La collina del faro
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Anteprima del libro
La collina del faro - Pasquale Fusco
I ricordi
Una bianca e fitta nebbia offuscava il cielo e cingeva il monte e l’insenatura di quella bellissima costiera come in un abbraccio. Sulla collina s’intravedeva ancora il faro acceso a indicare la via del ritorno al marinaio che, stanco e assonnato, tirato le reti in barca, faceva ritorno con il carico di pescato ai suoi affetti.
Incrociò lo sguardo dell’uomo che passeggiando s’inoltrava sulla stradina che conduceva alla grotta. Un fugace saluto e scomparve nella nebbia mentre i gabbiani intenti a cercare cibo sulla spiaggia, smarriti da quell’improvviso fenomeno normale e naturale, si alzarono in un volo radente e iniziarono un girotondo alla ricerca di uno sprazzo di luce.
La notte, con le sue insidie e i suoi misteri, era stata lunga e piovosa per tutti. Lontano, sulla strada che dal paese arrivava sino al mare, un cane a guardia di una casa abbaiava al passante frettoloso.
Erano le sette del mattino, un gelido vento autunnale staccava le ultime foglie già ingiallite dagli alberi oramai spogli facendone un mulinello sulla strada bagnata. L’uomo, chiuso in una tuta scura, infreddolito e impaurito dal latrare dell’animale, affrettò il passo verso la fine della strada mentre un’auto, sopraggiungendo, gli suonò il clacson e rallentò.
L’uomo si spostò di lato per dare passo e si voltò appena in tempo per vedere una donna al volante e una canna di pistola spuntare dal finestrino posteriore destro. Un lampo a cui fece seguito immediatamente un botto. Poi, una fitta alla spalla sinistra lo fece piegare sulle ginocchia. Un grido disumano gli uscì dalla gola mentre una chiazza rossa si spandeva lentamente sulla tuta all’altezza della spalla sinistra. L’urlo andò a unirsi agli strilli dei gabbiani che, sorpresi e spaventati da quell’inatteso e alquanto strano rumore, abbandonarono il volo radente e sicuri si diressero verso la collina, verso i loro nidi.
L’auto ripartì di corsa nella densa nebbia in direzione del faro sobbalzando nelle pozzanghere e sulla strada poco asfaltata e scomparendo alla vista del ferito. L’uomo, benché dolorante, si alzò e proseguì il suo cammino nella stessa direzione dell’auto. Con il sangue che gli imbrattava la tuta e stringendo i denti dal dolore, con passo malfermo proseguì il suo lento cammino alla ricerca dell’auto.
La collina del faro era distante solo poco più di duecento metri e con il respiro affannoso che gli attanagliava la gola in una morsa quasi letale, dopo qualche minuto raggiunse la grotta sottostante alla collina sovrastata dal faro.
Si fermò e si guardò attorno. Nessun rumore sospetto, solo lo sciabordio lento e monotono delle onde che s’infrangevano sulla battigia. La ferita continuava a sanguinargli e il dolore gli procurava fitte tali da fargli storcere il viso in una smorfia disumana. Si appoggiò a una roccia sporgente per riposarsi un attimo e riprendere fiato. Fece un lungo respiro, poi infilò la mano nella tasca della tuta ed estrasse un fazzoletto che premette con forza sulla ferita per arrestare la fuoriuscita del sangue.
Si procurò immenso dolore ma, nonostante gli dolesse forte, il risultato fu soddisfacente. Si slacciò la cordicella della tuta, la girò attorno al busto e l’avvolse stretta sulla ferita e sul fazzoletto per meglio tamponare e riprese a camminare. Deciso, ma con il passo incerto e il respiro meno affannoso, s’inoltrò nella grotta. Camminò nel semibuio stringendo i denti senza rendersi conto di quanto tempo trascorse. Si fermò solo quando prese coscienza di essersi addentrato abbastanza all’interno di essa.
