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I segreti perduti della tecnologia nazista
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E-book343 pagine8 ore

I segreti perduti della tecnologia nazista

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Info su questo ebook

Le ricerche e gli esperimenti degli scienziati di Hitler, fino ad oggi tenuti nascosti

Fino a che punto erano giunte davvero le ricerche dei nazisti per realizzare armi segrete sempre più potenti?
Quali erano i progetti a cui stavano lavorando? E dove sono finiti i risultati dei loro esperimenti? A queste domande tenta di dare una risposta I segreti perduti della tecnologia nazista, attraverso l’analisi di documenti e testimonianze che insinuano in chi legge un dubbio sconcertante: gli UFO sono davvero il prodotto di civiltà extraterrestri, o non sono che il risultato, tenuto accuratamente nascosto, delle scoperte tecnologiche degli scienziati di Hitler di cui gli americani sarebbero venuti in possesso e che ancora oggi continuerebbero a sviluppare? Domande scomode che, con l’ausilio di un imponente lavoro di ricerca, Gary Hyland sottrae al mondo delle ipotesi congetturali, per gettare una nuova luce sulla storiografia della seconda guerra mondiale.

Una straordinaria storia in cui si fondono spionaggio e tecnologia, trame e complotti, ricerche tenute segrete a ogni costo, scoperte eccezionali e fallimenti. Esiste una linea ininterrotta che parte dalle società segrete della Germania degli anni Trenta per continuare, in altri Paesi, anche dopo la fine della guerra.
Gary Hyland
È un esperto di “armi segrete” progettate dai nazisti e questo interesse lo ha già portato a scrivere il suo primo libro, Last Talons of the Eagle. Con I segreti della tecnologia nazista ha ora raggiunto un livello ancora più alto, riuscendo a fare luce su uno dei segreti più gelosamente custoditi di tutto il XX secolo. Vive in Inghilterra, nel Wiltshire.
LinguaItaliano
Data di uscita25 feb 2015
ISBN9788854175815
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    Anteprima del libro

    I segreti perduti della tecnologia nazista - Gary Hyland

    Capitolo uno

    La teologia è il tentativo di spiegare un concetto da parte di uomini che non lo capiscono. Lo scopo non è quello di dire la verità, ma di fornire risposte plausibili.

    ELBERT HUBBARD, The Philistine

    Ciò che è condannabile, ciò che è pericoloso negli estremisti, non è l’oltranzismo, ma l’intolleranza. Il male non è in ciò che affermano a sostegno della propria causa, ma nel modo di considerare gli avversari.

    ROBERT F. KENNEDY, The Pursuit of Justice

    Prima di occuparci della storia in un certo senso ossimorica delle più note società segrete tedesche e del loro ruolo chiave nel dirigere la politica della Germania verso ambiti come quello dei dischi volanti, dobbiamo parlare di un’altra associazione la cui stessa esistenza è stata dibattuta fin dal tempo della guerra e che, secondo alcuni osservatori, controllò il primissimo sviluppo di quel disco volante che in seguito approfondiremo. Si tratta della Società Vril, la cui importanza ai fini dell’intera storia è tale da renderne necessario l’esame prima di occuparci di qualsiasi altra cosa.

    La fonte alla quale si ispirò la società (e altre persone) può essere fatta risalire a Lord Edward Bulwer-Lytton, un affermato romanziere inglese del XIX secolo, la cui opera ispirò in seguito uomini come Cecil Rhodes a dar vita all’organizzazione della Tavola rotonda internazionale; per quanto ci riguarda, la sua più valida eredità è un romanzo intitolato Vril – The Power of the Coming Race. In esso si racconta che una razza da tempo scomparsa di superuomini chiamati Vril-Ya, emerge in Tibet e altrove dal suo regno situato nelle viscere della terra attraverso dei varchi, per rivendicare la sovranità sulla superficie con l’aiuto di una forza misteriosa denominata Vril: di fronte a tale terribile potere, i semplici terrestri non possono che sottomettersi ai Vril-Ya.

