Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Tutto Quello che Dovete Sapere per Fare Musica: ...ma che non avete mai osato chiedere
Tutto Quello che Dovete Sapere per Fare Musica: ...ma che non avete mai osato chiedere
Tutto Quello che Dovete Sapere per Fare Musica: ...ma che non avete mai osato chiedere
E-book292 pagine3 ore

Tutto Quello che Dovete Sapere per Fare Musica: ...ma che non avete mai osato chiedere

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

La musica è un fatto culturale, certo, ma oggi anche una straordinaria opportunità di lavoro che può dare grandi soddisfazioni, anche economiche. Le regole del "mondo della musica" sono però un po' più complicate di quanto si pensi, e talvolta sembra difficile districarsi tra suoni oscuri (SIAE, SCF, IMAIE, ENPALS).

Questo libro è una guida che prende per mano un esordiente e lo conduce a visitare una per una tutte le "stanze del mistero", facendo di un dilettante un professionista del settore. Ma è anche una raccolta di domande, e di risposte, per soddisfare la curiosità o la necessità di chiunque viva per la musica, con la musica.
LinguaItaliano
Data di uscita18 giu 2019
ISBN9788876656019
Tutto Quello che Dovete Sapere per Fare Musica: ...ma che non avete mai osato chiedere

Correlato a Tutto Quello che Dovete Sapere per Fare Musica

Ebook correlati

Musica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Tutto Quello che Dovete Sapere per Fare Musica

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Tutto Quello che Dovete Sapere per Fare Musica - Sandro Pasqual

    INIZIO DELLA STORIA

    TRA SOGNO E REALTÀ

    LA FAVOLA

    DELL’IDEA

    E DELL’ALBERO

    DEGLI ZECCHINI

    C’era una volta… un re, direte voi. Ma no, un pezzo di carta con quattro note scarabocchiate, oppure c’era una melodia fischiettata guidando… Certo, non sono molte le favole in cui quel pezzo di carta, quella melodia si trasforma nella principessa che porterà al suo autore successo, felicità e ricchezza. Nella maggior parte dei casi il foglietto farà la fine delle mille schedine giocate senza fortuna. Però non sono pochi coloro che possono raccontare di aver raccolto seminando… un’idea così tanti frutti da gridare al miracolo: alcuni di loro li ho potuti toccare io stesso, ed erano fatti di carne e ossa come tutti noi mortali.

    Per quanto appaia bizzarro che una melodia possegga la forza per cambiare la vita del suo creautore (creatore ispirato dall’alto, o autore che sa trovare in se stesso la soluzione?), la realtà spesso è proprio questa: imprevedibile, bizzarra, selettiva, ma generosamente premiante! Il mix di condizioni necessarie (purtroppo non sempre sufficienti!) per aver successo richiede molti ingredienti: abilità, costanza, «senso del mercato», ottime conoscenze, e il favore del destino (che qualcuno prosaicamente chiama c…o). Ne viene fuori un cocktail che, grazie ad alcune informazioni che vi darò e di cui potrete far tesoro, alla fine del mio racconto forse vi sembrerà un po’ meno lontano dalla vostra poltrona di quanto pensaste prima.

    Un’idea musicale è quanto ci vuole per cominciare la nostra storia, anche se ancora è un capitale molto modesto.

    Qualcuno ogni tanto ci prova, a sminuire l’importanza delle idee: tecnica, disciplina, costanza, solo così si ottiene un buon risultato (come dargli torto?). Qualcun altro è stato talmente ossessionato dalla difficoltà di partorire una buona idea, da chiamare in causa l’ispirazione, il sacro fuoco interiore, le illuminazioni notturne o i diavoli suggeritori.¹

    Ogni tanto c’è stato anche chi ha inventato procedimenti automatici per la composizione di melodie: lo facevano Mozart e Haydn (che non ne avevano bisogno!), usando scatole musicali o lanci di dadi, lo si fa oggi con il computer.

    Io sto dalla parte di chi crede all’importanza delle idee, e diffida del tecnicismo esasperato. Non voglio dire che l’idea musicale sia tutto ciò che serve per creare un’opera che piacerà: qualunque sia il genere musicale nel quale ci si cimenta, rock pop liscio punk lirica o jodler, sappiamo bene che una gran parte del successo verrà dalla confezione finale, che contiene un sacco di accessori.

