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InCornice 2: Cronache di sessant’anni d’Arte  e d’altre cose a Lucca con dizionario degli artisti
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E-book691 pagine10 ore

InCornice 2: Cronache di sessant’anni d’Arte e d’altre cose a Lucca con dizionario degli artisti

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Info su questo ebook

Lucca non vanta una grande tradizione artistica. Intendo artistica come pittorica e scultorea. Non ha avuto nobili nomi come non ha, se si esclude Ilaria, grandi opere da ammirare. Ma ha vantato una miriade di artisti di buon livello che l'hanno arricchita nel centro storico ma anche nelle pievi di campagna. L'era moderna ha seguito pedissequamente i secoli antecedenti: ha generato molti pittori e scultori che si sono distinti soprattutto per la tecnica sopraffina, anche se non hanno brillato di modernità. Sono stati sempre, o quasi, epigoni di correnti e stili diversi. Questo libro affronta gli avvenimenti degli ultimi sessant'anni, ricordando in maniera meticolosa tutte le manifestazioni e mostre che si sono svolte in questo periodo, i cenni critici e la vita artistica che ha preso corpo in Lucca. Sessanta anni sono tanti e in questo lasso di tempo si sono dipanate tante storie soprattutto di pittori che hanno più o meno brillato nel firmamento dell'arte lucchese.
LinguaItaliano
Data di uscita8 lug 2022
ISBN9788832281330
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    Anteprima del libro

    InCornice 2 - Mario Rocchi

    Copyright

    © Argot edizioni

    Lucca, luglio 2022

    ISBN 978 88 32281 33 0

    www.tralerighelibri.it

    dedica

    A Mario Cappetta

    Prefazione

    Attento cronista e critico delle vicende artistiche locali dagli anni Cinquanta ad oggi, Mario Rocchi affronta il rischio di un resoconto globale in questo libro che è anche il consuntivo del suo lavoro di giornalista, E lo fa spassionatamente, quasi con naturalezza, qualche volta con puntigliosità. Il risultato è di condensare quattro decenni in oltre duecento pagine, fitte di nomi, di inaugurazioni di mostre, di piccoli e grandi avvenimenti; riempite con apparente disordine ed invece saldamente costruite con un ritmo serrato, incalzante, da nuda cronaca.

    Non sono stati anni tutti uguali. La loro ricognizione è interessante proprio per questo, per scavare atteggiamenti diversi, energie, anticipazioni che poi si sono consolidate e affermate. Ed allora la documentazione - o soltanto la puntuale, verificata elencazione dei fatti - acquista un’importanza che è preliminare ad ogni prossimo e futuro assetto della materia.

    Le vicende lucchesi sembrano scorrervi dentro pigramente, ripetersi di anno in anno con alcuni previsti cambiamenti, mentre gli eventi mondiali incalzano e danno il segno del tempo. Ma non è sempre stato così. Una notevole vivacità denotano gli anni Sessanta, che sono gli anni del rinnovamento, del ricambio generazionale. Si viveva un clima diverso, denso di iniziative, di mostre, di premi in cui circolava anche una certa qualità. Nasce l’Associazione Lucchese Arti Figurative e la rivista La provincia di Lucca dedica ampi servizi al contemporaneo, i grandi accadimenti dell’arte internazionale sono ancora nell’ultima fase della loro evoluzione: nel giugno del 1964 - esattamente venti anni dopo lo sbarco alleato in Normandia - l’avanguardia storica statunitense, formata tutta di giovani nati intorno al ’30, Jasper Johns, Claes Oldemburg, R. Rauschenberg, scendeva in Europa, a Venezia. Il contraccolpo nella nostra città fu immediato perché l’ambiente era preparato. Così le pagine del Rocchi ci aiutano a ritrovare nella memoria riferimenti, nomi, episodi. L’interesse al nuovo finì per essere un atteggiamento comune a un certo gruppo di artisti lucchesi, altri proprio in questo periodo faranno le loro scelte in termini di autonomia culturale o prenderanno direzioni diverse, magari a ritroso. Però tutto avviene in un contesto dove l’informazione è aperta. L’attività delle gallerie è in crescita ed è senza dubbio il miglior termometro della situazione. Si veniva volentieri ad esporre a Lucca che appare attiva e di buon livello rispetto a città come Pisa e Livorno. Lo stesso Istituto d’Arte, per lustri centro dell’onestà professionale dei suoi docenti, assume una funzione di stimolo e di aggiornamento verso le ricerche allora molto attuali della nuova figurazione; ma è proprio la scuola che nel 1964 si lascia sfuggire l’occasione di assegnare il Premio G. Cristiani all’ex allievo Sandro Mattini (oggi tra i protagonisti dell’arte mondiale) che aveva in mostra tre bellissime opere. E fu un errore di coscienza e di mancanza di coraggio.

    Mi limito a queste citazioni, datate, per sondare la risonanza e le capacità di risposte di un materiale vastissimo accumulatosi nel tempo in questo contenitore di dati e anche di opinioni personali (il Rocchi nei nuovi panni di giornalista-autore non rinuncia ad esporsi in prima persona, ad anticipare i suoi giudizi) mentre la rapida consultazione delle pagine mi permette di ricucire sensazioni, ricordi, testimonianze, tante discussioni; ed apre spiragli nel recente passato che prima o poi dovranno essere percorsi e indagati criticamente. Almeno nell’interesse dei pochi artisti validi e di lilla cronaca che ambisce a consolidarsi, nei limiti, in una vicenda storica.

    In questa prospettiva dovrebbe porsi anche lo scopo finale del libro, veramente singolare per impegno, per quantità di notizie e per un continuo dialogo con la cronaca.

    Ernesto Borelli

    Prefazione alla seconda edizione

    Una ragione che mi ha spinto ad aggiornare lo scritto che Mario Rocchi fece vent’anni fa e che ragguagliava l’intenditore come il profano su quaranta anni di vita artistica lucchese, è stato il fatto che il Rocchi ha continuato a fare, con la spigliatezza che non gli si può negare, il critico d’arte e in particolare lo studioso della pittura lucchese seguendola meticolosamente senza peli sulla lingua. Il primo volume, da tempo esaurito, ebbe un notevole successo costituendo anche materiale di tesi universitarie per il periodo che esaminava, così vario e interessante. Dopo l’entusiasmo del dopoguerra fino agli anni ’70, con il fervore delle nuove visioni dopo gli anni bui, i due decenni che seguirono videro depauperare la schiera dei pittori e l’interesse per la pittura e la scultura. Praticamente non esistevano, e non esistono più, gallerie e le apparizioni personali sono lasciate alle fiere d’arte che pullulano, ma sempre lontano da Lucca. Solo, per così dire, i migliori, avevano spazi pubblici privilegiati. Gli altri o sparivano, o si adattavano a esporre in caffè, ristoranti, club, negozi eccetera. Cosa triste. E così è tutt’oggi. Però il nostro critico nota che sta nascendo un’altro tipo di fervore che è oltremodo benefico: quello dell’interesse per l’arte moderna e contemporanea. Tutto per merito di mecenati, è proprio il caso di dire così, o di mercanti avveduti di cui si parla ampiamente nel libro. Anche se gli artisti lucchesi hanno meno spazio, questo si dà alle manifestazioni dei nostri giorni e Lucca, tutto sommato, ci guadagna senz’altro inserendosi così dopo tanto tempo nel circuito nazionale di arte moderna. Insomma sulla scia degli anni poco prolifici, si arriva a una svolta positiva di cui la nostra città deve fare tesoro. Di tutto questo ci parla Mario Rocchi in un così lungo aggiornamento che dimostra ancora una volta quanto sensibile e accorta sia la sua visione dell’'arte a Lucca, di cui senz'altro è la memoria storica, l’unico cronista-critico in grado di scandagliarla per farla conoscere a tutti i lucchesi di buona volontà.

