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L'ultimo respiro di Mara
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E-book298 pagine4 ore

L'ultimo respiro di Mara

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Info su questo ebook

La telefonata preoccupata di suo padre costringe Veronica a lasciare Roma per tornare in Umbria, nel casale di famiglia immerso nei boschi che costeggiano il fiume Faena. Lì, sulla collina tra Fratta Todina e Montecastello di Vibio, una minacciosa cascina conserva un segreto che la ossessiona. Chi abitava quella casa sedici anni prima? All’ombra dei rampicanti che infestano le mura di pietra, un uomo misterioso le tormenta i sogni, costringendola a ripercorrere i giorni antecedenti alla tragedia che le ha sconvolto la vita. Veronica deve fare i conti con frammenti di ricordi che la perseguitano, e mentre cerca dimettere insieme i pezzi, le sembra di essere costantemente osservata: lungo i sentieri del bosco, nella cantina umida della cascina, persino nell’intimità della sua camera. Il ricordo della sua adolescenza, il legame con sua cugina Mara e il silenzio che alberga nella sua vecchia casa la investono come un fiume in piena, spazzando via le sue certezze e lasciando dietro di sé solo detriti e fango. Una storia sul passato che ritorna inesorabile, di legami di sangue corrotti dalle ossessioni. Cupa, come il letto del fiume che rapisce l’ultimo respiro di vita.
LinguaItaliano
Data di uscita19 lug 2023
ISBN9791222427522
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    Anteprima del libro

    L'ultimo respiro di Mara - Marika Campeti

    Prologo

    È immobile. Le gambe scomposte, abbandonate alla ghiaia del fiume. La morte l’ha colta con gli occhi fissi sul cielo infiammato.

    Si china su quel volto dal quale è scivolato via l’ultimo respiro. La accarezza, è ancora calda sotto i polpastrelli umidi, le osserva gli zigomi alti, le guance diafane. Le ciocche dorate le sfuggono dalle dita, sono come alghe che si diramano verso il fondale fangoso, spirali di luce che ondeggiano verso la melma. Ritira le mani tremanti, la guarda. È come una sirena d’acqua dolce, inerte sulla superficie agitata dal vento. Bella, come mai l’aveva vista prima. Dannatamente bella, nonostante la vita sia sgusciata fuori, strisciando dalla sponda al letto del fiume allontanandosi per sempre da quegli occhi blu, dalle labbra dischiuse, dall’oro di quei capelli.

    Distoglie lo sguardo dalla morte e alza il viso, la pioggia le lava gli occhi, ancora pieni di bellezza. Il sole è appena tramontato, riflettendo gli ultimi bagliori sulla superficie del fiume. Ha i piedi freddi, i sandali di cuoio sono bagnati fradici, le stringhe sono diventate di un colore scuro, come la terra a cui ha abbandonato quella chioma bionda. Una sensazione di pericolo la investe, si sente osservata e si volta verso il buio.

    Un lampo di luce la acceca, illuminando il fiume e il corpo steso tra il fango e l’acqua. Una figura avanza sul sentiero, sotto il temporale. Lenta, incerta. Indossa un impermeabile scuro. È lì per lei? È lì per Mara?

    5 ottobre 2018

    La sveglia la riporta alla realtà facendola sedere di scatto nel letto. Veronica è fradicia di sudore. Si rende conto di essere nel suo appartamento a Roma, con un pesante cerchio alla testa che le attanaglia le tempie.

    È mattina, sono sveglia, il sudore che ho addosso non è l’acqua di quel fiume limaccioso, ed è venerdì.

    Si alza per farsi un caffè. Vuole lasciare al più presto la sensazione sgradevole con la quale si è svegliata, abbandonare le lenzuola ancora impregnate di quell’incubo che si ripete spesso. Infila le sue pantofole morbide e si dirige verso l’angolo cottura per mettere su la caffettiera elettrica.

    Apre la finestra che dà sul parco. È una bella giornata di ottobre, fa ancora caldo, l’estate non vuole lasciare il posto all’autunno.

    Beve il suo caffè con un cucchiaino raso di zucchero di canna e si fa scaldare il viso dal sole che entra dalla finestra.

