La verità più dolce
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Anteprima del libro
La verità più dolce - Francesca Papa
I Capitolo
Un ciambellone black and white, questo sembravano le montagne di fronte a lei: le ombre delle cime più alte cadevano in modo casuale sulle pendici, irregolari ed a tratti avallate, colorate di bianco e del colore della terra per le scarse nevicate e le temperature troppo alte rispetto alla stagione invernale.
Sembrava quasi che ci fosse una linea netta di demarcazione tra la montagna ed il cielo, azzurro con pochissime nuvole. Il celeste era il suo colore preferito e la neve la sua migliore amica da sempre. La bellezza di quei luoghi, così ameni e incontaminati, risiedeva proprio nei riflessi dorati del sole sul sottile e ghiacciato strato di bianco, ormai del tutto frutto dei cannoni sparaneve. Un discreto vento faceva oscillare la sbarra dell’ingresso alla pista, dichiarata blu ed a tratti rossa: sebbene la temperatura stesse di qualche grado sotto lo zero, la sensazione di asciutto nell’aria stemperava il freddo che entrava nelle narici ed i raggi del sole la riscaldavano. Mi dovevo incremare il viso con la protezione UV 50+; chi lo vuole sentire Gabriele: te lo avevo detto di mettere la crema, ci si abbronza di più in montagna che al mare!
Vittoria era provata dal peso degli sci sulle spalle ed al tempo stesso senza alcun pensiero nella mente, libera da ogni impegno e da qualsiasi convenzione sociale. Si trovava da sola ad oltre 2000 metri di altitudine: alle sue spalle svettava il Monte delle Lenzuola che fa parte della catena montuosa del Monte Magnola ad Ovindoli, pressoché allo stato incontaminato con pochissimi sciatori che si avventuravano fin laggiù, a causa purtroppo degli impianti di risalita chiusi per la pandemia. Ovunque guardasse poteva osservare la natura che le parlava senza emettere nessun rumore e questo le trasmetteva una serenità ed una gioia infinita. L’adrenalina di lì a poco sarebbe iniziata a scorrere nelle sue vene, la discesa l’attendeva e non voleva sbagliare nemmeno una curva. Controllò ancora una volta i suoi occhiali da sole con videocamera, come scendevano sul naso ma soprattutto accese due volte il piccolo interruttore sulla stecca destra: sperava di aver capito bene le istruzioni per la registrazione del video, ripetute all’infinito dal suo compagno, paziente e gentile ben oltre la soglia umana di tolleranza di sicuro molto più della sua praticamente quasi a zero. Si schiarì la voce, mentre faceva salire il tiretto della zip fino alla fine; cercava disperatamente di evitare un fastidioso raffreddore proprio nelle due settimane in cui si trovava in montagna; quindi si aggiustò i lacci delle bacchette intorno ai guanti, rosa fucsia dello stesso colore della giacca e del cappello di lana, solo i pantaloni erano neri con grandi tasche di lato. Poi si guardò a destra e a sinistra, come quando si parte con la macchina da un parcheggio, poichè voleva evitare di tagliare la strada alle persone che stavano già scendendo. Quando la situazione era perfettamente sotto controllo si diede una bella spinta in avanti e si lasciò guidare dalla pendenza del terreno proprio davanti a lei. Poca pista libera, ghiaccio e molti sassi. Ma quest’anno ci accontentiamo!
– Vittoria iniziò la sua telecronaca; la sua mente viaggiava già all’impazzata, perché doveva fissare la pista davanti a lei e cercare di rimanere seria e con la voce imperturbabile; quel video l’avrebbe mandato via cellulare ad Elisabetta, la vera temeraria della famiglia. Chissà cosa le avrebbe risposto!
Brava
– una voce maschile vicino a lei stava parlando con la propria ragazza, ancora un po' timorosa sulla discesa – Non diceva a me, ma il complimento me lo prendo lo stesso. Aiuta il morale!
– replicò la scrittrice a sé stessa, facendo la prima curva quasi a ridosso della pista pulita; voleva seguire i segni di chi era sceso prima di lei, come le aveva sempre detto il suo vecchio istruttore: Lì la pista è sicura e non puoi sbagliare!