    Andrea Giannasi

    GLI ANNI BUI

    C’è sempre una certa titubanza nell’affrontare la critica ad una mostra, specie se si è ancora ragazzetti e di esperienza giornalistica ce n’è poca e per di più limitata a qualche articolo di colore. Cosi l’impatto con un pittore era una sorta di chiusura a riccio, anche se, in effetti, non era un impatto con il pittore come persona, ma con le sue opere esposte in una personale. Anche quella volta non ebbi il coraggio di presentarmi insomma a quell’uomo dall’aspetto austero e dignitoso che soprattutto gli veniva conferito dalla barba ben curata, un pittore che in fondo aveva desiderato la mia recensione. Era Alfredo Meschi. Fu Dino Grilli, redattore del quotidiano Il Tirreno a Lucca, che mi chiese di fare l’articolo della mostra che si svolgeva alla Galleria Ilaria, in via del Sasso, dietro l’istituto d’arte Passaglia. Me lo chiese perche il pittore stesso, che aveva letto una mia critica precedente, aveva espresso il desiderio di avere la recensione dallo stesso cronista. Dino Grilli era un capo redattore che sapeva il fatto suo, un giornalista che cercava di essere sempre attento a tutto quello che accadeva in città. Non poteva trascurare quindi il desiderio di un pittore. Io accettai ben volentieri perché la pittura era il mio secondo amore. Il primo fu ed è rimasto, il cinema. Ma se con questa arte mi avvicinavo di più al mondo e alla vita del tempo, con la pittura sicuramente facevo qualche passo indietro nel senso dell’attualità, della puntualità, dell’attenzione al mondo che ci circondava, ma al tempo stesso mi arricchivo spiritualmente per le finezze estetiche proprie della pittura che sono irraggiungibili da un’arte di movimento come il cinema. Entrai nella galleria: pur conoscendo di fama il pittore, non ne ricordavo esattamente certe particolarità che invece mi saltarono subito agli occhi. Una soprattutto: la luce. Con i pastelli Alfredo Meschi riusciva a ricreare atmosfere calde e serene, quelle appunto che venivano fuori dal ritrarre angoli più o meno sconosciuti della città, boschi della campagna, pioppete del Serchio avvolte dalla bruma. Ma nelle vedute spesso una luce falciava l’aria dall’alto, una luce gialla di sole. Questa vitale e abbagliante luminescenza, la usava in particolare per via del Fosso, che, proprio in quella mostra, era assai rappresentata. Forse perche l’acqua del fosso stesso dava riflessi piacevoli ma più probabilmente perche era l’unica strada pittoresca che non fosse incuneata fra case, ma che avesse aria, il Meschi vi faceva balenare la sua luce di sole e la vecchia strada, con questa illuminazione, assumeva un’atmosfera calda e umana. Era il pittore di Lucca per antonomasia, e tale è rimasto.

    Non era passato molto tempo, giusto quello di stilare qualche altro articoletto di colore, dalla prima recensione, quella che aveva determinato il mio inserimento nella cronaca d’arte. Articoli di colore, quelli che andavano di moda. Se leggete infatti la cronaca lucchese di quel tempo è raro trovare scritti d’impianto politico, ed anche quelli di cronaca nera avevano un risalto relativo. Era un bene, un male? Forse tutti e due. Un bene perche mancava quella speculazione giornalistica che gonfiava i fatti sino a falsificarli, come avviene spesso oggi, ed un male perche la cronaca era asettica, mancava cioè di quel corroborante politico che non poteva venir fuori con una piattezza amministrativa determinata dalla maggioranza assoluta che la Democrazia Cristiana aveva in Comune (il 61%). Dunque qualche articolo di colore e poi Dino Grilli, come ho già detto, che mi chiede di fare la recensione su richiesta del pittore. Una richiesta che in un certo senso mi lusingò e fu forse quella circostanza a spingermi a continuare gli studi sulla pittura e comunque a coltivare l’interesse per quella forma d’arte verso cui avevo un’indubbia propensione.

    Chi esponeva comunque alla Galleria Ilaria quella prima volta? Un altro pittore lucchese (o meglio adottivo lucchese) che, come Meschi, era prevalentemente vedutista. Ma la sua pittura era completamente diversa sia come tecnica, come impostazione, che come cromatismo. La tecnica infatti era quella dell’olio, l’impostazione quella di un impressionismo decantato e filtrato, il cromatismo tenue e delicato, che non conosceva i colori forti. Innamorato di Lucca e della sua pace, Niccolò Codino, perche questi era il pittore, trasponeva nei suoi quadri sensazioni di tranquillità e di abbandono raggiungendo spesso momenti lirici. Capitai in galleria, scrutai il pittore che conversava con cadenze per niente toscane con alcuni amici, non mi feci avanti naturalmente, non mi presentai e Codino nemmeno mi guardò considerandomi uno dei tanti allievi dell’Istituto d’Arte che venivano a visitare la mostra. Buon per me perche il fondo di timidezza era presente più che mai e la sua conoscenza mi avrebbe imbarazzato. Così tranquillamente mi soffermai quadro per quadro (erano una quarantina), eppoi via in redazione a scrivere la recensione che, come ho detto, piacque. Ma anche il successivo scritto su Meschi piacque al pittore interessato, tanto che dentro di me sorse un dubbio legittimo. La cosa cioè mi mise in crisi. Pensai: e se quella pittura non mi fosse piaciuta? Se avessi scritto male del pittore, cosa sarebbe successo? Poteva pure accadere! Come avrebbe reagito il pittore? E il redattore capo? Si sa che i giornali cercano al massimo di non scontentare i propri lettori e possibilmente di crearne di nuovi. Un pittore che avesse avuto una recensione negativa sicuramente non avrebbe avuto più simpatia per il giornale che l’aveva pubblicata, nel qual caso del Tirreno, e probabilmente non l’avrebbe più comprato. Ma allora dove va a finire, pensavo, la libertà di stampa e di opinione? Cosa dovevano dire i produttori, i registi, gli attori del cinema per le abbondanti critiche negative che piovevano dai giornali specializzati?

    Nel nostro girovagare notturno lungo le umide stradette di Lucca, si ragionava fra amici di tante cose, forse di troppe. Capitò perfino di chiacchierare attorno a questa ipotesi, cioè sulla possibilità di dire pane al pane e vino al vino anche nel campo della cronaca d’arte. Avevo un amico di cui mi fidavo molto, sia per la sua onestà, sia per la sua perspicacia, per la sua intelligenza, per la sua cultura, per la capacità che aveva di spiazzarci tutti anticipandoci in ogni campo. Era Mario Cappetta, figlio del direttore delle carceri di Lucca, liceale al torchio di Caccavelli. La sua idea mi entusiasmava e nella stesso tempo mi impauriva. Perché mai, diceva, dovresti dire bene di tutti i pittori che si presentano? Forse fare una personale dà il patentino di artista indiscusso? Ci sono tanti pittori e pittorucoli, specie nella nostra Lucca attaccata alla tradizione, che sono da gettare, senza tecnica ed espressività, senza nemmeno l’idea di qualcosa di nuovo, quello che invece cominciava a farsi avanti in tutto il mondo. Cosa accadeva in quei tempi (si tratta degli inizi del ’52) nel mondo? Eisenhower si accingeva a diventare Presidente degli Stati Uniti e la tensione della guerra fredda aumentava, Elisabetta II d’Inghilterra veniva eletta Regina, Di Vittorio, uno dei pochi sindacalisti degni di questo nome, mobilitava le piazze contro l’ingiustizia sociale. Insomma qualcosa succedeva, eccome! Ma nell’arte? Beh, dal dopoguerra una grande voglia di nuovo, una grande voglia di dire qualcosa di nuovo c’era in tutti i settori delle arti. L’astrattismo, nato nei primi del ’900, prendeva forza in America ed in Europa proprio nel dopoguerra grazie a questa esigenza di rinnovamento, di liberazione dagli schemi sorpassati.