    Luca è già al lavoro, non l’ha nemmeno sentito quando è uscito. Forse, se l’avesse almeno svegliata con un bacio, le avrebbe evitato di fare quel sogno che le ha lasciato una sensazione appiccicosa addosso. Si sente umida sulla pelle, un leggero tremore la attraversa mentre rievoca l’immagine di quei capelli che ondeggiano nell’acqua.

    Guarda il fondo della tazzina, lo zucchero che non si è sciolto è raccolto in granelli tinti di marrone scuro. Le ricordano il colore vischioso del fango.

    «Basta!» esclama a sé stessa. Per scacciare via quell’oppressione lasciatale dall’incubo, deve correre.

    Si infila una tuta leggera e le scarpe da ginnastica.

    Chiude la porta e percorre a piedi i quattro piani di scale che la portano in strada. Attraversa le strisce pedonali, l’entrata laterale del Parco della Cellulosa è proprio di fronte al loro condominio.

    Il cerchio alla testa non è sparito con il caffè, vorrebbe schiacciarlo sotto le suole di gomma mentre inizia a correre.

    Prende il sentiero meno battuto, che svolta a sinistra verso il bosco di eucalipti. Respira a pieni polmoni l’aria balsamica degli alberi che schiudono il loro profumo al mattino.

    Quando Luca le ha chiesto di venire a vivere con lui nel suo appartamento, ha accettato solo per la vicinanza del parco della Cellulosa, selvaggio e autentico. Il parco la accoglie ogni volta che ha bisogno di ritrovare sé stessa, ama correre ascoltando il respiro della natura, lei è nata tra gli alberi.

    Dopo i primi dieci minuti di corsa, i suoi muscoli si sciolgono, il respiro si allinea con il battito cardiaco, i rami e l’erba intorno a lei sembrano aprire un varco per farla passare lì dove il percorso si fa più complicato.

    La sensazione di angoscia lasciatale dall’incubo l’abbandona, il sudore che le scende sulla schiena si porta via gli ultimi sprazzi annebbiati di quelle immagini così nitide. Tutto svanisce sotto il rumore ovattato delle foglie che scricchiolano sotto le scarpe da ginnastica. Altri dieci minuti e tutte le tossine saranno fuori dal mio corpo.

    Veronica accelera il ritmo. Si sente leggera, quasi felice.

    Guarda l’orologio. Le otto e trenta. Farà in tempo a fare colazione con calma, e poi andrà all’appuntamento a Grottaferrata, dove una coppia di clienti vuole vedere un casale. Poi altri due appuntamenti a Roma nel pomeriggio e un aperitivo veloce con la sua amica Silvia che gestisce la filiale in piazza delle Medaglie D’oro.

    Una chiazza scura di sudore le ricopre la schiena e si allarga sotto il seno quando rientra a casa e si tuffa sotto la doccia.

    L’acqua le dà una sensazione piacevole, scivola sulla pelle arrossata dallo sforzo, rilassa la tensione muscolare e sciacqua via il sentore acre del sudore.

    Non le è mai piaciuto il suo odore. Le ricorda quando da adolescente sudava per un nonnulla, perché il seno le strusciava dentro le magliette di due taglie più grandi, e le cosce grondavano bagnate quando camminava, sfregando l’una contro l’altra. Quel suo afrore pungente le rammenta che il suo corpo tende a disfarsi, a farla sembrare un rotolo di lardo. Con l’accappatoio addosso e un asciugamano annodato sulla testa si siede a fare colazione. Yoghurt magro e cereali. L’unico cucchiaino di zucchero che si concede è quello nel primo caffè del mattino.

    Mangia tutto lentamente, non lasciando nulla nella ciotola. Sa che è la giusta quantità che le permetterà di arrivare senza fame all’ora di pranzo.

    Ancora con l’accappatoio addosso va verso l’armadio per scegliere i vestiti da indossare.

    Li posa sul copriletto e solo allora vede il suo cellulare spento sul comodino. Preme il pulsante di accensione e il telefono comincia a vibrare.

    Insieme alle notifiche di Facebook e Instagram ci sono dodici tentativi di chiamata da parte di suo padre.

