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Diario di un moscovita per caso 1974-2020
Diario di un moscovita per caso 1974-2020
Diario di un moscovita per caso 1974-2020
E-book228 pagine3 ore

Diario di un moscovita per caso 1974-2020

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Racconti appassionanti di vita vissuta, una vita mai banale, piena di stimoli e affrontata sempre con gli occhi meravigliati di chi sceglie di vivere in un paese diverso dal proprio. In questo caso la nuova patria è la Russia, con le sue piccole e grandi contraddizioni, ma anche piena di fascino con le proprie tradizioni così diverse dalle nostre, la cucina, l’arte, la religione, lo sport e tanto altro.
Sarà difficile non farsi coinvolgere da una narrazione dove non mancano aneddoti divertenti, ma nemmeno acute riflessioni su questioni sociali e politiche di cui l’autore è testimone diretto, come il disfacimento dell’Urss, fino ad arrivare alla Russia di oggi.

Sono nato in Abruzzo, in provincia di Pescara.
Finite le scuole elementari mi sono trasferito in Sicilia, a Ragusa, con la famiglia. Subito dopo aver preso il diploma di perito chimico ho lavorato 5 anni presso lo stabilimento petrolchimico Anic, del gruppo ENI, a Gela. 
Nel 1970, in occasione di una gita a Mosca, ho conosciuto una ragazza, Masha, della quale mi sono innamorato a tal punto da lasciare il lavoro e l’Italia. Nel 1974, una volta sposato, mi sono trasferito a Mosca dove ho iniziato a lavorare presso l’ufficio di rappresentanza di una grossa società di Genova, importatrice di materie prime. L’anno dopo è nato nostro figlio Giorgio. Successivamente, di comune accordo, io e Masha abbiamo deciso di divorziare e nel 1988 ho sposato la mia attuale moglie, Natasha, con la quale ho avuto il mio secondo figlio, Aliosha.
Nel quasi mezzo secolo di permanenza a Mosca: ho vissuto l’ultimo periodo comunista dell’URSS, il cosiddetto periodo di “stagnazione”, con Breznev; la breve ondata moralizzatrice di Andropov; l’altrettanto breve periodo del già malandato Chernenko; ho assistito ai tentativi di riforma del partito da parte di Gorbaciov e alla disgregazione finale del Paese; sono stato testimone degli avvenimenti tumultuosi che si sono succeduti durante il periodo di Eltsin; e dei cambiamenti avvenuti, passo dopo passo, nella Federazione Russa con l’arrivo di Putin.
Nel 2020 sono tornato in Italia, a Pescara dove vivo attualmente.
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2023
ISBN9788830677173
Diario di un moscovita per caso 1974-2020

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    Anteprima del libro

    Diario di un moscovita per caso 1974-2020 - Giuseppe Torrieri

    Nuove Voci

    Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterly. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov.

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    1.

    Prima conoscenza con la Russia

    Il mio primo impatto con la Russia (la chiamo Russia per semplificare, in realtà fino al 31 dicembre 1991 era Unione Sovietica) è avvenuto il 2 settembre del 1970. A quel tempo abitavo a Ragusa e lavoravo all’ANIC di Gela (Gruppo ENI). Ho partecipato ad una gita aziendale di 10 giorni, dal 2 all’11 settembre. Eravamo una ottantina di persone. Siamo partiti da Palermo con un aereo dell’Aeroflot, un Ilyushin-IL18, quadrimotore ad elica storico. È stato il mio primo volo. Oggi penso di aver accumulato un numero di ore di volo pari a quelle di un giovane pilota. La gita prevedeva arrivo a Kiev (Ucraina), dove saremmo rimasti 3 giorni, poi in treno a Mosca, per altri 3 giorni, infine in treno a Leningrado (l’attuale San Pietroburgo) per gli ultimi 3 giorni. All’aeroporto di Kiev siamo stati accolti da tre giovani universitari che studiavano la lingua italiana, due ragazze ed un ragazzo, che ci avrebbero accompagnati lungo tutto il viaggio come interpreti. Siamo arrivati in albergo che era già sera; nonostante ciò, con un gruppetto di amici, abbiamo deciso di fare subito un giro in centro per una prima conoscenza della città. Abbiamo pensato di andare in tram, che passava proprio lì, vicino all’hotel; non sarebbe stato un problema. Semmai lo sarebbe stato il ritorno, per riconoscere la fermata vicino all’hotel. Proprio vicino all’hotel c’era una grossa insegna luminosa con la scritta РЕСТОРАН. Ci siamo detti «quando vediamo l’insegna, scendiamo». Senonché in centro abbiamo trovato decine di insegne simili, perché la parola significa RISTORANTE! È andata bene. La visita a Kiev è stata piacevole e così anche il trasferimento a Mosca, in treno notturno con cuccette a due posti. I tre giorni a Mosca sono trascorsi senza incidenti. La sera del trasferimento a Leningrado è successo che abbiamo perso il treno. Siamo arrivati in stazione un’ora dopo la partenza. Le nostre guide/interpreti hanno confuso qualcosa; vuoi perché alle prime armi, vuoi perché erano distratte a causa del fatto che i giovani italiani avevano già cominciato a far loro la corte (ma devo dire che anche le giovani italiane non erano rimaste insensibili al fascino dell’interprete maschio; soprattutto una ragazza, che doveva essersi presa una cotta non da poco poiché alla ripartenza, salutandolo, piangeva a dirotto). Fatto sta che ci siamo ritrovati in 80 persone, con bagaglio appresso, sul marciapiede di un binario nella stazione di Mosca. Immaginate i solerti funzionari sovietici che pretendevano ordine e disciplina! Da noi italiani!