    E a Lucca? "Serena dormi nel notturno oblio, Lucca, il tuo sonno antico, cullato dall’amico stormir delle tue fronde. No, non destarti o cara, che bello è il tuo silenzio in quest’epoca amara". Così diceva una deliziosa poesia di un lucchese, un certo Sandro Maffei, poeta dilettante che fu recitata da Nunzio Filogamo durante una trasmissione radio. Ma poteva stare tranquillo il poeta, Lucca non si destava dal suo sonno. La squadra di calcio si apprestava a concludere ingloriosamente la sua permanenza in serie A, al Gruppo Serra si facevano conferenze interessanti ma barbose, si poteva assistere a qualche comizio come quello di Pacciardi che commemorò al Giglio l’anniversario della Repubblica Romana (atto di laicismo impensabile per una Lucca bigotta!), c’era Memo Benassi al Teatro, e Film and reality di Cavalcanti al Circolo del Cinema, l’unico elemento innovatore per Lucca, qualcosa che per lo meno seguiva i tempi, che andava al di la della tradizione per studiare e proporre un’arte nuova. II simbolo del Cineclub, che era un gufo, fu disegnato, fra l’altro, dal pittore lucchese Giuseppe Ardinghi. Del consiglio direttivo del circolo in cui ero inserito e che fu presieduto per decine di anni dal preparatissimo e ineguagliabile professor Carlo Barsotti, fece anche parte, per un po’ di tempo, Antonio Possenti. Era lui che, per propagandare le proiezioni settimanali, disegnava ogni volta tre piccoli manifesti che io stesso portavo, perche fossero appesi in vetrina, all’ufficio E.P.T. e alla Cartoleria Croccolo, che si trovavano in Via Nazionale, nonché alla Cartoleria Celandroni che era in via Roma. Mi preoccupavo poi io stesso, che credevo anche a quel tempo, quando il pittore era pressoché sconosciuto, alle capacità espressive del Possenti, di andarli a ritirare i giorni successivi alle proiezioni e portarmeli a casa. A volte purtroppo, specie se ritardavo, andavano a finire nella carta straccia. Ma ne ho ancora una buona quantità come testimonianza degli inizi di un pittore che doveva fare molta strada. Non c’era insomma grande fervore artistico dentro le mura. L’unica galleria che funzionava era giusto 1’Ilaria, che propose qualche altra mostra di vario interesse. Una di Giorgio Juon e Carlo Granaiola ad esempio, eppoi una di Adelaide Giannini, pittrice che doveva per anni rimanere attiva sulla scena lucchese, accoppiata spesso a Rita Marsili, quest’ultima anche scultrice, che presentò una cinquantina di opere sempre nella stessa Galleria Ilaria in una personale che riscosse buon successo. Se nella pittura la Marsili seguiva le linee della tradizione, nella scultura, pur calcando la classicità, dimostrava una sua personalità più schietta, quella che doveva venire fuori poi nelle famose e simpatiche caricature.

    E se la vita mondana impazzava con il Veglionissimo della Stampa, momento clou del carnevale lucchese, e quella sportiva con il Campionato Italiano di Boxe vinto dal lucchese Ivano Fontana, la vita culturale si barcamenava fra i concerti della Pro Cultura Musicale, le proiezioni del Circolo del Cinema, lo spettacolo di rivista di Macario al Giglio, il Rigoletto al Moderno e le mostre di pittura della Galleria Ilaria che propose, dopo una collettiva che annoverava fra l’altro nomi come Beconi, Meschi, Codino, Palagi, Sella e Daniele (quest’ultimo scomparso da poco), una personale di Raffaele Isola. Pittore del gruppo lucchese, se così possiamo chiamare quei quattro o cinque artisti uniti non solo da amicizia ma anche da intenti comuni, l’Isola dimostra grande qualità espressiva che lo avvicina, per plasticità della materia cromatica e per impianto compositivo, ai maestri del ’900. Sarà una delle ultime mostre del pittore, scomparso anche lui prematuramente.

    E del mio desiderio di dire pane al pane e vino al vino? Non è ancora giunto il momento. La vita artistica è ancora cosi povera che è già molto se una volta ogni tanto è possibile visitare una mostra; eppoi in genere gli artisti che espongono sono tutti rispettabili. E mentre Leonardo Cortese inizia a girare a Lucca 519 Codice Penale. Violenza Carnale, il film che desterà tante polemiche, viene inaugurato nella Cappella del IX Reggimento di Artiglieria nella caserma di San Romano un grande quadro di Niccolò Codino dedicato a Santa Barbara, patrona dell’Arma. Altre affermazioni sono quelle del pittore Luca Arrighini e della scultrice Rita Marsili che vincono il Premio Settembre Lucchese inserito nella Giornata dell’Artista Toscano alla Mostra dell’Artigianato di Lucca. E se Primo Conti vince il Premio Fiorino d’Oro a Firenze, confermando che anche nella capitale toscana la tradizione è sempre forte, la Galleria Ilaria riprende I’attività dopo la pausa estiva con una personale di un pittore versiliese abbastanza giovane: Fausto Maria Liberatore. Nelle venti opere che presenta, il futuro deputato del P.C.I., mostra già una forza espressiva notevole ed una certa singolarità.

    Poco dopo viene inaugurata a Lucca la Pinacoteca Nazionale, ripristinata e arricchita. Erano anni che si attendeva questo avvenimento ed anche se il museo non è ricco di opere notevoli (oggi tutte a Palazzo Mansi) è pur sempre un’acquisizione non da poco per il patrimonio artistico di Lucca. E mentre tutto il mondo piange la morte di Benedetto Croce, viene inaugurata la statua in bronzo di San Frediano di Mario Carlesi posta, in occasione della festa centenaria, presso il fornice est di Piazza dell’Anfiteatro. Poi un fatto singolare per Lucca: si parla di astrattismo. Lo fa nella Saletta Pult per il convegno settimanale dell’Associazione Incontri Culturali, il professor Mario Nardi, pittore di valore e di assoluta serietà. Ricordo di aver assistito a questa conferenza con vera apprensione. Ero affamato di novità e desideravo solo che cambiasse qualcosa, anche nel campo della pittura. II Nardi espose piacevolmente il tema che era L’astrattismo delle arti figurative dando poi il via al dibattito che fu assai acceso. Ci furono molti detrattori, ma anche qualche sostenitore. Si parlò di liberazione dalla rappresentazione, di autentico mezzo di espressione artistica. Per me fu una sorpresa e un avvenimento. Era il 16 dicembre del 1952. Una svolta? No, non ci fu nessuna svolta e bisognerà attendere non poco per trovare qualche fermento innovativo.

    La cronaca artistica è povera di avvenimenti. Magari è interessante vedere come certi pittori di oggi facevano timidamente capolino in quel tempo. Pier Luigi Romani e Carlo Antonio Luporini, ad esempio, allievi del corso di pittura murale al Passaglia, che rientrarono nella stretta rosa dei tre prescelti per i bozzetti dei manifesti per le onoranze di Santa Gemma Galgani, o lo stesso Ciro Genovesi, pittore autodidatta, che dipinse un grande quadro di Santa Gemma, acquistato dagli operai della Cucirini Cantoni e offerto al Santuario. Ed è con un certo struggimento che mi vien fatto di ricordare Ciro. Perché per Lucca fu qualcosa a parte. Fu insomma un personaggio umano ed a suo modo anche artistico. Circondato dall’amicizia dei pittori lucchesi, amicizia a volte sincera, a volte di compagnia, aveva in mente una cosa sola: dipingere. Ed in fondo ci riuscì, riuscì insomma a vivere del proprio mestiere, riuscì ad abbandonare il precedente che era quello di barbiere, ebbe, al momento opportuno, anche una certa evoluzione moderna che non gli fece male. Anche lui è scomparso troppo presto. Ma ne riparleremo più avanti.

