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Nikola Tesla: Un genio moderno
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E-book224 pagine3 ore

Nikola Tesla: Un genio moderno

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Info su questo ebook

Pochi scienziati hanno attorno a sé un’aura di leggenda come Nikola Tesla. Scienziato, inventore, ingegnere elettrico, Tesla incarna la figura del genio moderno. Quasi trecento le invenzioni da lui brevettate, tra cui il motore a induzione e la cosiddetta “bobina di Tesla”, le cui impressionanti scariche elettriche sono tutt’ora il simbolo del laboratorio dello scienziato pazzo. È stato uno dei grandi innovatori della fisica moderna e un inventore geniale, animato da una passione sfrenata per l’elettricità che la leggenda narra si manifestasse anche sotto forma di convulsioni e allucinazioni che avrebbero contribuito ai suoi “lampi di genio”.. La sua genialità, accompagnata da una forte eccentricità, le sue proverbiali manie ossessivo-compulsive, la sua castità e la decisione di non sposarsi per dedicarsi completamente allo studio e alla ricerca, tutto ciò e molto altro hanno contribuito a fare di lui un personaggio leggendario ancora in vita. Marco Trevisan intreccia biografia e autobiografia, in un’avvincente narrazione che restituisce di Tesla un ritratto vivace e a tutto tondo.
LinguaItaliano
EditoreDiarkos
Data di uscita18 lug 2022
ISBN9788836162147
Nikola Tesla: Un genio moderno

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    Anteprima del libro

    Nikola Tesla - Marco Trevisan

    Copertina.jpg

    Marco Trevisan

    Nikola Tesla

    Un genio moderno

    La corrente in un circuito è proporzionale alla forza elettromotrice applicata, e inversamente proporzionale alla resistenza.

    Georg Simon Ohm, 1827

    Ho sottovalutato Tesla, credo che tutti noi lo abbiamo sottovalutato. Pensavamo che fosse un sognatore e un visionario.

    Lui sognava, e i suoi sogni si sono avverati; lui aveva delle visioni, ed erano visioni di un futuro reale, non immaginario.

    Charles A. Terry, Discorso per l’assegnazione della Edison Medal a Tesla, 1917

    La scienza non è altro che una perversione se non ha come suo fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell’umanità.

    Nikola Tesla

    Scienziato o illusionista?

    L’uomo in smoking e stivaloni con le suole di gomma, alto e magro, due sottili baffetti, schioccò le dita e subito una sfera infuocata si materializzò nella sua mano. La sala era buia, il pubblico tratteneva il fiato.

    Si alzò dalla sedia e, dopo essersi passato il globo sprizzante scintille da un palmo all’altro, lo fece scivolare lungo la manica della giacca come un abile giocoliere, o così sembrò. Si tolse il cilindro e si posò quel gomitolo di scintille e lingue fiammeggianti sui capelli, che parvero prendere fuoco. Si avvicinò a un tavolino e ripose la palla di fuoco in una grossa scatola di metallo, chiudendo con grande cautela il coperchio. Quindi fissò il pubblico in platea con un sorriso beato. Aveva giocato con quel concentrato di pura elettricità come un domatore di pulci giocherebbe coi suoi animaletti.

    «E ora sia la luce!»

    Con un rapido gesto della mano, accendendo una fila di lampadine con il semplice sfioramento delle dita, la sala si illuminò a giorno.

    «Avete mai visto due milioni di volt in azione? Li vedrete ora!»

    Con stupefacente agilità l’uomo, tenendo una mano infilata in tasca, balzò su un piccolo palco collegato a un grosso generatore elettrico, si mise a ruotare la manopola di uno strano apparecchio fino a che il suo corpo non fu avvolto da fiamme crepitanti, tra saettanti lingue di fuoco che salivano al soffitto. La mano in tasca serviva a proteggerlo, ma questo il pubblico non poteva saperlo – erano in pochi, anche tra gli addetti ai lavori, a conoscere quell’accorgimento che ora a tutti gli ingegneri viene insegnato fin dalla prima lezione universitaria: se una scossa elettrica vi attraversa il petto vi ucciderà, ma se la stessa scarica resta su un lato del corpo vi procurerà solo qualche bruciatura. Dalla platea si levò un boato. Qualcuno scattò in piedi forse intenzionato a precipitarsi fuori. L’uomo era ormai una torcia umana, fulmini e saette si irradiavano da ogni parte, scaturendo dai palmi delle sue mani.