    Ma cosa è esattamente questa Vril (o forza W, come talvolta è chiamata)? Pensate alla forza della serie cinematografica Guerre stellari e potrete farvene un’idea abbastanza precisa. Mi chiedo, in effetti, se gli sceneggiatori non conoscessero Vril quando scrissero i copioni di quei film, viste le analogie. In breve, Vril è un enorme campo di energia che circonda sempre ognuno ed ogni cosa: il centro nervoso della nostra potenziale divinità, secondo l’efficace espressione usata da Pauwels e Bergier nel loro libro del 1969, Il mattino dei maghi. Chiunque divenga padrone di Vril, lo diventerà di se stesso, degli altri e del mondo, e l’unico scopo nella vita da parte di chi cerca questa verità dovrebbe essere l’illuminazione finale. La razza degli esseri che vivono sotto i nostri piedi è capace di imbrigliare tale forza e, quando sarà giunto il momento, se ne servirà per ridurre in schiavitù noi abitanti della superficie...

    Nell’esaminare il materiale per questo libro, mi sono chiesto molto spesso se non potesse esservi un briciolo di verità in quella che sembra soltanto fantascienza. Tutto sommato, preferisco restare scettico, ma ciò che è sicuro è che il primo accenno a una società del genere (conosciuta anche come Loggia della luce o Società della verità) apparve in un articolo pubblicato per la prima volta su una rivista americana nel 1947. Scritto dal dottor Willy Ley, uno dei primi e più importanti pionieri tedeschi in campo missilistico rifugiatosi negli Stati Uniti nel 1933, dopo la presa del potere da parte dei nazisti, l’articolo parla di un piccolo gruppo, formatosi a Berlino nel 1925, che era in contatto con questa oscura razza di superuomini e che, a quanto sembra, operava per creare le condizioni affinché costoro potessero, mediante la forza Vril, assumere il controllo del mondo (presumibilmente, anche con l’aiuto dei nazisti). Nell’asserire che il gruppo era stato fondato soltanto nel 1925, Ley sollevò immediatamente una polemica, poiché tale data era di molto successiva alla pubblicazione del libro di Lytton, il cui contenuto era stato assimilato da altri: per esempio, il console francese a Calcutta, Louis Jacolliot, occasionalmente anche avventuriero ed esploratore, nelle sue opere e conferenze aveva attinto a piene mani da Lytton.

    Ciò che Ley non dice è che il 1925 vide anche lo scioglimento ufficiale di un altro gruppo (Thule), alcuni membri del quale, come l’autorevole Karl Haushofer, potrebbero allora aver dato vita a Vril. Sia il gruppo Thule, sia quello che lo precedette, il Germanenorden, avevano lo scopo di acquisire conoscenze sulla preistoria ariana e i suoi riti: di conseguenza, sarebbe stato troppo pretendere dai loro membri che cambiassero improvvisamente direzione, cominciando a occuparsi delle misteriose leggende tibetane di Agartha e Shambhala (presunti regni dei Vril-Ya). Perciò, si potrebbe concludere che la Società Vril fu costituita sulla scia dei primi due gruppi, senza gli impacci della tradizione o del timore dell’ignoto, e con la possibilità di attingere all’opera già svolta in segreto dai suoi nuovi membri.

    Ma qual era il presunto rapporto del gruppo con i dischi volanti? Abbiamo due alternative al riguardo: scegliete voi a quale dare credito. Secondo una teoria, i Vril-Ya avrebbero scavato una serie di gallerie che formano un reticolo nel sottosuolo del mondo, lungo cui possono spostarsi a velocità incredibile a bordo di dischi volanti costruiti da loro e i cui progetti furono trasmessi alla Società Vril, in particolare a un certo dottor W. O. Schumann, che costruì un mezzo volante a propulsione elettromagnetica sulla base di altri progetti consegnati a Hans Kohler, anche lui membro del gruppo.

