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La libreria dei piccoli segreti
La libreria dei piccoli segreti
La libreria dei piccoli segreti
E-book271 pagine3 ore

La libreria dei piccoli segreti

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Info su questo ebook

Aurora ha un dono speciale: riesce a leggere nelle anime delle persone. Può scorgere il loro cuore, le loro gioie e le loro sofferenze, può avvertirle, sentirle sulla sua pelle. Dalla sua libreria per bambini in un antico borgo marchigiano, vede la vita degli altri andare avanti, mentre la sua è rimasta ferma in un punto ben preciso, in cui l’amore e la fiducia nel futuro non hanno più spazio. Più che vivere lei si nutre di storie, di quelle raccontate attraverso le parole e talvolta i silenzi da amici e clienti della sua libreria per bambini – genitori assenti o troppo esigenti, figli ribelli o troppo accondiscendenti… –, e di quelle racchiuse nei libri che riempiono gli scaffali del suo negozio. Ed è proprio grazie alle favole, intessute, come i sogni, di simboli e metafore capaci di toccare le corde più profonde dell’Io, che Aurora capirà il disegno che la vita ha in serbo per lei e deciderà di abbracciarlo: usare la sua empatia per arrivare alle anime dei lettori e lenire le loro ferite. Il destino di Aurora è essere una portatrice di messaggi, e lei intende compierlo attraverso la magia delle fiabe…
LinguaItaliano
Data di uscita8 mag 2019
ISBN9788833750620
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    Anteprima del libro

    La libreria dei piccoli segreti - Corinne Savarese

    ISBN: 9788833750620

    Edizione ebook: maggio 2019

    © 2019 by Corinne Savarese

    © 2019 by Sergio Fanucci Communications Srl

    via Giovanni Antonelli, 44 – 00197 Roma

    tel. 06.39366384 – email: info@leggereditore.it

    Il marchio Leggereditore è di proprietà

    della Sergio Fanucci Communications S.r.l.

    Indirizzo internet: www.leggereditore.it

    Proprietà letteraria e artistica riservata

    Tutti i diritti riservati

    Progetto grafico: One Digital Factory Srl

    Questa copia è concessa in uso esclusivo a

    [customer_name] ordine numero: [order_number]

    Ai miei quattro figli

    Filippo, Giacomo, Sophie Lourdes e Marie Claire.

    Questo libro è per voi.

    Non smettete mai di cercare la magia e di godere della sua meraviglia.

    Le lacrime sono lo sciogliersi del ghiaccio dell’anima.

    E a chi piange, tutti gli angeli sono vicini.

    hermann hesse

    Prologo

    Nessuno pensa mai a Geppetto...

    Nessuno pensa mai a Geppetto, perché in fondo il protagonista della storia è Pinocchio e delle emozioni del suo babbo nessuno si è mai curato. Ma nella vita non sempre possiamo essere Pinocchio.

    A volte siamo il Gatto, a volte la Volpe, a volte il Grillo Parlante e a volte purtroppo siamo il povero Geppetto. Quello che non vince mai, che sacrifica tutto ciò che ha, perfino sé stesso, per amore di un altro. Quello che perde mille volte, e mille e una ci riprova.

    Nessuno vuole essere Geppetto.

    Nessuno vuole soffrire così tanto, e nessuno vuole nemmeno ricordarlo, sebbene in realtà il vero eroe sia proprio lui. Quello che non ha paura di morire, se lo fa per amore. Ma chi ha il coraggio davvero di essere l’eroe, chi ha il coraggio di guardare un burrone dal bordo?