    Verso le 2 di notte, dopo febbrili consultazioni con i capi, le giovani guide sono riuscite a farci salire su un paio di vagoni che vennero poi attaccati ad un treno per Leningrado. I vagoni erano del tipo plazkart (3a classe) con tutte cuccette, in lungo e di traverso ma senza paratie. Viaggio molto interessante.

    La gita, in generale, è stata molto piacevole e mi ha cambiato la vita, perché, saltando avanti, vi dirò che ho mantenuto buoni rapporti con una delle ragazze interpreti; tanto buoni che in seguito è diventata mia moglie.

    Nei quattro anni successivi le mie vacanze andavo a passarle a Mosca; a parte le estati ci andavo il Capodanno, il primo maggio, che lì era una festa importante, il 7 novembre, anniversario della rivoluzione. Ho cominciato a studiare il russo da autodidatta. Ho frequentato delle scuole estive di lingua russa per stranieri a Mosca. In una di queste scuole, presso l’Università per stranieri intitolata a Patrice Lumumba, sono rimasto un mese; abitavo nella obshizhitie (il campus) dell’università assieme ad un gruppo di giovani italiani, ragazzi e ragazze. Io ero un po’ anziano per il gruppo avendo ormai 27 anni, ma mi sono iscritto ugualmente. Avevamo una unica insegnante, molto simpatica. A volte facevamo la lezione fuori, seduti in un bar lì vicino, bevendo qualcosa di fresco; in quel periodo a Mosca faceva molto caldo. Del gruppo faceva parte anche una ragazza che di cognome faceva Rodari. A me questo cognome non diceva nulla; solo dopo, vivendo a Mosca, ho scoperto quanto fosse un cognome noto. Il padre, Gianni Rodari, è stato scrittore, giornalista, poeta. In Italia, credo, non tutti lo ricordano, ma in Russia lo conoscono praticamente tutti. Ha scritto molte storie per l’infanzia e, non esagero, tutti i russi nati dopo gli anni ’60, compresi i miei due figli, sono cresciuti con le storie di Cipollino. Ho ottenuto l’attestato di frequenza e questo mi è stato utile in seguito poiché, una volta stabilitomi a Mosca, mi è stato proposto di recensire la parte italiana di un vocabolario fraseologico (l’unico vocabolario fraseologico con proverbi e modi di dire) italiano-russo; lavoro che ho fatto insieme a mia moglie ed una sua amica italiana.

    A maggio del 1974 io e quella ragazza/interprete, Masha, ci siamo sposati, a Mosca, nella Casa dei matrimoni № 1, dove si sposavano gli stranieri. Cerimonia sobria, con pochi parenti della sposa e pochi amici.

