La casa ai campi
Di Carlo Torti
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Anteprima del libro
La casa ai campi - Carlo Torti
Avvio
Cover
Carlo Torti
LA CASA AI CAMPI
Racconto
Ad Ale e Davide
Titolo | LA CASA AI CAMPI - Racconto
Autore | Carlo Torti
ISBN | 979-12-20350-58-7
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Ogni uomo sulla terra è degno di rispetto, poiché in ogni
essere umano vive la grandezza e lo splendore dell’anima.
Carlo Torti
E’ tornato Sidiu
Il sole stava sorgendo quando Sidiu aprì gli occhi dopo essersi girato su un fianco, un po infreddolito, imbacuccato in una coperta di lana che sapeva un po di muffa.
Era settembre inoltrato, ancora era possibile dormire all'aperto, e d'altra parte non aveva altra possibilità se non passare le notti nelle stalle e nei fienili che trovava nel suo perenne peregrinare di paese in paese, nelle valli dell'Oltrepò pavese.
Il canto di un gallo, neppure tanto distante, gli diede una sferzata di allegria, un tanto di ottimismo che però si spense subito pensando che anche quella mattina non avrebbe fatto colazione.
Il giorno prima aveva camminato da mattina a sera, seguendo sentieri che si inanellavano sui fianchi delle colline, portando sulle spalle un ingombrante zaino nel quale conservava tutto quello che possedeva.
La campagna era ancora generosa, offriva di che nutrirsi per chi come lui si sapeva accontentare.
Nonostante la vendemmia avesse spogliato le viti non era difficile trovare qualche grappolo di uva dimenticato sulla pianta, una vera delizia per Sidiu, che amava sopratutto il buon vino rosso di quelle parti.
Uve barbera e croatina che producevano un vino chiamato Bonarda, vino brioso dal sapore amabile.
Dormire in un fienile non era poi tanto male, e in ogni caso ormai ci aveva fatto l'abitudine da tempo.
I raggi del sole fendevano la vivida luce del mattino mentre Sidiu si stiracchiava le giunture dopo essersi alzato ed aver fatto qualche passo non senza una certa difficoltà di equilibrio.
Il cascinale che lo aveva ospitato così dignitosamente era abbastanza isolato in mezzo a terreni coltivati e campi arati di fresco.
In lontananza di vedevano case agglomerate che formavano piccole frazioni, tetti e coppi con camini fumanti, e più distante un paese più grande, coricato su erti declivi, dominato da un arcigno e severo maniero, il castello dei Conti Dal Verme, il castello di Zavattarello.
Sidiu lo riconobbe perché era già stato altre volte da quelle parti, ospite di una famiglia di contadini, mezzadri del Conte, che gli avevano garantito vitto e alloggio in cambio di qualche lavoro nella fattoria.
Mentre si stringeva la cinta dei pantaloni girò di scatto la testa per seguire una volpe che saltellava poco distante.
Poco dopo si incamminò lungo il sentiero, mantella e zaino sulle spalle.
Iniziava un nuovo giorno, forse uguale a tanti altri o forse no.
In quello stesso momento i mezzadri del Conte, la famiglia Pozzi Zambarbieri, era intenta alle solite attività quotidiane;
Il padre Serafino affilava le falci utilizzando una pietra pomice, la mamma Mansueta stava accudendo i buoi nella stalla;
Giorgio, il figlio maggiore, che aveva appena compiuto ventinove anni, si era alzato in ora presta per arare i campi con l'aratro trainato dai buoi, mentre la moglie Maria stava lavando al fontanino il figlioletto Gianni, di cinque anni, che come al solito si era imbrattato giocando nella stalla;
Albino, il figlio mediano, si era attardato in camera ad occuparsi di se stesso; si era lavato con l'acqua della bacinella, acqua fresca che aveva attinto dalla sorgente poco distante, acqua limpida che scintillava con i raggi del sole che filtravano fra le foglie verdi del nocciolo soprastante; si era sbarbato, profumato con un po di acqua di colonia, e si apprestava ad andare in paese a piedi, che distava solo un paio di chilometri.
Teresa invece, la figlia, appena diciottenne, era in attesa del primo figlio, al settimo mese di gravidanza; non era ancora sposata, ma le nozze con Italo erano imminenti: Italo era un ragazzo ventenne, figlio di Edoardo, geometra di Zavattarello, e di Nina, una donna minuta e gracile ma dal carattere molto deciso.
Italo era riuscito a evitare di entrare in seminario, nonostante le sollecitazioni della famiglia;
non ci era proprio portato, al contrario nutriva una certa repulsione per i preti e per la religione in generale; alcuni parenti avevano seguito la strada del clericato ed erano parroci in alcuni paesi circostanti, come Don Oreste, parroco della Rocca, e Don Attilio, parroco di Montalto Pavese, i fratelli del papà Edoardo.
Dopo un primo periodo di innamoramento, arrivò anche ad odiare lo scudo crociato della Democrazia Cristiana.