    Quello era il momento di pensare a Geppetto! Aurora avrebbe fatto sì che almeno quel pomeriggio fosse il protagonista indiscusso. Avrebbe raccontato la sua storia, le sue angosce, le sue paure, la sua vita di padre che ha donato tutto di sé, con affetto, senza mai un lamento, ogni volta con la speranza che fosse quella giusta, ma ritrovandosi a terra una volta, un’altra, e un’altra ancora. Cadeva, arrancava, per un po’ si trascinava e alla fine si rialzava, sempre più tenace, pronto a esserci qualora Pinocchio avesse avuto bisogno di lui. E anche quando non glielo avesse chiesto, lui avrebbe fatto del suo meglio, avrebbe tirato i giusti fili, affinché quella marionetta percorresse la sua strada e trasformasse la sua esistenza in una meraviglia.

    Ecco perché Aurora doveva raccontare la sua storia, perché lì davanti a lei quel giorno c’era un uomo che, come Geppetto, stava dando tutto sé stesso per un ragazzo, e in quel momento era così affranto e abbattuto che nemmeno Pinocchio avrebbe avuto il cuore di lasciarlo.

    Quello era il dono di Aurora.

    Lei portava messaggi e lo faceva attraverso le fiabe.

    1

    La luce filtrava attraverso il sottile tessuto delle tende bianche e le raggiungeva gli occhi.

    Con lo sguardo ancora assonnato e la lentezza tipica di chi si è appena svegliato, Aurora si era voltata e con un dito aveva sfiorato delicatamente il profilo della schiena di Daniele, steso accanto a lei. Amava la sua pelle liscia, morbida, calda. Amava la sua testa riccioluta, quei capelli mai in ordine, che sembravano fare dispetto a lei, al suo desiderio di controllo e perfezione, alla sua aspirazione di tenere in mano la propria vita, di farne ciò che voleva a seconda del momento e di ciò che più le piaceva.

    Aurora gli si era avvicinata non lasciando un centimetro di spazio tra i loro corpi, aveva appoggiato la guancia sulla sua pelle calda e aveva respirato a fondo, per fare suo quell’odore che aveva il potere di darle pace, di farla sentire a casa, al riparo da ogni male.

    Aveva trascorso una notte agitata e si era svegliata completamente scoperta e infreddolita. Aveva incrociato i piedi gelidi a quelli di lui, più caldi, e li aveva sfregati per assorbirne il tepore.

    «È domenica, perché non dormi?» le aveva detto Daniele con la voce un po’ impastata dal sonno.

    «Perché tu sei qui, come potrei? Dormire non è un’opzione. Non ora che ti ho finalmente tutto per me, dopo tanto tempo separati.»

    Aurora lo aveva stretto ancora più forte, come per timore che potesse svanire da un istante all’altro evaporandole tra le braccia.

    «Sei una sfacciata» l’aveva ripresa affettuosamente, mentre si preparava a girarsi verso di lei e darle ciò che più desiderava.

    «Portami al lago!»

    Interdetto dal cambio di rotta improvviso, lui si era fermato puntandole lo sguardo addosso. «Scusa, come?»

    «Voglio andare al lago» aveva ribattuto Aurora con aria capricciosa.

    «Adesso?» le aveva chiesto.

    «Guarda che bella giornata. Sì, adesso!» Sembrava una bambina pronta per andare in gita, così piena di vita, di euforia.

    «Ma fa freddo...» aveva cercato di dissuaderla.

    «È inizio novembre, giornate come questa sono un dono, non possiamo sprecarle rimanendo a dormire sotto il piumone. Voglio vedere la nebbia che volteggia come un fantasma sul lago, sentire l’aria frizzante sferzarmi le guance e bruciarmi dentro il naso, voglio perdermi nel rosso e nell’arancio acceso delle foglie sugli alberi che si riflettono sull’acqua immobile come in uno specchio.» Aveva fatto una breve pausa, poi, «Daniele, portami al lago.» Nei suoi occhi luccicanti era già dipinto tutto un mondo e lui che l’aveva visto non era riuscito a non restarne affascinato. In quel momento era stato come se si fosse innamorato di lei di nuovo, come il primo giorno.