    E se le cronache nazionali sono ricche di grandi avvenimenti come l’elezione di Eisenhower alla Presidenza degli USA, o addirittura la morte di Stalin, o l’approvazione in Italia della Legge Maggioritaria (la cosiddetta Legge truffa), a Lucca fra la citazione della Lollobrigida per mancato pagamento di radiografie al gabinetto Sargenti e Simonetti, la protesta dell’E.P.T. che pretende da Leonardo Cortese la cancellazione dei riferimenti a Lucca nel film girato nella nostra città, la prosa al Moderno con Tognazzi in Ciao Fantasma, via via sbuca anche qualche notizia d’arte come il completamento del trittico di Niccolò Codino dedicato a Santa Barbara e che appunto viene completato con altri due dipinti, Santa Caterina e San Francesco, oppure le disquisizioni intorno alla nuova vetrata in San Martino raffigurante Santa Zita, dipinta da Giuseppe Ardinghi, o la collettiva al Teatro del Giglio con pittori e scultori già rodati come Ezio Ricci, Francesco Petroni, Renato Avanzinelli, Antonio Rossi, Gaetano Scapecchi, Mario Carlesi, Giuseppe Ardinghi, Niccolò Codino, il conte Amedeo Cenami, eppoi Pietro Nerici, Bartolomeo Butori, Rita Marsili, Adelaide Giannini, il giovane Guglielmo Malato ed un giovanissimo Tista Meschi. Il carnevale era trascorso da un po’ ed il ricordo del passo delle maschere era ormai svanito. Si trattava dell’avvenimento del penultimo giorno di carnevale che coinvolgeva tutta la città. Dato che le maschere avrebbero avuto in quel giorno libero ingresso nelle sale da ballo, tutta la gioventù di Lucca si mascherava e ai lati delle vie più importanti del centro, per tutta la notte, si radunava la folla ad osservare il passaggio delle più svariate e divertenti maschere. Voglio ricordare questa perché certi artisti lucchesi collaboravano spesso all’ideazione ed alla costruzione delle maschere che a volte risultavano singolari ed esilaranti. Ed altrettanto spesso componevano la giuria che premiava le maschere migliori.

    Muore Alfredo Angeloni. Lo scultore, amico di Viani, era molto conosciuto anche fuori Lucca. Diverse sue opere si trovano in Italia ed all’estero e profondo è il cordoglio nell’ambiente artistico cittadino. Ambiente che apprende invece con piacere, e un po’ di invidia, l’invito alla mostra Maggio a Bari fatto ad Alfredo Meschi. L’ambiente della pittura, come tutti gli ambienti competitivi, era anche a quel tempo non immune da invidie. È umano, sino a che rimangono invidie e non diverranno, succederà anche questo, bastoni fra le ruote. Intanto, mentre a Firenze Filippo De Pisis vince il Premio Il Fiorino, il giovane Guglielmo Malato, nella stessa città, espone disegni e ceramiche alla Galleria La Torre. Insegna al Passaglia anche lui ed e nato a Pesaro. Diverrà cittadino adottivo di Lucca, città che non abbandonerà più.

    "Nell’epoca in cui domina il realismo convenzionale, da lui ci viene il più alto richiamo alla fantasia creatrice". Alessandro Parronchi dice cosi di Pablo Picasso che inaugura a Roma, al Museo di Valle Giulia, una grande personale con più di duecento opere. I settori più vivi della cultura capiscono l’importanza dell’arte moderna, della rottura cioè con una tradizione sterile che non rispecchia i fermenti nuovi di un mondo che si avvia verso la seconda rivoluzione industriale e verso l’era informatica. Lucca sarà l’ultima a capirlo. Le disquisizioni sull’astrattismo fatte dal professor Nardi poco tempo prima non hanno lasciato per ora alcun segno. Cosi le uniche notizie d’arte che abbiamo in quel periodo sono l’installazione su di un edificio privato della Vergine con Bambino della scultore lucchese Giannetto Salotti e la pubblicizzazione dell’affresco di Pietro Nerici L’Ultima Cena posto nel Santuario della Madonnina di Capannori. Siamo nel 1953. L’anno della bocciatura da parte dell’elettorato della Legge Truffa, della morte di Ugo Betti, del processo Beria in URSS, dell’inizio del maccartismo in America, del ritorno di Trieste all’Italia, della morte di Nuvolari, della fuga dello Scià di Persia, della proclamazione di Coppi Campione del Mondo. Un anno movimentato, non c’e che dire. In compenso a Lucca in Consiglio Comunale si comincia a parlare di un progetto da realizzare: l’asfaltatura di via Elisa, uno scempio che verrà compiuto in ossequio ad un falso concetto di modernità, quello stesso che pochi anni prima aveva rovinato via Beccheria. Si parla anche della commemorazione del musicista Gaetano Luporini nel V anniversario della morte e della sistemazione sul baluardo Carlaccio del monumento a Catalani dello scultore Petroni. AI Teatro del Giglio prima assoluta de La figlia di Jefte di Sebastiano Caltabiano, mentre a Borgo a Mozzano lo storico Ponte del Diavolo perde di pittoresco perché una diga alza di qualche metro il livello del fiume affondando nell’acqua gli slanciati piloni della suggestiva costruzione medioevale.

    La cronaca culturale e d’arte è priva di novità, E dato che a Lucca il settembre è il mese più vivo dell’anno, bisogna attendere il periodo delle fiere per risentir parlare di arte. C’è una mostra al Teatro del Giglio di Ezio Ricci che presenta cartelli murali, disegni e progetti per decorazioni varie, e di Guglielmo Malato con le sue ceramiche. E fra la commemorazione di Augusto Passaglia nel XXXV anniversario della morte (basterebbero le porte bronzee del Duomo di Firenze per qualificarlo) e la riconsegna da parte della Sovrintendenza del Ponte delle Catene di Bagni di Lucca distrutto dai tedeschi, avviene una cosa importante per la vita artistica cittadina: l’apertura della Galleria Sauro Pasquini. Importante perché diverrà sede di mostre interessanti, spesso di giovani destinati a diventare famosi. Ma fu anche un punto di ritrovo per gli artisti lucchesi, molti dei quali iniziarono l’attività espositiva proprio in questa piccola ma centralissima galleria. Armando Pasquini, che si scoprì scultore già in piena maturità, volle con questa sala espositiva ricordare il figlio Sauro, pittore di grandi doti suicidatosi nel 1949. Ed iniziò l’attività proprio con una retrospettiva di Sauro. Direttore (o deus ex machina?) della galleria, era quel giovane Fulco Sculco, poeta e scrittore, eppoi pittore anche lui, elemento di trasgressiva genialità, bevitore folle, che Armando aveva accolto come un figlio e che ospitava in una stanza acclusa alla sala espositiva. Bisogna dire che Fulco Sculco seppe dare un’impronta alla galleria, a qualificarla, seppe scegliere gli artisti, quasi sempre giovani, e farli conoscere.

    Sauro Pasquini era un ragazzo chiuso, strano. Artista poliedrico studiò da sé filosofia, musica, pittura, violino e a ventun anni aveva già dipinto più di cento quadri. Non era la prima retrospettiva che veniva fatta, perché già a Milano come alla Strozzina di Firenze ed alla Bottega dei Vageri di Viareggio, la critica e il pubblico avevano avuto occasione di prendere contatto con l’arte di questo pittore lucchese che la tragica morte ci aveva tolto prematuramente.

