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Quattro vite
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E-book276 pagine3 ore

Quattro vite

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Quattro sono i protagonisti di questo romanzo, giovani che però, negli anni che vedono la presa del potere del fascismo, l’entrata in guerra dell’Italia e gli albori della Repubblica, di vite ne avranno diverse, e non tutte piacevoli.
Gli eventi si svolgono tra il borgo dove Rocco e Margherita sono nati, e dove Daniele è di stanza come alpino, e Roma, dove Fernando trascorre in ozio le sue giornate, e infine tra le distese innevate della Russia che Daniele è costretto ad affrontare.
Sullo scenario tragico degli eventi legati alla Seconda guerra mondiale, Rocco continua a inseguire l’inutile amore per la sua antica compagna di scuola, impegnata, invece, ad affrontare le avversità che ogni giorno la guerra le pone dinnanzi. Fernando conosce in prima persona la durezza nazista mentre Daniele, lasciate le sue amate montagne e la sua giovane sposa, se vuole ritornare a casa deve combattere con se stesso prima ancora che con il gelo e il nemico russo.
LinguaItaliano
Data di uscita13 ago 2023
ISBN9791222435558
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    Anteprima del libro

    Quattro vite - Sandro Dettori

    1

    1928 – 1933

    Rocco e Margherita, insieme da sempre ma lontani come i due picchi di roccia che si potevano ammirare da ogni punto del paese adagiato fra essi. Il sole, quando vinceva la battaglia con le nuvole nere di pioggia o bigie di neve, faceva capolino dal primo e si nascondeva dietro al secondo alla fine di ogni giorno.

    Rocco e Margherita erano compagni di scuola e di catechismo ma non di giochi, i pochi che in realtà avrebbero potuto fare in quell’agglomerato di case con i camini che fumavano sempre.

    A Rocco lei piaceva davvero molto per le sue trecce rosse con la punta all’insù, gli occhi nei quali brillavano pagliuzze dorate, le gambe magre e cosparse di lividi per via dei lavori che aveva dovuto fare sin da quando era molto piccola. In casa erano nate solo femmine, lei era stata la prima. Il papà Arturo avrebbe desiderato un maschio forte come un toro e alto più di lui, e invece Margherita, oltre a essere femmina, era nata di sette mesi e aveva dovuto lavorare sodo per conquistare l’affetto del papà. Rocco avrebbe voluto stare sempre con lei, che però non aveva mai tempo né voglia di sentirgli leggere le storie contenute nel libro che portava sempre con sé, orgoglioso che il podestà lo avesse regalato solo a lui, il primo della classe.

    La maestra li aveva messi a sedere allo stesso banco con la speranza che accanto a un bravo alunno Margherita avrebbe imparato almeno a leggere ma, dopo quasi cinque anni di scuole elementari, i risultati erano piuttosto scarsi. Quando era arrivato il momento di affrontare gli esami di quinta, Arturo le aveva risparmiato l’umiliazione di una bocciatura ritirandola da scuola, contento di avere per sé e per tutto l’anno due braccia in più, e lei ne era stata felice, perché di saper scrivere e leggere non ne aveva mai sentito la necessità.

    Rocco invece aveva proseguito gli studi e frequentato le scuole medie in un paese vicino, più grande del loro borgo. Ogni giorno, appena sceso dalla corriera e prima di andare a casa, passava davanti a quella di Margherita con la speranza di vederla anche solo per un momento. A lui bastava, anche se era ben poca cosa rispetto alle mattinate passate in classe, con le gambe a sfiorarle un ginocchio e nelle narici il buon profumo di stalla che lei si portava addosso a dispetto delle secchiate d’acqua che non si risparmiava, in estate come in inverno.

    Finita la terza media, anche Rocco aveva abbandonato la scuola. Sicuro che l’istruzione ricevuta fosse sufficiente a dargli un futuro dignitoso, il papà Gaetano lo aveva mandato a lavorare dal fabbro del paese con la speranza che, compiuti i diciotto anni e con l’aiuto del podestà, avrebbe potuto lavorare nelle Regie Poste come lui, da molti anni postino del paese, conosciuto e amato da tutti.