Iniziò ad ammirare quella roccia naturale, dono della natura, erosa dall’acqua e logorata dal tempo che aveva un aspetto stupendo. Si meravigliò ancora di più quando vide che era ben tenuta e pulita da ogni residuo marino.
Rifletté un attimo. Era strano, molto strano. Solitamente in riva al mare e nelle grotte naturali i pescatori tengono i loro attrezzi per la manutenzione delle barche: funi, reti, motori da riparare, pezzi di ricambio in disuso, qualche barca dismessa, taniche di gasolio, cesti, cassette e oggetti utili sparsi qua e là. E quando non è utilizzata è il mare stesso a servirsene con ammassi di tronchi, erbacce, cumuli di plastica o carcasse di animali. E quella non presentava quell’aspetto innaturale.
Si sedette su un sasso meditando mentre il pensiero gli correva veloce nel tempo, a quando era ancora un bambino e con i compagni di gioco s’inoltrava nella grotta per giocare a nascondino fra le rocce. Quanti ricordi, quanti bei ricordi! Chi avrebbe mai immaginato che dopo tanto tempo vi sarebbe ritornato non come bambino di giochi ma come adulto, come uomo di legge, per giunta, ferito e infreddolito.
Fortunatamente per lui, l’aria che circolava all’interno era respirabile e la temperatura restava costante grazie all’assenza di flussi termici particolari che ne potevano precludere l’habitat. Però non riusciva a capire come mai quella grotta, orgoglio del paese, era diventata improvvisamente triste realtà per tutti gli abitanti. Lamentavano strani rumori provenire dall’interno, seguiti poi da andirivieni di numerose auto. Forse la grotta, con il passare degli anni, aveva assunto una funzione diversa. Non più ricettacolo occasionale e provvidenziale per pescatori o nascondino per innocenti giochi di bambini o rifugio delle coppiette per scambiarsi un bacio. Forse era diventata riparo improvvisato per affari loschi e illeciti per persone di malaffare.
Si alzò con una smorfia di dolore in volto, la spalla gli doleva molto, si guardò ancora in giro un attimo, lo sguardo spaziò in lungo e in largo ammirando ancora una volta quella meraviglia, quella forma caratteristica che aveva e che la distingueva da altre situate nelle zone limitrofe.
S’incamminò ancora di più verso l’interno della grotta e gli ritornò alla mente che a scuola aveva studiato che la grotta era a sviluppo orizzontale e che s’inoltrava sotto la collina del faro per circa trecento metri, che era spaziosa e lunga e che si poteva procedere in posizione eretta. Forte di questo pensiero, anche se con passo malfermo e con la mano premuta sulla ferita dolente, fece ancora qualche passo in avanti strascicandosi e s’inoltrò nella parte più buia. Appoggiandosi alla parete, con la mano libera, si trascinò ancora per un po’ e si fermò solo per un attimo quando, nella tenue luce del mattino che filtrava all’interno e rifletteva sulle pareti rocciose umide, notò tracce di pneumatici sulla sabbia. Ciò lo indusse a proseguire con circospezione. Gli occhi, oramai abituatosi al buio e poi alla luce, gli fecero scorgere nitidamente in lontananza, quasi in fondo, una strana sagoma. Si avvicinò cautamente e, giunto nei pressi, si raggelò per ciò che gli si parò davanti.
Il respiro già affannoso gli si strozzò in gola lasciandolo in apnea per qualche secondo mentre un brivido freddo e gelido gli attraversò tutta la schiena mettendogli paura. Fortunatamente si riprese quasi subito e con prudenza procedette verso quella sagoma che tanto l’aveva spaventato un attimo prima.
Il cuore gli sobbalzava nel petto quasi a toccargli la gola, tratteneva il respiro ansante per ridurne il battito e gli sembrava di avere un tamburo nel corpo.
Sbirciò in giro come a cercare qualcuno o qualcosa e con passo felpato, facendo attenzione a non far rumore calpestando qualcosa di fragile, riparato e seminascosto da un grande masso, riconobbe nella sagoma intravista un’auto. Sì, un’auto. La stessa dalla quale poco prima una mano sconosciuta gli aveva sparato.