    La Galleria Pasquini aveva un’attività frenetica. Dopo Sauro fu la volta del pittore sanminiatese Gino Valori, poi di Pietro Semeraro, anche lui destinato a far parlare di sé in futuro, quindi del viareggino Eugenio Pieraccini e di Antonio Francesconi. Tutto questo mentre a Lucca si festeggiava il centenario della nascita di Idelfonso Nieri, famoso scrittore nativo di Ponte a Moriano, e si discuteva, incredibile ma vero, della copertura di via del Fosso con il contemporaneo spostamento per creare un’arteria di scorrimento al traffico automobilistico, della Madonna della Stellario in piazza San Francesco. Non fu, come sembra oggi, un’ipotesi assurda ma anzi il progetto fu caldeggiato da una parte delle forze politiche e da gran parte della popolazione. Una delle più pittoresche vie della nostra città rischiò di essere trasformata in una strada anonima. Sarà solo danneggiata, e non è poco, dallo smantellamento dei famosi lavatoi, come quello suggestivo all’incrocio di via dei Borghi, distruzione che tolse alla città un angolo di storia e di costume d’altri tempi.

    Siamo negli ultimi mesi del’53. Muore il pittore Mario Lippi, non molto conosciuto in verità, e la Galleria Pasquini continua a tenere banco. Lo fa anche con un’interessante collettiva di macchiaioli e post-macchiaioli fra cui Fattori, Lega, Nomellini, Gioli, Tommasi, Signorini. E mentre nella cronaca nazionale c’è da registrare un fatto singolare, la scazzottata in un ristorante di Firenze fra lo scultore Luciano Minguzzi, che diverrà famoso, ed il critico Alessandro Parronchi, reo, quest’ultimo, di aver scritto negativamente sulla personale del Minguzzi alla Strozzina, esce a Lucca il volume di Silvio Bertocci intitolato Sauro Pasquini: arte e vita, uno studio esauriente sul personaggio Sauro e la sua arte. Quando lessi sul giornale la rissa fra Minguzzi e Parronchi, non potei fare a meno di ritornare col pensiero a quanto ho già accennato: cioè all’esigenza, nella critica, di non farsi comprare da nessuno, cioè di dire quello che onestamente uno pensa, anche rischiando come ha fatto lo stesso Parronchi. È giusto insomma, come diceva il mio amico Mario Cappetta, stabilire delle graduatorie anche se ciò potrà risultare spiacevole per qualcuno. Insomma, il fatto di Firenze, non fece altro che assodare dentro di me quello che già pensavo e che mi accingevo a fare negli anni che seguiranno.

    Alla Pasquini continuano ininterrottamente le personali. Verso la fine dell’anno, prima della mostra di Arnilcare Bia, pittore spezino, si presenta al pubblico un giovane scultore lucchese, Sergio Benvenuti. Le sue opere plastiche, come le sue acquetinte ed i disegni, destano molto interesse fra il pubblico e la critica che vedono nel Benvenuti, fratello maggiore del pittore Riccardo, una mano calda ed una personalità che, sia pure ancora attaccata a schemi classici, dimostra di potersi imporre con autonoma espressività. Altro giovane, anche lui allievo del Passaglia, è Ernesto Altemura, viareggino o giù di li, che presenta una ventina di opere sempre alla Pasquini, galleria che opera un’autentica promozione dei giovani, programmando per il futuro anche mostre dei lucchesi in altre città d’Italia. Altemura ha una pittura forte, senza tentennamenti, decisa, carica di realismo da cui affiora amore e disperazione. È un cuore tormentato e sensibile che sempre dipingerà in questa maniera autentica e gestuale.

    In Italia il momento storico è contrastato e vivo. È quello del fallimento del primo governo Fanfani, delle polemiche sul monumento di Pinocchio di Emilio Greco che, secondo molti, non rispetta i canoni classici e interpretativi dello spirito del burattino. Segno chiaro che anche certa cultura ufficiale, per non parlare della gente, in Italia, e non solo a Lucca, era refrattaria all’arte moderna. Siamo nel 1954, quando un giocatore di calcio, prendiamo il caso di Maestrelli della Lucchese che fu ceduto al Bari, costava giusto 4 milioni di lire. In questo inizio di anno certe opere liriche per poter avere un incasso sufficiente venivano rappresentate al Moderno, dove l’acustica era pessima ma i posti 1500. Cosi avvenne per la Madama Butterfly con Magda Olivero, una star della lirica del tempo, mentre gli spettacoli quasi cabarettistici, ma di un certo sapore di trasgressione e di critica e più acculturati in senso moderno, come ad esempio Il dito nell’occhio con Parenti-Fo-Durano, si dovevano accontentare del Giglio che non aveva la galleria, come ora, ma un vero e proprio piccolo loggione, quindi un terzo dei posti del Moderno. E chi era andato a vedere Il dito nell’occhio, chi aveva sostenuto la validità del monumento a Pinocchio, si ritrovava poi al Gruppo Serra ad ascoltare per bocca del famoso critico d’arte Marco Valsecchi la conferenza su Pablo Picasso, oppure al Circolo del Cinema a vedere Paisà di Rossellini. Gira e rigira, insomma, lo spirito moderno che aggregava una modesta quantità della gioventù lucchese riusciva a rendersi vivo in tutte le arti possibili. E per Lucca quei tempi erano tempi bui.

    Dopo la mostra di Milano nel ’42 e la Quadriennale di Roma, Armando Pasquini non aveva più esposto in una personale. Approfittò allora della sala che gestiva, per presentare al pubblico lucchese le sue creazioni. Pasquini era una simpatica figura di repubblicano storico, un po’ anarchico, un po’ miscredente, e con un cuore immenso. Con i suoi capelli bianchi fluenti ed il nastro nero al colletto della camicia, era lui stesso una creazione, una statua semovente. E si doveva sentire tale inconsciamente tanto che gli autoritratti sono fra le sue cose migliori. La mostra ebbe successo. Le sue pietre di Matraia, i suoi bronzi, le creazioni in legno, sono frutto di una mano irruenta, un po’ naif se si vuole, ma ugualmente carica di una forza espressiva notevole. Nicola Farnesi, cesellatore orafo eccelso che servì sovrani e pontefici, viene commemorato a cinquant’anni dalla morte. Perche non parlare di arte anche in questo caso senza relegare, come si fa sempre, tutto questo lavoro raffinato nel novero dell’artigianato? Qual è mai la distinzione? Perche deve essere chiamato artista un pittore che espone in una galleria qualsiasi, mostrandosi al pubblico (molte volte avendo il coraggio di mostrarsi al pubblico!) e non un cesellatore che fa questa raffinato mestiere quotidianamente ma anonimamente? Bene, il Farnesi fu artista come artista fu Arturo Daniele, di cui la galleria Pasquini organizzò una retrospettiva. E la seconda dopo quella fatta al Giglio poco oltre la scomparsa. Si potrà dire che il suo divisionismo era un po’ post litteram, certo, ma non si può disconoscere una capacità espressiva indiscutibile che veniva fuori da un lavoro assiduo e da una tecnica raffinata. Personalmente ricordo Daniele anche come persona, con quel suo pizzo bianco, ed in particolare lo ricordo quando, infuriato, usciva dal suo studio situato sulla casermetta del baluardo San Martino per inseguire noi, bimbetti, rei di aver gettato con la fionda qualche sasso sopra il tetto rischiando di rompere l’abbaino di vetro da cui lui carpiva tutta la luce possibile per dipingere.

    Se l’Italia è scossa dall’avvelenamento in carcere di Pisciotta (il secondo omicidio politico della Repubblica dopo quello di Giuliano), dalla costituzione del governo Scelba rivelatosi deleterio perché nato per svolgere un’azione moralizzatrice, e dal processo Montesi che coinvolse l’alta società romana con frange politiche, in festini porno con droga e il morto, a Lucca c’è un avvenimento atteso da tempo: l’inaugurazione della Circolare Urbana. I lucchesi ora, sempre afflitti dal complesso della provincia, si sentono un po’ più civili, un po’ più metropolitani. Ma non sarebbero bastate mille Circolari per aprire la mente ai lucchesi!

