Stagioni
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Anteprima del libro
Stagioni - Elisabetta Sala
Youcanprint
Titolo | Stagioni
Autore | Elisabetta Sala
ISBN | 9788831637046
© Tutti i diritti riservati all’Autore
Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta senza il preventivo assenso dell’Autore.
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Prologo
Estate 1979
Erano rimasti a lungo seduti guardando un gabbiano che si lasciava cullare dalle onde, indifferente ai rumori, alle voci e che sembrava di tanto in tanto fissarli con crudeltà. Poi, il ragazzo con la maglietta a righe aveva ripreso a camminare sotto il sole e la sorella sbuffando lo aveva seguito lungo la spiaggia candida che pareva una mezzaluna sdraiata sul mare.
«Aspettami» aveva gridato: non riusciva a tenere il suo passo e la sabbia, morbida come borotalco, sembrava risucchiarle i piedi. Quella passeggiata era da sempre un rito, una sorta di battesimo della vacanza, in cui, complice il ritmo lento e rilassato si scambiavano confidenze e progetti in un luogo che conoscevano bene e il resto della famiglia non troppo lontano, là, sotto gli ombrelloni bianchi dove cominciava la pineta. Sognavano quei giorni tutto l'anno: nei tediosi e infiniti pomeriggi d'inverno, quando gli obblighi scolastici li costringevano a faticosi impegni, quando i moti del loro animo avrebbero avuto bisogno di essere ascoltati, quando infine, le insicurezze della loro età e il desiderio prepotente di affacciarsi al mondo degli adulti si mescolavano e si scontravano, sconvolgendoli. L'estate e la vacanza al mare costituivano per il restante tempo delle loro giovani vite il traguardo sognato, l'approdo dove riposare. Perché allora, quel mattino Bruno camminava veloce come spinto da un'urgenza, ignorando i suoi richiami? Erano sempre andati d'accordo, s'intendevano al volo con un solo sguardo, ma lui, in passato prodigo di tenere attenzioni per la sorellina, da qualche tempo era cambiato: distaccato e assente oppure nervoso e polemico. Qualche giorno prima della partenza aveva avuto una spiacevole discussione con il padre, ma non era mai stato tipo da portare il muso così a lungo. Ad ogni modo lei non poteva lamentarsi; fino ad allora non le era davvero mancato nulla: genitori amorevoli, un fratello e una sorella più grandi che l'avevano protetta ed aiutata, una vita serena. Nel cielo turchino alcuni aquiloni intrecciavano il loro volo e guardando all'insù aveva provato un po' di nostalgia dell'infanzia, di quella stagione di giochi spensierati e sonno pastoso. Come erano difficili da governare i sentimenti, ma bisognava imparare a farlo: presto sarebbe diventata grande e allora sì che la vita le si sarebbe spalancata davanti come una prateria senza confini. Aveva respirato a pieni polmoni l'aria salmastra e si era sentita di nuovo felice. Passando accanto ad una barca in secca avevano incontrato un venditore di noci di cocco che seduto su una sdraio, ascoltava musica da una radiolina.
«Bruno, prendiamo il cocco?» ma lui non si era neppure voltato e lei, incerta, lo aveva guardato allontanarsi.
«Beh», si era detta poi, alzando le spalle, «non dobbiamo sempre fare tutte le cose insieme, ho voglia di cocco» e aveva salutato sorridendo l'uomo che la chiamava bella signorina:
«Mi dai un pezzo»?
«Due, anche per il tuo ragazzo».
«E' mio fratello, oggi è di cattivo umore».
«Disseta, è buono», aveva insistito lui.
«Domani: adesso devo andare, altrimenti non lo raggiungo più».
