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Seven
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E-book143 pagine1 ora

Seven

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Info su questo ebook

Avete mai avuto un portafortuna? Un oggetto al quale attribuite il “potere” di far andare bene le cose?
Ebbene, questa è la storia di una monetina molto speciale e di un ingegnere che metterà da parte la sua razionalità e la sua rigorosa routine per vivere un’avventura ai limiti del possibile.
Ma la superstizione non c’entra, e neppure la magia. Questo speciale portafortuna agisce sul protagonista della storia come il catalizzatore in un processo chimico: facilita le azioni, ma non ne è coinvolto. 
E così porterà il nostro ingegnere passerà quindi dall’essere disoccupato a diventare un pilota spericolato e dai successi travolgenti.
Come il suo protagonista, il romanzo di Gianfranco Liberati procede a un ritmo spedito, coinvolgendo il lettore con inaspettati colpi di scena fino al finale per nulla scontato.

La “Gazzetta Bassanese” ha pubblicato i miei primi scritti. Racconti, saggi, curiosità. Questa varietà d’interessi mi è stata stimolata dall’aver viaggiato per lavoro, in larga parte in Italia, Europa e Medio Oriente (impiegato in una grossa società d’ingegneria e costruzioni). Il contatto con altri popoli e altre culture ha arricchito la mia già fertile fantasia. Poi è venuto il primo libro: Storielle del grande raccordo anulare nel quale si descrivono le disavventure di chi – volente o nolente – percorre il GRA. In seguito, una raccolta di favole: Racconti per bambini grandi e piccini fatta in collaborazione con la scuola primaria di Bassano Romano. I bambini hanno illustrato le storie fantasiose dei miei due eroi, Melissa e Babacchione. In un altro libro, Racconti dei nonni, si riassumono in chiave umoristica gli aneddoti, le avventure e le disavventure dei nonni del Centro Anziani (di cui sono stato per molti anni presidente) in un periodo storico non ancora sfiorato dal progresso economico. Infine, l’ultimo lavoro: Seven nel quale, seppur in maniera leggera, si affronta il tema della superstizione con spunti di riflessione e un pizzico d’ironia.
LinguaItaliano
Data di uscita28 feb 2023
ISBN9791220138352
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    Anteprima del libro

    Seven - Gianfranco Liberati

    Prefazione

    La prefazione è la cosa più difficile da fare per uno scrittore quindi non la farò. Chi avrà la ventura di comprare il libro, a meno non sia una persona originale che vorrà usarlo per stabilizzare un mobile traballante, lo leggerà. Allora scoprirà da solo quello che l’autore tenterebbe solo di spiegare.

    Capitolo 1

    Salutai le commesse e uscii dal panificio con la busta del pane sottobraccio. Loro risposero al saluto sorridendo con il tono professionale e musicale delle cassiere. Controllai macchinalmente lo scontrino, poi lo appallottolai tra le dita e lo lanciai verso il cestino dei rifiuti. Naturalmente sbagliai la mira. Succedeva spesso, però tutti i giorni riprovavo. Mi chinai a raccogliere lo scontrino spiegazzato per riporlo correttamente. Toh! una monetina.

    Se ne vedeva solo la metà, poiché l’altra era nascosta dalla terra. Avrei voluto raccoglierla poiché avevo rispetto per il denaro. Però quella volta la moneta era veramente sporca. Mentre camminavo verso la macchina, non si sa perché, mi venne in mente il dibattito seguito in TV la sera precedente tra uno scienziato di fisica quantistica e un teologo accreditato tra i più famosi. Lo scienziato, non credente, affermava categoricamente senza mezzi termini che tutta la materia sia essa animale, vegetale o inorganica ha la stessa medesima struttura.

    «Siamo fatti di atomi come lo sono le piante e i sassi. Gli atomi si sono generati dalle stelle durante il corso di formazione dell’universo dal big bang fino a oggi. Andare a cercare l’intervento divino in questo processo è uno sterile esercizio mentale non sostenuto dai fatti».

    Il teologo ribatté: «Tutto questo è vero; siamo fatti di atomi... ma?».

    E fece un esempio per chiarire il suo punto di vista.

    «Volendo misurare l’energia di un corpo inanimato: un mattone. Avrei che l’energia totale del mattone sarebbe tutta concentrata nella sua massa, mettiamo due chili. Se io, invece, volessi misurare l’energia di un qualsiasi organismo vivente la sua energia totale non sarebbe più quella espressa dalla sua massa ma una quantità X in più dovuta al fatto di essere vivente. Un quantum che nessuna scienza riesce a spiegare.