    L’uomo si voltò e dopo che ebbe girato la manopola in senso contrario la tempesta di fuoco si dissolse, lasciando nell’aria una specie di scintillio azzurrognolo.

    «Signori, questa sera ho inteso darvi una piccola dimostrazione di come la corrente elettrica, in tutta la sua potenza, possa essere non solo trasportata attraverso l’aria, al pari delle onde radio, ma anche tenuta sotto controllo. Come vedete, sono ancora vivo e vegeto».

    Scattò un applauso. Il pubblico, che affollava quella avveniristica saletta riempita di sedie disposte su diverse file al quarto piano di un solenne edificio tappezzato di veneziane al numero 35 della South Fifth Avenue di New York, era in visibilio.

    «La luce riempie i miei sensi» riprese l’uomo quando fu tornato il silenzio, rimettendosi in testa il cilindro. «Io la vedo, la ascolto, la sento, la odoro, la tocco e la penso. Le particelle di luce sono delle note sul pentagramma. Un fulmine può essere un’intera sonata composta per un’orchestra. Un migliaio di fulmini è uno spettacolo senza pari. Dovreste vederlo, come l’ho visto io».

    Scrosciò di nuovo un applauso. Lo spettacolo era concluso, ma il pubblico ancora non si decideva ad alzarsi, come stregato. Nessuno di loro aveva mai visto niente di simile prima d’ora. Correva l’anno 1891, era il 23 aprile, e quell’uomo col cilindro calcato in testa era Nikola Tesla, in una delle tante dimostrazioni sui poteri dell’elettricità con cui amava sorprendere il pubblico degli addetti ai lavori e non solo.

    Scienziato o illusionista? Ormai il suo nome circolava ovunque, non solo negli ambienti scientifici, facendo di lui quasi una leggenda vivente, anche se un po’ bislacca.

    Mentre gli appalusi ancora scrosciavano, qualcuno si alzò dalle ultime file e sgattaiolò via borbottando qualcosa. Era un uomo grosso, ben vestito e con una calvizie incipiente: il suo nome era Thomas Alva Edison, venuto a spiare le mosse del suo eterno rivale.

    La guerra a colpi di propaganda tra i due, nella sempre più aspra contesa per l’elettrificazione del mondo, era al culmine. Una guerra tra due personalità opposte: uno, artista geniale quanto ingenuo e interessato solo allo sviluppo della scienza, sempre pieno di idee «grandiose ma spesso del tutto inutili»; l’altro, scaltro, cinico, dotato di un fiuto per gli affari non comune e che misurava tutto in dollari.

    Entrambi avevano prodotto grandi invenzioni (centinaia i loro brevetti) che avevano cambiato il volto del mondo. Certo, Edison aveva inventato, per così dire, la lampadina e il sistema d’illuminazione elettrica a corrente continua, il fonografo (col quale aveva registrato la voce della moglie defunta un attimo prima che morisse) e più tardi, insieme a un suo collaboratore, il cinetoscopio, antenato della telecamera. Ma solo da Tesla erano venute idee capaci di disegnare con largo anticipo il futuro, il mondo nel quale viviamo ora, fatto di un incessante flusso d’informazioni, immagini, suoni che corrono nel web; di smartphone, auto elettriche, robot e tante altre meraviglie.

    «Davanti a ogni mia nuova scoperta» aveva detto una volta con una punta di rammarico a un amico, «la gente si è sempre presa gioco di me… salvo poi doversi ricredere, senza però riconoscerlo. Questa è stata la storia di tutta la mia vita di inventore».

    Ed era vero, le cose erano andate proprio così. Ma un po’ era stata anche colpa sua.

    Un paio di ore dopo Tesla, seduto al tavolo del ristorante Delmonico, stava assaporando uno dei suoi vini francesi preferiti, un Chateau Margaux d’annata. Se ne intendeva di vini, specie di quelli francesi. Non per nulla aveva vissuto per diverso tempo a Parigi.

    «Non mi preoccupa se mi rubano un’idea» disse al proprio ospite, lasciandosi andare a un piccolo sfogo, mentre sorseggiava beatamente dal suo calice. «Quello che mi preoccupa è che non abbiano idee. Il mondo è del tutto privo di immaginazione».