    2

    1940

    Il 10 giugno l’Italia entrò in guerra a fianco della Germania; ci furono manifestazioni di giubilo ma ci fu anche chi comprese subito che sarebbe stata una tragedia. Non tanto i giovani, ma di sicuro tutti coloro che avevano vissuto sul campo la guerra del ’15-’18, oltre a coloro che l’avevano evitata per un niente, come Arturo Corinzi, il papà di Margherita, che essendo nato nel gennaio del ’900, non era diventato un ragazzo del ’99 e non era quindi stato chiamato a difendere la Patria.

    La cartolina rosa arrivò un mese dopo quel fatale 10 giugno e Arturo imprecò alla sfortuna di non aver avuto un figlio da poter chiamare Benito e da mandare, lui sì, a difendere l’Italia. Per disdetta, oltre a Margherita, chiamata così in onore della regina madre defunta, la moglie gli aveva dato Rachele e, prima di morire per le conseguenze del parto, Edda.

    Arturo affidò a Margherita casa, terra, sorelle, mucca, asino e qualche gallina. Non era certo che la ragazza sarebbe riuscita a mantenere intatto il magro patrimonio familiare, ma dovette partire insieme ad altri due coetanei sfortunati come lui, ma con l’onore di venire salutati dal podestà in persona tra sventolio di tricolori, gagliardetti fascisti e inviti come suonatele bene a quegl’inglesi di buona parte del paese.

    Per qualche giorno Margherita rimase in preda a una sorta di abulia da cui si riprese solamente quando il parroco decise di farle visita. La mucca si lamentava per essere munta e le sorelle, finito il poco pane e l’ultimo latte rimasto, di lì a pochi giorni avrebbero avuto da mangiare solo le patate dell’orto.

    «Rita, figliuola cara, ma che cosa ti accade?» Oltre a esibire la solita parlata che ostentava sempre perché aveva studiato in Umbria, don Siro si ostinava a chiamarla col nome della santa di Cascia, che riteneva più meritevole di una regina. «Sono certo che attraversi giorni tragici, ma ritengo che tu, brava come sei, non voglia dare spazio alla disperazione. Orsù, dimmi, che ti serve?»

    Margherita Corinzi, o Rita se più vi aggrada, cercò in giro qualcosa da scagliare addosso al pastore di anime, ma ci rinunciò perché lo sforzo per farlo le sembrò immane.

    «Invece di dire ritengoche manco so che vuoi dire, perché non sei venuto prima a vedere come stiamo?» Dopo aver ripreso fiato proseguì: «Abbiamo fame, quelle due di là da sole non sanno neppure calarsi le mutande e tu sei pure venuto a mani vuote. Almeno potevi portare la comunione così si mangiava qualcosa.»

    «Figliuola cara, non bestemmiare! Vedrai che le cose si aggiusteranno, e per cominciare più tardi ti manderò Celestino con qualche provvista. Tu, però, mungi almeno la mucca, poverina. Lo sai che le mammelle piene le procurano forti dolori? Dai, forza, che il buon Dio non vi ha dimenticate. Adesso però devo scappare, sia lodato Gesù Cristo.»

    Scomparso in fretta il parroco, Margherita andò di sopra e, rovesciate in terra insieme al materasso le due sorelline, che avevano preso possesso del lettone del papà soldato, cominciò a impartire ordini urlando come neppure Arturo aveva mai osato fare con loro tre. Due ore più tardi, sul tavolo della cucina rassettata alla meglio da Edda e Rachele, comparve un trionfo di pasta, verdure e perfino mezzo coniglio, sottratto di malavoglia alla mensa del prete che era stato di parola. Munta la mucca e riempito lo stomaco, Margherita fu subito meno catatonica e pronta ad affrontare la seconda vita che aveva davanti, senza immaginare quanto sarebbe stata diversa dalla precedente.

    Nello stesso fatidico giorno, anche Rocco Migli si trovava a Roma, stretto tra migliaia di italiani festanti per l’annuncio fatto dal duce e concluso con l’imperativo: vincere!

    L’intera mattinata l’aveva trascorsa al Distretto militare in attesa che la visita di un medico compiacente, grande amico del podestà, lo dichiarasse abile e arruolato, in disaccordo con una precedente visita compiuta al capoluogo di provincia. Rocco era sempre stato piuttosto magro e il deficit del torace lo aveva esentato in passato dal servizio militare, un dramma per papà Gaetano, che temeva che tutto questo potesse precludere al ragazzo l’assunzione nelle Regie Poste. Una liberazione, invece, per mamma Rosa, che in qualsiasi divisa aveva sempre visto lo spettro della guerra. Anche Rocco si sentì libero da un fardello quando ascoltò l’assoluto diniego del medico, che, più che compiacente, era timoroso di passare un guaio se avesse reso abile quel fuscello.