    La seconda teoria afferma che i Vril-Ya sono in realtà esseri alieni (o EBE, Entità biologiche extraterrestri, come andrebbero chiamati) che hanno visitato la terra nel corso di innumerevoli millenni, osservando e tenendo sotto controllo l’evoluzione spirituale dell’umanità. Con l’ascesa dei nazisti, che si consideravano una razza eletta con un destino e un’eredità privilegiati di cui mostrarsi degni, si ritiene che questi esseri abbiano prestato alla causa la loro tecnologia sui dischi volanti; tuttavia, quando Hitler cominciò a interessarsi sempre più al lato occulto della forza Vril, ogni aiuto venne ritirato, anzi, potrebbe addirittura essere stato offerto agli Alleati. Come già detto, dipende dalla teoria a cui volete prestar fede, poiché in questa faccenda vi sono molte ombre grigie. Ciò che innegabilmente aiuta a comprendere queste antiche storie di dischi volanti costruiti dall’uomo, tuttavia, è il fatto che tali teorie sussistono ancor oggi.

    Prima di stendere un velo sopra il mito di Vril, dobbiamo esaminare un altro fatto interessante che può avere qualche attinenza con la storia. Nella primavera del 1945, sembra che i soldati sovietici, mentre avanzavano tra le rovine di Berlino verso quella che era stata l’imponente Cancelleria di Hitler, si imbattessero nei corpi di alcuni monaci appartenenti a una piccola comunità tibetana, avvolti nelle tipiche vesti arancione, apparentemente vittime di un suicidio rituale. Perché erano là? Anche se la loro presenza può sembrare assurda, acquista tuttavia un senso se ricordiamo il ruolo determinante svolto dal Tibet e dai suoi misteri nel mito di Vril e del Re del mondo: il fatto che si trovassero nella capitale del Reich millenario potrebbe voler dire semplicemente che intendevano mantenere dei legami tra la patria Vril tibetana e quella ariana. Hitler, si dice, credette fino alla fine che la sua causa fosse giusta e che la salvezza sarebbe arrivata dall’Estremo Oriente.

    Prima che Vril ci porti troppo lontano con la fantasia, sarà bene andare a ricercare l’origine della nostra storia nell’Inghilterra vittoriana, quando, nel 1867, un certo Robert Wentworth Little fondò la Società rosicruciana inglese. Il gruppo di Little, un’associazione segreta composta da circa 145 membri iniziati (per la maggior parte già presunti frammassoni), fu la prima diramazione britannica di un’organizzazione istituita nell’Europa continentale del XV secolo da Christian Rosenkreuz, da cui aveva preso il nome. Il suo scopo era lo studio e l’interpretazione della scienza arcana, e combaciava perfettamente con alcuni dei più esoterici concetti e cerimoniali massonici. In molte associazioni, segrete o meno, allora come oggi, vi è sempre un nucleo di esponenti di spicco che desidera creare legami con gruppi simili all’estero, e i rosicruciani di Little non facevano eccezione. Ci si potrebbe domandare, vista la segretezza dell’organizzazione, perché tali contatti fossero così auspicabili: in realtà erano essenziali, se il gruppo voleva tenersi aggiornato nei rituali e nelle pratiche dell’ordine, che costituivano il tessuto della sua esistenza. La segretezza era necessaria, se si considera la crisi che in Germania aveva colpito molte associazioni verso la fine del XVIII secolo: il re Federico Guglielmo II di Prussia le aveva raggruppate sotto il seducente nome di Illuminati, per poi dichiararle fuorilegge nel timore che potessero fomentare rivolte nel suo regno.

    Ma, evidentemente, per alcuni dei compagni di Little anche il nuovo movimento era troppo banale e, nel 1886 o 1887 o 1888 (l’anno esatto è controverso), alcuni rosicruciani fondarono a Londra un gruppo scissionistico pomposamente chiamato Ordine ermetico della Golden Dawn; da allora in poi, sembra che quest’associazione abbia avuto ben poco a che fare con i rosicruciani, concentrandosi invece sulla pratica di rituali magici. I due principali fondatori, il dottor William Wynn Westcott e S. L. McGregor-Mathers, attirarono altri noti personaggi dell’epoca, tra cui lo scrittore di fantasy Arthur Machen, lo stesso Bulwer-Lytton, Aleister Crowley (che in seguito sarebbe diventato il famigerato mago nero e ultimo Gran Maestro del gruppo), il premio Nobel per la poesia W. B. Yeats e Bram Stoker, l’autore di Dracula. Nel complesso, i membri erano quasi tutti uomini, con un’unica eccezione: Florence Farr, direttrice artistica dell’Abbey Theatre di Dublino e compagna di George Bernard Shaw.