    Questo surplus di energia non sarebbe altro che l’anima o nous come la chiamavano i greci, atman come nella religione induista o spirito come siamo soliti definirlo noi. Se, infine, la semplice constatazione di questa idea portasse a credere nell’esistenza di Dio... bene! non sarebbe che un naturale percorso logico deduttivo».

    Questo pensavo mentre mi stavo avvicinando al parcheggio.

    Le due ipotesi non mi sembravano in contraddizione. Le trovavo entrambe plausibili. Con un leggero vantaggio per la tesi dello scienziato. Infatti il teologo, attribuendo il primato alla materia organica al fine di convincere l’ascoltatore sull’esistenza dell’anima e automaticamente di Dio, senza volerlo mi aveva suggerito un’interpretazione paradossale.

    Se uno ti scaglia addosso un mattone di due chili ti può anche ammazzare, ma se ti tira contro una gallina al massimo ti prendi una beccata.

    Quindi il mattone e tutta la materia inorganica hanno mantenuto integra la loro energia mentre la materia vivente la sua energia originale l’ha trasformata e in parte persa nel processo della vita. Il conto torna.

    Fatta questa considerazione, decisi di tornare indietro. La monetina conteneva ben tre concetti che regolano e dirigono i rapporti tra gli uomini e le cose.

    Primo: essendo di metallo, la sua natura inorganica la pone nello stato primordiale e genuino della materia non ancora corrotta dalla vita.

    Secondo: il suo valore simbolico. Quantunque di piccolo taglio la moneta rappresenta il denaro. Il denaro sottende il patto sociale universalmente accettato da tutti gli uomini e quindi contiene la risoluzione della maggior parte delle loro controversie.

    Terzo: il caso ha voluto che, benché in parte nascosta, la vedessi; al caso non si può dire di no.

    Quindi fu con una leggera inquietudine che cercai con gli occhi la monetina.

    Era ancora lì.

    Strappai un pezzo di carta dalla busta del pane e, senza toccarla direttamente, ce la avvolsi. Appena a casa, mi cambiai e andai nel retro di casa per svolgere le attività usuali. Non avevo dimenticato la monetina. Misi un po’ d’acqua, due gocce di sapone liquido in un barattolo vuoto dei bocconcini del gatto e la buttai dentro. Agitai più volte. Rovesciai il contenuto sul tavolo da lavoro. La moneta era ancora sporca, ma non più incrostata come prima. Presi le pinze a becco lungo e la spazzolina di ottone. Da una parte, dall’altra. Adesso era bella lucida e aveva riacquistato la calda lucentezza del rame. Era una moneta da cinque centesimi. C’era il Colosseo su una faccia con le stelline intorno. La girai. Anche lì c’erano dodici stelle collegate da linee con in mezzo il mappamondo. C’era anche un’altra cosa... Perbacco! Sulla sinistra non c’era il numero cinque. Al suo posto c’era il sette!

    Incredibile. La guardai più volte rigirandola. Proprio così. Al posto del cinque c’era il sette. Il numero era nitido e non c’erano graffi o segni di contraffazione. Sembrava che la moneta fosse stata coniata volutamente così. Chi aveva fatto il lavoro era certamente un professionista, magari un operaio della zecca che, annoiandosi in una notte di turno, si era divertito a coniare il settino. Oppure un cesellatore che aveva grattato il cinque e aveva stampato il sette sul materiale di riporto ripulendo il contorno. Il motivo? Vattelappesca.

    Mi resi conto di avere in mano una rarità. Sarei dovuto andare a spulciare tra le informazioni dei collezionisti di numismatica, ma, anche ammesso avessi trovato qualcosa a riguardo, che valore avrebbero potuto avere cinque centesimi per di più di rame. Tuttavia, considerate tutte le variabili che hanno concorso al ritrovamento della monetina, pensai che essa dovesse avere per forza una notevole contenuto simbolico. Quindi decisi di farci un portachiavi.

    Andai dall’orafo. Gli spiegai cosa volevo. Un semplicissimo cerchietto d’oro intorno alla moneta con un occhiello per agganciarla. Il cavalier Pala, gioielliere da generazioni, annuì. Lavoretto semplice, volle però mettermi in guardia sul costo dell’oro in continua, vertiginosa ascesa. Non feci obiezioni, anzi confermai che il cerchietto e l’occhiello dovessero essere abbastanza robusti da non staccarsi al primo strappo. La settimana seguente andai a ritirarlo. L’orafo aveva fatto un buon lavoro e aveva rilucidato la moneta che adesso brillava. Pagai senza commentare. Mi sembrò strano che il cavalier Pala non avesse notato il numero sette. Ma forse non gli aveva dato peso.