    Felice per l’esonero e con l’unico timore per la sfuriata che il podestà non avrebbe mancato di fare, dopo una tazza di latte e un dolcetto in un bar del centro, Rocco si era unito alla massa di uomini e donne di ogni età che si dirigevano con bandiere e gagliardetti verso la mitica piazza Venezia, dove si sapeva che il duce avrebbe tenuto uno storico discorso.

    Se le cose non andranno per le lunghe, pensò, farò in tempo per l’ultimo treno della sera, anche se mamma e papà staranno in pensiero. Ormai ho diciotto anni, non sono più un ragazzino.

    In verità, più che ai genitori aveva pensato a quanto sarebbe rimasta colpita Margherita nel sapere che aveva viaggiato in treno fino a Roma e che aveva anche visto il duce. Altro che leggerle un racconto del libro Cuore, quello sì che sarebbe stato un colpo da maestro!

    3

    Alla stazione Termini, in attesa del treno, Rocco strinse amicizia con un ragazzo romano molto spigliato e simpatico. Di un anno più grande, Nando Ribotti sembrava invece più giovane di lui per via della bassa statura, così che, come gli aveva confessato ridendo, tra gli amici del suo quartiere era conosciuto come Gnappa, come in dialetto romanesco ancora si chiamano le persone basse. Dotato di una loquacità fuori dal comune, alternava poche parole in italiano a molte in dialetto, con l’aggiunta di volgarità inusuali per Rocco. Figlio di un tranviere, come lui lo era di un postino, si sentirono subito uniti dalle stesse modeste origini e si scambiarono la promessa di rivedersi in un modo o nell’altro, convinti com’erano che la guerra appena dichiarata sarebbe finita prima dell’estate.

    «Peccato che mò devi da ripartì, potevamo fàqualcosacò l’amichi mia», gli disse Nando quando già il capostazione aveva fischiato, «se hai fatto la visita de leva poi entrà pure al casotto, oppure te… donne ancora nisba, niente?»

    Con un piede sul predellino, Rocco fu lesto a saltare sul vagone felice di aver eluso la domanda del nuovo amico e di non essere costretto a confessare che, oltre al ginocchio ossuto di Margherita, una femmina non l’aveva mai toccata.

    In realtà il ginocchio della sua amata non era più così ossuto come lui lo ricordava, perché col passare degli anni la compagna di banco era diventata un fiore di ragazza, piena dove serviva, a cominciare dai seni che lui aveva intravisto una volta che l’aveva sorpresa a cogliere patate. Era più alta di lui di un buon palmo, i capelli erano diventati di un bel rosso scuro e gli occhi ancora più belli, ma era sempre scontrosa come da piccola, anche se più disponibile ad ascoltarlo.

    Quando, il mattino dopo, Rocco si avvicinò alla casa di lei, se ne allontanò subito, perché le urla di quell’omone di Arturo gli tolsero ogni voglia di raccontare che aveva visto il duce. Ci riuscì soltanto a sera quando, dopo diversi tentativi, incontrò Margherita di ritorno da chissà dove.

    «Lo sai che ieri sono stato a Roma?» Secondo le sue intenzioni, l’approccio avrebbe dovuto essere fulminante, ma l’altra si limitò a chiedere: «A che fare?»

    Bene, esultò lui, ho trovato il modo di destare il suo interesse.

    Gonfiò quel torace riformato alla leva e proseguì con la notizia clamorosa: «Dovevo fare la visita per andare soldato e poi sono corso a vedere Mussolini quando diceva che facciamo la guerra agli inglesi e ai francesi.»

    Nonostante il rischio di morire per asfissia aspettò col fiato sospeso e riuscì a tenere gonfio il petto fino a quando, finalmente, Margherita parlò.

    «Ti do un consiglio. Gira alla larga e non farti sentire da mio padre, che già si è arrabbiato col duce perché lui la guerra andrà a farla per davvero, ma se scopre che ti sei fatto aiutare per non farla, magari proprio dal podestà che ti regala pure i libbri, ho paura che ti leva la pelle, ti leva!» Lo scansò con un braccio e proseguì verso casa senza più curarsi di lui, rimasto senza fiato e parola ma ancora più innamorato di prima.

