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Sherlock Holmes. Il segno dei quattro
Sherlock Holmes. Il segno dei quattro
Sherlock Holmes. Il segno dei quattro
E-book163 pagine2 ore

Sherlock Holmes. Il segno dei quattro

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Edizione integrale

«Aborrisco la monotona routine dell’esistenza. Ho un desiderio inestinguibile di esaltazione mentale. Ecco perché ho scelto questa mia particolare professione o, meglio, l’ho creata, poiché sono l’unico al mondo ad esercitarla».
Con queste parole Sherlock Holmes si racconta all’amico Watson: nel 1890, in effetti, e per molto tempo a venire, sulla scena letteraria mondiale non ci saranno rivali degni di lui. Il segno dei Quattro, secondo dei romanzi di Conan Doyle con protagonista l’investigatore, fu un vero successo, e consacrò al mito la sua figura. Vi si racconta un’indagine quanto mai intricata, tra sanguinosi delitti e tesori trafugati, che conduce il lettore dalla nebbiosa Londra al caldo e remoto arcipelago delle Andamane.
Arthur Conan Doyle
nacque a Edimburgo nel 1859. Benché il suo nome rimanga indissolubilmente legato a quello di Sherlock Holmes, lo scrittore ebbe anche altri interessi, tra cui la storia, il giornalismo e soprattutto lo spiritismo. Nel 1903 venne insignito del titolo di baronetto. Morì nel 1930. Di Conan Doyle la Newton Compton ha pubblicato Le avventure di Sherlock Holmes, Il ritorno di Sherlock Holmes, Sherlock Holmes e il mastino dei Baskerville, Sherlock Holmes. Uno studio in rosso - Il segno dei Quattro, L’ultimo saluto di Sherlock Holmes, Sherlock Holmes. La Valle della Paura e la raccolta Tutto Sherlock Holmes.
LinguaItaliano
Data di uscita27 giu 2014
ISBN9788854172173
Sherlock Holmes. Il segno dei quattro
Autore

Sir Arthur Conan Doyle

Arthur Conan Doyle was a British writer and physician. He is the creator of the Sherlock Holmes character, writing his debut appearance in A Study in Scarlet. Doyle wrote notable books in the fantasy and science fiction genres, as well as plays, romances, poetry, non-fiction, and historical novels.

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    Anteprima del libro

    Sherlock Holmes. Il segno dei quattro - Sir Arthur Conan Doyle

    CAPITOLO PRIMO.

    La scienza della deduzione

    Sherlock Holmes prese il suo flacone dall’angolo della mensola del caminetto e la sua siringa ipodermica da un elegante astuccio di marocchino. Con le dita lunghe e nervose infilò l’ago sottile e arrotolò la manica sinistra della camicia. Per un po’, osservò pensoso l’avambraccio muscoloso e il polso, costellati di innumerevoli segni di punture. Alla fine, infilò con gesto deciso la siringa, premette il pistone e si abbandonò nella poltrona di velluto con un lungo sospiro di soddisfazione.

    Da mesi ormai, tre volte al giorno assistevo a quella scena ma ancora non riuscivo ad abituarmici. Anzi, ogni giorno che passava, mi irritava sempre di più e ogni notte mi rimordeva la coscienza al pensiero che non avevo il coraggio di protestare. Infinite volte mi ero solennemente ripromesso di dirgli quello che pensavo al riguardo; ma nell’atteggiamento noncurante e distaccato del mio compagno c’era qualcosa che lo rendeva l’ultimo uomo al mondo con il quale si potesse osare di prendersi delle sia pur vaghe libertà. Le sue grandi qualità, i suoi modi imperiosi e l’esperienza che avevo avuto delle sue doti eccezionali, mi rendevano titubante e restio a contrariarlo. Ma quel pomeriggio, forse per il Beaune che avevo bevuto a pranzo o forse perché ero esasperato più del solito dalla deliberatezza del suo gesto, sentii all’improvviso di non potermi trattenere oltre.

    «Cos’è oggi», gli chiesi, «morfina o cocaina?»

    Alzò languidamente lo sguardo dal vecchio volume in caratteri gotici che aveva aperto.

