Presa da due guardie carcerarie: Sesso A Tre
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Info su questo ebook
La ventitreenne Madeline “Mad” Madison ha un bel caratterino. Deve scontare una condanna all’ergastolo con possibilità di libertà condizionale dopo dieci anni per essersi arrabbiata con il suo defunto ragazzo, e conosce soltanto un modo per restare calma; non riceverà quel tipo di riabilitazione in prigione. Cioè, finché non verrà assegnata ai lavori forzati e presa da due guardie carcerarie dagli intenti maliziosi.
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Presa da due guardie carcerarie - Jasmine Black
Presa da due guardie carcerarie
La ventitreenne Madeline Mad
Madison ha un bel caratterino. Deve scontare una condanna all’ergastolo con possibilità di libertà condizionale dopo dieci anni per essersi arrabbiata con il suo defunto ragazzo, e conosce soltanto un modo per restare calma; non riceverà quel tipo di riabilitazione in prigione. Cioè, finché non verrà assegnata ai lavori forzati e presa da due guardie carcerarie dagli intenti maliziosi.
Nota dell’autrice
––––––––
Questo racconto è un’opera di fantasia. I personaggi, i luoghi, le ambientazioni e le vicende descritte in questo libro sono esclusivamente frutto della fantasia dell’autrice e ogni riferimento a persone vive o morte o a fatti, luoghi e ambientazioni reali è puramente casuale.
Capitolo I
Ehi, Mad. Muovi il culo! Sei nella squadra dei lavori forzati, oggi.
Wow! Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Avevo fatto domanda per entrare nella squadra dei lavori forzati mesi prima e finalmente ero dentro!
Mi avvicinai rapidamente alla porta della cella, che era tutta fatta di luccicante metallo grigio, e feci scivolare le mani nella fessura affinché lui potesse ammanettarmi i polsi.
Ero stata in isolamento per un mese perché ancora una volta il mio carattere mi aveva fatto finire nei guai, ma semplicemente non potevo stare calma quando i miei diritti venivano calpestati, specialmente quando si trattava del cibo.
Quel giorno, in particolare, avevo chiesto la mia giusta razione di verdure e quando mi avevano detto che le verdure erano finite, me l’ero presa con la puttana dietro di me, in fila, che mi aveva detto di lasciar perdere e di darmi una mossa. L’avevo mandata in infermeria con il naso rotto e una commozione cerebrale. Un vero peccato che avessi imparato nel modo più duro che non c’erano diritti per i carcerati, nemmeno per quelli, come me, che non si fanno mettere i piedi in testa da nessuno.
Ti tocca un po’ di lavoro forzato, Mad. Ho sentito dire che rastrellerai foglie dai fossi tutto il giorno,
disse l’agente Myers guardandomi attraverso il piccolo spioncino antiproiettile. Aveva capelli rossi tagliati corti, con lentiggini e brufoli coordinati sulla faccia, insieme a un sorrisetto, ma non che quello mi infastidisse molto. I lavori forzati non mi preoccupavano. Volevo soltanto uscire da quel fottuto isolamento, dal penitenziario, e respirare aria fresca, anche se significava farsi il culo.
La porta della cella si aprì scorrendo e lui mi ordinò di camminare davanti a lui lungo il corridoio. Attraversammo alcune unità, ciascuna delle quali aveva porte chiuse che si aprirono scorrendo quando l’agente Myers parlò nel microfono da spalla. E poi mi indicò una piccola stanza in cui c’erano altre sette detenute sedute su una panca contro il muro.
Sembravano tutte cattive e incazzate quando mi videro entrare. Non riconobbi nessuna di loro. Dovevano appartenere ad altri blocchi. Quindi, mi limitai a ignorarle.
Inoltre, erano puttane vecchie e brutte, e non sapevo perché fossero tutte accigliate. Avrebbero dovuto essere grate di andare dall’altra parte di quel muro di cemento alto sei metri con sopra del filo spinato.
Bene, signore, lì ci sono stivali e guanti. Mettetevi quelle tute arancioni sui vestiti. Scegliete quella che vi sta meglio. Lasciate le vostre cose su quegli scaffali laggiù. Quando avete finito, mettetevi in fila qui per le catene alle gambe.
Così disse un tizio calvo dall’aria annoiata, dalla parte opposta di una porta aperta.
Stava indicando uno scaffale davvero lungo su cui c’erano tute arancioni piegate, stivali e guanti da lavoro; poi indicò un altro scaffale pieno per un quarto di scarpe di altre persone. Immaginai che quelle scarpe appartenessero a donne di altre squadre che erano già uscite quella mattina.
Le donne brontolarono quando ci alzammo tutte per dirigerci verso gli scaffali. Mi tolsi le scarpe, mi infilai in una tuta che mi stava abbastanza bene, poi provai due paia di stivali finché non trovai una misura comoda e me li misi ai piedi. Afferrai un morbido paio di guanti da lavoro laceri e mi misi in fila con le altre donne. Io ero al fondo della fila, ma non mi importava. Stavo per andarmene fuori tutto il giorno.
Se avessi immaginato che avrei passato momenti difficili in una fottuta prigione per avere ucciso il mio ragazzo, avrei fatto semplicemente in modo di sparire prima di ucciderlo, accidentalmente o forse non così accidentalmente.
Ma, ehi, secondo me, le donne del mondo sarebbero state meglio senza quel pezzo di merda. Diedi una stretta alla mia rabbia al pensiero di lui e guardai mentre la guardia mi porgeva le catene per le caviglie. Me le misi; i suoni metallici delle pesanti catene ai polsi, e ora alle caviglie, mi irritarono.
Oh, grandioso. Non potevo nemmeno grattarmi il naso senza che le catene sferragliassero. E tanti saluti al tentativo di svignarmela.
Non avere quella fottuta aria depressa, detenuta. Sei piuttosto carina. Sono sicura che tornerai indietro tutta sorridente, specialmente il primo giorno,
mormorò alle sue spalle la vecchia puttana sulla cinquantina che stava davanti a me, guardandomi dall’alto in basso accigliata.
Vaffanculo,
sussurrai.
Lei ridacchiò. Sei una irrequieta, eh? Alle guardie piacciono le ragazze vivaci. Si divertiranno un po’ con te.
Toccò a me accigliarmi mentre mi domandavo cosa intendesse dire con le sue osservazioni.
Lo sferragliare delle catene di tutte mi diede ai nervi mentre venivamo accompagnate, lungo un corridoio, verso un grande garage contenente molti veicoli; poi ci fecero salire su un furgone del carcere in attesa.
Mi costrinsi a restare calma e guardai fuori dal finestrino mentre il furgone partiva dal garage e usciva in quella giornata di sole.
Ero lì da cinque anni. Cinque anni da quando ero stata in un veicolo.
Cazzo, era una grandiosa sensazione sentire il sole che mi batteva in faccia mentre filtrava dai finestrini spessi. Chiusi gli occhi e ricordai com’ero arrivata lì.
Era una soleggiata mattina d’autunno, proprio come quella. Ancora una volta mi ero persuasa di riprendere la relazione con il mio ragazzo, Dane, che continuava a scaricarmi e poi tornava.
Durante il tempo trascorso insieme, passava da Mr. Jekyll a Mr. Hyde per tornare ad essere Mr. Jekyll. Era una fottuta altalena e io non sapevo mai di che umore fosse da un minuto all’altro. Mi arrabbiavo tantissimo con lui per il suo comportamento e lui diceva facciamo sesso, così ti calmi. Lo facevamo, e