Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Banksy: Vita, opere e segreti di un artista ribelle
Banksy: Vita, opere e segreti di un artista ribelle
Banksy: Vita, opere e segreti di un artista ribelle
E-book313 pagine3 ore

Banksy: Vita, opere e segreti di un artista ribelle

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Un susseguirsi di colpi di scena, apparizioni misteriose, provocazioni planetarie: questo e molto altro è Banksy, il leggendario writer mascherato. Può capitare che rivendichi la paternità di una sua opera attraverso Instagram (come nel caso di Morning Is Broken), o che un suo disegno battuto all’asta per 1,2 milioni di euro (Girl With Balloon) venga di colpo ridotto in striscioline da un tagliacarte meccanico, per poi essere rivenduto a 18 milioni di sterline (Love Is In The Bin). Un monumento alla caducità? Uno sberleffo al mercato dell’arte e alla mercificazione delle opere? Tutto è possibile quando c’è di mezzo Banksy. Da oltre venticinque anni, l’artista britannico sembra essere dappertutto e da nessuna parte, curarsi di nulla e di nessuno. I suoi provocatori murales, improntati a una corrosiva critica e denuncia sociale, sono apparsi sui muri di tutto il mondo. Ma chi è davvero Banksy, il misterioso e geniale artista senza volto? Marco Trevisan, attraverso le testimonianze di amici, colleghi e persone che sostengono di averlo conosciuto, frequentato o visto all’opera, ricostruisce indizio dopo indizio la vita del più geniale e poliedrico street artist del pianeta, togliendogli finalmente la maschera.
LinguaItaliano
EditoreDiarkos
Data di uscita29 set 2023
ISBN9788836163441
Banksy: Vita, opere e segreti di un artista ribelle

Leggi altro di Marco Trevisan

Correlato a Banksy

Ebook correlati

Arte per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Banksy

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Banksy - Marco Trevisan

    BANKSY_Cover_Ebook.jpg

    Marco Trevisan

    BANKSY

    Vita, opere e segreti di un artista ribelle

    Immagina una città in cui i graffiti non siano illegali, una città in cui tutti possano disegnare dove vogliono. Dove ogni strada è inondata da un milione di colori e piccole frasi. Dove stare alla fermata dell’autobus non è mai noioso. Una città che sembra una festa alla quale sono invitati tutti, non solo gli agenti immobiliari e i baroni della grande impresa. Immagina una città come quella e smettila di appoggiarti al muro: è ancora bagnato.

    Banksy

    Alcune persone diventano dei poliziotti perché vogliono far diventare il mondo un po’ migliore. Altri diventano vandali perché vogliono far diventare il mondo un posto dall’aspetto migliore.

    Banksy

    Ritratto di artista.

    Chi è davvero Banksy?

    Un susseguirsi di colpi di scena, apparizioni misteriose, provocazioni planetarie, creazioni sorprendenti e portentose: questo e molto altro è Banksy, uno degli artisti più geniali della scena contemporanea e, più nello specifico, della street art. Può capitare che egli rivendichi la paternità di un’opera attraverso Instagram mostrandone la foto solo dopo che è stata distrutta, come nel caso di The Morning is Broken (un graffito raffigurante le sagome di un bambino e del suo gatto affacciati a una finestra, comparso all’improvviso sui muri di un’antica fattoria abbandonata nel Kent, Inghilterra). O che un suo disegno intitolato Girl with Balloon, battuto all’asta da Sotheby’s per 1,2 milioni di euro, venga di colpo ridotto in striscioline da un tagliacarte meccanico nascosto all’interno della cornice per poi essere rivenduto a 18 milioni di sterline col titolo Love is in the Bin.

    Un monumento alla caducità? Uno sberleffo al mercato dell’arte e alla mercificazione delle opere? Tutto è possibile quando c’è di mezzo Banksy, artista totale della nostra epoca, innovatore che si è spinto al di là dei canoni e dei confini dell’arte di strada. Banksy sembra essere dappertutto e da nessuna parte, curarsi di nulla e di nessuno, tirando beffardamente dritto per la sua strada. Dopo la strage jihadista del 13 novembre 2015 al Bataclan di Parigi, si commuove a tal punto da realizzare un graffito in onore delle vittime intitolato Ragazza triste, posizionato su una porta di emergenza della martoriata sala da concerti. La porta poco dopo verrà rubata, per poi essere ritrovata in Italia e infine restituita.