    «Cocaina», rispose, «soluzione al sette per cento. Vuole provarla?»

    «No di certo», risposi brusco. «Il mio fisico non si è ancora ripreso dopo la campagna afghana. Non posso permettermi di sottoporlo ad altri sforzi.»

    Sorrise alla mia veemenza. «Forse ha ragione, Watson», disse. «Immagino che fisicamente, la sua influenza sia negativa. La trovo però così incredibilmente stimolante e così chiarificante per il cervello che il suo effetto secondario ha davvero poca importanza.

    «Ma consideri un momento!», gli dissi molto seriamente. «Consideri il costo! Può darsi che, come lei dice, le schiarisca la mente, la renda più acuta, ma si tratta di un processo patologico e morboso che comporta un’accelerazione del ricambio tessutale e può quanto meno procurare una debilitazione permanente. Inoltre, sa bene come, dopo, lei abbia una reazione negativa. Sicuramente il gioco non vale la candela. Per quale motivo, in nome di un piacere transitorio, dovrebbe rischiare di perdere quelle grandi facoltà di cui madre natura l’ha dotato? Ricordi che non le sto parlando solo da amico a amico, ma da medico a paziente della cui salute è sotto certi aspetti responsabile.»

    Non parve offeso. Anzi, riunì le punte delle dita poggiando i gomiti sui braccioli della poltrona, come una persona che ha voglia di fare conversazione.

    «La mia mente», rispose, «si ribella all’inerzia. Mi dia dei problemi, mi dia del lavoro, mi dia il crittogramma più astruso o l’analisi più complicata, e allora mi sento a mio agio. Posso fare a meno di stimolazioni artificiali. Ma aborrisco la monotona routine dell’esistenza. Ho un desiderio inestinguibile di esaltazione mentale. Ecco perché ho scelto questa mia particolare professione o, meglio, l’ho creata, poiché sono l’unico al mondo ad esercitarla.»

    «L’unico investigatore ufficioso?», chiesi inarcando le sopracciglia.

    «L’unico consulente investigativo ufficioso», rispose. «Nel campo investigativo sono l’ultima e la più alta corte d’appello. Quando Gregson, o Lestrade, o Athelney Jones brancolano nel buio - il che, fra parentesi, è la loro condizione normale - mi espongono il fatto. Io esamino i dati, da esperto, e esprimo un parere specialistico. Sono casi per i quali non chiedo alcun credito. Il mio nome non appare su nessun giornale. Il lavoro in sé, la soddisfazione di trovare un terreno adatto alle mie particolari facoltà, è la massima ricompensa cui aspiro. Lei stesso, del resto, ha potuto farsi un’idea dei miei metodi di lavoro nel caso di Jefferson Hope.»

    «Eccome», risposi con calore. «Nulla mi ha mai tanto colpito in vita mia. L’ho perfino immortalato in un opuscolo sotto il titolo, un po’ stravagante, di Uno studio in rosso.»

    Scosse tristemente il capo.

    «Gli ho dato un’occhiata», disse, «e francamente non posso congratularmi con lei. Quella dell’investigazione è, o dovrebbe essere, una scienza esatta e andrebbe quindi trattata in maniera fredda e distaccata. Lei ha cercato di tingerla di romanticismo, il che produce lo stesso effetto che se descrivesse una storia d’amore o una fuga sentimentale nello stile del quinto enunciato di Euclide.»

    «Ma l’elemento romantico c’era», protestai, «e non potevo alterare i fatti.»

    «Alcuni fatti andrebbero soppressi o, quanto meno, trattati con un giusto senso delle proporzioni. L’unico aspetto del caso che valeva la pena di sottolineare era l’insolito ragionamento analitico da effetti a cause grazie al quale sono riuscito a risolvere il mistero.»

    Ero seccato per questa sua critica a un’opera che era particolarmente destinata a fargli piacere. Confesso anche che mi irritava il suo egocentrismo per cui, secondo lui, ogni riga del mio opuscolo avrebbe dovuto essere dedicata esclusivamente ai suoi exploit. Più di una volta, durante gli anni trascorsi con lui a Baker Street, avevo notato che sotto l’atteggiamento tranquillo e didattico del mio amico si celava una certa dose di vanità. Comunque, non gli risposi e continuai a medicare la mia gamba ferita. Qualche tempo prima ero stato colpito da un proiettile afghano e, anche se ero in grado di camminare, il dolore della ferita si riacutizzava ad ogni cambiamento di tempo.