    Anche a casa propria Rocco non trovò aria accogliente. Quel mattino papà Gaetano avrebbe girato molto volentieri alla larga dal Comune, ma aveva dovuto recapitare alcune lettere proprio al podestà che subito gli aveva rinfacciato di averlo esposto ai rimproveri dell’ufficiale medico per avergli chiesto di mandare in guerra quel rachitico che da quel giorno in poi avrebbe tenuto d’occhio lui stesso, in persona, come ebbe modo di aggiungere quando Gaetano già guadagnava l’uscita.

    Al suo rientro in casa, Rocco mangiò in fretta con la testa a un palmo dal piatto per non incrociare lo sguardo furente del padre e fu felice quando mamma Rosa gli fece una carezza sul capo. Lo fu ancora di più nel ripensare a Margherita che finalmente gli aveva parlato, e anche all’amico romano, quello che lo voleva portare a conoscere le donne di città.

    4

    Trascorsero alcuni mesi e arrivò il primo Natale di guerra, ma, fatti salvi i pochi che avevano un familiare al fronte, in paese nessuno sembrò accorgersi di quanto accadeva nel resto del mondo. A risvegliare coscienze e paure fu, suo malgrado, Margherita, quando ricevette dalle mani del postino una lettera con uno strano disegno sulla busta. Lei non conosceva il logo del Ministero della Guerra e neppure era in grado di leggere così su due piedi quanto c’era scritto, al contrario di Gaetano e del parroco accanto a lui. I due si erano accordati di essere entrambi presenti al fine di darsi reciproco coraggio quando fu chiaro che la triste ambasciata sarebbe toccata a loro e non al podestà, che aveva riparato in Comune appena trapelata la notizia.

    Per questione di tempo, che don Siro lamentò di non avere in abbondanza, la busta fu subito aperta e il contenuto letto dal postino. Margherita non sarebbe mai stata in grado di capire le parole piene di retorica fascista con le quali veniva annunciato alla coraggiosa famiglia che il loro caro Arturo Corinzi era gloriosamente caduto in azione sulla quarta sponda italiana, cioè in Africa, dove era stato spedito in difesa delle colonie. Dopo aver realizzato che quel caduto non significava una gamba rotta o un polso slogato, Margherita si piegò con lentezza fino a sedersi a terra, il capo appoggiato alle ginocchia, le spalle scosse da singhiozzi che nessuno sarebbe stato in grado di acquietare. Seguirono le solite parole di circostanza che la povera ragazza udì appena, poi gli abbracci dei due uomini seguiti da una carezza sul capo che di sicuro non avrebbe sostituito alcuna di quelle del papà, rare ma per lei già divenute un ricordo.

     «Figliuola cara, devi farti coraggio», disse il parroco, «Iddio ci manda queste dure prove per verificare la nostra fede e tu che sei una ragazza forte saprai risollevarti insieme alle tue sorelline. A proposito, vuoi che ci pensi io a informarle?»

    Troppo sconvolta per rispondere, Margherita si alzò e si limitò a un cenno di diniego per poi voltare le spalle ai due uomini e rientrare in casa decisa ad affrontare da sola il duro compito di comunicare a Edda e Rachele di essere rimaste orfane.

    La notizia della scomparsa di Arturo fece più volte il giro del paese. Rocco, informato dal padre, decise di andare a casa dell’amata per manifestarle il proprio dolore e la volontà di essere di aiuto. Ebbe quasi un mancamento quando lei, con indosso una vestaglia nera già appartenuta alla madre e conservata come una reliquia, aprì la porta e lo invitò a entrare.

    «Grazie che sei venuto a trovarmi, sapevo già che lo facevi. Siediti che ti bevi un caffè, uno vero, eh, che il prete me ne ha regalato un barattolino.» Non aspettò risposta e mise sul fornello a carbonella la napoletana, che all’esterno denunciava il colore dei molti anni di servizio.

    Col timore che l’incantesimo potesse svanire di colpo, per diversi minuti Rocco non osò aprire bocca e azzardò una domanda soltanto quando lei gli mise sotto il naso una tazzina fumante.

    «Le bambine l’hanno saputo?»

