte e imbronciate balbettavano sulla grande tavola che i camerieri avevano allestito intorno alla piscina, nella quale galleggiavano confuse testimonianze della festa.

    Giorgio, come gli altri, nascondeva gli occhi di bragia sotto un vistoso paio di occhiali da sole. Salutò distrattamente e si protese verso il caffè nero come un disgraziato bisognoso di scrollarsi di dosso la pesantezza di una solenne ubriacatura.

    Flavia fece un cenno con una mano per dargli il buongiorno e riprese a parlottare con Natascia, un’obesa, balzana pittrice russa cinquantenne, che gesticolava eccitata come un bimbo che ha da poco scoperto un nuovo gioco, mentre le illustrava il quadro che aveva dipinto nel caos della notte in un angolo del giardino. Era una tela di quattro metri per due a fondo scuro, impiastrata dall’alto verso il basso con volti di fanciulli dalle forme sgraziate emergenti da spirali di nebbia. Espressioni malvagie e gelide incombevano tetre su una città imbalsamata, adagiata su una stella di lacrime in grigio opaco.

    Giorgio gettò un’occhiata schifata alla raffigurazione sinistra e a quella donna dagli occhi torbidi, con le guance molli e cadenti, che assomigliava a una fattucchiera slava. Non disse nulla e attese gli eventi, ma in cuor suo non vedeva l’ora di tornare a Roma. Si era divertito ma non sopportava l’idea di restare ancora in quella casa, dove la luce del giorno gli aveva restituito la patente di estraneità nei confronti degli altri ospiti.

    Il trillo improvviso del cellulare lo fece sobbalzare. La voce squillante di Federica lo fece ripiombare nella scordata quotidianità. Giorgio si allontanò dalla tavola. Per alcuni minuti passeggiò nervosamente intorno alla piscina. Poi si sedette ai piedi di un salice.

    La breve telefonata con Federica rafforzò il presentimento che il loro legame fosse giunto al capolinea: il tono remissivo e scialbo della voce, il disinteresse nelle chiacchiere di circostanza e soprattutto quel mentire inutile, inventando una scusa banale per giustificare di trovarsi altrove e di non essere andato a prenderla all’aeroporto. Bugie, piovute da un rapporto logorato dall’abitudine più che dall’ostacolo della nuova iniziativa di lavoro di Federica, colpevole anche lei da tempo per la scandalosa accettazione della finzione.

    Giorgio teneva i gomiti puntati sulle ginocchia. Con il mento appoggiato ai pugni guardava perplesso le persone ancora a tavola, sentendosi distante più del braccio d’acqua nella piscina che lo separava da loro. Una diffusa sensazione di fastidio lo irritò: quella gente che chiacchierava a bassa voce sembrava parlare di lui e delle sue pene, indicarlo, accusarlo di essersi illuso di riuscire a fuggire dalle sue responsabilità, di avere perduto un amore senza lottare.

    D’un tratto si accorse che Flavia si era avvicinata e lo guardava. Gli occhi si incrociarono di fronte alle bocche chiuse. Il sorriso lieto e ignaro della donna risplendeva di comprensione fatale, pareva invitarlo a rimandare processi e discussioni, a lasciarsi cullare dalla spensieratezza in una giornata tutta da scoprire.

    Giorgio annuì scrollando le spalle, confessando con un gemito il desiderio di ricacciare nell’oblio pensieri e preoccupazioni. Di lì a poco si ritrovò con l’acqua del mare spianato alle caviglie, mentre tentava di mettere a fuoco la sagoma smunta dell’isola di Ponza all’orizzonte velato dalla forte umidità.

    Il rombante motoscafo di Michelle scaricò a lungo gonfie fumate nere nell’aria compatta, trascinando quella banda di smidollati in sciate virtuose e funamboliche gite con il paracadute nei pressi delle stelle addormentate. Poi, quando la montagna del Circeo iniziò a ombreggiare la spiaggia, Giorgio e Flavia salutarono gli amici e si avviarono a passeggiare senza meta apparente. Camminarono sul bagnasciuga raggelato senza parlare, osservando le loro orme sabbiose affogare nel deciso risveglio del mare, mentre il cielo saturo scuriva gravido tutto intorno con fosco presagio di buriana.

    Avanzavano vicini, dinoccolati e fiacchi, sorpresi dalle brevi dune che li facevano sfiorare. Le braccia e le spalle conobbero l’emozione del primo contatto involontario, mascherato dal brivido fugace provocato dal vento fresco messaggero di burrasca. Lontano nel mare schiariva. Un’ampia striscia nitida di azzurro spaccava l’infinito, imprimendo nel nulla lucido la sommità dell’isola di Ponza, per magia riemersa dalla memoria svagata della natura a frastagliare la monotona foschia all’orizzonte.

    Giunti alla fine della spiaggia che pareva accorciare il mondo fra le rocce screpolate da secolari tempeste, si arrampicarono su uno scoglio accogliente e sicuro che garantiva una vista spettacolare sull’incombente tracollo della tranquillità.

    Ripide guglie bianche presto si innalzarono sul blu che slabbrava, affondava e friggeva nel brontolio capriccioso di riccioli di spuma scatenati, che sciamavano striando l’acqua sotto le violente frustate del vento, facendo echeggiare il gorgoglio di un’imminente catastrofe sui riflessi metallici della luce cianotica.

    L’aria raffreddò, sempre di più. Flavia ritirò le ginocchia verso il mento e si strinse accanto a Giorgio, che le girò un braccio intorno alle spalle per consentirle di piegare la testa sul suo petto. Cominciò a sfiorarle i capelli scompigliati dalle raffiche, assaporando fra le labbra il sale con l’acqua polverizzata dal vento. Un febbrile piacere lo colse impreparato, stordito dai fragorosi lamenti del mare e dal calore che lo penetrava attraverso la pelle del volto della donna. Abbassò gli occhi, smise di pensare e si commosse, contento senza accorgersene mentre si imballava sulle

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