    «Recentemente, la mia opera è stata richiesta anche sul continente», osservò Holmes dopo un po’, mentre caricava la sua vecchia pipa di radica. «La settimana scorsa, sono stato consultato da un certo Francois le Villard che, come lei probabilmente saprà, da qualche tempo è diventato una figura di primo piano nella polizia investigativa francese. Possiede tutte le doti di rapida intuizione tipiche dei Celti, ma gli mancano quelle vaste conoscenze essenziali a un ulteriore sviluppo della sua arte. Il caso riguardava un testamento, e presentava alcuni aspetti interessanti. Ho potuto indicargli due casi paralleli, uno a Riga, nel 1857, e l’altro a St. Louis, nel 1871, che gli hanno suggerito la soluzione. Ecco la lettera che ho ricevuto stamattina, nella quale mi ringrazia per il mio aiuto.»

    Mi aveva gettato un foglio gualcito di carta da lettere straniera. Gli diedi un’occhiata, notando una profusione di elogi, costellata da magnifiques coup-de-maitres e tours-de-force, tutti a testimonianza della profonda ammirazione del francese.

    «Si esprime come un allievo nei confronti del suo maestro», osservai.

    «Oh, sopravvaluta il mio aiuto», disse in tono noncurante Holmes. «E un uomo che possiede doti considerevoli. E due o tre delle qualità necessarie all’investigatore ideale. Ha spirito di osservazione e capacità di deduzione. Gli mancano solo le cognizioni, e quelle potrà acquisirle col tempo. Attualmente, sta traducendo le mie piccole opere in francese.»

    «Le sue opere?»

    «Ah, non lo sapeva?», esclamò ridendo. «Sì, confesso di avere scritto varie monografie. Tutte su argomenti tecnici. Per esempio, Differenze fra la cenere di vari tipi di tabacco. In essa, elenco centoquaranta qualità di sigari, sigarette e tabacco da pipa, accompagnandole con illustrazioni a colori per sottolinearne la differenza nella cenere. E un elemento che torna sempre alla ribalta nei processi penali e che a volte costituisce un indizio di estrema importanza. Se, per esempio, è possibile affermare con certezza che un determinato omicidio è stato compiuto da qualcuno che fumava un lunkah indiano, ovviamente si restringe molto il campo delle ricerche. Per l’occhio addestrato, fra la cenere nera di un Trichinopoli e la cenere fioccosa e bianca dell’erba cimicina c’è la stessa differenza che esiste fra un cavolo e una patata.»

    «Lei ha un genio straordinario per i minimi particolari», osservai.

    «Do il giusto peso alla loro importanza. E questa è la mia monografia sul tracciato delle orme, con alcune osservazioni circa l’impiego del gesso per conservare le impronte. E qui, una piccola monografia, abbastanza insolita, sull’influenza dell’attività sulla forma delle mani, con delle litografie delle mani di conciatetti, marinai, tagliatori di tappi, tipografi, tessitori, e lucidatori di diamanti. E un argomento di estremo interesse pratico per l’investigazione scientifica - specialmente nel caso di cadaveri non reclamati o quando si tratta di scoprire i trascorsi dei criminali. Ma la sto annoiando col mio hobby.»

    «Niente affatto», risposi in piena sincerità. «Mi interessa moltissimo, specialmente da quando ho avuto l’occasione di osservarne l’applicazione pratica che lei ne fa. A proposito, poco fa lei parlava di osservazione e deduzione. Ma, in certa misura, una implica l’altra.»

    «Ma niente affatto!», rispose abbandonandosi con voluttà nella poltrona sbuffando verso l’alto volute azzurre di fumo. «Per esempio, l’osservazione mi dice che questa mattina, lei è stato all’ufficio postale di Wigmore Street; ma la deduzione mi suggerisce che, una volta lì, lei ha spedito un telegramma.»