; poi continuò: Pista ghiaccio ed a volte troppo morbida, purtroppo ieri ha piovuto gran parte del pomeriggio fino alle prime ore del mattino. Destra, sinistra, zig… zag evitando gli snowboard, che scendono come se fossero completamente soli sulla pista!
- Il vento e la velocità presa dagli sci si mescolavano insieme, trasformando il tutto in un fruscio costante di sottofondo, come quando apri il finestrino della macchina che viaggia ad una velocità molto sostenuta, ma un po' più ovattato e senza alcun rumore di disturbo. Cerchiamo di stare in piedi… un po' di riposo, qualche snowboard, ed eccoci al secondo picco, il tratto rosso della pista blu. Sarebbe una media difficoltà, ve lo assicuro! Alcuni punti c’è proprio solo ghiaccio, conviene andare piano e disegnare larghe curve, evitando le persone un po' come il traffico sulla tangenziale all’ora di punta. Comunque chi sta davanti ha sempre ragione, quasi sempre!
– ridacchiò Vittoria, riprendendo fiato e concentrandosi per qualche secondo solo sulla pista, senza parlare e lasciando alla neve il suo vero ruolo di assoluta protagonista. Poi aggiunse: "Perché, se vogliamo spiegarlo bene, sei un corpo proiettato giù ad una grande velocità e ti puoi fare malissimo se dovessi cadere o girarti con gli sci mentre cerchi di curvare. Un altro step facile, meglio non andare troppo veloci; come dice il saggio, chi va piano va sano e va lontano, e sopravvive, ci sono certi ricoveri in ortopedia per le cadute, uh uh uh! – Vittoria stava ironizzando sull’aspetto più preoccupante dello sci, visto che di medicina si parlava spesso a casa con Gabriele. Lui era un anestesista rianimatore, autodichiaratosi per scelta e vocazione un tuttologo a 360 gradi, un bene per i suoi pazienti ed anche per lui, considerando il rischio concreto e in costante aumento di denunce a carico dei medici.
Questa è la parte finale della pista. Ecco un altro snowboard caduto
– la scrittrice di libri gialli riprese a narrare le sue gesta sportive – È un bello sport, ma stai più a terra che in piedi. Praticamente il tuo sedere diventa tonico come quello dei culturisti, anche se non lo sei! Sopra alla mia destra c’è il Monte Magnola e dietro il Monte Velino. Staremo anche ad oltre 2200 metri, sul Velino credo anche a 2400; infatti è una pista nera, molto difficile, ma riuscirò a scendere un giorno anche da lì!
– si schiarì ancora la voce, prima di finire la sua personale telecronaca sportiva – Sto finendo la mia discesa in solitaria, il mio record personale, ragazzi. Soprattutto… senza rotture di ossa! E finalmente ci ricongiungiamo alle ciuccelle!
– così chiamava spesso le sue due figlie, per gioco e per il divertimento di vedere le loro faccine ridere e chiederne il motivo. In realtà ciò risaliva a quando la piccola Sofia, detta Eba, grazie a un soprannome dato dalla sorellina perché le ricordava molto la zia materna (molto legata alle bimbe ed a Vittoria, anche se si trovava spesso fuori l’Italia per lavoro): in quel periodo prendeva ancora il latte artificiale con il biberon, quasi ormai ai 3 anni raggiunti con gran gusto e soddisfazione. Mentre la seconda figlia, Emma, non aveva mai voluto il ciuccio. Aveva bevuto il latte fino ai 2 anni e poi non lo aveva più voluto. Vittoria, ormai paga della discesa ed avendo acquisito una certa sicurezza a scendere da sola anche su piste che non fossero dei bambini o primissimi principianti, aveva allargato le braccia a mò di croce; così facendo, si era lasciata guidare solo dagli sci nell’ultimo tratto dritto e quasi pianeggiante, anche se la velocità con cui si scendeva non era del tutto contenuta. Schivò qualche sciatore che transitava per andare alle piste nere, qualche turista con una bibita ghiacciata che passeggiava per trovare un posticino per sedersi e ammirare la neve senza faticare troppo e i gruppi di bambini con i rispettivi istruttori, per lo più molto giovani e dalle tute sgargianti, che proseguivano per prendere la funivia, i pochi ammessi a usare gli impianti di risalita in quanto tesserati alla federazione italiana sci.