    Intanto due nomi che diverranno presto di livello nazionale, e cioè Giuseppe Guerreschi e Giuseppe Banchieri, allora poco più che ventenni, espongono alla Galleria Pasquini. Già da quel tempo le due personalità, ben distinte, si facevano notare per originalità e coerenza espressiva. Nella stessa primavera ’54 Alfredo Meschi è accolto alla Strozzina di Firenze con una grande mostra di ben 70 opere. È un successo per l’artista lucchese il cui poetico vedutismo che appartiene culturalmente all’Ottocento ha anche a Firenze i suoi estimatori.

    Nell’aprile del ’54 comincia timidamente la mia collaborazione a La Nazione. Timidamente perche non firmo ma siglo gli articoli. La ragione va cercata nel fatto che contemporaneamente continuavo a scrivere anche per il Tirreno. Quindi scrivevo sull’altro giornale in maniera nascosta, non volevo far sapere insomma a Dino Grilli che collaboravo anche alla Nazione. Può sembrare una cosa strana, ma era solo un sistema per rendere più indolore il distacco da un giornale che mi aveva ospitato per primo e soprattutto da un giornalista come Dino Grilli che si era sempre comportato bene con me, con comprensione e sensibilità. Ma il fatto di scrivere per un quotidiano che aveva più del doppio di lettori stuzzicava la mia vanità e sollecitato da Andrea Angeli, capo-redattore de La Nazione, iniziai la mia collaborazione al giornale fiorentino, collaborazione che dura tutt’oggi. Iniziai con articoli di colore mentre la cronaca d’arte continuavo a farla su Il Tirreno. Doppio gioco? Può darsi, ma tutto era fatto senza malizia, in buona fede.

    Sempre alla galleria Pasquini, praticamente l’unica sala d’arte della città, un omaggio a Lorenzo Viani, il grande artista viareggino di origine lucchese. Furono esposti olii e disegni e la mostra fu visitata anche da Elena Zareschi.

    A quel tempo viene fondata la Società Amici di Lucca che avrà un ruolo importante per la salvaguardia del patrimonio artistico e architettonico della nostra città. Si dovrà a questo sodalizio se tanti misfatti non saranno compiuti, come ad esempio la copertura di via del Fosso, anche se la lotta contro l’asfaltatura di via Elisa fu persa. Era un momento critico per Lucca, combattuta fra il desiderio di non perdere il treno dei tempi rammodernandosi e quello di mantenere l’immagine di città d’arte intonsa. Proprio in questa diatriba si inserisce una strana proposta del dottor Frediano Francesconi che, convinto che l’espansione di Lucca sia stata frenata dalle Mura, propone addirittura di abbatterle. Fu senz’altro una boutade, ma non mancò di sollevare polemiche anche perche il Francesconi era un esponente del partito repubblicano.

    La vita artistica lucchese, mossa dall’attività frenetica della Pasquini, vede finalmente la nascita di un’altra sala d’arte, la Galleria Macarini che ospita la mostra del pittore polacco Roman Bilinski, organizzata dal Centro Versiliese delle Arti di Elpidio Jenco e Krimer. Tutto questo mentre i francesi abbandonano sconfitti l’Indocina, gli alpinisti italiani conquistano il K2 e il mondo politico italiano perde improvvisamente uno dei suoi leader più carismatici: Alcide De Gasperi. Nelle sale dell’Ente Provinciale di Turismo viene allestita la mostra del Paesaggio italiano vista da stranieri e contemporaneamente alla Macarini espone lo scultore e pittore Poszyn, uno strano personaggio padrone di un maniero sulle colline prospicienti il mare versiliese, che ama spesso vestirsi con i costumi dell’epoca. A Castelnuovo Garfagnana viene inaugurato, alla presenza del ministro Pella, il Monumento all’Alpino, opera del lucchese Antonio Rossi. Intanto al Giglio si commemora Alfredo Catalani nel centenario della nascita con le rappresentazioni di Wally e Loreley, ma mancano i grandi personaggi della lirica. Come sempre Lucca non si dimostra all’altezza della situazione. Maggior successo lo coglie Francesco Petroni, lo scultore autore del monumento a Catalani che viene posto sul baluardo di Carlaccio. È un’opera bronzea alta sette metri, di fattura classica, che rappresenta le muse e le varie allegorie della danza, dell’amore e del dolore. Si potrebbe dire un monumento a misura dei lucchesi che non vogliono innovazioni di sorta nemmeno nell’arte, preferendo la retorica. Anche il baluardo prenderà il nome del musicista lucchese e Carlaccio rimarrà un ricordo. Si chiamava così per il monumento che vi era stato posto rappresentante il Granduca Carlo Lodovico di Borbone, ma questa scultura ha una storia buffa perche i lucchesi, alla caduta di Napoleone, dovendo sostituire il monumento dell’imperatore corso con quello del nuovo signore, decisero, caso probabilmente unico al mondo, di sostituirne solo la testa che così fu piazzata sul busto già esistente.

    Alla Pasquini, dopo Nino Carrara, un altro pittore lucchese all’antica, ci fu la mostra postuma di quel Mario Lippi, pittore poco conosciuto, la cui produzione, per testamento, fu lasciata tutta al Rifugio Carlo Del Prete. E mentre un altorilievo di Sergio Benvenuti viene installato su una facciata delle Case Popolari a Firenze, il Centro Versiliese delle Arti, che operava anche a Lucca, organizzò una delle prime ex-tempore di pittura. Si chiamò Premio Visioni di Lucca e vi aderirono ben 133 pittori. Ma il male di queste ex-tempore, spesso organizzate da Krimer, stava nel cercare più adesioni possibili, per ovvie ragioni finanziarie, e di premiare più gente possibile, di fare insomma contenti tutti per poter riavere la loro adesione la prossima volta. I premi poi erano sempre premi acquisto, o coppe, o oggetti raccattati da innumerevoli ditte. Insomma, se da un lato facevano del bene perche vivacizzavano l’ambiente artistico, dall’altro facevano del male perche creavano falsi pittori, cioè degli illusi. C’era una grande esigenza di farsi avanti fra i giovani e meno giovani, a quel tempo, di conquistarsi insomma un posto al sole, e quindi queste gare, certamente simpatiche, erano sempre destinate ad avere successo. Potevano accadere anche cose strane come quella raccontatami da un pittore lucchese, mi sembra il Giani, che, vinto un premio ad una di queste gare, con una pacca sulle spalle gli fu detto da un membro autorevole della giuria, alla sua richiesta del denaro vinto: «Bravo, complimenti, dipingi bene. Così giovane ti puoi accontentare degli onori, non ti sembra?». Per la cronaca diciamo che quella volta vinse Nino Tirinnanzi (premio acquisto EPT). Secondo arrivò Renato Santini (premio acquisto EPT), e terzo Raffaello Isola (Premio acquisto Bertolli). Tre pittori sicuramente buoni e buoni ce ne saranno anche negli altri 59 premiati. Si, proprio così, i premiati complessivamente furono 62! Fra cui Guglielmo Malato, Antonio Possenti, che ebbe un premio acquisto del dottor Enrico Coli, Tista Meschi, Niccolo Codino, Antonio Francesconi, Ciro Genovesi, Dolores Sella e tanti altri. Questa è la prima volta, credo, che le cronache artistiche riportano il nome di Antonio Possenti. Aveva 21 anni. Tutto questa mentre Ernest Hemingway vinceva il Premio Nobel per la letteratura.