    «Esatto!», risposi. «Esattissimo su entrambe le cose! Ma confesso che non capisco come lei sia arrivato a queste conclusioni. Da parte mia è stato un impulso improvviso e non ne ho fatto parola con nessuno.»

    «E una cosa semplicissima», osservò, ridacchiando al mio stupore. «Così assurdamente semplice da non richiedere nemmeno una spiegazione; eppure, può servire a definire i confini tra osservazione e deduzione. L’osservazione mi dice che lei ha un po’ di fango rossastro sotto le scarpe. Proprio di fronte all’Ufficio di Wigmore Street hanno scalzato il manto stradale tirando fuori del terriccio e accumulandolo in maniera tale che è difficile entrare nell’Ufficio senza calpestarlo. E un terriccio proprio di quel particolare colore rossastro che, per quanto mi risulta, non si trova in nessun’altra zona dei dintorni. Fino a qui, si tratta di osservazione. Il resto, è deduzione.»

    «Ma come è arrivato a dedurre il telegramma?»

    «Elementare. Sapevo che non aveva scritto lettere dato che eravamo rimasti seduti insieme tutta la mattina. Vedo anche lì, nel suo scrittoio aperto, che ha un foglio di francobolli e un grosso pacchetto di cartoline. Per quale motivo, dunque, sarebbe andato all’Ufficio Postale se non per spedire un telegramma? Elimini tutti gli altri fattori, e ciò che rimane dev’essere la verità.»

    «In questo caso lo è certamente», risposi dopo aver riflettuto per un po’. «La cosa comunque, come lei dice, è delle più semplici. Mi giudicherebbe impertinente se mettessi le sue teorie a una più difficile prova?»

    «Al contrario», rispose. «Mi impedirebbe di prendere una seconda dose di cocaina. Sarò felicissimo di sviscerare qualsiasi problema lei voglia pormi.»

    «Le ho sentito affermare che è difficile per una persona avere un oggetto di uso quotidiano senza lasciare su di esso un’impronta della propria individualità tale che un osservatore allenato possa individuarla. Ecco, qui c’è un orologio che recentemente è venuto in mio possesso. Sarebbe così gentile da darmi il suo parere circa le abitudini del precedente proprietario?»

    Gli porsi l’orologio vagamente divertito in quanto ritenevo impossibile quell’esperimento che aveva il solo scopo di dargli una lezione per quel suo occasionale atteggiamento dogmatico. Soppesò l’orologio, ne osservò attentamente il quadrante, lo aprì, ne esaminò il meccanismo, prima a occhio nudo poi con una potente lente convessa. Non riuscii a trattenere un sorriso alla sua espressione abbattuta quando finalmente richiuse la cassa dell’orologio e me lo restituì.

    «Ci sono pochissimi elementi», osservò. «L’orologio è stato pulito di recente e quindi mi vengono a mancare i dati più essenziali.»

    «Ha ragione», risposi. «E stato pulito prima di mandarmelo.»

    In cuor mio accusai il mio compagno di accampare una scusa quanto mai fragile e fiacca per giustificare il suo fallimento. Quali dati poteva aspettarsi da un orologio non pulito?

    «Anche se non completo, il mio esame non è stato del tutto inutile», osservò alzando al soffitto uno sguardo vacuo e opaco. «Mi corregga se sbaglio: direi che l’orologio apparteneva al suo fratello maggiore, che lo aveva ereditato da vostro padre.»

    «Senza dubbio, l’ha capito dalle iniziali H.W. sul retro?»

    «Esattamente. La W suggerisce il suo cognome. L’orologio risale a circa cinquant’anni fa, e le iniziali appartengono allo stesso periodo: quindi, apparteneva alla generazione precedente alla sua. Generalmente, i gioielli di famiglia passano al figlio maggiore che, quasi sempre, porta il nome del padre. Se ben ricordo, suo padre è morto da molti anni. Quindi, l’orologio è rimasto nelle mani di suo fratello.»

    «Tutto giusto finora», risposi. «Nient’altro?»

    «Suo fratello era un uomo disordinato - molto disordinato e trascurato. Dopo la morte di suo padre, aveva delle buone prospettive ma ha

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