    Nel frattempo, altri gruppi dissidenti avevano lasciato l’Ordine rosicruciano in Germania, sviluppando nuovi rituali e poteri, e condividendoli con la Golden Dawn: per esempio, la cerimonia di iniziazione a quest’ultima prevedeva, sembra, che il candidato si impegnasse alla segretezza «pena l’espulsione e la morte, o la paralisi provocata dalla corrente di una volontà ostile [corsivo dell’autore]». Questo ci richiama senz’altro al fatto che il gruppo possedeva o credeva di possedere il segreto per imbrigliare l’energia Vril. Quale che sia la verità, i candidati che ottenevano l’iniziazione avrebbero senz’altro mantenuto il silenzio sulle faccende che riguardavano l’associazione: la rottura di questo giuramento comportava circostanze troppo abominevoli per la comprensione umana. Lo stesso Mathers, nello scrivere il manifesto della Golden Dawn nel 1896, dice di essere in contatto sporadico con esseri superiori affermando di provare terrore di fronte alle loro malefiche potenzialità. Forse l’influenza di Lytton fu determinante per dare lustro al gruppo, ma sicuramente tale documento, rivolto ai membri, non avrebbe incluso particolari tanto sconvolgenti senza una buona ragione. Forse ci sono cose che non sappiamo, forse tali minacce facevano parte del meccanismo usato per mantenere i segreti del gruppo e il silenzio dei suoi membri.

    Quale che sia la verità, dobbiamo tener conto del fatto che si trattava di una compagine di personaggi eccellenti, tutti seri professionisti nel proprio campo, con una reputazione invidiabile, che non avrebbero accettato che il loro Gran Maestro facesse affermazioni tanto melodrammatiche sull’argomento senza buoni motivi. Tenete presente, inoltre, che tutti erano fin troppo a conoscenza dell’opera del loro collega Lytton nell’approfondire i miti Vril e dell’impatto di questi nel loro campo di studio, per cui sarebbero stati in grado di metterne in discussione la veridicità in caso di dubbio.

    Tuttavia, mentre l’apparizione dei rosicruciani inglesi preannunciava una ripresa nel movimento, un altro più potente e affascinante gruppo stava prendendo piede e ben presto li avrebbe messi in ombra: i teosofi.

    Vi fu un tempo, durante gli ultimi anni del XIX secolo, in cui sembrò che la teosofia diffondesse in tutta l’Europa occidentale, compresa la Gran Bretagna, un messaggio teologico del tutto nuovo: in quanto sintesi di molte religioni, essa utilizzava l’espediente di offrire qualcosa ad ognuno, al fine di proporsi come l’unica dottrina in grado di unire il mondo a cavallo del terzo millennio, al quale allora mancava appena un secolo. Di fronte alla teosofia, le dottrine esistenti giudaico-cristiane, induiste, musulmane e altre sarebbero state messe da parte, e i loro scopi limitati si sarebbero rivelati insufficienti. La teosofia offriva un allettante e in qualche modo prodigioso cocktail di «buddismo esoterico», l’istituzione di una «fratellanza universale dell’uomo» e una gerarchia di «maestri segreti»: quando venne fondata, nel 1875, diede rapidamente vita a un gran numero di gruppi associati in tutto il mondo.