    Con le sue opere a sfondo satirico e sovversivo, da oltre venticinque anni Banksy stupisce il mondo, come con i graffiti realizzati sul muro di centinaia di chilometri che separa Israele dalla Cisgiordania, costruzione più volte condannata dalla comunità internazionale e dalla Corte internazionale di giustizia de L’Aja. I suoi provocatori graffiti, improntati a una corrosiva critica e denuncia sociale, sono apparsi nelle strade, sui muri e sui ponti delle maggiori metropoli del mondo (e non solo). Le sue opere vengono vendute lì per lì, sul posto, lasciando agli acquirenti l’incarico di rimuoverle. Oppure compaiono e scompaiono misteriosamente nelle sale d’asta, mentre i canonici collezionisti si contendono opere d’arte più tradizionali a suon di milioni. Ma chi è Banksy, definito da alcuni il Robin Hood della street art, il misterioso e geniale artista britannico senza volto? Chi si nasconde dietro quel nome? Un uomo? Una donna? Un collettivo? Tutto quello che è dato sapere è che è nato a Bristol (nel sud dell’Inghilterra) nel 1974 e che si tratta di uno dei maggiori esponenti della street art del pianeta (per lo più, i suoi sono graffiti eseguiti tramite stencil, ovvero la tecnica che prevede l’utilizzo di una sagoma o mascherina ritagliata su cartoncino sulla quale si spruzza il colore della bomboletta, in modo che quando si solleva il foglio dal muro restino impresse le forme desiderate. A volte la realizzazione di un graffito complesso richiede la sovrapposizione di più stampini. Lo stencil è particolarmente agevole per uno street artist in quanto può essere realizzato rapidamente dopo un’accurata preparazione in studio).

    Da quando Banksy si è fatto un nome con la sua arte di guerriglia a colpi di stencil sui muri di tutto il mondo, le quotazioni delle sue opere sono salite vertiginosamente. Tra i suoi collezionisti si annoverano divi di Hollywood come Brad Pitt, Angelina Jolie, Christina Aguilera e Jude Law. Colpi di teatro come quello di piazzare di nascosto un pupazzo gonfiabile vestito da prigioniero di Guantanamo a Disneyland, in California, o appendere una versione della Gioconda in versione smile al Louvre, hanno contribuito a far crescere la sua fama a dismisura. Ma di certo è stato il fatto di tenere rigorosamente segreta la sua identità, nota solo a una ristretta cerchia di amici, a farlo assurgere al rango di icona pop contemporanea. Innumerevoli leggende circolano sul suo conto, a partire da quella secondo cui dietro il celeberrimo pseudonimo si celerebbe l’identità di tale Robin Banks, macellaio di professione. Nemmeno i suoi genitori, a quanto pare, sarebbero al corrente del fatto che il figlio è Banksy, credendolo invece un semplice decoratore per passione.

    Pare che un giorno Banksy abbia gettato una scatola della pizza in un bidone della spazzatura a Los Angeles. La scatola, recuperata da qualcuno che evidentemente lo teneva d’occhio, è riapparsa poco dopo sul sito di aste eBay. Per invogliare all’acquisto, il venditore non si è fatto scrupolo di affermare che i resti di acciughe rimaste all’interno del cartone avrebbero potuto celare tracce del Dna di Banksy. Perfino quello che è stato per anni il suo agente, Steve Lazarides, dichiara di non essere affatto sicuro della sua identità. E lo stesso dicasi per il suo attuale gallerista di riferimento a Londra, Acoris Andipa.

    Dal momento che l’anonimato è una delle componenti (se non la componente) della sua dimensione di artista, riteniamo non sia affatto secondario per uno studioso (o anche per un semplice appassionato) cercare di saperne di più al riguardo. In questo libro, pertanto, ci sforzeremo di risolvere il mistero di Banksy andando alla scoperta, indizio dopo indizio, come in una vera e propria detective story, dell’identità e degli snodi artistici di uno dei più geniali e poliedrici artisti del mondo, svelando segreti e aspetti finora inediti della sua produzione e della sua vita, anche attraverso le testimonianze di amici e persone che sostengono di averlo conosciuto, frequentato o visto all’opera. Oppure collegando le sue tracce e i suoi spostamenti con quelli di artisti e personaggi della scena culturale ai quali è stato più volte – e da più parti – accostato. In verità, circa la sua identità si sono fatti molti nomi, ma finora nessuna delle ipotesi avanzate è stata confermata in via definitiva, malgrado l’accumularsi di prove quasi schiaccianti.