    Nel settembre di quell’anno, siamo nel ’54, a Lucca si era svolto il I Congresso Nazionale dell’Unione Italiana Circoli del Cinema. Quest’associazione era nata, fautore anche il Circolo del Cinema di Lucca, dalla scissione della F.I.C.C. considerata troppo apertamente di sinistra. Ora, se si considera che, verso la fine dello stesso anno il Presidente del Consiglio Scelba riuscì a far passare una legge che prevedeva il licenziamento dei funzionari iscritti al P.C.I., la scissione suddetta rientrava nelle regole del gioco. A parte questo, dato che vissi personalmente i lavori del congresso, posso dire che vi parteciparono alcuni critici abbastanza importanti come Mario Verdone, padre di Carlo, qualche regista meno importante come Francesco De Robertis e qualche attore di secondo piano come poteva essere Leopoldo Trieste. Ebbene, il lucchese non si accorse nemmeno lontanamente di tali presenze, le ignorò completamente non smentendo la farma di freddo e compassato che si è fatta nei secoli. Quando l’anno dopo lo stesso congresso si svolse a Reggio Emilia, gli attori, forse appena più importanti di quelli di Lucca, dovettero uscire dal Teatro del Tricolore attraverso la porta di servizio per evitare la folla che li attendeva. Per la cronaca, ricordo che a Lucca fra l’altro, in quella occasione e solo per i congressisti, fu dato in anteprima nazionale, il film di Fellini La Strada. Intanto le due gallerie lucchesi, la Pasquini e la Macarini, continuavano la loro attività con mostre di pittori di scarso rilievo e a Loppia, nel barghigiano, il I novembre venne inaugurato, incredibile ma vero, un monumento funebre definito surrealista, anche se il termine non è esatto. Cioè un monumento di impostazione schiettamente moderna dove gli elementi non rappresentavano nessuna forma umana (semmai la simboleggiavano) e dove veniva data importanza alla spazialità. Autore del progetto era un architetto americano figlio di immigrati lucchesi, Alfonso Giuseppe Carrara, uno dei numerosi assistenti di Wright. Lo fece realizzare dallo scultore lucchese Antonio Rossi. Incredibile ma vero, ho detto, perché se la mentalità lucchese era retriva si può immaginare quella di un abitante di un paesino della Lucchesia. Eppure il mondo andava e a due passi da noi, a Firenze, anche a quel tempo raggiungibile col pullman in poco più di un’ora, si inaugurava la nuova Galleria Spinetti2, in Chiasso degli Armagnati, con quattro maestri dell’astrattismo: Magnelli, Prampolini, Radice e Reggiani. Visitai quella mostra in compagnia di amici dell’Università di Urbino, dove frequentavo il Corso di Giornalismo, e ne rimanemmo entusiasti. Io sentivo che quello era il discorso da proporre ai lucchesi ma che nessuno aveva il coraggio (o la sostanza culturale?) per sfatare le tradizioni che a Lucca, più che in ogni altra parte, erano dure a morire. Bisognerà attendere la ventata degli anni ’60, ma anche a quel tempo non saranno rose e fiori. E mentre sale agli onori della cronaca l’uccisione a fucilate (che prodezza!) di un aquilotto sul monte Sumbra, perché a quel tempo si poteva persino cacciare le aquile, e il sindaco Marchetti, ultra anziano ed ovviamente democristiano, che alla storia passerà per aver rifiutato la proposta di Menotti di far svolgere il Festival dei Due Mondi nella nostra città, polemizza con gli Amici di Lucca" che lo portano in ballo per scempi ed inadempienze, muore presso Nizza, a 85 anni, Henri Matisse. Passeranno quasi tre anni prima che possa prendere contatto con la sua opera in Francia, e in particolare con gli affreschi della Cappella di Vence. Avverrà durante una gita fatta con Antonio Possenti e Luciano Pera. Intanto una Madonna in marmo bianco, del tutto classica, fatta da Mario Carlesi, viene destinata all’altrettanto classica chiesa dell’Arancio, mentre a Milano viene inaugurata la mostra 40 pittori interpretano altrettanti antichi maestri con grandi nomi come Carrà, De Chirico, De Pisis, Casorati, Campigli, Cantatore. Approfittai delle vacanze natalizie per andarla a visitare ed ancora una volta mi accorsi della distanza che c’e fra mondi e mentalità diverse. Lucca, piccola città, piccolo mondo, non toccato dalla cultura lasciata quanto meno alle città universitarie, ed una Milano dove c’era tutto anche in campo culturale, bastava solo chiedere. Il mondo intanto è scosso dalla morte di Enrico Fermi.

    Il 1955 inizia con la mia prima critica d’arte su La Nazione. È ancora siglata ma passeranno solo due mesi ed il mio divorzio da II Tirreno sarà ufficializzato da un articolo su Ermete Novelli, regolarmente firmato. Abbandonato il primo padre putativo, Dino Grilli, che ricordo ancora con grande simpatia e a cui devo i miei primi passi nel giornalismo, ne acquisto un altro che si chiama Andrea Angeli. Anche al redattore de La Nazione a cui mi hanno legato anni di vera amicizia, devo molto umanamente e professionalmente. Di squisita sensibilità giornalistiche, ebbe il grande merito di lasciarmi carta bianca, di lasciarmi del tutto indipendente nel pensiero e nei giudizi, e se a Lucca, a livello di cronaca, si poté avere una critica d’arte che rompeva decisamente con l’acquiescenza ed il conformismo, ciò si deve sicuramente ad Andrea Angeli che lasciò a me la massima libertà di giudizio difendendo, quando fu il momento, il mio operato. Angeli era un tipo strano e simpatico. Alto, con i piccoli baffetti ed i capelli lisci, era generalmente col sorriso sulle labbra. Amante in maniera moderata del buon vino, grosso fumatore (ma in quello non batteva Dino Grilli), prendeva la vita con una certa filosofia ed era lucchese in tutti i sensi, in primis per l’amore verso la sua città, fuorché in uno, nella parsimonia.

    Era insomma un tipo pieno di magnanimità, con un cuore grande così. Pur nel dispiacere di aver abbandonato II Tirreno e Dino Grilli (mi ci aveva costretto il minimo di ambizione che avevo, dato che La Nazione superava in vendite di gran lunga il quotidiano livornese), ebbi il piacere di trovare un uomo comprensivo ed a suo modo innovatore, quel tanto naturalmente che permetteva la società del momento.

    Dunque scrissi la critica ad Osvaldo Spagnulo, un pittore giovane pugliese che esponeva alla Pasquini, e mossi i primi passi verso l’autonomia di giudizio. Anche se sostanzialmente la critica era positiva, parlavo di pericolo di involuzione, eccetera. Era già tanto per una cronaca abituata alle lodi e basta. Ricordo che Spagnulo mi venne a trovare e discutemmo pacatamente su quanto avevo scritto. Era ancora la Pasquini a tenere banco a Lucca come galleria, seguita dalla Macarini che presentò il fiorentino Eugenio Sementa. Dopo Vittorio Buora, sempre la Pasquini organizzò una personale di Alfredo Meschi che riscosse buon successo. Rividi con piacere quei paesaggi che mi erano tanto piaciuti due o tre anni prima, ma nello stesso tempo vedevo che sì, era un artista da levarsi tanto di cappello, ma perché, mi domandavo, a Lucca non c’e un pittore che riesca a rompere con gli schemi classici e ad acquisire una espressività tutta moderna? Dopo Meschi, in tal senso, una boccata di ossigeno. Non che Cesare Viviani fosse il non plus ultra della modernità, ma certamente la sua pittura lineare e incantata, portava fra di noi un soffio di nuovo, una nuova indiscutibile poesia. Bene fece Armando Pasquini a proporre ai lucchesi questo grande artista pisano. Per me, lo dico sinceramente, fu una scoperta e Viviani rimarrà sempre per molto tempo, e lo è tutt’ora, un artista affascinante. Non era comunque la vita lucchese, artistica e non artistica, molto attiva. Anzi, non lo era per niente. Nemmeno la polemica degli Amici di Lucca con il Comune in merito al patrimonio urbanistico ed all’espansione edilizia, riuscirà a smuovere i lucchesi.