    Allarmata, Veronica fa partire la chiamata e attende il segnale di libero. Si rammarica di aver spento presto il telefono la sera prima, ma lei e Luca hanno avuto un raro momento di intimità.

    «Vera!» Il tono di suo padre è allarmato.

    «Papà? Stai bene?»

    «Vera... tua cugina è sparita... Ieri sera!»

    Un brivido le percorre le braccia facendole accapponare la pelle.

    «Come è sparita? Papà, ma quando... Dove?»

    L’immagine di sua cugina a cinque anni che gioca con i braccioli in piscina la investe come un camion che corre sull’autostrada.

    «Vera... abbiamo trovato le sue scarpe vicino al fiume. Ma lei è scomparsa. La stiamo cercando tutti quanti, la polizia, la forestale!»

    «Vengo. Papà, vengo subito a casa».

    Veronica attacca il telefono e si prende la testa tra le mani.

    Quel maledetto fiume di merda.

    1 Maggio 2002, mercoledì

    Oggi zio Sandro ha aperto la piscina. L’acqua era verde come il muschio che cresce in inverno sull’ippocastano. Ci siamo immerse lo stesso, in quell’acquitrino gelido e opaco che ha tenuto con sé tutti i segreti dell’inverno. Ci siamo bagnate tremando e abbiamo riso come delle cretine. Ho guardato i miei piedi bianchi oltre il pelo dell’acqua, mi sono apparsi tanto lontani da me, come se fossero appendici che non mi appartengono, come se non sostenessero ogni giorno il mio peso. Mi sembra di non esser fatta di tutti i pezzi che ho, a volte li dimentico, soprattutto la testa e la pancia, quando decidono di seguire una strada diversa dalla mia volontà. La distanza tra le parti del mio corpo è spesso troppo lunga per percorrerla tutta con la mia coscienza. Meglio dimenticare a volte qualcosa, lasciare indietro le sensazioni, non farle più mie.

    Dimenticarmi di me.

    Poi con Veronica ci siamo schizzate il viso e i capelli, mentre zio armeggiava con il filtro e prelevava campioni per il test. Un po’ mi sono sentita felice. O meglio, non proprio felice. Leggera. Stupida. Senza un cervello che pensa.

    Mara

    1 maggio 2002

    L’aria tiepida scaldava appena la superficie dell’acqua che rifletteva la curva bianca dell’unica nuvola nel cielo.

    «È fredda!» aveva sentenziato Veronica immergendo il piede nudo.

    «Zio! Zio, guarda!» sua cugina era intenta a infilarsi da sola dei braccioli rosa, emozionata per il primo giorno di apertura della piscina adagiata sulla collina del casale. Le viti tutt’intorno e gli olivi secolari incorniciavano la vista della pietra nuda. Da lì, la loro casa appariva in tutta la sua bellezza, imponente, solida, ammantata di fascino e familiarità.

    Veronica se ne stava a bordo piscina con l’alluce infilato nell’acqua senza decidersi a immergere il resto della gamba.

    Aveva indossato un calzoncino nero e una maglia che le copriva il sedere. La vista delle sue cosce bianche e sformate l’aveva inorridita, ma si era fatta coraggio pensando che nella loro proprietà poteva permettersi di stare più rilassata. Suo padre era chino al bordo della grande vasca azzurra a prelevare i campioni per l’acqua. Era verde come ogni anno, quando veniva tolto il grande telo che la copriva in inverno, ma la gioia di farsi il bagno subito, era più forte dei suoi rimproveri.

    Uno spruzzo gelido l’aveva colpita sui capelli.

    «E dai, mica ti mangia l’acqua!»

    Mara era seduta sul primo gradino e il riverbero torbido le lambiva l’ombelico. Le gambe magre splendevano verdi oltre il riflesso che accarezzava il ventre piatto.

    Aveva legato la lunga chioma bionda in uno chignon sopra la testa e il sole le baciava timidamente le spalle candide.

    Le sorrideva, mostrando il bianco dei denti, perle racchiuse in una bocca morbida e pronunciata. «Vuoi entrare o no?»