    Racconteremo la sua storia anche e soprattutto attraverso le opere e le memorabili trovate, le messe in scena, le rappresentazioni, le mostre, le esibizioni, le provocazioni planetarie, raccontando la sua incredibile parabola anno per anno, osservandola da tutte le angolazioni possibili, alla ricerca del significato profondo della sua arte, che – come detto – si inserisce all’interno di un cammino a lungo ignorato dagli storici, ma che oggi sta vivendo un momento di grande attenzione e rivalutazione. Nel tempo la street art, da povera e perfino fastidiosa, è diventata un’arte alla moda, molto richiesta e apprezzata, perfino battuta alle aste a suon di milioni. Il termine street art in verità abbraccia molti generi, tecniche e artisti, tra cui anche Banksy e i suoi stencil, comprendendo inoltre gli adesivi, la vernice delle bombolette spray, i poster, le scatole di legno, il cartoncino, le xilografie e i disegni sui marciapiedi, i mosaici e perfino i lavori a maglia e uncinetto. Si tratta, in fondo, di una produzione che si inserisce nella tradizione dell’arte popolare e che, come tale, si serve anche di spazi pubblici quali muri, ponti, spiagge e musei, appropriandosene il più delle volte illegalmente.

    Pur essendo ancora considerata da alcuni specialisti una subcultura, in realtà l’arte di strada si pone spesso in sintonia con la sensibilità contemporanea molto più di quanto non riesca alla cosiddetta arte colta. Quanto agli street artist, spesso si tratta di ragazzi che si mettono in gioco rischiando l’arresto e non solo. Alcuni lavorano senza protezioni, mentre altri, più avveduti, realizzano i loro graffiti indossando mascherine e occhiali protettivi che servono per ripararsi dai fumi della vernice. C’è una frase di David Samuel, un graffitista meno celebre di Banksy ma non per questo meno apprezzabile, che illustra con lucidità e profondità il fenomeno:

    Quello che mi piace dei graffiti è il senso identitario che trasmettono. Tutti sembrano provenire dallo stesso ambiente, quasi appartenessero a un’unica comunità ed esprimessero un’entità a sé. Quando incontro uno di questi straordinari artisti gli faccio tanto di cappello. Di rado tra loro c’è l’ambizione di fare carriera. In fondo si tratta solo di stencil, di adesivi e colore spruzzato su un muro con la bomboletta, di immagini diffuse su internet. Gli street artist escono nel cuore della notte e lo fanno per loro stessi, andando nei luoghi più rischiosi per amore della pittura, non per mestiere o per fare soldi.

    Tutto vero. Ma torniamo alla domanda iniziale, quella che molti (ma non tutti) si pongono: chi è veramente Banksy?

    Nel tentativo di svelarne l’identità ci sforzeremo di non fare torto a nessuno. Il particolare dell’anonimato è tra i caratteri fondanti della sua fama e del suo essere artista e c’è chi teme che rivelandone l’identità qualcosa possa andare perduto per sempre, come se una sorta di purezza e innocenza aurorali corressero il rischio di corrompersi irrimediabilmente. «Perché volete scoprire la sua identità a tutti i costi?» ha scritto una volta un suo fan a un giornale che si era messo sulle tracce di Banksy, deciso a venire a capo di quel mistero. «Sul serio, non capisco. Perché volete rovinare qualcosa di veramente speciale?» E un altro: «Mettetevelo in testa, alla maggior parte delle persone non interessa sapere chi è Banksy. Ci piace il fatto che sia anonimo almeno quanto piace a lui. Lasciatelo in pace e lasciate in pace la sua famiglia!»

    Pur rispettando quei sentimenti e senza alcuna ossessione al riguardo, riteniamo però che la questione meriti di essere approfondita, nei limiti di una ricerca animata da sincera curiosità umana e artistica. Di certo – come detto in precedenza – si sa che è nato a Bristol nel 1974, per sua stessa ammissione; senza contare che la sua arte ha preso a diffondersi proprio in quella città, con la quale Banksy ha sempre conservato un rapporto privilegiato e affettivo.