    Le aveva preso il volto tra le mani e annegando nei suoi occhi l’aveva baciata, appoggiando semplicemente le labbra sulle sue. Un bacio casto che racchiudeva un amore immenso. Quell’amore capace di buttarlo giù dal letto in una fredda domenica di inizio novembre per prepararle la colazione, portarla al lago e renderla felice.

    Aurora guardava fuori dal finestrino della macchina, rapita dai colori autunnali che tanto amava. I boschi, che si estendevano fino alle sponde del lago, sembravano macchie rosso vivo, ruggine, giallo e arancione, buttate lì a casaccio da un pittore poco esperto.

    Quelle immagini, che rubava con la bocca aperta e il cuore colmo, le passavano di fianco e pian piano sembravano svanire.

    Si affievolivano sempre più. Aurora aveva iniziato a sentire freddo. Sapeva cosa stava succedendo e non voleva.

    Non voleva... non poteva finire di nuovo tutto così, eppure a poco a poco ogni cosa era scomparsa lasciando spazio a un grande buco nero, un vuoto spaventoso che sembrava volerla ingurgitare.

    Alla fine si era svegliata per davvero. Aveva il volto bagnato dalle lacrime.

    Con un gesto veloce, quasi stizzito, si era alzata dal letto. Ormai era abituata a quel sogno. Era così reale che la mattina se lo portava ancora addosso per ore.

    Accadeva spesso.

    Non avrebbe dovuto, ma non riusciva proprio a farne a meno.

    Sarebbe stato meglio non pensarci proprio, eppure era così vivido. Maledetto!

    Aurora si era preparata mentre organizzava tutti gli impegni della giornata. Erano tanti e questo le bastava per allontanare quei pensieri pericolosi. Ma se durante il giorno stava ben attenta a tenerli chiusi in un cassetto, nei sogni, quando abbassava la guardia, venivano sempre fuori, facendole tremare il terreno sotto i piedi e sentire freddo fin dentro le ossa.

    La libreria per bambini che aveva aperto già da qualche mese era proprio di fronte all’appartamento in cui viveva in affitto. Doveva semplicemente attraversare la strada.

    Quel piccolo negozio era tutto per lei. Anche nei giorni di chiusura andava lì e tra quelle quattro mura, in silenzio, chiudeva gli occhi e respirava l’odore dei libri. Farlo, le dava pace. Quelle mille storie di vita vissuta o inventata la facevano stare bene. Erano come amici, compagni d’avventura che non la facevano sentire sola. Non avrebbe mai potuto essere una di quelle persone che nei giorni di ferie se ne stanno in casa davanti alla tv, o a occuparsi di faccende domestiche. Non era il tipo di donna che sfornava biscotti o crostate nei giorni cupi, le era più congeniale prendere un libro e lasciarsi cullare dalle emozioni che le trasmetteva. Non aveva potuto essere felice nella vita che le era stata donata, cercava la felicità in quella degli altri, anche se si trattava di persone fatte di carta e inchiostro, ma in quella libreria lei ci sarebbe stata in eterno.

    Era stato difficile, all’inizio.

    Aurora si era trasferita da un’altra città da qualche mese, nessuno la conosceva e su di lei gravava un velo di mistero che la gente aveva timore di sollevare. Lo capiva dagli sguardi che le rivolgevano i commercianti quando passava davanti alle loro vetrine. Mai nessuno aveva preso l’iniziativa di uscire o conversare con lei. La diffidenza si poteva affettare con un coltello. D’altra parte, la stessa Aurora non aveva certo un carattere espansivo e difficilmente avrebbe ingaggiato un discorso per prima con la vicina in fila dal panettiere. Tuttavia, era innegabile che gli abitanti di Fabriano la tenessero a distanza, guardandola con sospetto e quasi paura, come se il solo rivolgerle la parola avesse potuto attirare su di loro la sua attenzione e di conseguenza la sventura assicurata. Era un po’ come sfidare il Diavolo prendendolo per le corna. Ecco cosa avevano nel cuore quelle persone, quando se la ritrovavano di fronte.