    Intendo dire che un’idea, una buona idea, è già una base sicura su cui costruire.

    Senza idee, solo con il «mestiere», è possibile intrattenere il pubblico, come fanno certi politici, ma quel che si produce è aria fritta, vapore, ed anche inscatolandolo preziosamente non si può pretendere che lasci un segno nella storia.

    La bella idea può venire a tutti, anche ad un non-musicista. Non intendo offendere nessuno tra voi potenziali successori di Beethoven, o di Paul McCartney: con il massimo rispetto chiamo non-musicista colui che non sappia trascrivere su spartito, o eseguire su uno strumento, le proprie fantasie musicali. Voglio bene ai musicisti come ai non-musicisti. Mi permetto solo (non chiamatemi «pedante», per favore!) di consigliare qui (e mai più), a chi ancora non le conosca, di procurarsi le gioie della musica: ci si riesce con poco sforzo e poca spesa, imparando a scriverla leggerla o suonarla, e la musica sarà per sempre una straordinaria compagna, negli attimi di solitudine e non solo in quelli.

    Dopo questo paterno consiglio, però, cercherò di essere ecumenico. Mi rendo conto che non si possono liquidare le esigenze di un affamato proponendogli di imparare a cucinare, ed allora prometto di fare ogni tentativo per affrontare i problemi della creatività anche dal punto di vista del «non-musicista».

    PRIMA PARTE

    A TESTA ALTA CONTRO IL NEMICO

    UN LUCCHETTO

    CONTRO I RAPINATORI

    Plagio, tutela e depositi

    La fase in cui si deve uscire dall’intimità della propria cameretta, andando a proporre un’idea musicale a qualcuno là fuori, rassomiglia alla vicenda della verginella che chiede asilo e protezione nell’accampamento dell’esercito barbaro. Mille occhi famelici sono puntati proprio là dove la virtù è più fragile.

    Effettivamente una bella idea è merce rara, ed il professionista a corto di ispirazione può leccarsi i baffi di fronte ad un ingenuo compositore in erba, che gli offra in sacrificio il suo parto prematuro: «no, grazie, non mi interessa, c’è della stoffa ma deve lavorarci, magari ripassi…», ed un mese dopo in testa alle hit c’è l’ultimo lavoro del celebre professionista, guarda caso uguale uguale…

    D’altra parte a chi, se non ad un esperto del settore, si potrebbe andare a proporre il proprio abbozzo di canzone? È un gatto che si morde la coda!

    Il modo più efficace per cautelarsi dal plagio di un’opera è riuscire ad associare alla propria creazione una data certa, costruirsi cioè una attestazione di paternità. Ho usato tutti in un colpo alcuni concetti che richiedono lunghi preamboli, ma vi ho promesso successo e ricchezza, e non un sonnifero: così perdonatemi se ve li spiegherò a poco a poco, e non tutti in un colpo.

    Per ora accontentatevi di usare il termine «plagio» come sinonimo di «scopiazzatura». Due sono i comportamenti scorretti che più spesso danneggiano i musicisti creativi: il plagio, e l’utilizzazione abusiva.

    Plagiare significa adattare l’idea di un altro alle proprie esigenze, facendo così scomparire i meriti del vero «padre creativo» di quell’idea. In questo senso, l’uso musicale del termine plagio assomiglia all’altro suo significato nella lingua italiana, quello di ridurre in schiavitù.

    Io copio il tema che ho sentito in una canzone e che mi è piaciuto, e lo ripropongo in un brano mio dicendo a tutti che l’ho composto io: questo è «plagio» del tema originale.

    L’utilizzazione abusiva è invece l’azione di chi non ha alcun imbarazzo ad affermare di non essere il creatore dell’opera, ma – pur riconoscendo i meriti morali degli aventi diritto, come ad es. la paternità degli autori – non si preoccupa affatto di ricompensarne le fatiche. In pratica, è il comportamento di chi «espropria» le opere degli altri, usandole senza chiederne il permesso. Per capire la differenza con il plagio: in un CD pirata (caso tipico di utilizzazione abusiva) troverete senza problema il nome degli autori e degli interpreti dei brani contenuti (dunque non è un plagio); quel che rende «pirata» il supporto è il fatto che tale incisione è avvenuta senza riconoscere alcun diritto economico dovuto ai titolari.