    Veronica si era fatta coraggio e l’aveva raggiunta rabbrividendo. I calzoncini si erano inzuppati d’acqua e le aderivano alla carne rivelando il suo corpo imperfetto.

    «Ma sei morta o viva?» aveva chiesto a sua cugina indicando la pelle bagnata. «Non hai neanche un brivido! È fredda da morire!»

    Per tutta risposta Mara le aveva spruzzato l’acqua sul viso ridendo divertita, e lei era stata al gioco ricambiando gli schizzi.

    Quando Mara rideva, il suo volto cambiava completamente. A Veronica sembrava di rivedere la ragazzina che si nascondeva sotto la vite mentre giocavano a nascondino, con le trecce dorate che sbucavano tra le foglie. È un ricordo remoto, di quando erano davvero due bimbette, perché presto Mara era cambiata assumendo quell’espressione imbronciata e indifferente che la rendeva diversa da tutti. Quando la guardava non sapeva mai bene dove posare gli occhi, perché era davvero difficile fissare lo sguardo in quello blu iridescente di Mara. I suoi occhi le mettevano soggezione, erano immobili, come due buchi meravigliosi che la risucchiavano inesorabili, due pozzi trasparenti e implacabili. Non era solo lei a provare quel disagio, Veronica si divertiva a osservare come gli altri reagivano agli occhi di Mara. Nessuno poteva resistere più di una manciata di secondi a fissarli. Gli sguardi si arrendevano quasi subito, posandosi altrove con evidente imbarazzo. Non era solo la bellezza di Mara a sconvolgere, lei aveva qualcosa dentro che ti mangiava. Veronica si aspettava quasi di vedere le persone diventare di pietra e sgretolarsi mentre le parlavano.

    Nonostante il suo carattere ombroso e la bellezza che accecava completamente il suo aspetto ordinario, Veronica le voleva un gran bene. Non aveva potuto avere una sorella, e Mara era come una gemella per lei. Nessuno in quel casale di campagna le era più vicino.

    Era stata per lei la mano a cui aggrapparsi per salire il pendio della collina più ripida, Mara l’aveva vegliata la notte quando aveva la febbre e suo padre si addormentava ai piedi del letto, le aveva spiegato come si baciano i ragazzi, facendole vedere come doveva ruotare la lingua lentamente, emettendo contemporaneamente un lento respiro di compiacimento. Mara le aveva prestato i suoi assorbenti, spiegandole cosa stava accadendo in mezzo alle sue gambe, mentre lei era in lacrime sulla tazza del water. Era sempre lei che si infilava nel suo letto di notte quando c’era il temporale. Era come una sorella e anche una mamma a volte, quando ce n’era stato bisogno. Un surrogato che Veronica aveva accettato di buon grado non avendo che pochi ricordi di sua madre.

    Mentre lei e Mara si asciugavano sui lettini al sole, era arrivato Augusto ad aiutare suo padre. Si erano messi entrambi a bordo della vasca a pulire i filtri, mentre la maglietta le pesava addosso gelida, facendola tremare.

    «Levati questa roba bagnata che ti prenderà un colpo!»

    Veronica aveva fatto spallucce:

    «Ora si asciuga.»

    «Dai, non fare la scema! Non c’è nessuno qui che ti guarda!»

    «C’è Augusto!»

    «E sai che fa... ti avrà vista mezza nuda mille volte quando eri bambina e scorrazzavi per i campi!»

    «Io non ho mai corso per i campi nuda!»

    «Nuda magari no, ma con il pannolino sì! Dai, non fare la scema e spogliati.»

    Veronica si era tolta la maglietta fradicia, e aveva guardato mesta la sua pancia che ricadeva morbida sull’elastico dei pantaloncini. Per la prossima estate sarò più magra si era promessa.

    «Invitiamo Giacomo a farsi il bagno?»

    «Neanche morta» le aveva risposto Veronica.

    «E perché? Si vede lontano un miglio che gli piaci.»

    «Beh, non è vero» Veronica aveva sentito le guance avvampare.

    «E poi lui non piace a me. Sembra un campo di fragole con gli occhiali, e puzza di stalla.»

    «Puzzerà pure, ma secondo me ce l’ha un sacco lungo!»