    Aveva aperto il negozio da un mese circa e l’attività faticava a ingranare. Stava ancora tentando di studiare tecniche di marketing per attirare nuovi clienti, ma non era affatto semplice: a volte in un intero giorno le persone entrate in libreria si potevano contare sulle dita di una mano. Nonostante quello, non era disposta a lasciarsi abbattere.

    La fortuna le si era presentata un giorno così, per caso, e non l’aveva nemmeno capito subito. Quella dolce vecchina che le aveva affittato l’appartamento era stata una manna dal cielo.

    Rina compiva la bellezza di cent’anni, ma a vederla non ne dimostrava più di settantacinque. Era una vecchietta iperattiva che la domenica invitava sempre Aurora a pranzo e le preparava un menu talmente ricco che sarebbe bastato per un intero reggimento. Era incredibile vederla quasi accarezzare l’impasto per gli gnocchi, con quelle sue mani nodose e il rispetto per il cibo tipico di chi la fame l’ha sofferta per davvero. Con il passare del tempo Rina era diventata per Aurora una sorta di angelo custode. Non le faceva mai domande, ma sembrava capire sempre tutto semplicemente con uno sguardo. Bastava un attimo, una piccola espressione di sconforto e Rina partiva con i suoi racconti di storia vera, fatta di fatica, cappotti di lana troppo lisi e lunghi di terza e quarta mano, tozzi di pane mangiati un pezzetto alla volta per riempirsi lo stomaco, o inzuppati nell’acqua a colazione, scarpe troppo strette, tagliate sulla punta per farle durare un’altra stagione, passate di parente in parente, e vestiti buoni da usare per la domenica e nei giorni di festa.

    Come poteva avere paura Aurora, quando Rina le raccontava della vera guerra, dei tedeschi dentro le case, dei maiali nascosti nel granaio per non morire di fame? Come poteva permettersi di avere paura, lei, con quella vecchina che era la sua più grande fonte di coraggio?

    Un giorno Rina le aveva chiesto di ospitare un rinfresco nella sua libreria. Una cosa per pochi intimi, aveva detto. Le sue amiche, in fondo, erano tutte morte, chi mai sarebbe stato interessato alla noiosa festa di compleanno di una vecchia?

    «Non tutti campano cent’anni» le aveva fatto notare, sorridendo.

    Con quell’umiltà di chi non ha più bisogno di dimostrare nulla, bastavano quelle rughe sul volto a parlare, a palesare saggezza, Rina era andata alla sua festa credendo davvero che probabilmente non si sarebbe presentato nessuno.

    Contro ogni sua più logica deduzione, la libreria quel pomeriggio era stata invasa da tutti i suoi conoscenti, dai cittadini curiosi, dal sindaco e dai rappresentanti comunali. Perfino la tv, a insaputa di Aurora, era stata invitata. Tutti erano venuti a porgere i loro auguri, e la libreria era apparsa sui giornali, in tv e sulle bocche delle persone che raccontavano di una vecchina che in un antico borgo medievale marchigiano era arrivata in ottima salute all’età di cent’anni.

    Quell’episodio aveva segnato la svolta dei suoi rapporti personali con la gente del posto, che prima la guardava con diffidenza e ora l’aveva accettata come una di loro.

    Faceva freddo quel giorno. Anche allora era novembre, ma non aveva niente a che vedere con la magnifica giornata del sogno, con quel sole splendente.

    Una leggera pioggerella scendeva da un cielo cupo che pareva voler inghiottire il mondo. Le foglie secche ogni tanto prendevano vita e volavano per qualche metro, facevano una piroetta e poi atterravano. Era un lunedì mattina e il centro storico non era molto affollato se non per i commercianti che raggiungevano i loro negozi.