Si avvicinò prudentemente temendo ci fosse qualcuno all’interno. Riconobbe nell’auto una Isotta-Fraschini. Cosa ci faceva in quel luogo una lussuosa e prestigiosa auto? E così s’avvicinò con fare incerto e iniziò lentamente ad accarezzare il cofano con delicatezza, con rispetto, come fosse una donna, quasi a preoccuparsi di non graffiarla, di non farle del male. Mentre era così intento nei suoi movimenti feticistici, tra una meraviglia e un compiacimento, si accorse che il motore dell’auto era ancora caldo.
È proprio l’auto che mi ha superato poc’anzi, pensò. Chi può possedere una simile auto e tenerla nascosta qui dentro? Mentre le domande gli si accavallavano nella mente, improvvisamente sentì un rumore. D’istinto la sua mano corse alla cintura dove teneva la pistola d’ordinanza. Non la estrasse perché fece appena in tempo ad accovacciarsi sotto l’auto quando si aprì una porta ben nascosta e ricavata nella parete rocciosa.
Da essa, spuntarono due persone: un uomo e una donna. Nella donna riconobbe le fattezze di colei che guidava la Isotta-Fraschini e nell’uomo colui che gli aveva sparato attraverso il finestrino. Fu la donna arrabbiata a sbuffare e a voltarsi di scatto apostrofando all’uomo che l’accompagnava: «Sei proprio uno sciocco irrefrenabile e uno psicopatico irrecuperabile! Ma che ti è saltato in mente, Denis? Sparare a quell’uomo sulla strada? Un uomo indifeso che passeggiava per conto suo, che non aveva accennato alcun segno di protesta al suono del clacson. Lo sai che l’organizzazione ti tiene in grande conto e in grande considerazione e gli amici farebbero di tutto per accontentare i tuoi capricci? Quando sapranno del fattaccio, del tuo gesto inconsulto, come la prenderanno, come una buona azione? Ti faranno un plauso per premiare la tua negligenza?» L’uomo, Denis, un giovanottone di circa trentacinque anni, di gentile aspetto, alto e asciutto nel fisico, con addosso un vestito scuro gessato e con una pistola nella mano destra che faceva roteare velocemente, stette ad ascoltare in religioso silenzio le invettive della donna poi, con tono pacato, iniziò il suo ragionamento e rispose senza scomporsi.
«Hai ragione, sono uno psicopatico incallito e la mia schizofrenia mi porta, a volte, a essere violento e incoerente con la mia personalità. Vedi, mia cara Mery, è un po’ di tempo che per varie ragioni sono sempre da solo e chiuso in questa grotta. Questa notte al nightclub ho bevuto un po’ di più con gli amici e qualcuno di loro si è lasciato andare a troppa confidenza con me. Lo sai, lo hai constato personalmente, io sono un uomo d’onore ed esigo rispetto e quando qualcuno approfitta della mia bontà, della mia amicizia perdo i freni inibitori e gli sparerei. Non avendolo potuto fare nel nightclub perché molta gente testimone avrebbe assistito a un freddo omicidio, quando ho visto quell’uomo sulla strada del ritorno, chissà perché è esplosa e scatenata in me la rabbia repressa di ogni logica esistenziale. Per un attimo ho perso la testa e ho fatto fuoco, inconsapevole del male che facevo a un innocente. Dopo ho realizzato e mi sono dato una scusa: e se fosse stato uno sbirro venuto per spiarci?»
L’uomo accovacciato sotto l’auto, tremante per la paura e ancora più dolorante per la ferita s’irrigidì e, trattenendo ancor di più il respiro, pensò fra sé: Ma chi diavolo sono questi due? I moderni Bonnie e Clyde? Accidenti a loro. Perché ce l’hanno tanto con i poliziotti? Se mi scoprono, mi finiscono. Ma vuoi vedere che questi due sono i famosi Mery e Denis, i due super ricercati? Ma non mi tornano i conti! Quella donna non è Mery.