Dalmazia 1941-1943
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Attraverso i quattro capitoli del libro, con documenti alla mano, Zanella percorre un cammino che comincia con la prima guerra mondiale e la cosiddetta “vittoria mutilata” fino al trattato di Rapallo (Perché Dalmazia italiana, si chiede l’autore, se in Dalmazia gli italiani autoctoni superavano appena il 3 per cento della popolazione?).
La trasformazione dell’Italia in grande potenza imperialista che si prepara alla conquista di nuovi territori nei Balcani occidentali (Il ventennio fascista); la conquista e l’annessione della Dalmazia, la creazione del cosiddetto Stato Indipendente Croato ustascia tra il fascio e la svastica (L’occupazione militare); la rivolta della popolazione sotto la guida dei comunisti e la[…]”
Passi di: Guido Zanella. “Dalmazia 1941-1943”. iBooks.
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Anteprima del libro
Dalmazia 1941-1943 - Guido Zanella
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Guido Zanella
DALMACIJA 1941 - 1943
L’occupazione fascista
Seconda edizione 2019
© Guido Zanella
ISBN 978-88-907543-1-9
gg.zanella@gmail.com
Indice
Colophon
Indice
Abbreviazioni
Introduzione
Prefazione
I Balkani nella Prima Guerra Mondiale
I Comitati jugoslavi
Da Villa Giusti a Rapallo
La Dalmazia fra le due guerre
Ustasci dall'esilio al potere
Komunisticka Partija
Italia Grande Potenza
Zara e Dalmazia diventano italiane
Giuseppe Bastianini Governatore
Le M.V.A.C.
Regio Esercito e Battaglioni Squadristi
I Partigiani in Dalmazia
Rappresaglie e Rastrellamenti
Le isole zaratine:Crimini e criminali
.
Abbreviazioni ed Acronimi
Far = Archivio Storico della Farnesina
DD = Documenti Diplomatici
S = Serie
Vol = Volume
Lib = Libro
Doc = Documento
ACS = Archivio Centrale dello Stato
SME = Archivio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito
fasc = fascicolo
AZ = Archivio Zanella
Zbo = Zbornik dokumenta. Voinoistoriski Istitut. Beograd
VII = Vojno Istoriski Istitut Beograd
AVNOJ= Antifašističko vijeće narodnog oslobođenja Jugoslavije
NDH = Nezavisna Država Hrvatska
Tutti i documenti indicati come SME AZ Doc....
sono presenti nell’archivio dell’Editore Zanella e sono a disposizione dei lettori.
A richiesta l’Editore invierà la copia dell’ originale attraverso e-mail.
Introduzione
Quanto è accaduto sul Fronte Orientale e più particolarmente in Dalmazia nel periodo 1941 – 1945 è sempre stato motivo di aspre discussioni, rivendicazioni, dichiarazioni politiche sia di destra che di sinistra. Temi come le Foibe, i crimini di guerra, i vari armadi della vergogna e così via sono stati affrontati da tutti i punti di vista tirando le più svariate conclusioni.
Su questi argomenti c’è chi ha esagerato, riportando numeri e fatti assolutamente inesistenti, ma anche chi ha celato misfatti gravi e difficilmente credibili. La reticenza delle istituzioni e la difficoltà di reperimento e consultazione dei documenti sparsi un po’ ovunque in Italia ed all’estero ha fatto si che a tutt’oggi si sappia ben poco di quanto è accaduto in Dalmazia durante la seconda guerra mondiale.
Anche la letteratura e la saggistica esistente, se studiata con attenzione e confrontata con le varie testimonianze, è in odore di partigianeria politica se non addirittura ideologica. Eppure, se riduciamo le considerazioni ed i ragionamenti ai minimi termini, si arriva ad una semplice e fin troppo ovvia conclusione che ci porta ad una sola domanda, ossia: Quando l’esercito italiano, a metà aprile del 1941, attraversò in vari punti i confini del Regno di Yugoslavia, andò ad occupare militarmente un paese vicino, oppure andò a liberare una irredenta popolazione italiana sofferente ed oppressa su un territorio storicamente e assolutamente italiano?