Aveva ripreso a correre nella confusione allegra di una mattina al mare; cercava la sua maglietta, le sue gambe lunghe, ma dove la spiaggia finiva per lasciar posto ad un promontorio roccioso, si era ferita ad un piede ed era stata costretta a fermarsi. Un gabbiano l'aveva sfiorata lanciando alte strida e si era diretto al largo per planare infine sull’acqua con un ultimo battito d’ali; lei aveva seguito il suo volo incantata e solo dopo aveva visto Bruno che avanzava nell'acqua, quasi del tutto nascosto da uno scoglio. Avrebbe dovuto correre, gridare e invece era rimasta immobile senza capire subito quello che stava succedendo. Gli ombrelloni erano ormai molto lontani, una macchia bianca nel blu, così come i bambini che giocavano e il venditore di noci di cocco, consegnati per sempre al tempo, in una sorta di fermo immagine che non avrebbe più dimenticato. Un colpo di vento aveva fatto volare in mare il suo cappello di paglia, ma non se n’era nemmeno accorta: guardava il fratello che infine si era voltato verso riva, levando alto un braccio in segno di saluto e poi, si era lasciato andare.
Vent’anni dopo
1
Lungo la provinciale che dalla periferia del paese portava all’autostrada costeggiando la ferrovia tra capannoni e campi incolti, sorgeva la clinica «La Quiete», circondata da un grande parco dove nelle giornate di bel tempo, i ricoverati passeggiavano e prendevano il sole sulle panchine disseminate qua e là. Quel giorno invece, una pioggia sottile e sfilacciata tamburellava contro i vetri del piccolo ambulatorio, dove una donna camminava avanti e indietro ingannando l’attesa; era inquieta per il colloquio che avrebbe avuto con il medico: dopo un ricovero di due settimane voleva soltanto tornare a casa. Stanca di aspettare e sempre più infreddolita negli abiti troppo leggeri, sentiva crescere in sé una forte irritazione, quando la porta si era aperta e con un’ora di ritardo sull’orario stabilito, il dottor Galli aveva fatto il suo ingresso. Si conoscevano: per diverso tempo in quello stesso studio avevano avuto luogo i loro incontri di psicoterapia poi lei, disgustata, aveva smesso. Era un bell’uomo di circa quarant’anni con il viso dai tratti regolari e gli occhi azzurri, ma la bocca larga e molle faceva pensare ad una pianta carnivora. Seduto alla scrivania aveva frugato per un po’ tra le carte che aveva davanti ed infine si era appoggiato all’indietro sullo schienale della poltrona, congiungendo le mani; sembrava un mago in cerca della sua anima.
«Marta, da quanto tempo non ci vediamo, accomodati. Dunque, oggi torni a casa: c’è qualcosa di cui vuoi parlarmi? In modo semplice, liberamente».
«Dottore, per me non è facile mettere ordine nei ricordi, nei pensieri ma anche nella vita più in generale: faccio molta fatica, lo sa. Vede, l’estate era una stagione per molti versi banale, ma il mare mi regalava una felicità assoluta, perfetta che non ho più conosciuto». Lui la fissava rollando del tabacco tra le dita e dopo averle fatto segno di tacere, aveva preso a camminare; le scarpe di coppale lucidissime scricchiolavano sul pavimento. Poi, quello che i ricoverati chiamavano «Dottor Tavor», guardando fuori dalla finestra le aveva detto:
«Francamente non capisco, ti vedo confusa e questo non mi piace: di che epoca parli? Piuttosto, mi serve il tuo parere: questa sera ho una cena al Rotary, credi che le mie scarpe siano adatte? Certo, per questo posto sono sprecate come lo sono anch’io ma sono ancora giovane e farò strada. Torniamo a noi: vedi Marta, ho già avuto modo di dirtelo: sei una persona fuori dal tempo, da questo tempo che ti ricordo è il solo possibile; vivi in un mondo tutto tuo ma questo, devo riconoscerlo, fa parte del tuo fascino: mi piacciono le donne vulnerabili. Abbiamo ancora parecchio lavoro da fare. Ad ogni