    Dunque l’ingenuo non-musicista, dinanzi allo spietato professionista in crisi di ispirazione, deve pensare a difendersi dal plagio, che avverrebbe se, rimandato cortesemente a casa, il creativo si accorgesse che il brano da lui composto dopo qualche tempo furoreggia nelle classifiche sotto il nome dell’ignobile approfittatore (o di qualche suo favorito). Potrebbe temere anche l’utilizzazione abusiva, cioè che il professionista in un raptus di follia si metta a cantare in pubblico il brano appena composto senza chiedere il permesso dell’autore: ma questa è un’ipotesi più remota!

    Poiché è quasi impossibile «prevenire» il plagio (se non lasciando custodito il proprio brano in una cassaforte… soluzione masochista e inutile!) bisogna prepararsi a «perseguirlo», cioè prepararsi delle prove che permettano di «incastrare» il plagiatore.

    Per evitare di cadere nella trappola, allora, il nostro creativo deve cautelarsi, costruendosi un «attestato di paternità», cioè una documentazione efficace che dimostri come lui sia realmente ed indubitabilmente l’autore del brano. Di fronte ad una tal prova, il rapace e fedifrago professionista verrebbe smascherato coram populo (di fronte a tutti), e la giustizia trionferebbe.

    Già, ma dove lo si trova un «attestato di paternità»?

    In fondo a questa chiacchierata non troverete purtroppo uno scrigno che io possa aprire, stupendovi con un «et voilà, ecco cosa fa al caso vostro!». Penso però di potervi aiutare con alcune considerazioni utili.

    Ho detto che questo attestato di paternità associa l’autore alla propria opera; indubitabilmente, nel senso che anch’io da ragazzo dichiaravo di essere l’autore segreto della Divina Commedia, ma le prove che portavo mi venivano ogni volta irrimediabilmente smontate.

    Viene da pensare dunque che il sistema più efficace sia quello di consegnare al più presto (certamente prima di recarsi dal bieco professionista!) una copia della nuova creazione nelle mani di una persona così seria, così affidabile, che se in futuro qualcuno avesse il minimo dubbio, questa persona potrebbe fugarlo dichiarando «io certifico che quel giorno là l’autore mi consegnò la sua opera, che io ho sigillato e custodito, e che ora chiunque può confrontare con la sfrontata copia dello sleale professionista». Questo colpo di scena nella nostra storia equivarrebbe a fornire una prova di «data certa» della composizione dell’opera contestualmente alla paternità (cioè all’indicazione del nome dell’autore, che deve essere sempre associato alla copia dell’opera), ed è effettivamente il lucchetto più sicuro con cui salvaguardare una nuova creazione. Non impedisce il plagio, come ho detto, poiché è materialmente impossibile impedire ad una persona di «copiare», ma permette di smascherarlo e perseguirlo.

    Non esiste un catalogo di «persone serie» cui affidare l’opera: lo studio di un notaio, però, o l’ufficio depositi della SIAE sono certamente luoghi irreprensibili, ed i certificati da loro rilasciati sono documenti probanti (la valutazione sulla «serietà» di un deposito spetta al magistrato che si trovasse a giudicare una causa di plagio; notai e SIAE sono stati sempre considerati attendibili). Poi vi spiego come fare il deposito, prima c’è un altro problema da risolvere.

    Ho detto che il compositore esordiente dovrà affidare la propria opera musicale ad una «persona seria» per ottenere la certificazione di paternità: ma cosa intendo esattamente per «opera»?

    L’opera creativa è un «bene immateriale», cioè un oggetto che non è possibile definire utilizzando concetti tridimensionali (diciamo che le caratteristiche di un’opera creativa superano la realtà materiale degli oggetti che le rappresentano: chi si ricorda la «cavallinità» dei cavalli di Platone? Ecco, l’opera creativa sta ai supporti che la riproducono in maniera simile agli archetipi nei concetti platonici). Un brano musicale è certo un’opera creativa, e dunque un bene immateriale. Scivolando in mezzo agli scogli filosofici di questa discussione, facciamo finta di essere tutti d’accordo sul fatto che quando ci riferiamo ad un’opera musicale, la riconosciamo nella riproduzione «fissata su un supporto» (qualunque sia la forma fisica di questo supporto).

