Favole
Di Esopo
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Edizione integrale
Collocato tra il mito e la storia, Esopo, il leggendario “padre della favola”, ha tramandato all’umanità, dai primordi della letteratura greca in prosa, un arguto e amabile messaggio di vita, nel quale saggezza e sottile ironia si fondono felicemente in una narrazione sorridente e garbata, che dispensa consigli e ammaestramenti sotto forma di fantasiosi apologhi. Siano uomini o divinità, piante o animali, i personaggi di Esopo dialogano e si confrontano in una rappresentazione spontanea e sapidamente mimetica, che brilla per naturalezza e colpisce per l’originalità delle invenzioni.
«Un capretto che stava sopra il tetto di una stalla, come vide un lupo che passava per di là, prese a ingiuriarlo e a ridicolizzarlo. Allora il lupo gli disse: «Amico bello, è il luogo dove stai che mi insulta, non tu».»
Esopo
secondo la tradizione, sarebbe stato uno schiavo frigio del VI secolo a.C. che dopo molte peripezie in Oriente fu condannato a morte a Delfi sotto una falsa accusa. Già alla fine del V secolo il corpus di favole attribuito ad Esopo costituiva una delle letture scolastiche fondamentali. A noi è pervenuta la raccolta di 500 composizioni compiuta da Demetrio Falereo.
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Anteprima del libro
Favole - Esopo
1
I Beni e i Mali
Siccome i Beni erano deboli, furono messi in fuga dai Mali: essi allora salirono al cielo. Lì i Beni chiesero a Zeus come dovevano comportarsi nei riguardi degli uomini. Egli consigliò loro di presentarsi agli uomini non tutti insieme, ma uno alla volta. È per questo che i Mali sorprendono di continuo gli uomini, perché stanno ad essi vicino, mentre i Beni arrivano più lentamente, dovendo essi discendere dal cielo.
La favola dimostra che nessuno consegue i beni rapidamente, mentre ognuno è colpito dai mali giorno dopo giorno.
2
Il venditore di statue
Un tale, avendo scolpito un Ermes di legno, lo portò in piazza per venderlo. Poiché non s’era avvicinato nessun compratore ed egli voleva richiamare l’attenzione di qualcuno, si mise a gridare che vendeva un dio benefico e apportatore di guadagni. Ma una delle persone che si erano avvicinate gli disse: «Amico mio, perché mai lo vendi se è tale, mentre dovresti giovarti tu dei suoi favori?». Gli rispose: «È che io ho bisogno di un aiuto immediato, mentre lui è abituato a procacciarli lentamente i guadagni».
La favola è opportuna per l’uomo bassamente avido di guadagno, che non ha riguardo neppure di coinvolgere gli dèi.
3
L’aquila e la volpe
Un’aquila e una volpe, avendo stretto amiciza tra loro, decisero di abitare l’una vicino all’altra, ritenendo la convivenza un rafforzamento del legame amichevole. Allora l’aquila, salita su un albero molto alto, vi fece il suo nido; avvicinatasi a sua volta a un cespuglio sotto l’albero, la volpe vi partorì i suoi cuccioli.
Ma un giorno che essa era uscita in cerca di cibo, l’aquila, non avendo a disposizione di che nutrirsi, volata giù nel cespuglio e traendone via i piccoli, li divorò dividendoli coi suoi aquilotti.
Ritornata la volpe e intuito l’accaduto, non tanto si addolorò per la morte dei cuccioli, quanto per non poter ripagare l’aquila con la stessa moneta: essendo infatti animale di terra, essa non poteva inseguire un volatile. Perciò, stando lontano, scagliava maledizioni contro la sua nemica, unica consolazione questa per chi è debole e senza potere. Ma accadde entro breve tempo che l’aquila subì la punizione del suo crimine contro l’amicizia: infatti, mentre in campagna della gente stava sacrificando una capra, l’aquila, piombata giù a volo, portò via dall’altare delle viscere ardenti; recatele nel nido, un forte vento le investì e da qualche sottile fuscello secco suscitò una vivida fiammata. Perciò, bruciacchiati, gli aquilotti caddero giù a terra (non erano infatti ancora in grado di volare). E la volpe, subito accorsa, li divorò tutti, sotto gli occhi dell’aquila.