In termini più semplici, la Dalmazia è mai stata terra italiana ?
Rispondere a questa semplice domanda significa affermare che: nel primo caso, cioè di occupazione
i partigiani di Tito erano dei patrioti che difendevano la propria terra e le proprie famiglie, nel secondo caso, cioè di liberazione
, gli stessi erano dei ribelli criminali che si opponevano vilmente alle giuste rivendicazioni italiche.
Ora qualcuno potrebbe dire che non è tutto o bianco o nero, che ci sono mille sfumature, che un argomento come questo è complicato e non si può trattare con un si o no
. Chi fa queste affermazioni vuole evitare il problema, non sa come rispondere e si nasconde dietro disquisizioni filosofiche.
Purtroppo non ci possono essere forse, se o ma
quando in armi si attraversa un confine. Cesare sul Rubicone non disse: Fortasse alea iacta est
(forse.. il dado è tratto)
Nella assoluta maggioranza dei casi quando i partigiani dalmati tendevano un agguato alle camicie nere ed approfittavano della sorpresa per ucciderne il più possibile dileguandosi poi rapidamente, combatteveno la loro guerriglia per difendere i loro beni e le loro famiglie.
Quando le camicie nere effettuavano in forze un rastrellamento, uccidendo sul posto i vigliacchi ribelli ed i loro fiancheggiatori, incendiando con i lanciafiamme tutte le case dopo averle depredate ed inviavando nei campi di concentramento tutti i parenti dei vigliacchi ribelli slavi, fucilando per rappresaglia decine di prigionieri politici, erano convintissimi di essere nel giusto nell’intento di ripulire una terra italiana irredenta ed ingiustamente tolta all’Italia dopo la grande, mutilata, vittoria del 1918.
In Istria poi, quando l’esercito jugoslavo sostenuto dagli inglesi arrivò vittorioso e iniziò il periodo della vendetta, gli italiani gettati nelle foibe erano colpevoli solo di essere italiani e quindi i partigiani comunisti erano dei miserabili assassini, ma dal punto di vista della popolazione istriana slava i fascisti giustiziati ed infoibati erano occupatori che non avevano fatto in tempo a cambiare la camicia e gli infoibatori semplicemente si stavano vendicando di tutte le angherie subite nei precedenti quattro anni.
Per tutti i terribili fatti accaduti il giudizio morale e storico dipenderà esclusivamente dalle due suddette posizioni, ma per comprenderle e valutarle è necessario studiare bene gli avvenimenti inquadrandoli nel giusto contesto storico, è perciò necessario conoscere e riflettere su quanto è accaduto precedentemente all’occupazione fascista, perché senza conoscere la storia precedente è impossibile valutare o anche solo comprendere i fatti accaduti in Dalmazia fra il 1941 ed il 1945. In questo libro non viene riportata alcuna bibliografia perchè la narrazione è legata solo ai documenti rintracciati nei vari Archivi Storici.
I documenti sono stati fotografati, studiati, verificati ed il loro contenuto è stato confrontato con altri documenti relativi allo stesso avvenimento in modo che la loro autenticità possa essere garantita.
l’autore
Prefazione
Frutto di una pluriennale e accurata ricerca negli archivi croati, dell’ex Jugoslavia e italiani, il volume di Guido Zanella sull’occupazione (e annessione) italiana della Dalmazia dall’aprile 1941 al settembre 1943 offre ai lettori dello Stivale un piccolo tesoro: un documentario che sarà gradito non soltanto agli storici (e forse sgradito a certi politici di destra) ma ancor più alla larga massa dei lettori. E qui mi riferisco in particolare a coloro che, vuoi per legami parentali o per stretti contatti turistici e di altra natura, sono affezionati alla regione litoranea e insulare dell’Adriatico orientale.