    I primi anni trascorsi nella madrepatria russa dalla sua cofondatrice, Madame Elena Blavatskij, furono certamente movimentati: a soli diciassette anni sposò un generale dell’esercito, ma l’unione non durò e la Blavatskij lasciò ben presto il suo Paese per recarsi nell’Oriente misterioso in cerca di un significato spirituale più profondo da dare alla sua vita, come molti prima e dopo di lei. Dopo dieci anni di assenza, tornò in Russia con poteri medianici altamente sviluppati ed evidenti capacità telecinetiche, che le consentivano di muovere oggetti con il potere della mente. Mentre stava compiendo un rito magico, però, subì una ferita di spada assai grave, che scosse la sua fiducia in se stessa e la guidò, una volta guarita, lungo un altro sentiero per l’illuminazione, questa volta in direzione del Cairo. Mentre si trovava là, fondò un’associazione spirituale che ebbe vita breve e naufragò in un mare di debiti, costringendola a trasferirsi negli Stati Uniti, mettendo un oceano tra sé e i suoi creditori.

    Durante il soggiorno in America, nel 1873, incontrò nel Vermont un certo colonnello Olcott, di cui divenne amica: evidentemente, egli condivideva le sue vedute spirituali, e due anni dopo fondarono insieme il gruppo che sarebbe succeduto a quello del Cairo, la Società teosofica. Con altri due discepoli (i quali, presumibilmente sostenevano economicamente la società), nel 1878 il gruppo si trasferì a Bombay, in India, stabilendosi lungo la riva del fiume, ad Adyar, sede che occupa attualmente. Poco tempo dopo, in Occidente giunsero racconti dei miracoli che i membri – in particolare la Blavatskij – stavano compiendo laggiù, spingendo la Società londinese per la ricerca psichica a inviare uno scettico dottor Hodgson a Bombay per verificare le sensazionali notizie riportate dai giornali. Dopo aver esaminato personalmente le prove, egli riferì a Londra di non aver trovato altro che «frode evidente ed estrema credulità» da parte dei membri indiani.

    Ma quella di Hodgson fu una voce solitaria nel mare di propaganda e di chiasso che circondava sempre più la teosofia, e non servì a far cambiare idea alla Blavatskij, la quale non si lasciò sfuggire l’occasione di volgere a proprio favore quel rapporto negativo; sempre che, naturalmente, il buon dottor Hodgson l’avesse informata delle sue conclusioni prima di tornare in Inghilterra. Poco tempo dopo, infatti, i concetti fondamentali della dottrina professata da lei e da Olcott vennero pubblicati in un libro intitolato La dottrina segreta. Considerata da molti scrittori dell’occulto come il suo capolavoro, l’opera servì alla Blavatskij per esporre le proprie idee sulla teosofia e cominciare a far rotolare la palla di neve che avrebbe provocato la valanga. Una loggia teosofica era già stata aperta con successo in Gran Bretagna e si sarebbe dimostrata il più valido di tutti gli avamposti del gruppo nello stabilire una rotta per il futuro. A questo punto della storia della Società teosofica, dobbiamo menzionare una certa Annie Besant: moglie di un ecclesiastico, la Besant entrò a far parte della loggia inglese soltanto nel 1889, ma guadagnò un tale ascendente sulla debole direzione londinese che due anni dopo, alla morte della Blavatskij, riuscì a spostare l’interesse della loggia verso l’induismo, distogliendolo dall’approccio più olistico sostenuto dal buddismo. La meno ortodossa tra tutte le mogli dei vicari inglesi credeva nel mantenimento del sistema delle caste, ritenendolo un mezzo per evolversi attraverso i livelli karmici, e affermava che la tradizione occidentale affondava le radici nella mitica civiltà indo-ariana dell’antica India.

    La stessa Blavatskij ne aveva parlato in uno dei suoi ultimi lavori, Le stanze di Dzyan. L’esistenza di questo poema, a quanto sembra dimenticato per secoli in una biblioteca tibetana, le era stata rivelata nel 1888, mentre si trovava in stato di trance. La rivelazione si concentra sugli ultimi resti di una civiltà avanzata fiorita un tempo là dove oggi si estende il deserto di Gobi e che aveva abbandonato la superficie per discendere nelle viscere della terra, fondando due regni sotterranei, Shambhala e Agartha. Non sapremo mai se la Blavatskij si ispirasse a fonti letterarie del suo tempo, per esempio all’opera di Bulwer-Lytton, o se avesse un canale verso fonti più mistiche; in ogni caso, troviamo di nuovo riferimenti a una forza misteriosa posseduta da millenni da una civiltà nascosta. Con un così ricco e affascinante materiale a disposizione, non c’è da meravigliarsi che, sotto la guida della Besant, la Società teosofica di Londra prosperasse. Agli occhi di un pubblico sempre più raffinato, plasmato da un’industrializzazione senza precedenti e alla ricerca di qualche nuovo significato per l’esistenza, di una nuova guida spirituale, la teosofia sembrava l’ideale.