    Sappiamo anche che ha iniziato la sua carriera artistica nel quartiere di Barton Hill, una zona che negli anni Ottanta era diventata il luogo di ritrovo privilegiato dei maggiori street artist della città. In quegli anni Barton Hill era in verità un quartiere piuttosto malfamato: forse proprio per questo motivo i graffitari lo frequentavano. Tuttavia Banksy pare provenire da una zona della città molto più elevata socialmente, tanto è vero che la prima volta in cui ha messo piede a Barton Hill si è sentito in soggezione, quasi impaurito:

    Da bambino mio padre era stato pestato di brutto a Barton Hill. Gli avevano anche rubato i pantaloni, perciò mi aveva messo addosso una paura della madonna parlandomi di quel posto. Quando finalmente ho preso coraggio e sono andato lì a fare un giro, ero talmente terrorizzato che mi ricordo di aver scelto, per l’occasione, i pantaloni migliori che avevo, per ogni evenienza.

    Ricorda Inkie, al secolo Tom Bingle, un altro grande graffitista amico di Banksy: «Quando ci sono entrato per la prima volta sono rimasto a bocca spalancata. C’erano graffiti da tutte le parti, gente che ne parlava, gente che ne faceva degli altri, e lì vicino le rotaie del treno: era tutto perfetto per chi come me sognava di darsi da fare con le bombolette».

    Da lì sono passati graffitisti, writer, stencil artist e aerosol artist del calibro di 3D, FLX, Cheo, Jody, Z-Boys, John Nation, Mr Jago, Sikboy, Xens, Turo, SP27, Soker, Chaos, Shab, Nick Walker. Ecco perché Banksy, a un certo punto, ha sentito il bisogno di venire a cimentarsi in questo caratteristico quartiere, attratto dall’aria di creatività che impregna i suoi muri.

    La cosa – naturalmente – era nota anche alle autorità: una notte del marzo 1989 la polizia fece una retata arrestando settantadue artisti che operavano nel quartiere e non solo. Se dovesse essere utile ricordarlo, fare graffiti sui muri degli edifici – pubblici o privati che siano – è illegale, a meno che non sia stata concessa una preventiva autorizzazione. E così quei ragazzi vennero tutti condannati al pagamento di una salata multa.

    C’è anche chi sostiene che Banksy sia «uno che viene dalla classe operaia», ma nutriamo seri dubbi al riguardo. Si tratta di una voce diffusa per accreditare l’immagine di Banksy come uomo del popolo. E del resto chi lo conosce bene ha provveduto a smentire categoricamente quella diceria:

    L’immagine di adorabile pirata che si è costruito è, per l’appunto, soltanto un’immagine. Ha frequentato scuole private di un certo livello ed è un tipo estremamente intelligente e istruito. L’idea che venga dalla classe operaia non è altro che una delle solite fesserie che si raccontano su di lui. Non giudico nessuno in base alla sua estrazione sociale, ma certo uno che va alla Bristol Cathedral School non è uno che viene dalla classe operaia.

    È ciò che riferisce Will Ellsworth-Jones nel suo Banksy. L’uomo oltre il muro, riportando le parole di un graffitista che lo ha conosciuto ma che desidera restare anonimo:

    Penso che voglia apparire come uno molto più alla mano di quanto non sia in realtà. La cultura di strada con cui bisogna avere a che fare se ti dedichi al graffitismo ti costringe a usare delle accortezze, a prendere delle precauzioni: non puoi certo presentarti come un intellettuale raffinato e snob, ti renderebbero la vita difficile. Un sacco di posti in cui Banksy ha realizzato i suoi graffiti non sono certo tra i più raccomandabili, e non è che vieni accolto nel migliore dei modi semplicemente esibendo un simpatico sorriso. È chiaro che Banksy ha due facce, e credo che una delle due, quella di chi è andato in una delle scuole bene di Bristol, l’abbia un po’ tenuta nascosta, per evitare guai. Credo che indagando un po’ più a fondo scoprirete che ha romanzato parecchio la sua storia. A leggerla come la racconta lui suona bene, ma si è costruito abilmente una specie di leggenda, una storia che funziona alla grande, tutto qua; ovviamente non gliene si può fare una colpa.

    Banksy avrebbe dunque frequentato la Bristol Cathedral School, all’epoca della sua adolescenza una costosa scuola privata della middle-upper class: a testimoniarlo circola da tempo una foto che lo ritrae con una massa voluminosa di capelli ricci su un volto magro. «Tutti avevamo la passione dei graffiti a scuola e ne facevamo un sacco sull’autobus che ci portava a casa», ha confessato Banksy alla rivista «Swindle», amando presentarsi nei panni dell’adolescente trasgressivo e ribelle. Di solito rilascia interviste per email o per telefono, mai in presenza. Non è difficile immaginare il motivo. Dei tempi della scuola ha un ricordo amaro: «Quando avevo nove anni mi hanno espulso da scuola, come punizione per aver sollevato di peso un mio compagno e averlo fatto roteare come una trottola, fino a provocargli forti vertigini, prima di lasciarlo cadere sul selciato».