Attraverso i quattro capitoli del libro, con documenti alla mano, Zanella percorre un cammino che comincia con la prima guerra mondiale e la cosiddetta vittoria mutilata
fino al trattato di Rapallo (Perché Dalmazia italiana, si chiede l’autore, se in Dalmazia gli italiani autoctoni superavano appena il 3 per cento della popolazione?).
La trasformazione dell’Italia in grande potenza imperialista che si prepara alla conquista di nuovi territori nei Balcani occidentali (Il ventennio fascista); la conquista e l’annessione della Dalmazia, la creazione del cosiddetto Stato Indipendente Croato ustascia tra il fascio e la svastica (L’occupazione militare); la rivolta della popolazione sotto la guida dei comunisti e la lotta partigiana contro le truppe, italiane, i battaglioni squadristi, le milizie anticomuniste croate (In Dalmazia tutti contro Tito); le rappresaglie, i rastrellamenti, gli incendi d’interi villaggi, gli eccidi.
A qualcuno può sembrare un ostacolo alla lettura la preponderanza dei documenti sulla narrazione che di quella occupazione offre l’autore; ma Guido Zanella non è un reporter di giornale, e i documenti che ci presenta narrano da soli. E ci inducono talvolta, anzi sempre, a maledire tutte le guerre, le aggressioni, le occupazioni e l’oppressione di altri uomini e donne solo perché sono di stirpe diversa dalla nostra. Il confronto fra quello che i documenti dicono e quanto finora è stato scritto da pseudo storiografi sul tema, ci permette inoltre di farci da soli un’idea di quanto accadde, di come e perché accadde fra la primavera del Quarantuno e l’estate del Quarantatre. Zanella non fa una scelta fra documenti utili
e nocivi
, gradevoli o sgradevoli per il loro contenuto, ma li offre alla lettura e al giudizio di chi legge senza occhiali ideologici.
Finora molti documenti erano rimasti nascosti sotto i tappeti, chiusi negli armadi della vergogna o erano stati dati alle fiamme, gettati nella spazzatura; altri, molti altri, erano rimasti sconosciuti (quelli del nemico
), ora eccoli qui, nelle pagine di questo libro, alla portata di tutti. Zanella non vuol fare lo storicone, e non è un romanziere, vuole soltanto fornirci le pezze di appoggio che ci permettano di metter fine una volta per tutte alla prassi di vedere i fucilatori, i carnefici, i criminali di guerra solo da una parte, nel nostro caso dalla parte di coloro che subirono l’occupazione con tutte le sue conseguenze, di vedere cioè il male solo nei ribelli
, e dimenticare il dolore sofferto dalle popolazioni delle terre occupate ed oppresse in quegli anni.
Bisognerebbe finirla di glorificare gli occupatori (fra i quali, è vero, non mancarono soldati brava gente) e gettare fango e odio su chi subì la dominazione e l’oppressione in casa propria. Sono anni che Guido Zanella, per questo su lavoro, va e viene dalla sua Verona alla costa orientale dell’Adriatico, fermandosi soprattutto a Zara e nell’arcipelago davanti a Zara, dove si conservano i documenti negli archivi e vivono i figli e nipoti di coloro che conobbero sulla loro pelle l’occupazione delle truppe mandate da Mussolini per gettare la vergogna sulla civiltà italiana. A quanto ne so, Zanella ha speso il suo tempo anche per chiedere e farsi spedire documenti che si conservano a Zagabria ed a Belgrado. Egli fa quello che molti altri autori non fanno, standosene seduti nei loro uffici ed a casa.
Con ciò non voglio dire che abbia detto/scritto tutto quello che si può dire e scrivere sulla Dalmazia nel periodo dell’occupazione italiana, delle sanguinose scorrerie della MVAC, la Milizia Volontaria Anticomunista.
Spero che continuerà a metterci di fronte alla verità documentata, lasciando ad altri le improvvisazioni oratorie.