    Non appena avuto il visto, a giugno dello stesso anno, mia moglie, che nel frattempo si era laureata e le era stato assegnato un lavoro in un importante Istituto di Politica ed Economia per il Nord America (la sua prima lingua all’Università era l’inglese), è venuta in Italia. Io sono andato a prenderla a Milano in macchina, grazie a mio cognato che mi ha prestato la sua 128 Fiat. Non potevo certo andarci con la mia 500! Il viaggio di ritorno in Sicilia è stato il nostro viaggio di nozze. Abbiamo visitato le principali città turistiche, Milano, Genova, Verona, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Pescara (mia città di origine), Napoli e costiera amalfitana, Taormina, Ragusa. Poco tempo dopo mio padre è venuto a sapere che alla questura di Ragusa era arrivata una richiesta di informazioni su questo sig. G.T. che se ne va in giro per l’Italia con una russa. Cosa volete, c’era la guerra fredda!

    Mia moglie è venuta in Italia con l’intesa che avremmo deciso in seguito dove vivere. La decisione presa è stata quella di vivere a Mosca e così, dopo essermi licenziato dall’ANIC, fra lo sgomento e la perplessità dei miei genitori, l’8 novembre del 1974, nel pieno dei festeggiamenti per l’anniversario della Rivoluzione d’ottobre, siamo partiti. Vi chiederete perché la rivoluzione d’ottobre si festeggiava a novembre? Perché nella Russia zarista vigeva ancora il calendario giuliano. Sono stati i comunisti, dopo la rivoluzione, a passare al calendario gregoriano; quindi, il 7 novembre gregoriano corrispondeva al 25 ottobre giuliano.

    All’aeroporto di partenza mia moglie ha voluto comprare un grande poster con la fotografia di una squadra di calcio; con un fotomontaggio, la testa dei giocatori era stata sostituita con quella degli uomini politici mondiali più in vista a quel tempo. Il portiere, con il pallone in mano, era Paolo VI. Fra gli altri c’era il Primo Ministro sovietico Kossighin. Io ero perplesso sulla bontà dell’idea di portare tale poster a Mosca, ma mia moglie, che aveva uno spiccato senso dell’umorismo, insistette; «non fa niente» diceva «è spiritoso, c’è anche il presidente americano». Lo scherzo non è stato preso bene! All’aeroporto di Mosca mia moglie è stata presa da parte ed ha subito una buona lavata di capo; hanno minacciato di informare i suoi superiori al lavoro, cosa che avrebbe potuto portare al licenziamento. Per fortuna non ci sono state conseguenze. Era ancora un periodo quando la satira politica non era tollerata e poteva costare cara, anche se non così cara come ai tempi di Stalin. Una barzelletta rende l’idea:

    Durante un incontro al vertice il presidente americano si vanta della sua magnifica collezione di francobolli e chiede a Stalin se non avesse anche lui l’hobby del collezionismo. – Sì, risponde Stalin. – E cosa collezionate? – Barzellette su di me. – Ah, dice il presidente americano, e ne avete raccolte tante? – Per ora tre lager pieni.

    Il poster, va da sé, è stato confiscato. Ma credo che i doganieri si siano divertiti anche loro, sotto sotto.

    Mi sono quindi trasferito a Mosca, lasciando il cosiddetto posto fisso in un’azienda come l’ENI, senza avere un nuovo contratto di lavoro. Nell’arco di un paio di mesi il problema si è risolto. Sono entrato in contatto con una società italiana che stava per aprire un ufficio a Mosca e cercava personale italiano che parlasse russo.

    2.

    Prime difficoltà burocratiche in Russia

    A quei tempi aprire un ufficio di rappresentanza a Mosca non era cosa semplice. Bisognava essere accreditati da un Ente sovietico; nel nostro caso, ditta commerciale, dal Ministero del Commercio Estero (per le collaborazioni tecnico-scientifiche accreditava un altro Ente; per i giornali un altro ancora, e così via; comunque, le forme di accreditamento non erano molte).

    Per essere accreditati c’era tutta una procedura da sbrigare; anzitutto dovevi già avere un certo volume d’affari con l’URSS; poi dovevi dimostrare che avere un ufficio a Mosca era necessario per migliorare i rapporti di lavoro; infine dovevi avere l’appoggio di alcuni fra i partner commerciali russi con i quali già intrattenevi rapporti. Presentavi dei documenti e dopo un certo tempo ti arrivava la risposta, cioè l’accreditamento o il rifiuto. L’accreditamento, se la risposta fosse stata positiva, avrebbe compreso, oltre alla possibilità di aprire un ufficio di rappresentanza, anche l’autorizzazione ad avere nell’ufficio un certo numero di personale straniero (nel nostro caso, due). Di personale russo potevi averne quanto ne volevi, ma te lo davano loro e lo pagavi caro; di questo parlerò in seguito. La direzione della società, quindi, proponeva la candidatura di due persone da stanziare nell’ufficio di rappresentanza, presentando il curriculum di ciascuno. Le persone potevano essere accettate o rifiutate. Nel caso mio c’è stato un rifiuto, naturalmente senza spiegazioni, benché il motivo fosse chiaro.