    Il ragazzo in questione venne ricoverato all’ospedale con il cranio fratturato. La verità, però, è che non era stato Banksy a fargli del male:

    Il giorno dopo mi convocarono davanti all’intera scuola riunita in assemblea: il preside tenne il suo bel discorsetto su come si sta al mondo e alla fine fui sospeso e rispedito a casa con disonore. La parte peggiore della storia è che quel ragazzino io non lo avevo manco toccato. Era stato il mio migliore amico di allora a provocare l’incidente. E poi, quando aveva saputo delle condizioni del ragazzo, si era preso paura e aveva costretto alcuni studenti che avevano assistito alla scena a testimoniare il falso, sotto minaccia. Provai varie volte a spiegare che non ero stato io, ma nessuno mi credette. Alla fine mia madre mi fissò e disse con amarezza che avrei almeno dovuto avere il fegato di ammettere il mio torto e che il fatto che mi ostinassi a negarlo rendeva la cosa ancora più riprovevole. Be’, dopo aver udito quelle parole, con quel tono di rimprovero, me ne sono stato zitto, avendo capito che la giustizia non esiste e che non ha senso comportarsi bene.

    Sui giornali è circolata per diverso tempo anche quella che da molti è ritenuta una sua foto autentica da bambino. E poi un’altra dei tempi del college. Perfino quella della sua presunta moglie. E una foto del suo supposto certificato di nascita.

    Nel 2008, il «Mail on Sunday» ha pubblicato un lungo articolo su di lui, mettendo insieme tutte quelle informazioni e immagini nel tentativo di ricostruire la sua storia personale e famigliare. Stando al materiale raccolto nel corso di quella approfondita ricerca, Banksy sarebbe cresciuto in un quartiere pieno di verde nella periferia di Bristol. Non una zona alla moda, però di tutt’altro livello rispetto a Barton Hill. Sappiamo per certo che si è avvicinato all’arte fin da piccolo e che a quattordici anni già dipingeva, anche se in famiglia l’attività artistica non era ben vista: «Non vengo da una famiglia con una predisposizione per l’arte» ha dichiarato lui stesso, pur ammettendo che tra i suoi compagni spiccava per capacità artistiche. Però con gli insegnanti non andava d’accordo, e anche nelle materie artistiche raggiungeva la sufficienza a stento: «E per di più avevo scoperto la cannabis, cosa che mi rendeva malvisto dagli insegnanti».

    Terminate le scuole, Banksy avrebbe lavorato per qualche tempo come apprendista nel negozio di un macellaio, finendo per appassionarsi alla politica (le due cose non sono necessariamente collegate). Erano anni, quelli della sua giovinezza, di violente proteste e di disordini. Ci si batteva contro le ingiustizie sociali, le leggi che favorivano i ricchi. La polizia usava le maniere forti contro i manifestanti. «Il mio vecchio mi aveva portato a dare un’occhiata a quello che restava della Lloyds Bank dopo le rivolte e le devastazioni di St Pauls del 1980» ricorda Banksy. «È incredibile constatare come sia facile piegare la gente all’obbedienza, e come quello che hai disfatto possa essere rifatto in poco tempo. Era una strada senza sbocco, quella».

    E così, constatata l’inutilità di certe forme di protesta violente, Banksy si decise a prendere in mano una bomboletta spray, innamorandosi dell’arte dei graffiti. E quale miglior posto, a quel tempo, per intraprendere quella strada se non Barton Hill? Prese perciò a frequentare quel quartiere e a dipingere sui muri. Eppure, già allora era tutto fuorché lo street artist tipico, stereotipato in un look composto da felpe col cappuccio, jeans, sneaker, modi aggressivi ed espressioni colorite e volgari.

    «Mi ricordo quando è arrivato» ha dichiarato nel corso di un’intervista John Nation, che lavorava al Barton Hill Youth Club (la scritta però venne presto modificata con le bombolette in Barton Hill Yob Centre, ossia Centro criminale di Barton Hill), il centro sociale che attirava in quel quartiere tutti gli street artist della città. «Era tra i più giovani e faceva le sue scritte insieme agli altri, senza sgomitare. C’erano sempre dei ragazzi che se ne stavano in disparte e non si facevano tanto notare. Lui era uno di quelli».

    Qualcuno ricorda come in un

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1