    Attaccai subito la moneta alla catenella d’acciaio inossidabile del portachiavi della macchina. Ero soddisfatto: la combinazione oro acciaio era adeguata e gradevole.

    Il pomeriggio dovevo andare all’ospedale di Tarquinia a ritirare le lastre di mio padre. Presi le chiavi, rigirai la moneta più volte tra le dita traendone un piacere quasi fisico. Poi partii, la testa concentrata sugli impegni da espletare. Normalmente non amavo troppo guidare, ma quel giorno mi sembrò diverso. Sentivo il volante leggero e la macchina docile e pronta allo scatto. Alla curva della ferrovia stretta e quasi a gomito, mi trovai davanti un camioncino e due altre autovetture. Misi la freccia, scalai la marcia e via. Alla fine della curva, li avevo superati tutti e tre. Sentii il clacson di una delle vetture protestare. Perché? Al momento del sorpasso non c’era nessuno. Ne ero sicuro, la strada era sgombra. In effetti l’autovettura successiva in senso contrario la incrociai dopo la curva. Superato il semaforo della stazione ferroviaria, fui preso dai pensieri. Alle porte della città mi sembrò di svegliarmi. Guardai l’orologio sul cruscotto. Ci avevo impiegato una decina di minuti meno del consueto. Il bello era che non ricordavo assolutamente nulla della strada percorsa.

    L’impiegato della struttura era uno scansafatiche. Mi disse di ritornare poiché il documento non era ancora pronto. Non era vero. Il documento era prontissimo da almeno una settimana però era al piano superiore. Il pigro non voleva alzare il culo e andare a cercarlo nelle pratiche evase.

    «Guardi che prima di venire qui ho telefonato al responsabile del suo ufficio e mi ha assicurato che il documento è pronto, certamente a lei non è stato comunicato. La prego di controllare, sa... ne ho bisogno».

    L’impiegato fece una mezza smorfia e scomparve nel retro dello stanzone. Tornò dopo pochi minuti con il documento e un sorrisetto sulla bocca.

    «Quelli di sopra? Mai che si degnino di avvertire» e mi porse il foglio.

    Uscito dall’ufficio, passai a ritirare l’elettrodomestico al negozio delle riparazioni. Presentai la ricevuta. L’addetto scomparve nel retro del locale. Tornò poco dopo con l’elettrodomestico. Ottanta euro.

    «Abbiamo cambiato l’interruttore e la basetta dei contatti che s’era staccata».

    Non era vero. Mi accorsi che la protezione di plastica sopra il contatto del filo non era stata toccata. Avevano semplicemente spinto giù la presa a baionetta nell’alloggiamento dei fili. Peccato! Avrei dovuto accorgermene e farlo da solo. Gli chiesi di vedere i pezzi cambiati. L’addetto scomparve di nuovo nel retro.

    «Ah ci scusi. Non è questo il suo scontrino. In effetti nella sua aspirapolvere era solo un falso contatto. Deve solo pagare la chiamata. Venti euro".

    Sorrisi al negoziante e me ne andai.

    Quando presi in mano il portachiavi, sentii di nuovo la sensazione di piacere. In città non si poteva correre; mi trattenni a stento dallo sfrecciare per via Marconi in pieno centro storico.

    Il sabato c’era in programma il pranzo al ristorante con gli amici. Ci ritrovammo un’oretta prima al Caffè Centrale di Piazza del Comune per l’aperitivo. Appoggiai le chiavi sul tavolo.

    «Ficooo proprio bello!». Naldo prese il portachiavi tra le mani girandolo e rigirandolo.

    «Bella idea. Adesso me ne faccio fare uno uguale».

    «Non credo proprio che ci riuscirai» ribattei.

    «Beh certo! Io non posso permettermi cinque centesimi. Magari ce ne metto due di centesimi eh eh» rise sarcasticamente l’amico.

    Volevo spiegargli la particolarità, ma visto che Naldo non se n’era accorto preferii tacere.

    Al momento di partire, si formarono gli accoppiamenti. A Guido piaceva bere e quindi cercava un autista. Renzo e Giuseppe avevano le macchine sportive e scomode, nessuno ci voleva andare. Luciano non voleva che in macchina si fumasse e quindi finiva sempre nella Jeep di Gilberto non fumatore.

    «Oggi mi sento in vena

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