    Quel pomeriggio sarebbe andata a trovarla in negozio Damiana e avrebbe portato con sé i bambini a cui faceva da baby-sitter. Damiana era stata la prima persona che Aurora aveva conosciuto quando si era trasferita.

    Si era presentata bussando insistentemente alla porta ancora chiusa della libreria settimane prima dell’inaugurazione. «Porto doni, aprimi!» aveva urlato. Se ne stava lì in piedi con due vassoi pesanti, uno per ogni mano, e attendeva impaziente. «Stai aspettando l’intervento divino? Dài, che pesano!»

    Aurora era rimasta impalata, non aveva detto una parola, non aveva capito.

    «Ti ho portato un po’ di pizzette, panini al latte ripieni e dolcetti per l’inaugurazione. Benvenuta!» Il suo sorriso aperto, lo sguardo sincero e soprattutto il suo gesto avevano colpito Aurora più di ogni cosa e da quel giorno erano diventate inseparabili.

    Damiana lavorava part time nella panetteria proprio accanto alla libreria e nel pomeriggio faceva da baby-sitter a un gruppetto di bambini delle elementari.

    A metà mattina, ogni giorno, andava a trovarla con un pezzo di pizza patate e mozzarella, la preferita di Aurora, e mentre lei mangiava Damiana ne approfittava per parlare di ogni cosa le passasse per la testa, generalmente l’ultima serie tv che stava seguendo o l’attore per cui aveva una cotta al momento.

    Era un vulcano, Damiana, e con Aurora andava perfettamente d’accordo. La prima esuberante, estroversa, con mille cose da fare e programmare. La seconda timida, riservata, con una nota di mistero che sembrava volersi portare fin nella tomba.

    Damiana era stato un altro angelo custode per lei, e a pensarci bene Aurora ne aveva avuti parecchi, di angeli. Non se lo sarebbe mai aspettata, ma aveva scoperto che le persone erano molto più buone di quello che sembravano.

    Quando, all’inizio, la libreria non ingranava, Damiana le era stata accanto, aveva iniziato a portare regolarmente ogni settimana i bambini a farle visita e, con una scusa o l’altra, aveva incoraggiato i loro genitori a fare acquisti nel suo negozio. Era un pozzo di idee, ma nessuno avrebbe mai potuto immaginare che la sua ultima trovata avrebbe cambiato il corso della vita di Aurora in maniera radicale.

    Prima dell’avvento del miracolo di Rina e la sua gloriosa festa di compleanno, Aurora, in un momento di sconforto si era confidata con l’amica sull’andamento del negozio.

    «Le cose non vanno bene, Damy. Non so davvero più come fare ma, se continuo così, temo che entro un anno dovrò cessare l’attività.»

    «Non dire sciocchezze. Non hai aperto nemmeno da un mese. Datti tempo e dallo anche agli abitanti di Fabriano per conoscerti» aveva minimizzato la ragazza.

    «Parli come se non ci fosse la crisi, ma lo vedi anche tu quanti negozi aprono, durano sei mesi e poi chiudono. È tristissimo, ci pensi? Non lo vedi com’è ridotto il centro? Non ti si stringe il cuore a camminare davanti a tutte quelle vetrine buie e vuote? Non ti sembra una città fantasma? Pare di attraversare il set di uno di quei film americani sulla fine imminente del mondo dopo un’apocalisse zombie.»

    Aurora aveva abbassato gli occhi e fatto una pausa, per ricominciare subito dopo con più fervore e convinzione.

    «Ma lo vedi quanto è bello il corso di Fabriano? Tu che ci sei nata forse non ci fai caso, ma per me che vengo da lontano, che arrivo da una giungla d’asfalto, questa strada è motivo d’orgoglio, mi fa pensare a quante cose magnifiche è stato in grado di realizzare l’uomo. Quanta bellezza ha saputo creare, quanto amore per l’armonia, per l’equilibrio e la grazia ha infuso in questa piazza, che vista dall’alto del loggiato è un incanto per la sua magnificenza. Provo a immaginare come poteva essere un tempo, nel Settecento, affollata da commercianti presi dai loro affari, da persone che camminavano di fretta con le loro scatole piene di nuovi acquisti. Doveva essere uno spettacolo!» Aurora aveva l’aria sognante.