    «Sei la solita pervertita! Ma come ti viene di pensarlo?»

    Mara l’aveva guardata fissa provocandole un fremito.

    «Non l’ho pensato, l’ho visto.»

    «Ma che dici? Come l’hai visto?»

    La voce di Mara si era ridotta a un sussurro.

    «Sì, nella stalla. È stato un attimo, ma ti giuro che mi è bastato. Se fossi in te ci farei un pensierino…»

    Veronica si era fatta seria.

    «Mara, sei andata a spiare Giacomo nella stalla? Ma perché? È un ragazzino secco con i brufoli!»

    Lei la fissava divertita, le labbra le si erano arricciate in un sorriso sensuale.

    «Sentivo degli strani rumori, e così mi sono avvicinata a spiare.»

    «E...?»

    «E per un attimo l’ho visto che se lo tirava fuori. Era lungo così!» Mara aveva fatto il gesto con le mani e Veronica le aveva dato uno schiaffo sulle dita.

    «Ma sei matta, non farti capire!» poi aveva chiesto quasi senza voce «E perché se l’era tirato fuori?»

    «Per fottersi la puledra.»

    «La puledra?»

    «Sì, la puledra, la cavalla, chiamala come ti pare.»

    Veronica aveva sgranato gli occhi inorridita, figurandosi il suo compagno di classe con le braghe calate. Poi Mara era scoppiata a ridere.

    «Credi pure agli asini che volano!»

    Offesa, Veronica le aveva tirato una gomitata.

    «Sei pazza!»

    Mara si era stiracchiata al sole socchiudendo le palpebre come una gatta pigra «Sono pazza sì, e anche un po’ pervertita».

    5 ottobre 2018

    I raggi del sole si riflettono sul vetro della macchina mentre Veronica è in fila sul Raccordo Anulare. Ha preso cinque gocce di Valium prima di mettersi alla guida, sente le mani intorpidirsi sul volante e la sua concentrazione già labile è ancora più ovattata. Ma il cuore le batteva troppo forte, la testa girava velocemente, mentre buttava alla rinfusa i vestiti dentro la valigia.

    Non so neanche cosa ci ho messo dentro si dice, stringendo la mano sul cambio per ingranare la prima.

    «Di questo passo arriverò a Orte stasera!»

    Respira piano per trovare la calma che le è necessaria a guidare.

    Mentre la sua macchina avanza piano sulla carreggiata, pensa alle cime degli alberi che la aspettano, alla pietra che sarà quasi completamente nascosta dall’edera, alla ruota del mulino dietro la collina, al maledetto fiume che scorre di fronte al cancello di casa. La casa dove sta tornando di corsa per cercare sua cugina. La immagina impaurita e sporca di fango, il sogno che ha fatto le abita ancora la testa ed è inevitabile associare il suo volto all’acqua melmosa. Cerca di cacciare via quella suggestione, di sostituirla con il ricordo di sua cugina che sorride davanti agli ostacoli, che ride alla macchina fotografica il giorno del diploma, che gioisce bambina nel suo costume con i volant prima di buttarsi in piscina.

    «Dove sei? Perché il fiume?»

    Accelera mentre si incanala nella corsia di destra per prendere lo svincolo per Firenze.

    Superato il casello, Veronica rilassa le spalle spingendosi con la schiena sul sedile. Ha fatto tutto di corsa e non è certa di aver sistemato le cose per bene. Ha chiamato Luca per spiegargli l’urgenza e pregarlo di sostituirla per gli appuntamenti, ha chiuso le finestre, inserito l’allarme e chiuso il gas. Ripassa a mente i suoi movimenti in casa per accertarsi di non aver dimenticato nulla.

    Si rende conto di non aver avvisato sua suocera della partenza improvvisa e che avrebbero dovuto cenare a casa sua l’indomani. Un altro punto a tuo sfavore Veronica. Tanto già ti ama alla follia…

    Ha alzato al massimo la suoneria del cellulare, ma suo padre non l’ha chiamata più, nonostante lei gli abbia scritto già tre messaggi. La preoccupazione di non sapere cosa sia successo a sua cugina le stringe lo stomaco chiudendole la gola. Ha necessità di fare dei lunghi respiri a intervalli regolari, per calmarsi e non premere troppo sull’acceleratore.