    Sulla scia del successo di cui la Besant godeva nel promuovere la teosofia in Inghilterra, era naturale che ben presto anche in Germania, con la sua più doviziosa storia di associazioni, fosse aperta una loggia. Qui, infatti, la teosofia diede vita a molti diversi gruppi che in seguito finirono per essere complessivamente considerati come ariosofia: un eterogeneo groviglio di logge, tutte intente ad adattarsi agli emergenti sentimenti nazionalistici, in diretto contrasto con le aspirazioni universali della teosofia. Tornando all’Inghilterra, il gruppo della Besant, come anche la Golden Dawn, avrebbe visto diminuire il numero dei suoi membri nel generale disincanto provocato dalla desolazione e dalla carneficina della prima guerra mondiale. In Germania, invece, tali associazioni rappresentavano la vera essenza di un popolo scontento del Kaiser e deluso dall’inattesa sconfitta. Per trovare le radici della catastrofe che avrebbe nuovamente travolto l’Europa pochi decenni dopo, dobbiamo occuparci ancora di quei gruppi che componevano l’ariosofia e che ben presto avrebbero messo in ombra i loro equivalenti britannici. In questo periodo, in Germania, troviamo anche i primi tenui accenni di un movimento occultista collegato allo sviluppo dei dischi volanti.

    Nel 1905, un ex monaco cistercense di nome Adolf Josef Lanz (espulso a diciannove anni dall’ordine per averne trasgredito il codice morale) assunse l’immaginario quanto aristocratico titolo di Jörg Lanz von Liebenfels, nel tentativo sia di aggiungere importanza alla propria persona, sia di fornire una certa credibilità a un periodico antisemita che aveva in programma di pubblicare a Vienna. Chiamata «Ostara», dal nome dell’antica dea germanica della luna, che la storia ha modificato in Easter (Pasqua), la rivista si occupava di spiegare in maniera alquanto spuria gli antichi miti ariani usando termini comprensibili al comune lavoratore austro-tedesco, moderno erede della razza ariana. Sosteneva anche il rifiuto dell’«ebraismo internazionale» in quanto causa di molti mali della Germania (e del mondo). Uno dei principali punti di forza degli articoli della rivista era il concetto di un’energia psichica universale che permea il cosmo e che trova la massima espressione nella personificazione del puro individuo ariano: biondo, con gli occhi azzurri e così via. I gruppi razziali non conformi (ebrei, zingari e simili) dovevano essere «epurati» e offerti in sacrificio agli dèi pagani creatori e protettori degli ariani.

    Oltre a pubblicare «Ostara», dedicato a un piccolo ma appassionato numero di lettori, von Liebenfels trovò anche il tempo di scrivere qualcosa di più importante, Theozoology, uno dei primi tentativi di formare una struttura all’interno della quale potesse essere meglio compresa la nascente scienza della sociobiologia, cercando di comporre le differenze di razza e di classe (tra la razza ariana e altre) in termini di pura evoluzione darwiniana. Le cose dovettero andargli bene, perché due anni più tardi von Liebenfels comprò un piccolo castello in cima a una scogliera affacciata sul Danubio. Fu questo il luogo che scelse per ospitare il suo nuovo progetto: un gruppo di discepoli influenzati dal credo razzista sostenuto da «Ostara» e riuniti per formare l’Ordine dei Nuovi Templari (Ordo Novo Templi). Il giorno di Natale del 1907, von Liebenfels issò sui bastioni la bandiera prescelta per l’ordine: una svastica. A quell’epoca, tale simbolo, con i bracci disposti in senso orario, era molto diffuso sotto forma di amuleto; tuttavia, non stupisce il fatto che l’ordine ne adottasse la versione malvagia con i bracci in senso antiorario, ripresa in seguito dal nazismo. «Ostara» continuò a essere pubblicato e, nel 1909, il castello ricevette la visita di un giovane Adolf Hitler in cerca di numeri arretrati della rivista. Si dice che anche Heinrich Himmler, il futuro capo delle SS, fosse uno degli abbonati. Molti dei rituali pseudomistici svolti dal suo Ordine Nero si ispiravano a pratiche riportate su «Ostara»: l’ironia della sorte volle che i nazisti, una volta giunti al potere, sopprimessero la rivista a causa della sua imbarazzante natura mistica.