GIACOMO SCOTTI
I Balcani nella Prima Guerra Mondiale
Nel 1910 l’Impero Austro-Ungarico era suddiviso in regioni chiamate Regni, Kronländer, che erano governati da un Luogotenente. Anche la Dalmazia era in effetti il Regno di Dalmazia
, aveva un Governatore di nomina imperiale che presiedeva una Dieta. La Dieta della Dalmazia risiedeva a Zara ed era formata da 41 membri più due di nomina impeiale.¹ I sudditi austriaci dalmati erano 634.835 di cui 610.649 di lingua serbo-croata, 18.028 di lingua veneta, 3.081 di lingua tedesca e circa 3.077 di altre lingue. La minoranza di lingua veneta in Dalmazia era quasi tutta concentrata a Zara ed in piccola parte a Spalato.
In realtà la minoranza veneta era, da ormai un secolo, costituita da dalmati, sudditi austriaci, moltissimi dei quali arruolati nella Marina Austriaca che avevano combattuto al grido di Viva San Marco
contro il Regno d’Italia.
Nel 1914, dopo l’attentato a Francesco Ferdinando a Sarajevo, l’Ausro-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia in seguito ad un ultimatum così gravoso che non poteva essere assolutamente rispettato. Scaduto l’ultimatum la Serbia fu aggredita il 28 luglio di quell’anno dando così inizio alla prima guerra mondiale.
L’assassinio dell’erede al trono d’Austria, che non fece piangere nessun austriaco, fu più che altro un utile casus belli poiché già da tempo in Serbia si sviluppavano partiti e movimenti anti-austriaci, come la Mano Nera o Crna Ruka, alla quale apparteneva anche l’attentatore Gavrilo Princip, che si opponevano all’allargamento dell’Impero Asburgico su tutti i Balcani. L’interesse dell’Imperatore Francesco Giuseppe per i Balcani nasceva da una nuova idea di ordinamento statale che si era sviluppata a Vienna e che sosteneva che il futuro della Corona sarebbe stato possibile solo formando un triplice Regno Austria-Ungheria-Jugoslavia tutto sotto la Corona Austriaca, grande fautore di questa linea era proprio Francesco Ferdinando. Sulla base di questo processo nel 1909 l’Austria aveva occupato la Bosnia che, pur rimanendo parte dell’impero ottomano, dopo il congresso di Berlino, era stata affidata all’amministrazione austriaca. Questa occupazione fu un grosso smacco per la Serbia che stava invece faticosamente portando avanti l’idea di uno stato degli slavi del sud, facendo crollare tutte le speranze del Primo Ministro serbo Stojan Novaković il cui sogno era di far nascere lo Stato degli Jugo-slavi (jugo = sud) sotto la monarchia Karađorđević.
A quel tempo le Potenze europee erano schierate in due gruppi: La Triplice Intesa ossia Francia, Inghilterra e Russia e la Triplice Alleanza ossia Germania, Austria e Italia. Quest’ultima alleanza durava già da 25 anni e, allo scoppio della prima guerra era appena stata riconfermata. Il trattato che regolava questa alleanza, fra le altre cose, prevedeva all’articolo 7, che gli Stati avessero l’obbligo di intervenire a fianco dell’alleato solo se lo stesso fosse stato aggredito da terzi ma non se avesse aggredito terzi. All’interno della Triplice Alleanza gli stati non erano però totalmente in accordo fra loro, vi erano grosse tensioni fra Austria ed Ungheria e altrettanto grosse fra Austria ed Italia.
Il grosso problema sul tavolo degli accordi fra Austria ed Italia era il Sud Tirolo, il Trentino e Trieste, territori ai quali il Regno d’Italia aspirava per completare l’unità del paese sotto Casa Savoia. Per l’opinione pubblica italiana queste zone erano da considerare terre italiane irredente ma a tutte le richieste dello Stato Italiano la risposta dell’Imperatore Francesco Giuseppe era che non aveva la minima intenzione di cederle.