    «Hai davvero una fervida immaginazione, cara. Ma, lasciamelo dire, la tua fantasia corre troppo e non sempre è positivo.» Damiana aveva cercato di riportarla con i piedi per terra, ma si era resa conto che per quanto provasse a convincerla non ci sarebbe riuscita. C’era un muro che l’amica aveva eretto e non sembrava disposta a lasciarglielo abbattere.

    «È terribile, Damiana, veder fallire le speranze, i desideri e i sacrifici fatti per realizzare il sogno di avere un qualcosa di tuo, dopo averlo coltivato come un debole germoglio, giorno dopo giorno, perdendoci il sonno, pensandoci in ogni momento, mentre si mangia e mentre si è a letto. Ho investito tutta me stessa in questo progetto, anima, corpo, ma soprattutto il cuore. Ed è quello a soffrire di più, quando alla fine ogni cosa sembra crollare. E io non voglio, Damiana. Il mio cuore non è pronto per soffrire.»

    La sua voce tremava quasi e gli occhi erano velati come di rugiada.

    Damiana l’aveva stretta, avvolgendola con le sue braccia calde come una coperta.

    «Allora non lo permetteremo. Non lo permetteremo, amica mia.»

    E quel pomeriggio era iniziata la prima fase del suo piano.

    2

    Aurora non ne sapeva molto di bambini. Anzi, quando per un motivo o per l’altro vi entrava in contatto rimaneva sempre quasi raggelata. Non sapeva cosa dire, cosa fare, come interagire. Era come scontrarsi con un alieno. Due lingue diverse, due mondi sconosciuti. Per questo aveva scelto di aprire una libreria per bambini. Per sfidare sé stessa, forzarsi a fare qualcosa che la spaventava e vedere come andava. Aveva anche ipotizzato di lanciarsi col paracadute da ottocentoventotto metri d’altezza, come fanno i base jumper dal grattacielo più alto del mondo, il Burj Khalifa, ma poi aveva considerato che sarebbe bastato aprire una libreria per bambini e avrebbe provato la stessa adrenalina. Ogni giorno!

    La prima fase del piano di salvataggio ideato da Damiana prevedeva delle attività da svolgere insieme ai bambini. Lei si sarebbe occupata di raccoglierne un cospicuo numero e l’avrebbe portato in negozio, ad Aurora sarebbe poi toccato intrattenerli.

    ‘Intrattenerli come?’ avrebbe voluto chiederle, sentendosi davvero inadeguata di fronte all’amica, che invece sembrava conoscere i meandri più nascosti di quel mondo.

    Si sarebbe buttata, aveva deciso infine.

    Del resto non aveva alternativa. Damiana stava scalando montagne per lei, non poteva anche chiederle di prenderla sulle spalle per tutta la durata del percorso.

    I bambini erano arrivati. Erano una quindicina. Quindici! Nel vederli Aurora si era sentita mancare il terreno sotto i piedi.

    Cosa fare?

    Sembravano esuberanti, ma non troppo.

    «Li ho minacciati prima di entrare, non aver paura. Se non faranno i buoni, niente pane e Nutella per merenda!»

    Damiana sì che sapeva come fare!

    I piccoletti si erano seduti quasi silenziosamente in un cerchio composto e la stavano guardando. Si aspettavano qualcosa da lei.

    Doveva parlare. Doveva agire.

    Aveva iniziato con un sorriso. Un po’ forzato, ma aveva sperato che loro non se ne accorgessero.

    «Ciao a tutti. Io sono Aurora. Benvenuti!»

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