    Un’altra figura chiave nella Germania di quel tempo era Guido von List, vecchio amico di von Liebenfels, che in gioventù era rimasto affascinato dalle opere dello storico romano Tacito e dalla sua descrizione degli antichi Germani come nobili guerrieri con gli occhi azzurri e i capelli biondi. Von List salì alla ribalta nel 1881 con la pubblicazione della sua opera più importante, Deutsch-Mythologische Landschaftsbilder, in cui cercava di presentare antichi monumenti e rovine come prove di un glorioso passato ariano. Con l’apparizione in Germania della teosofia, le sue convinzioni trovarono una nuova suggestiva direzione e, immancabilmente, quando von Liebenfels lanciò «Ostara», von List contribuì con articoli e divenne egli stesso un Nuovo Templare. Nel 1908, tuttavia, si mise per conto proprio fondando la Società Guido von List con un piccolo numero di suoi seguaci, tra cui alcuni autorevoli teosofi. In pratica, il suo gruppo si occupava di temi simili a quelli di von Liebenfels, come l’interpretazione delle rune e dei riti degli antichi sacerdoti del dio Wotan. Von List era destinato a morire a Berlino nel 1919 per un’infezione polmonare, all’età di 71 anni, ma il suo contributo alla rinascita spirituale dell’arianesimo fu di valore incalcolabile, perché fu attraverso un ulteriore gruppo scissionistico che avrebbero attecchito le radici del Partito nazionalsocialista, o nazista.

    Nel 1912, alcuni membri delusi della loggia berlinese di von List si separarono per fondare un nuovo gruppo, l’Ordine germanico (Germa­nen­or­den). Anche se lo dirigeva Philip Stauff, forse il suo membro più importante fu Rudolf von Sebottendorff, che entrò a farne parte nel 1916, mettendosi a capo di un’ala segreta antisemita dedita a combattere «l’alleanza segreta ebraica». Il vero nome di Sebottendorff era Adam Glauer ma, sull’esempio di altri come Lanz, egli aveva adottato un titolo aristocratico spurio per darsi maggior prestigio. Per poter entrare nelle fila dell’ordine, i candidati dovevano provare di essere di discendenza germanica da almeno tre generazioni e farsi misurare il cranio con il calibro per dimostrare le loro radici nordiche ariane. Sotto Stauff e Sebottendorff l’ordine capovolse i temi originali della teosofia: i membri credevano che alla base di tutti i mali ci fosse la mescolanza razziale e che la Germania dovesse sforzarsi di creare una superiore razza ariana per rivendicare il predominio sul mondo. Inoltre, l’ordine pretendeva che i suoi membri anziani dipendessero direttamente dai «Capi segreti del Tibet», discendenti degli Atlantidei e dimoranti «da qualche parte sull’Himalaya» sotto il regno del Re della paura o Re del mondo, come talvolta era chiamato dagli iniziati: questo misterioso personaggio, questo re, avrebbe avuto – e avrebbe tuttora – potere di vita e di morte su tutti gli esseri viventi della terra, ed era possibile mettersi in contatto con lui attraverso la meditazione e l’ESP (percezione extrasensoriale); per comunicare, i membri dell’ordine si servivano anche di una particolare tavola di tarocchi tibetani e, non lasciando nulla al caso, sembra che possedessero anche uno speciale apparecchio radio per mezzo del quale era possibile raggiungerlo. Dato questo indizio dell’evidente natura umana del re, nel corso degli anni successivi sono state suggerite diverse sue possibili identità: un nome salta fuori con insistenza, quello del russo George Ivanovitch Gurdjieff.