Stava ultimando il liceo classico, in collegio a Pavia, ma appena poteva tornava a Zavattarello a trovare gli amici e sopratutto la sua Teresa; si erano conosciuti durante una festa all'aperto, nell'aia antistante la casa ai Campi, alla Madonna di Settembre di qualche anno prima.
Italo era un inguaribile donnaiolo, ma questo a Teresa non importava più di tanto;
lei era totalmente innamorata, il suo primo ed unico amore, tanto che il fidanzamento avvenne subito dopo.
Italo, per i partigiani, era Fischio
; nel '43 aveva 14 anni quando scendendo dai boschi del Castello con in tasca una manciata di pallottole venne preso dai nazisti che erano arrivati improvvisamente in paese, tenuto una notte in piedi insieme a una decina di altri malcapitati, costretti a camminare il giorno dopo sino ad arrivare a Pavia a piedi, per poi essere trasportati su camion fino a San Vittore, a Milano, dove restarono qualche giorno.
Costretti poi a salire sul treno che partiva dal binario 21, per una infelice destinazione;
Raccontava che sul treno erano insieme a delle bagasce
, termine dialettale che definiva le prostitute, una ventina di ragazze destinate ai piaceri dei nazisti, che ad ogni tentativo dei deportati di forzare le porte del vagone si mettevano ad urlare come galline, così raccontava Fischio, tanto da allertare i nazisti.
Successe che all'altezza di Verona il treno fu bombardato da aerei degli alleati , e nello sconquasso generale Fischio riuscì a dileguarsi nelle radure e poi nei boschi, dove restava nascosto di giorno per poi riprendere il cammino di notte, nutrendosi in pratica solo della frutta che trovava.
Aveva impiegato circa due mesi per tornare a Zavattarello, dove arrivò molto più magro di come era partito, ormai dato per disperso da tutto il paese, e pianto dai genitori e dagli amici.
Sidiu aveva camminato di buona gamba e stava scendendo lungo il dirupo del Castello quando poté scorgere la casa ai Campi, la casa dei mezzadri del Conte;
era in mattoni rosati e pietra, con la stalla ed il fienile che occupavano metà dell'edificio;
L'altra metà era destinata all'abitazione; la cucina e una sala al piano terreno, le camere al piano soprastante.
Il castello la sovrastava, quasi a proteggerla.
Una grande aia bianca, ombreggiata in parte da un enorme castagno, era lo spazio per le galline e le anatre, i tacchini ed il pavone, che proprio in quel momento stava aprendo la sua magica ruota.
a ghè Sidiu!
gridò Giorgio, fermando un attimo l'aratro per andargli incontro;
cma vala Sidiu, a l'è un pson chan sa vasam, alura, set strac? ve renta a bev un bicer ad ven
.
come va Sidiu, è passato tanto tempo. allora, sei stanco? vieni dentro a bere un bicchiere di vino
.
Sidiu era ben voluto da tutti; nessuno conosceva bene la sua storia, lui non ne parlava volentieri quindi avevano imparato a non chiedere nulla, limitandosi a farsi raccontare le sue avventure, i suoi viaggi e le sue conoscenze; era una figura importante e allo stesso tempo misteriosa, qualcuno diceva avesse addirittura il potere di comandare gli eventi, come far piovere al momento giusto o evitare malattie.
A sera, al centro della grande tavola in legno, Mansueta aveva posto una fumante polenta, del formaggio stagionato e del vino rosso bruschino; mentre Sidiu raccontava di quello che aveva visto nel suo peregrinare di paese in paese, Teresa lo guardava con occhi ammirati e sognanti; Giorgio ascoltava in silenzio; aveva occhi buoni Giorgio, uno sguardo serioso e maturo nonostante la sua giovane età, al tempo stesso carico di dolcezza ed umanità.
Anche Albino ascoltava in silenzio, fino a che domandò: e ad don, ag n'era? n'at cunscì ona quac vona?
e di donne ce n'erano? ne hai conosciuta qualcuna?
Tas Albino! an ta ries propi mia a ves mia un cuion!
sbottò Serafino, il capofamiglia, guardando Albino con occhi penetranti e severi; Taci Albino, non riesci proprio a non essere un coglione!
Sot mai Sidiu, ad ga da veg pasiensa, a l'è ancura pes che un bagai
Cosa vuoi Sidiu, devi avere pazienza, è ancora peggio di un ragazzino
.
L'olio della lampada si stava esaurendo; l'indomani sarebbe stato un duro giorno di lavoro, come sempre.
Una luna piena e tante stelle in cielo facevano presagire che l'indomani sarebbe stata una bella giornata di sole.
Si spense l'ultima lampada e tutti sprofondarono in un sonno profondo tranne Albino, che non riusciva a prendere sonno e continuava a pensare ad Albertina, una ragazza che aveva conosciuto alla Caminata,
un paese distante una ventina di chilometri, e che continuava ad occupare i suoi pensieri.
Non riusciva a non pensare a quel bacio quasi rubato, agli occhi di Albertina pieni di stupore, a quel suo sottrarsi istintivo, alla sensazione sublime e alla felicità che aveva provato in quel momento percependo negli occhi di quella ragazza una evidente compiaciuta emozione. Albino aveva soltanto ventuno