La Bainsizza
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Luigi Cadorna, il capo di stato maggiore italiano, aveva concentrato tre quarti delle sue truppe lungo il fiume Isonzo: 600 battaglioni (52 divisioni) con 5 200 pezzi d'artiglieria. L'attacco venne sferrato su un fronte che si estendeva da Tolmino (nella valle superiore dell'Isonzo) fino al mare Adriatico. Gli italiani attraversarono il fiume in più punti su ponti di fortuna, ma lo sforzo maggiore venne fatto sull'altopiano della Bainsizza, la cui conquista aveva lo scopo di far proseguire l'avanzata e di rompere le linee austro-ungariche in due, isolando le roccaforti del monte San Gabriele e dell'Ermada. Durante questa offensiva vennero utilizzati per la prima volta i Reparti d'Assalto o Arditi.
Dopo un combattimento aspro e sanguinoso, la Seconda Armata italiana (comandata dal generale Capello), fece indietreggiare gli austro-ungarici, conquistando la Bainsizza e il Monte Santo. La conquista ebbe un alto prezzo di vite umane: circa 160 mila perdite italiane e 120 mila austro-ungariche.
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Anteprima del libro
La Bainsizza - Dante Formentini
PREFAZIONE
La battaglia dell’agosto 1917 si sviluppò da Tolmino al mare in due settori distinti e separati da una interposta zona di minore attività offensiva corrispondente all’anfiteatro Goriziano, approssimativamente fra il S. Gabriele e il Vippacco.
Tale zona non doveva — secondo il concetto iniziale — essere attaccata frontalmente, poichè le fortissime posizioni nemiche colà esistenti non avrebbero potuto essere facilmente espugnate, ma doveva essere aggirata dalla II Armata, cui era prefisso il mandato di procedere per l’altopiano della Bainsizza a quello di Ternova.
Miravasi con ciò non solo a far cadere per manovra, ossia per aggiramento, le predette posizioni dell’anfiteatro Goriziano ma anche a scuotere le difese nemiche della zona Carsica scardinandone il fianco destro, che appoggiavasi appunto alle alture Goriziane, e minacciandone il rovescio dall’altopiano di Ternova.
Tale minaccia, solamente potenziale se esercitata dall’altopiano di Ternova, sarebbe diventata reale qualora in prosecuzione di una felice offensiva l’azione nostra si fosse protesa fino alla regione di Aidussina, a tergo cioè dello schieramento nemico del Carso.
Nel settore Carsico, a Sud della zona Goriziana, l’azione della nostra III Armata doveva esercitarsi frontalmente e uniformemente, agevolata, secondo il concetto di coordinazione d’impiego delle due Armate, dalla ripercussione, in senso tattico, che le operazioni sviluppate dalla II Armata lungo gli altipiani della Bainsizza e di Ternova avrebbero probabilmente prodotto sulle difese nemiche del Carso. Il criterio di manovra pertanto prevaleva in questa offensiva, a differenza di quanto era avvenuto nelle precedenti nelle quali l’azione concettualmente e realmente si era sempre esplicata con attacchi frontali di intensità ed estensione crescenti in ragione diretta del progressivo aumento dei nostri mezzi, sopratutto di artiglierie e bombarde.
Ed era la sola manovra possibile nelle condizioni odierne di guerra in cui per il fatto novissimo della saturazione completa delle frontiere politico-strategiche degli Stati belligeranti gli avvolgimenti d’ala non sono eseguibili perchè le ali degli eserciti si appoggiano o al mare o al territorio di Stati neutri. Non resta quindi che la manovra di centro consistente nello sfondamento di un punto — opportunamente scelto — della linea avversaria e nella successiva penetrazione e irradiazione delle forze a tergo dei frammenti di essa per determinarne la caduta.
In ultima analisi si cerca sempre di pervenire all’aggiramento delle linee nemiche perchè solo in questo caso la vittoria è completa e decisiva: con questa differenza però che, mentre con gli eserciti relativamente piccoli di altri tempi l’aggiramento eseguivasi descrivendo realmente un arco di circolo a torno alle forze nemiche nello spazio libero che stendevasi al di là della linea di schieramento delle medesime, oggi, non esistendo più questo spazio libero, è necessario procurarselo praticando a viva forza una breccia nella fronte nemica e penetrando per essa profondamente così da procacciarsi libertà di manovra nel terreno a tergo di quella fronte per aggirarne i tronconi.
In base a questa esposizione sommaria dei criteri e dei procedimenti della manovra di centro chiaro appare, da un breve esame de l’annesso piano N. 1, come ad una poderosa massa di manovra irradiantesi agli altipiani dei Lom e della Bainsizza fra Isonzo, Idria e Chiapovano si offerisse la possibilità di protendersi verso Nord-Est a tergo di Tolmino e verso Sud-Est a tergo dell’anfiteatro Goriziano e della zona Carsica.
Questo in ordine a un concetto artistico di manovra. Ma in guerra tutto è subordinato al criterio, peculiare e contingente, della praticità, ossia alla entità dei mezzi disponibili e alle esigenze logistiche le quali, sopratutto con le masse enormi di uomini e di artiglierie oggidì richieste da una offensiva in grande stile, non possono essere soddisfatte se non quando la zona di operazione consenta il movimento e il rapido trasporto di truppe e materiali. Logisticamente l’impresa appariva possibile, ancorchè non facile perchè il terreno fra Isonzo, Idria e Chiapovano era povero di comunicazioni e quasi interamente sprovvisto d’acqua.
Quanto ai mezzi è a notarsi che per questa offensiva erano disponibili complessivamente, fra Armate II e III e riserve generali, ben 52 Divisioni di fanteria complete, circa 1700 pezzi di grosso e medio calibro e una quantità enorme di bombarde. — Si può ammettere pertanto che fossero sufficienti.
Evidentemente di essi la maggior parte doveva essere assegnata alla II Armata come a quella cui spettava il còmpito più vasto di sfondare la linea nemica in corrispondenza dell’altopiano della Bainsizza e di protendersi poi al Chiapovano e a Ternova.
Ideata una battaglia di centro che si basi esclusivamente sulla manovra e che dal felice adempimento di essa possa e debba sperare il conseguimento del fine proposto tutto deve essere conferito alla manovra come al vero centro dinamico, collettore e propulsore di energie, dell’intero sistema.
Sul resto della fronte l’azione non può essere che dimostrativa, allo scopo di impegnare e immobilizzare il nemico sulle sue posizioni e mantenerlo incerto sulla direzione dell’attacco decisivo, pronta però a trasformarsi in pressione energica e risolutiva non appena si manifesti il cedimento o l’indebolimento delle opposte linee per effetto della manovra che altrove si esercita.
Nella battaglia dell’Agosto 1917 l’attacco sul Carso ebbe inizio il 19 quando sulla fronte della II Armata si accendevano i primi combattimenti del XXIV Corpo d’Armata Italiano contro le linee nemiche incise nel versante che dal Fratta-Semmer scende all’Isonzo.
La manovra era allora nella fase primissima del suo svolgimento, ed i suoi atti iniziali, diretti allo sfondamento della fronte nemica, non avevano carattere nè procedimenti diversi da quelli dei soliti attacchi frontali nè avevano per anche assunto tale aspetto di grave minaccia da esercitare una sensibile influenza sulle lontane linee Carsiche, le cui difese non potevano perciò — almeno presumibilmente — non essere ancora