    Gurdjieff aveva ricevuto un’educazione spirituale in Tibet prima di cominciare a viaggiare per l’Europa annunciando a chiunque volesse ascoltarlo di aver scoperto che molte persone vivono in stato di sonno la realtà della propria esistenza, come tanti automi, a malapena coscienti di ciò che accade effettivamente e del perché: l’unica salvezza per chi si rende conto di trovarsi in questa condizione è quella di intraprendere una serie di pratiche mentali e fisiche per raggiungere la consapevolezza. Lo slogan adottato in seguito da Hitler, «Germania, ridestati!» (Deutschland Erwache!) e i suoi riferimenti al «trionfo della volontà» testimoniano la sua evidente adesione agli stessi sentimenti, anche se dalla guerra in poi molti sono stati i commentatori che hanno volentieri speculato sulla possibilità che lo stesso Hitler fosse in contatto con il re. Nel 1917, la leva obbligatoria e la guerra in generale stavano ormai assottigliando le fila di altri gruppi; tuttavia, il Germanenorden poteva ancora vantare più di un centinaio di logge sparse per il paese (la loggia di Berlino contava un numero così elevato di adepti che si rese necessario affittare il piano terra di una villa per usarlo come ufficio e luogo di riunione).

    Le trincee tedesche della prima guerra mondiale costituirono un fertile terreno per il dissenso da parte dei soldati di leva alla ricerca di un più alto ideale per la propria vita: costantemente immersi nella sporcizia e nella disperazione del campo di battaglia, alcuni uomini cominciarono a esibire sui loro elmetti simboli mitologici come talismani per difendersi dai proiettili britannici. Come gli americani avrebbero sfoggiato simboli e slogan pacifisti sui loro equipaggiamenti in Vietnam, così i tedeschi adottarono nelle trincee atteggiamenti superstiziosi. Il simbolo più diffuso? La svastica. Per la generazione del secondo dopoguerra, la svastica ha ovvi significati; noi la associamo agli orrori del fascismo e alle atrocità dei campi di concentramento compiute alla sua ombra: ma prima della Grande Guerra tali associazioni non esistevano. In realtà, il simbolo appartiene a un remoto passato, essendo apparso in India intorno al IV secolo a.C.: esso rappresenta la potenza infinita messa in atto dalla divinità contro i suoi nemici, esattamente ciò in cui il soldato tremante nella trincea aveva bisogno di credere. Anche se entrambi gli schieramenti in guerra fecero uso di questo simbolo, fu in Germania che ebbe maggiore successo, grazie al fatto di essere stato contemplato dalla Blavatskij nella sua opera La dottrina segreta. Gruppi del periodo prebellico come l’Ordo Novo Templi e pubblicazioni simili a «Ostara» adottarono come logo la svastica, che lentamente permeò la cultura maschilista e guerriera delle trincee quando i membri di tali gruppi si ritrovarono a combattere per la patria della loro razza, la Germania, esattamente come li avevano incoraggiati a fare i maestri delle varie logge.

    Con il caos che investì il Paese dopo la sconfitta, era inevitabile che i soldati appena smobilitati si rivolgessero ancora una volta alle loro associazioni per avere conforto e guida in tempi tanto turbolenti. Ciò si adattava a una nazione che cominciava a riconoscere le proprie antiche radici tradizionali (Völkisch) diventando più introspettiva nella ricerca di risposte al dilemma in cui si dibatteva. Come chiunque altro, anche Sebottendorf, a Monaco, si rese conto di tale esigenza repressa e che il suo ordine, così com’era, non riusciva a venire incontro al bisogno di risarcimento morale dei reduci. Dopo tutto, il Paese aveva perso la guerra in maniera piuttosto inaspettata: la rapidità della sconfitta costituì uno shock

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