    Ho detto che dobbiamo affidare l’opera ad una «persona seria»; è evidente come l’utilità di questa operazione stia nel consentire alla persona seria di riconsegnare l’opera (a noi o ad un giudice) esattamente come gli era stata consegnata, anche a distanza di tempo. Per questa ragione non sarebbe granché utile fischiettare davanti ad un notaio, neanche al più autorevole, la melodia che abbiamo creato.² Serve evidentemente la consegna di un oggetto più concreto; appunto, un «supporto» sul quale sia stata fissata in qualche modo l’opera originale.

    Tre sono le forme di fissazione oggi utilizzabili: simbolica (lo spartito, che riproduce attraverso simboli grafici l’andamento melodico del brano); analogica (una registrazione «fisica», su nastro magnetico, di un’esecuzione del brano); e digitale (trascrizione numerica di una registrazione, da riconvertire in analogica attraverso uno specifico lettore).

    Anche in questo caso, io non ho nessuno scrigno magico, poiché non so dare una risposta «secca» ai problemi di tutti. Se non mi fossi legato anticipatamente le mani con la promessa di rivolgermi anche ai non-musicisti, opterei per la prima soluzione: depositate sempre uno spartito!

    Ma per il creativo che non sa scrivere musica, se lo obbligassi a convertire la sua idea in spartito, cambierebbe solo la faccia del nemico, ma non il problema: dovrebbe cercare qualcuno che gli trascriva la melodia, ed invece di finire nelle fauci del bieco professionista, rischierebbe così di gettarsi nella bocca di un altrettanto inaffidabile scrivano di musica.

    Lo spartito è certamente il modo migliore, il «supporto» più funzionale per fissare un’opera musicale: è scritto in un linguaggio ormai universale, che va bene dalla Cina all’Alaska, dagli Appennini alle Ande. Carta e inchiostro si conservano a lungo, e dunque gli spartiti non hanno paura del tempo (certuni che ho consultato portavano benissimo i loro cinquecento anni). L’opera così scritta si può replicare quante volte si vuole senza perdita di dati, ed anzi quando uno spartito è ben fatto può essere dettagliatissimo, e riprodurre ogni nota di qualsiasi strumento.

    Altri supporti che abbiano tanti e tali meriti non ne vedo. Se si considera che il problema del plagio persiste per tutta la lunga durata della tutela garantita dalla legge (oggi, in Italia, si parla di tutta la vita dell’autore e dei 70 anni successivi alla sua morte)³ il problema della conservazione del supporto diventa primario.

    Il CD, ad esempio, è molto comodo ed in questi anni è di uso così familiare da non presentare alcun problema di conservazione e lettura: nei vent’anni di vita sino ad oggi, ha fatto molta strada, ma cosa ne sarà di lui tra cento anni? Io, che ho una barba che strascica per terra, ricordo di aver visto passare e gettare nel dimenticatoio i dischi in ceramica, i nastri a bobina con il Geloso per leggerli, e gli ampex con il Revox, il vinile, le cassette stereo 7, il minidisc, il DAT, e chissà quanti altri supporti mi scordo… Vi immaginate una perizia in tribunale in cui il giudice voglia confrontare un brano pubblicato oggi, con un brano depositato 80 anni fa, inciso su ceramica, da ascoltare su un fonografo a tromba? Con uno spartito questi problemi non esistono.

    Inoltre la fissazione analogica e quella digitale sono spesso «ridondanti», cioè inseriscono effetti musicali accessori, relativi all’esecuzione del brano, nascondendo o confondendo così il «succo creativo» del brano, che è quello che effettivamente si deve tutelare. Ciò potrebbe risultare un inconveniente, e non un vantaggio, in un ipotetico confronto a distanza di tempo (perizie su registrazioni vengono in genere condotte su rilevamenti spettrometrici del contenuto; suoni differenti possono causare differenze sensibili anche tra melodie simili). Nel confronto tra spartiti è sempre possibile «ripulire» l’idea creativa dagli sviluppi tecnici non essenziali.