    C’è da dire che nel ’47 Stalin aveva vietato il matrimonio dei russi (pardon, dei sovietici) con gli stranieri. Morto Stalin la disposizione veniva rispettata sempre meno, finché nel 1969 Breznev la revocò. Però, anche se non era più vietato formalmente, il matrimonio misto veniva scoraggiato. Infatti, mia moglie dopo il matrimonio è stata declassata come mansioni (tanto è vero che poi si è licenziata da quell’Istituto) ed a me hanno negato l’accreditamento.

    Spesso questa o quella decisione veniva presa non a seguito di concrete disposizioni dall’alto ma semplicemente perché il funzionario di turno non voleva assumersi responsabilità. In effetti l’accreditamento per me è arrivato ugualmente, dopo un paio di mesi, grazie anche all’interessamento del Consigliere Commerciale dell’Ambasciata italiana a Mosca ed al fatto che era appena stata firmata (anche da Breznev) la Dichiarazione di Helsinki, cioè l’Atto finale della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, alla quale ci eravamo appellati. Prima che la faccenda si sbloccasse però io mi trovavo a Mosca in virtù di un visto valido tre mesi basato su un invito privato di mia moglie. Quando mi è stato negato l’accreditamento ho avuto il problema del prolungamento del visto una volta scaduto. A quel tempo questo compito veniva svolto dall’OVIR (ricordo l’indirizzo – Kolpachnij per.). L’OVIR si occupava non solo dei permessi degli stranieri in Russia, ma anche dei nulla osta per i russi che volevano espatriare; questi ultimi erano principalmente ebrei russi, attirati dalla politica di incoraggiamento alla immigrazione tenuta da Israele in quel periodo; anche se poi, molti preferivano rimanere in Europa o andare in America. Ad ogni scadenza del mio visto andavo all’OVIR a chiedere il prolungamento di validità. Trovavo code lunghissime (era il picco dell’emigrazione degli ebrei russi). Ho assistito a qualche scena curiosa quando qualcuno sbraitava veementemente mentre veniva portato fuori a braccia dall’ufficio del capo, evidentemente perché gli era stato negato il visto di espatrio. Con me, tutto sommato, sono stati benevoli. Anche io andavo dal capo a perorare la mia causa. La prima volta mi ha prolungato il visto per un mese; successivamente per 15 giorni; poi per una settimana, sempre in attesa che si sbloccasse la questione del mio accreditamento. Alla fine, me lo ha rinnovato di tre giorni, allargando le braccia come per dire: «è il massimo che posso fare». Scaduti i tre giorni son dovuto tornare in Italia per un paio di settimane, fino a che non ho ricevuto la buona notizia dell’ottenuto accreditamento.

    L’accreditamento della persona era valido per un certo numero di anni; alla scadenza la procedura veniva rifatta.

    La burocrazia e la solennità di questa procedura sono andate via via semplificandosi con l’avvento della perestroika e soprattutto con il disfacimento dell’URSS e la nascita della Federazione Russa tant’è che l’ultimo Certificato di accreditamento mi è stato consegnato dal funzionario, con il quale si era instaurata una certa amicizia telefonica, in una stazione della metropolitana dove ci siamo incontrati senza tante formalità.

    Proprio perché c’erano queste difficoltà burocratiche nell’avere l’accreditamento, quelle società che lo avevano ottenuto spesso si occupavano non solo dei propri, diretti, affari ma facevano da rappresentante per altre società, le quali avrebbero voluto aprire un rapporto commerciale con l’URSS ma non avevano i requisiti necessari per richiedere l’accreditamento. Anche l’azienda per cui lavoravo, la cui principale attività era l’importazione di materie prime dall’URSS, una volta aperto l’ufficio di rappresentanza si è attrezzata per dar aiuto ad una serie di società, sia italiane che straniere, ad esportare in Russia i loro prodotti e/o macchinari.

    3.

    Ambientamento in Russia

    Superato quel primo scoglio dell’accreditamento ho vissuto in Russia, e

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