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My...Columbus!
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E-book121 pagine1 ora

My...Columbus!

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Info su questo ebook

Uno scorcio di vita, un tributo all'amicizia. Una raccolta di sensazioni, emozioni, storie personali, che hanno segnato uno dei periodi più significativi della mia vita e, forse, anche il resto di essa.
LinguaItaliano
Data di uscita21 apr 2023
ISBN9791221473988
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    Anteprima del libro

    My...Columbus! - Lanfranco Fiorentino

    Indice

    Introduzione

    L’inizio

    U.S. Airforce

    Piccole cose d’ogni giorno

    Roba da matti

    Impressioni

    Le donne

    Eventi speciali

    Ci sono voluti un po’ di anni prima di riuscire a mettere insieme pensieri e parole ed assemblare quel che vi ritrovate ora tra le mani. Cosa sia, ancora non so definirlo correttamente. Sicuramente non è un libro, questo genere di cose le lascio fare a chi sa scrivere.

    Molti ricordi sono svaniti, cancellati dal tempo. Molti altri sono stati volutamente rimossi. Alcuni invece, forse i più belli ed incisivi, ho voluto inchiodarli con una penna su di un foglio di carta, affinché fossero testimonianza di uno dei periodi più intensi della mia vita.

    L’intento? Creare una finestrella (o forse anche solo una feritoia) all’interno del muro del tempo che, anno dopo anno, si erge sempre più alto, rendendo difficoltoso vedere cosa c’è al di là di esso.

    Il tema? Apparentemente sembrerebbe la mia permanenza negli USA, tra il 2005 ed il 2006, durante il corso di volo fatto insieme ad alcuni miei colleghi. In realtà, il cuore pulsante della narrazione è invece l’amicizia che mi legava e tuttora mi lega a loro.

    Se quanto leggerete vi strapperà un sorriso sappiate che è merito di Diego, Vincenzo, Max e Lorenzo. È a loro che dedico queste pagine, perché senza la loro compagnia ed il loro affetto questa raccolta di ricordi non sarebbe mai cominciata.

    A momenti dimenticavo… Per ragioni di privacy sono stato costretto a modificare alcuni nomi. Lo capirete perché, affianco al nome fittizio, troverete tra parentesi quello reale. Scherzo!

    Uei cuscì....comu sciamu? (Hey cugino, come va? Traduzione sicuramente molto meno efficace della tipica espressione leccese per accogliere un amico di vecchia data, tanto affezionato da reputarlo un cugino)...

    È salutando il buon vecchio Diego che per me si apre l’avventura di Columbus (Mississippi), anche se cominciata pochi mesi prima col viaggio on the road da Sheppard (Texas) a bordo della mitica e roboante Dodge Dart¹.

    ___________________

    ¹ Auto del 1972, acquistata praticamente in condizioni prossime alla demolizione e poi restaurata. Non chiedetemi chi me l’abbia fatto fare!

    LA SVEGLIA

    Si narrava che negli USA vi fossero due differenti turni di lavoro: Early e Late... Due nomignoli abbastanza indicativi che mentalmente ti fanno dividere la giornata in due grossi tronconi: la mattina e il tardo pomeriggio. Niente di più errato. Io e il mio compagno di sventure, Lorenzo (alias Brain, come mi son sempre divertito a chiamarlo in maniera affettuosa), ci rendemmo presto conto che quest’immagine idilliaca di gente che si reca al lavoro facendo orari d’ufficio, o addirittura godendosi la prima parte della giornata per poi iniziare l’attività volativa, non era altro che un’astrazione mentale autogenerata dalla logica italianizzatrice che, sino ad allora, poco si era accordata col mondo che ci circondava.

    La tragica scoperta del settaggio della sveglia avveniva ogni sera. Bastava comporre il numero della Flight² alla quale si era assegnati per conoscere il programma di volo del giorno dopo col relativo Show Up Time. Con una semplice operazione matematica, sottraendo trenta minuti a quest’ultimo, si aveva l’orario da impostare sulla castigatrice. Mezz’ora era quello che io reputavo il tempo minimo per:

    1. Aprire gli occhi e rendersi conto che non è un incubo;

    2. Trascinarsi verso il bagno per la pipì e la barba di rito;

    3. Strisciare verso la ciotola dei cereali e far colazione con la roba saggiamente preparata la sera prima (persino il caffè);

    4. Indossare la tuta da volo e prepararsi al peggio.

    04.15 fu l’orario che per un bel po’ di tempo udimmo in quel messaggio telefonico. Si, certo, a.m.

    ___________________

    ² Veniva così definita la classe di piloti che seguivano lo stesso corso di volo.