    Quando Veronica svolta nel sentiero sterrato che attraversa la valle del Faena, la polvere si alza intorno alla sua Micra. Tra i canneti scorge il riflesso di un rivolo d’acqua, il fiume dopo l’estate è ridotto a un ruscello, non ne avverte nemmeno il gorgoglio familiare.

    Si ferma davanti al grande cancello e in quel momento si rende conto di aver dimenticato le chiavi nel portaoggetti sul mobile all’ingresso, a Roma.

    «Cazzo!» esclama scendendo dall’auto.

    Si avvicina alla recinzione e la percorre fino all’orto di Augusto, per vedere se il custode è lì, a raccogliere gli ultimi pomodori della stagione.

    Intravede una sagoma ricurva nella serra.

    «Augusto! Augusto! Sono Veronica!»

    L’uomo esce dondolando dalla serra e la saluta alzando la mano.

    «Signorina Veronica! Bentornata!»

    Veronica lo osserva mentre lui si avvicina al cancello per aprirle. È diventato davvero vecchio pensa, mentre Augusto cammina con fatica strusciando gli stivali pieni di terra. Tutto qui è invecchiato. Non solo Augusto. È una riflessione che mitiga la sua angoscia trasformandola in amarezza. Quella casa che ha visto la sua famiglia felice è come se non esistesse più. Ne è rimasto l’involucro di pietra antica, ne sono rimasti gli alberi sempreverdi e quelli che si spogliano in autunno, è rimasto il freddo umido che sale dal fiume quando il sole tramonta, ma dentro non c’è più niente. E ora che sua cugina ha lasciato le scarpe sul ciglio del fiume, tutto il vuoto di quel luogo la risucchia in un vortice.

    Il cigolio del cancello che si apre la desta dai suoi pensieri grigi e Veronica entra in macchina per varcarlo e parcheggiare davanti alle siepi. Augusto ha già montato le lucine di Natale intorno al casotto degli attrezzi, orlandolo di fili bianchi che pendono storti. Quando il custode la vede soffermare gli occhi sulle decorazioni, si giustifica con imbarazzo. «Mi ci vuole molto più tempo ad addobbare tutta la casa, sono diventato un rammollito» le dice con quella sua voce profonda e lenta che Veronica amava ascoltare davanti al fuoco in inverno.

    «Se non comincio presto non ce la faccio a finire in tempo per Natale. E poi fanno un po’ di allegria la sera.»

    Veronica gli sorride. Allegria è una parola che stona talmente tanto con l’atmosfera di quella casa che lei capisce subito il tentativo di Augusto di distogliere l’attenzione dalla sua preoccupazione. Anche lui è angosciato, ha gli occhi lucidi, densi di paura. Quella paura che li ha annientati tutti, tra quelle mura spesse che custodiscono silenzi.

    «Papà non è tornato da stamattina?»

    Lui scuote la testa.

    «Neanche la signora Anastasia. Sono tutti fuori. Anche i cacciatori. Solo io non ce la faccio» Augusto si indica le gambe con rassegnazione. «Un uomo inutile»

    «Se fossi stato un uomo inutile questo casale sarebbe crollato da un pezzo. Entriamo, sistemo le cose nella mia stanza.»

    Augusto le apre la porta cedendole il passo, ma restando sulla soglia:

    «Non voglio infangare il pavimento con gli stivali. Mi faccia sapere se chiama suo padre.»

    Veronica si ferma al centro del salone e respira il profumo della sua infanzia: cenere e pietra. Anche da spento il caminetto emana l’inconfondibile odore che impregna le mura, e il granito trattiene il tepore delle giornate di inizio autunno. Sale le scale che conducono al piano di sopra e apre la porta della sua cameretta: la stanza dove è cresciuta.

    È come l’ha lasciata l’ultima volta, pochi mesi prima, quando era venuta con Luca per un week end di relax. Il letto con la testiera di legno mangiucchiata dai tarli è reso vivace da una coperta patchwork con cuscini

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