II Capitolo
Una folata di vento entrò all’improvviso nell’ingresso del rifugio di montagna, l’unico presente nel piazzale-anfiteatro a quota 1785 metri. L’odore del legno si mescolava al tepore del camino acceso dalle prime luci dell’alba; i raggi del sole riscaldavano i vetri delle finestre stile Inglesina, che si affacciavano su alcune piste nere, già battute da qualche sciatore più temerario. Quel giorno, come il resto della settimana, si prevedevano nevicate abbondanti e temperature fisse di qualche grado sotto lo zero, con un sole tiepido alternato a possibili e deboli piogge. Tutti gli amanti della neve speravano in belle giornate con basse temperature senza pioggia, poichè avrebbe reso le piste ancora più scivolose specialmente nella parte finale, con il rischio di avere meno aderenza con gli sci e di poter colpire qualche sciatore o peggio qualche turista della neve, fermo a fare una foto o un video al paesaggio.
Il rifugio era gestito da pochi mesi da una giovane coppia con una bimba di circa
3 anni, trasferitisi lì per aprire una locanda a conduzione familiare e provare così a rendersi indipendenti dalle rispettive famiglie d’origine, rimaste a vivere in una cittadina sul mare nel Lazio. Vittoria era solita mangiare sempre lì da quando aveva iniziato ad andare sulla neve ormai già da oltre 5 anni, pressappoco da quando Sofia doveva compiere gli anni per essere accettata all’asilo. Il proprietario era un cugino di Gabriele di secondo grado, sulla quarantina, alto, alquanto appesantito da molti anni di grandi abbuffate, ma con degli occhi cerulei che facevano concorrenza alla brillantezza della neve, quando riflette il colore terso del cielo. Aveva una folta barba grigia, che dava un po' di colorito ad un viso pallido ed a dei capelli ormai quasi del tutto bianchi; il colpo d’occhio di Vittoria, che non poteva fare a meno di notare ogni piccolo particolare intorno a lei, erano delle possenti e lunghe mani, un po' ruvide e con delle unghie corte ed irregolari, segno evidente di un precedente lavoro come artigiano.
Bambine, attente al gradino quando…
– esordì Gabriele, rivolgendosi soprattutto ad Emma, la più lagnosa quando poi si faceva male – Entrate. Ecco, hai battezzato la panca dove mi volevo sedere. Ti sei fatta male? Vieni da papi!
Siiiii!
– disse Emma, con gli occhi pieni di grossi lacrimoni e con la bocca spalancata, tanto che si vedevano tutti i denti da latte, perfettamente dritti e bianchi; quindi gli si avvicinò un po' titubante, camminando un passo alla volta e cercando lo sguardo della mamma e della sorella più grande, che nel frattempo si erano già accomodate e si stavano togliendo la giacca, i cappelli e gli occhiali. Quante storie… non ti sei fatta niente! Il giorno che invece ti farai seriamente male, nessuno ti crederà visto che piangi per un nulla!
– replicò Vittoria, mentre si massaggiava il viso con le mani; aveva gli occhi un po' irritati dal vento, anche se aveva tenuto sempre gli occhiali e le mani un po' infreddolite trasmettevano quello stacco termico, necessario per attenuare la pesantezza che avvertiva intorno alla zona oculare.
Su, dai… vieni qui che prendo il tablet e ci vediamo una puntata di Dragon Ball
– Sofia richiamò l’attenzione della sorella, che ormai si era calmata tra le braccia del suo papà e si dirigeva tutta sorridente verso di lei, come se le lacrime di qualche secondo prima fossero scomparse magicamente senza lasciare nessuna traccia. Gabriele aveva trasmesso alle figlie la sua passione per i cartoni animati giapponesi, specialmente quello che si vedeva sempre con i suoi compagni di casa quando stava all’università.
Allora cosa prendiamo, ho una fame esagerata! Oggi c’è poca gente, tra mezz’ora si riempirà e si formerà una lunga fila fuori al posteggio degli sci, altro che divieto di assembramento.
– iniziò a parlare la scrittrice con un grande sorriso ironico stampato sul suo viso candido, guardando il menù scritto sulla lavagna vicino ad una grande stufa a pellet; poi aggiunse: "Oggi c’è la polenta, che dici… facciamo un piatto in due? – rivolgendosi a Gabriele, che si era appena accomodato e stava controllando gli ultimi messaggi arrivati sul cellulare. Meno male che su