Quando il 28 Luglio 1914 l’ultimatum imposto alla Serbia rimase senza risposta, le Potenze della Triplice Alleanza chiesero al Regno d’Italia di rispettare il loro accordo ed entrare in guerra al loro fianco. Il giorno successivo però l’allora Presidente del Consiglio Salandra rispose che l’Italia sarebbe rimasta neutrale in quanto non esisteva l’obbligo del casus foederis perché nessuno aveva aggredito l’Austria ma al contrario la stessa aveva aggredito la Serbia. La motivazione vera però di questa neutralità era che, non avendo l’Imperatore Francesco Giuseppe concesso al Regno d’Italia i territori a sud del Brennero e la città di Trieste, il Governo italiano cominciava già a pensare ad un avvicinamento all’Intesa.
Influì moltissimo sull’opinione pubblica la stampa del tempo ed in particolare Il Popolo d’Italia
diretto da Benito Mussolini. E’ interessante il percorso giornalistico del futuro dittatore, già direttore dell’Avanti!
quotidiano del Partito Socialista assolutamente anti-interventista ma aperto ad improvvisi ripensamenti. Infatti alla fine dell’estate del 1914 il futuro dittatore cominciò, dalle colonne del suo giornale, una campagna sempre più interventista, e quando venne per questo criticato dalla direzione del Partito Socialista, semplicemente si dimise.² Dopo pochi giorni usciva già nelle edicole il nuovo quotidiano interventista Il Popolo d’Italia
. I finanziatori di questo nuovo giornale furono i radicali francesi, russi, inglesi come Sir Samuel Hoare, magnati dell’industria pesante come gli Agnelli, i Perrone e altri, insomma tutti coloro che da un intervento in guerra dell’Italia avrebbero avuto un certo interesse.
Anche gli stati dell’Intesa premevano per l’entrata in guerra dell’Italia. Già il 5 Agosto il Ministro degli Esteri russo Sazanov all’Ambasciatore italiano a Pietroburgo Carlotti suggeriva che, se il Regio Esercito Italiano avesse occupato il Trentino fino al Brennero, sia la Francia che l’Inghilterra che la Russia non si sarebbero opposte. Da questo primo contatto iniziarono serie e concrete trattative per un’ entrata in guerra dell’Italia a fianco della Triplice Intesa dietro compenso, in caso di vittoria, del Sud Tirolo, del Trentino e di Trieste, tutti territori che non erano mai stati sotto il Regno d’Italia ma di assoluta influenza austriaca già da molti secoli anche se in gran parte italofoni.
Man mano che la trattativa andava avanti l’interesse della Triplice Intesa diventava sempre maggiore e le offerte di territori aumentavano. L’11 Agosto venne offerto ufficialmente all’Italia il Trentino sino al displuvio principale alpino e Trieste
, ma gli inglesi sarebbero stati disposti a cedere anche Valona consentendo all’Italia di poter bloccare le porte dell’Adriatico e i russi avrebbero aggiunto la Dalmazia. A Questo punto va fatta una riflessione. Sicuramente nè i russi nè tantomeno gli inglesi chiesero al dalmati un parere circa questa elargizione
del loro paese all’Italia. I dalmati già da tempo aspiravano all’indipendenza dall’Austro-Ungheria e alla creazione di un Regno di Dalmazia assolutamente indipendente da tutti.
Lo stesso Mussolini, sul suo Il Popolo d’Italia, sosteneva che la sproporzione etnica in Dalmazia era troppo forte per giustificare una rivendicazione da parte italiana, anche se definiva adulterate le statistiche austriache del 1910 che relegavano al 3% la popolazione italofona dalmata.
Anche considerando non sospetta la percentuale, rilevata nel 1845, del 19,7 di dalmati venetofoni, era pur sempre una percentuale molto bassa per accampare diritti di rivendicazione. Va notato però un fatto poco conosciuto.
Sia durante l’amministrazione austriaca che durante quella jugoslava veniva chiaramente distinta la cittadinanza
dalla nazionalità
. La prima era comune a tutti ed era legata al paese al quale il cittadino apparteneva anche fiscalmente, mentre la seconda era volontaria e ciascuno la dichiarava come voleva. In Dalmazia dove