    VERSO LA FLIGHT

    La distanza da percorrere per arrivare in Flight non era eccessiva, circa un paio di chilometri. Era la notte a renderla interminabile. Ore 04.05. Ruotando la maniglia della porta si veniva a contatto col mondo esterno. Quel cigolio di ottone non lubrificato era l’introduzione all’oscurità silenziosa che quotidianamente mi attendeva fuori dalla camera.

    Ogni giorno la stessa storia: richiusa la porta con estrema cautela per non svegliare i vicini, con passo felpato percorrevo la balaustra; una sbirciatina alla camera di Brain, per accertarmi che la luce fosse accesa e che si fosse svegliato, e giù per le scale, percorrendo l’angusto e polveroso corridoio che dava sul cortiletto dov’era parcheggiata la mia Dart. Sempre con estrema cautela eccomi aprire la portiera e richiuderla con un lieve ma deciso rumore metallico di lamiera d’altri tempi. Bisognava prepararsi al peggio: l’accensione. La partenza del MOPAR 340 da 5.7 litri e 325 cavalli non era governata da una scienza certa, né tantomeno avveniva ogni volta allo stesso modo. In linea di massima bastavano sei pompate sull’acceleratore (giusto per riempire il carburatore di benzina), una girata decisa alla chiave (continuando a pompare sull’acceleratore) ed il gioco era fatto. Ancora assonnato e con la vista che cercava di recuperare le piene capacità eccomi quindi a fissare la lancetta dell’alternatore: sempre più protesa verso la metà contenente il - mi rassicurava che la batteria stava facendo del suo meglio per incoraggiare il motorino d’avviamento. Uno stridore metallico, che poco si addiceva alla mia condotta silenziosa di pochi istanti prima, lasciava presagire quello che di lì a poco sarebbe avvenuto; prima un lieve borbottio, poi uno scossone e... SBRAANG!!... un tuono proveniente dalle marmitte troncate e prive di silenziatori sanciva imperiosamente la partenza di sua maestà! Buongiorno cari vicini!

    Per qualche inspiegabile ragione quel dannato parabrezza si appannava sempre all’esterno e, sempre per cause ignote, i tergicristalli avevano smesso di funzionare appena lasciato il meccanico di Sheppard. Morale della favola? Ore 04.10: ecco un deficiente guidare con la testa fuori dal finestrino sulla strada principale della base, maledicendo il Mississippi, l’umidità e quei dannati tergicristalli che proprio non ne volevano sapere di regalargli una visione limpida, portando il livello di stress ai massimi storici già dalle primi luci dell’alba.

    LA POSTA

    La cassetta della posta era a pochi passi da casa, bastava scendere le scale, percorrere il ciottolato che attraversava il prato e lì, in una specie di piccola casetta dal tetto spiovente, erano alloggiate le varie caselle. Uno sportellino metallico, senza finestrelle, dava accesso al contenitore nel quale veniva infilata la posta o, se si trattava di un pacco, un biglietto di colore rosa o giallo. Il controllo della mail, sicuramente molto più poetico di quello dell’email, era un rituale quotidiano, da compiersi al rientro dal lavoro. Tolta la tuta, o meglio, strappatomi di dosso quell’involucro di tessuto sudaticcio e maleodorante di carburante e ore trascorse su di una sedia a studiare, indossati i pantaloncini ed inforcati gli infradito, mi fiondavo a bussare alla porta di Diego. La risposta era quasi sempre la stessa: Arrivo... la domanda inesistente perché scontata.

    Cosa sarebbe apparso? Nella nostra mente si affollavano le idee: fatture cingular (la compagnia del telefono), comunicazioni della banca, lettere di amici o parenti (sempre più rare col passare del tempo), oppure... Mezzo giro di chiave e lo sportellino si apriva lasciando intravedere la lunga bocca della cassetta; la luce esterna illuminava solo la prima parte dell’angusto loculo, lasciando in ombra la parte più interna. Mentre mi piegavo sulle ginocchia, per meglio scrutare le profondità della casella, ascoltavo distrattamente i farfugliamenti di Diego, seccato dall’ennesimo ritardo nella consegna dell’auto. Eccolo lì... attaccato alla parete più lontana, quasi di spalle, tentava maldestramente di nascondersi... il tagliando giallo.

    Eluuuuuu, un eccolo quasi cantato in leccese, ad esprimere la gioia per il tanto atteso pacco. Non restava che andare all’ufficio postale e scoprire di cosa si trattasse. Il breve tragitto dai dorms³ all’Ufficio postale era costellato da pensieri e calcoli matematici: poteva essere il pacco contenente caffè, taralli, vino ed altri

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