    Non c’era da stare molto allegri nemmeno in tutta Italia, a dir la verità. Gli anni ’50 segnarono il trionfo dell’oscurantismo democristiano e tutto ne venne di conseguenza. Se la gente rimase scossa dalla follia di Cannarozzo che, per ragioni economiche, tirò una bomba in un cinema ad Ancona e dalle rivelazioni della scienziato atomico Bruno Pontecorvo rifugiatosi in URSS, fra la morte di Fleming, lo scopritore della penicillina, e del letterato e drammaturgo Paul Claudel, avvenne una cosa che dà la temperatura del costume del tempo. Il futuro Presidente della Repubblica, Luigi Scalfaro, a quel tempo Sottosegretario allo Spettacolo, toglie dalla circolazione un film italiano su Casanova (interpretato da Gabriele Ferzetti) che aveva avuto regolare visto di censura. Il tutto perché ritenuto lesivo dei principi della morale e del buon costume, quando lo stesso critico de Il Popolo, organo democristiano, aveva parlato di film vedibilissimo. Ecco, questo era il clima, mentre comincia l’era della motorizzazione con la nascita della prima utilitaria italiana del dopoguerra, la 600 e mentre Coppi e la Dama Bianca vengono condannati a 2 e 3 mesi di carcere per abbandono del tetto coniugale.

    Se in Italia il clima era questo, quale doveva essere a Lucca dove la D.C. aveva il 52% dei voti? Ed infatti tutto è assopito o quasi. Alla mostra-concorso per il ritratto a Firenze, il pittore lucchese Giulio Marchetti vince il I Premio per l’opera Signora che legge il giornale mentre Niccolò Codino e segnalato per il quadro Signora dell’800. Intanto il Centro Versiliese delle Arti organizza una mostra-concorso d’arte sacra. Le opere vengono esposte presso le sale della Biblioteca Governativa e si tratta di uno di quei concorsi furbi che Krimer sa bene organizzare. I premi non sono in denaro, bensì coppe e medaglie. Vince il I Premio, che è appunto una medaglia del Presidente della Repubblica, Raffaello Isola, pittore Lucchese di un certo spessore. Premiati anche lo scultore Antonio Rossi, Niccolò Codino, Ilio Bernabo, e, fra i più giovani, Carlo Antonio Luporini. Fra i segnalati Guglielmo Malato, Antonio Possenti, Adelaide Giannini, Maria Stuarda Varetti, che era una ragazzina. E se la Mostra dell’Ottocento pittorico francese allestita a Firenze è un avvenimento, un po’ meno lo è il Premio Il Fiorino vinto da Ugo Capocchini. Il concorso fiorentino accoglie tutte le tendenze pittoriche ma non riesce ancora a premiare un moderno. Un premio che non vedrà per anni la partecipazione di artisti lucchesi, a conferma che i pittori di Lucca erano pressoché sconosciuti fuori delle mura. Questo perché erano in un certo senso epigoni, quindi anche se tecnicamente pregevoli, non ebbero quell’originalità, quella singolarità segno di una spiccata personalità artistica. Mentre muore Einstein e Salk scopre il vaccino della poliomelite e Giovanni Gronchi diventa Presidente della Repubblica, alla Macarini espone il ceramista Guglielmo Malato, poi Niccolò Codino e quindi Rita Marsili con pitture e sculture ed i bozzetti dei medaglioni di cui è specialista e dei quali ha una ragguardevole rappresentanza al famedio del cimitero urbano. Anche la Pasquini continua la sua attività ma prevalentemente con pittori di fuori. Dove è andato a finire lo spirito della galleria che doveva essere proteso verso la valorizzazione dei giovani lucchesi? In compenso il Consiglio Comunale delibera la ricostruzione della Croce di Brancoli distrutta dai tedeschi ed il 150° anniversario della morte di Boccherini viene festeggiato in sordina.

    L’era della motorizzazione di massa si inaugura con la catastrofe del circuito di Les Mans dove una macchina piomba fra la folla uccidendo un’ottantina di persone e ferendone cento, e anche Arcari, come suo padre trent’anni prima, muore per un incidente a Monza. L’era della motorizzazione di massa ho detto. Ed è seguendo il principio dello sfruttamento del motore (degli altri) che nasce l’autostop. Una specie di sport per i giovani che serve per spostarsi da una parte all’altra del mondo senza spese di trasporto. È con questo sistema che nell’estate del ’55 mi reco a fare un lungo giro in Europa. Ho modo così di visitare quelle gallerie e quei musei che sino ad allora erano stati solo un sogno. Il Louvre di Parigi, per esempio, o la National Gallery e la Tate Gallery di Londra, le opere di Rembrandt e di Van Gogh in Olanda, furono per me una scoperta eccezionale. Da quel contatto ricevetti un impulso che è stato determinante per il mio futuro di cronista d’arte. Come fu determinante il contatto con certa arte moderna (stupenda ad Arnheim in Olanda, la mostra all’aperto di scultura con i più grandi nomi del mondo) e con la fotografia stessa (ricordo una splendida mostra di Cartier-Bresson ad Amburgo), espressione artistica a cui veniva dato, all’estero, il giusto valore e non lo snobbo come in Italia. Quell’Italia dove anche il Premio Marzotto, uno dei più importanti, disconosceva i pittori astrattisti ricoprendosi di una patina di anacronismo. Ma quello che c’era di strano a livello locale era che, se da un lato non ci si voleva avvicinare al moderno, dall’altro non si voleva salvaguardare l’antico. La corrente che propugnava, ad esempio, la copertura del fosso della strada omonima era talmente forte che era arduo opporre la tesi contraria. C’era chi proponeva di indire un referendum fra la cittadinanza, e per fortuna non fu fatto perché sicuramente sarebbe stata vincente la tesi della copertura. Perché se il lucchese disdegnava, nel profondo, la cultura moderna, pensava, in un rapporto odio amore, di conquistarsi la modernità nella maniera più banale e più deleteria, quella della distruzione del vecchio. Fortuna vuole che il lucchese sia lento nel prendere le decisioni, cosicché col passare del tempo anche le idee si ammorbidiscono e si assopiscono diventando vecchie e sorpassate. Per questo uno dei proverbi che rispecchiano meglio di ogni altra cosa la mentalità del lucchese è: "Chi sta bene ’un si tramuti". Si deve in fondo a questo spirito conservativo se Lucca si e abbastanza mantenuta nel tempo.

    Al mio ritorno dal viaggio, non è che trovai troppe cose nuove, venne bandito il II premio di pittura estemporanea Visioni di Lucca, e di concorrenti questa volta se ne prevedevano in gran numero data la distribuzione di premi fatta da Krimer l’anno prima. Intanto un altro concorso ex-tempore nasceva, sotto l’egida del professor Guglielmo Lera: il Premio Coreglia. Solo trenta i pittori partecipanti ma quasi tutti di buon lignaggio. Vince Franco Mello di Firenze e secondo arriverà Serafino Beconi di Viareggio. Ma fra gli altri premiati ci saranno nomi come Martinelli, Pieraccini, Sandro Luporini, Banchieri. Tutta una generazione di artisti attivi, alcuni dei quali avranno sbocco poi a Milano nella nuova figurazione. In occasione del I centenario dalla nascita, venne organizzata una mostra postuma del pittore Giorgio Lucchesi. Allestita nel Palazzo Pfanner, proprio dove il Lucchesi aveva lo studio che lo vide assiduo per tanti anni, la rassegna era composta da numerose opere messe insieme con pazienza e con la disponibilità dei collezionisti. Il Lucchesi si rivelò in tutta la sua sostanza costituita da una grande tecnica e da uno spirito epigone che, anche negli ultimi anni della sua vita, conservava sempre la caratterizzazione ottocentesca. In quella occasione il Comune decise di intitolare una via al pittore che era scomparso nel 1941.

    La cultura mondiale si impoverisce dall’improvvisa scomparsa di Thomas Mann ed il cinema dalla tragica morte di James Dean. Intanto a Lucca prende corpo un circolo musicale che sarà importante per la cultura giovanile lucchese degli anni

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