La favola insegna che quelli che tradiscono l’amicizia, anche se riescono a sfuggire alla vendetta delle vittime, per l’impotenza di queste, non possono in ogni caso sfuggire alla punizione del cielo.
4
L’aquila e lo scarabeo
Un’aquila correva dietro una lepre; questa, trovandosi nell’assoluta mancanza di chi la soccorresse, visto uno scarabeo, unica possibilità che il caso le offriva, lo supplicava. E quello, facendole coraggio, come vide avvicinarsi l’aquila, la pregava di non portargli via la lepre sua protetta. Ma l’aquila, disprezzando la piccolezza dello scarabeo, dilaniò la lepre sotto i suoi occhi.
Da allora l’insetto, serbandole rancore, non cessava di spiare i nidi dell’aquila e, quando quella vi deponeva le uova, esso levandosi a volo le faceva ruzzolare giù e le rompeva, fino a che l’aquila, costretta a sloggiare da ogni parte, fece ricorso a Zeus (essa infatti è l’uccello sacro di Zeus) e lo pregò di assegnarle un posto sicuro per allevarvi i suoi piccoli. Avendole concesso Zeus di deporre le uova nel suo grembo, lo scarabeo, visto ciò, fece una palla di sterco, si alzò a volo e, quando fu alto sul grembo di Zeus, ve la lasciò cadere. E Zeus, volendo scuotersi via lo sterco, come si alzò fece cadere inavvertitamente le uova.
Dicono che da allora, nella stagione in cui compaiono gli scarabei, le aquile non covano.
La favola insegna a non disprezzare nessuno, nella considerazione che non v’è alcuno così impotente che, oltraggiato, una volta o l’altra non possa vendicarsi.
5
L ’aquila, il gracchio e il pastore
Un’aquila, volata giù da un’alta rupe, rapì un agnello; un gracchio, vista la scena e spinto dall’invidia, volle imitare l’aquila e, calatosi con grande strepito, piombò su un montone. Senonché gli si impigliarono gli artigli nei bioccoli di lana e, non potendo risollevarsi a volo, non faceva che sbattere le ali, finché il pastore, avendo capito l’accaduto, accorse ad acchiapparlo e, spuntategli le ali, quando venne la sera, lo portò ai suoi figli. Siccome questi gli chiedevano che razza d’uccello fosse, rispose: «Per quanto ne so io, è proprio un gracchio, ma, per come pretende lui, un’aquila».
Così a competere con chi è potente, oltre a non conseguire alcun utile, si ottiene anche la derisione delle proprie disgrazie.
6
L’aquila dalle ali tarpate e la volpe
Una volta un’aquila fu catturata da un uomo. Questi, avendole tarpato le ali, la lasciò andare, perché vivesse nel cortile di casa in mezzo alle galline. Ma quella era avvilita e non mangiava nulla per il dolore, simile a un re in catene. Ma in seguito, avendola comprata un altro, le svelse le penne mozze e, massaggiando con la mirra le estremità delle ali, gliele fece ricrescere. Allora l’aquila, ripreso il volo, artigliò con le unghie una lepre e gliela portò in dono. Ma una volpe, che aveva visto ciò, le disse: «Non a costui devi portare un dono, perché è buono per sua natura; propiziati piuttosto il primo padrone affinché, se mai di nuovo dovesse catturarti, non ti tarpi le ali».
La favola dimostra che bisogna, sì, ricompensare generosamente i benefattori, ma anche tenere prudentemente a bada i malvagi.
7
L’aquila colpita da una freccia
Un’aquila stava appollaiata sull’alto di una rupe, scrutando per cacciare lepri. Ma un uomo, avventatale contro una freccia, la colpì e la punta le entrò nella carne: la cocca con le penne le stava davanti agli occhi. Ed essa a tale vista esclamò: «Davvero per me è un secondo dolore dover morire per le mie stesse penne!».
La favola dimostra che il pungolo del dolore è più lancinante quando si debba soccombere per le proprie stesse armi.