    Però, se proprio non c’è altra soluzione, si può pensare di cominciare da lì, dalla registrazione audio su un qualsiasi supporto della melodia cantata, fischiata o suonata; questa soluzione rudimentale ha un’utilità nei tempi stretti, se ci si vuol cautelare in vista di un incontro a rischio che debba avvenire tra poche ore, o pochi giorni. Se tutto va bene, ci sarà poi il tempo per ridepositare uno spartito ben fatto, che possa durare cent’anni.

    Affidare un supporto con la registrazione del nostro nuovo brano ad una «persona seria» è dunque una soluzione, anche se non la migliore: non sarà come nascondere il portafogli dentro il forziere di Fort Knox, ma costituisce una prima garanzia contro i furbi e gli approfittatori.

    In gergo, la procedura che consiste nell’affidare la nostra opera ad una persona seria, e che come ho detto corrisponde ad una attestazione della paternità in data certa, viene chiamata deposito. Mi sembra chiarissima la ragione di questa parola. Lo stesso concetto è ben espresso anche da altri termini, come «affidamento», o «consegna in custodia»; ma deposito è quello che si usa generalmente. Chi usa invece la parola «registrazione» sbaglia a mio giudizio per due ragioni: intesa nel senso di «iscrivere in un registro» la parola è inopportuna, perché non esiste un «registro delle opere»⁴ (al massimo, là dove le procedure di deposito sono ben organizzate, potrà esserci un registro dei depositi). E poi, nel mondo della musica, la parola «registrare» è così densa di altro significato che è meglio evitare ogni possibile confusione: chiamiamo (e chiamate) dunque l’affidamento in tutela di un brano con il nome di «deposito».

    IL PLAGIO: QUALCHE

    CONSIDERAZIONE A MARGINE

    Ognuno di noi, chiunque nella vita abbia almeno una volta spremuto la propria fantasia e distillato un’idea, ha temuto istintivamente che qualcuno la copiasse. Troppa è la fatica che ci mettiamo a confezionare un’idea originale, troppo poche sono le cartucce a nostra disposizione, per non sospettare che qualcuno se ne voglia appropriare alle nostre spalle. Un furto ad una persona anziana è più grave perché quel poveretto non avrà più occasioni per guadagnare altro denaro; e così il furto di una buona idea ad un principiante è tanto più crudele perché può stroncare sul nascere una carriera. Ma le nostre paure non devono avere il sopravvento sulla realtà, poiché ragionando si riesce sempre a trovare una soluzione («il sonno della ragione genera i mostri», compare scritto in un ciclo di magnifiche acqueforti di Goya).

    Esiste davvero il plagio? Capitano davvero casi così squallidi come quelli che ho ipotizzato, in cui ci si approfitta dell’ingenuità e della creatività di un autore alle prime armi, per rubargli quel che c’è di meglio nelle sue idee?

    Se dovessi dare una risposta secca direi: sì, capita. Ma se mi fosse concesso un po’ di spazio per approfondire la risposta, avrei bisogno di spiegare nei particolari il senso della mia affermazione.

    Intanto: là dove il mercato è più affamato (ad esempio nella musica commerciale, che «brucia» un’enorme quantità di offerta creativa, in tempi brevi) le idee non sono tutto. Contano, ma se volessimo dar loro un peso parlerei di un 25-50% del valore del prodotto finale. Troppo schiaccianti sono il peso dei canali pubblicitari, delle mode, della qualità tecnica del prodotto finale, dei circuiti di diffusione, perché chi ne è escluso possa sperare di bypassarli solo per merito delle proprie idee. Qualche volta succede anche l’imprevedibile, è capitato certamente, ma si è trattato delle eccezioni che confermano la regola.

    Proprio in relazione a questo ruolo, rilevante ma non determinante, della «idea creativa» (nel senso di: l’idea è importante, ma non è l’unico elemento che determina il successo), si deve intendere il rischio effettivo di «plagio». Difficilmente un demo che qualcuno di noi abbia inviato ad un produttore, fosse questi anche il più spregiudicato plagiatore, uscirà sul mercato identico a come l’abbiamo preparato noi. Cambierà veste, forma, conserverà forse alcuni

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1