    «Sì, da me, e ancora non vogliono crederci. Dicono che papà è immortale e i soldati cattivi non possono fargli male.» Mentre lo diceva le scesero due lacrime e allora Rocco azzardò ciò che fino a cinque minuti prima aveva soltanto sognato di fare. Le afferrò entrambe le mani e le strinse forte tra le proprie, anche per timore che gli arrivasse un ceffone. Avvenne invece il miracolo e Margherita, tra una tirata su dal naso e un mezzo sorriso, pronunciò poche parole che su di lui produssero lo stesso effetto di quelle della Madonna sui pastorelli di Fatima: un’estasi che durò quasi un minuto.

    «Sei davvero buono, Rocco, io ti ho sempre trattato male ma invece tu sei stato sempre gentile, ti voglio bene.»

    Se in quel momento fosse morto sarebbe andato diritto in Paradiso, tanto si sentiva sereno e in pace con se stesso, così prese coraggio e spalancò il proprio cuore.

    «Anche io te ne voglio, tu non sai quanto. Te ne voglio da quando andavamo a scuola e mi trattavi male, ma io ti ho sempre amato, sei la donna della mia vita e voglio sposarti, essere l’uomo di casa, avere cura di te e…»

    Era andato troppo avanti e troppo di corsa. Lo capì subito dal volto di Margherita, che aveva riacquistato di colpo la solita espressione, quella che conosceva bene. Con estrema lentezza lei allentò la presa delle mani e le portò alla scollatura della vestaglia per serrarla ancora di più in un gesto di pudore dettato dalla paura che l’altro potesse esagerare con un approccio più ardito.

    «No, no, hai guastato tutto, non parlare più, Rocco, dai, chiudiamola qui. Sei venuto per farmi le condoglianze e ti ringrazio, però finisci il tuo caffè e poi va’ via, perché qui c’è proprio un… come si dice quando si capiscono fischi pe’ fiaschi?»

    «Equivoco?»

    «Ecco, bravo, proprio quello che hai detto adesso. Io ho tanti problemi: la morte di papà, le bambine da crescere, la casa con l’orto e le bestie da portare avanti e figurati se mi va di sposarmi e avere uno sconosciuto in camera da letto!»

    «Ma io non sono uno sconosciuto, e poi mica dico adesso, posso aspettare, siamo giovani e c’è la guerra, magari dopo.»

    «Te l’ho già detto ma forse ancora non vuoi capire: chiudiamola qui. Vedi, Rocco caro, io ti voglio bene ma non come pensi tu, come se saresti un fratello e… tra fratelli mica ci si sposa! Non parliamone più. Va bene?»

    Dovette andar bene per forza e mentre veniva spinto fuori dall’uscio, lui riuscì a pensare che quella era la prima volta che Margherita lo aveva chiamato Rocco caro e per quel giorno gli fu sufficiente nonostante quanto lei aveva aggiunto dopo, sbagliando anche la coniugazione del verbo.

    5

    1940 – 1941

    La Vigilia di Natale Margherita decise di mettere in pentola la gallina più vecchia, ormai neppure buona a fare le uova. Il buon cuore dell’intero paese si era espresso per le bambine con due bambole, una senza un occhio e l’altra con un braccio soltanto, e per lei con un cappotto ancora in buono stato. Il parroco si era superato: insieme alla propria benedizione aveva donato un chilo di farina, un po’ di zucchero e perfino un vasetto di marmellata fatta in casa. Erano già cominciati gli anni bui che avrebbero segnato la vita di tutti, e così come la generosità anche gli egoismi cominciavano a far capolino.

    Anche Rocco si fece avanti ma, diventato prudente, coinvolse i genitori per recapitare insieme i loro doni.

    Nell’orto a racimolare quel che ancora restava per fare un cenone decente, nel vederli arrivare Margherita ebbe timore che quel fissato di Rocco avesse intenzione di chiederle di nuovo la mano, questa volta in modo ufficiale. Visti i tre pacchetti che avevano con loro, tirò però un sospiro di sollievo e, lasciato in terra il cesto con le patate e un cavolfiore, si pulì le mani sulle gambe dei pantaloni e scoprì i denti in un sorriso di benvenuto.

    Rosa l’abbracciò per prima e prese a parlarle in un orecchio, mentre i due uomini restarono in silenzio. Il postino perché le condoglianze le aveva già

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