    Al termine di quelle presentazioni non era insolito che si trattenesse a cena con amici e giornalisti. Quella sera si era incontrato con un cronista del «New York Times» che intendeva raccontare la sua storia per intero ai molti lettori che seguivano la sua rubrica settimanale. Si erano dati appuntamento al ristorante dove Tesla da anni era solito cenare. Il giornalista lo aspettava al tavolo già da tempo, ma non era per nulla spazientito, semmai lo si sarebbe detto in trepidante attesa. Lo aveva preceduto lì subito dopo la fine dello spettacolo. Quando Tesla era entrato nella sala, con la sua andatura dinoccolata, il giovane cronista si era alzato e gli era andato incontro. L’inventore serbo-croato non era certo uomo da passare inosservato. Aveva occhi chiari, mani e pollici molto grandi, i capelli divisi in due da una riga nel mezzo; era alto un metro e ottantotto per sessantaquattro chili di peso. Vestiva sempre in modo elegante ed era estremamente meticoloso nella cura del proprio aspetto, maniaco dell’igiene com’era (non usava mai lo stesso asciugamano due volte). Possedeva una prodigiosa memoria fotografica, di cui tutti parlavano, e conosceva otto lingue (serbo-croato, ceco, inglese, francese, tedesco, ungherese, italiano e latino). Camminava ogni mattina per circa dieci chilometri e aveva l’abitudine di arricciare le dita dei piedi cento volte ogni notte, prima di coricarsi, sostenendo che ciò favoriva le sue cellule cerebrali. Era un intenditore di musica, di letteratura, di cibi, di bevande e di molto altro. Aveva un sorriso dolce e disarmante, che alternava a un’espressione corrucciata. Viveva perennemente in albergo ed era un abitudinario: cenava immancabilmente al ristorante Delmonico o al Waldorf-Astoria Hotel alle otto in punto, quando non aveva ospiti.

    Tesla e il giornalista si erano stretti la mano e si erano accomodati al tavolo, uno di fronte all’altro. Poi avevano ordinato cibi e bevande senza badare a spese: sarebbe stato Tesla a offrire, anche quella volta – era risaputo che fosse un uomo dalle mani bucate, e molti ne approfittavano.

    «Vede, io ho prosperato sui miei pensieri, sulle mie idee, non sfruttando quelle altrui. In quanti possono dire lo stesso? E da dove sono venute tutte le mie idee? Da lì, da quella mia infanzia travagliata».

    Il giornalista lo fissò senza sapere che rispondere.

    «Possiamo cominciare?» domandò d’un tratto.

    «Ma sicuro».

    «Le spiace se prendo appunti?» fece tirando fuori un taccuino marrone.

    «Faccia pure».

    Mentre arrivavano le prime portate e le loro coppe venivano nuovamente riempite dal cameriere, il giornalista cominciò con le domande: «Signor Tesla, non è che potrebbe spiegare per i nostri lettori alcuni dei suoi trucchi? Come riesce a farsi attraversare da scariche elettriche così potenti e a uscirne indenne?»

    Tesla sorrise. Tossicchiò.

    «Di solito non rivelo i miei segreti. Ma questa volta farò un’eccezione. Dopotutto sono qui per fare pubblicità alle mie invenzioni e alla corrente elettrica alternata».

    Il giornalista si drizzò sulla sedia, avvicinandosi per sentire meglio.

    «Nessun trucco di magia" disse Tesla a bassa voce, come se gli confidasse un segreto. «Semplice scienza. Vede, ciò a cui ha assistito sembra terribilmente pericoloso, ma non lo è affatto. Tutta scena. Basta saper padroneggiare l’energia elettrica. Deve sapere che in presenza di voltaggi molto elevati la corrente trasportata non passa attraverso il corpo, limitandosi a percorrerne la superficie esterna senza provocare alcun danno. Ci si può far attraversare tranquillamente da un alto voltaggio, a condizione che l’intensità di corrente rimanga bassa. Non è il voltaggio a uccidere, ma la potenza della corrente. Questo in pochi lo sanno. Bastano cinque o sei millesimi di ampere diretti al cuore per causare un infarto, ma nemmeno due milioni di volt a un milionesimo di ampere basterebbero a ucciderci. Inoltre, uso suole di gomma isolante molto spesse, per ogni evenienza. Perciò, durante queste dimostrazioni, quando utilizzo il mio corpo come conduttore, in realtà non faccio altro che dimostrare la sicurezza della corrente alternata».

    «E le scintille che scoccano dalle sue mani, come se l’elettricità rispondesse ai suoi comandi? E tutte quelle lingue di fuoco, dopo che lei si è letteralmente caricato di elettricità? Come fa ad accendere le lampade con le dita?»

    «Nient’altro che un trucco. In una mano stringo un filo elettrico collegato a una bobina di mia invenzione e con quello produco scintille dalle dita dell’altra mano, con le quali accendo la lampada».

    «Molto interessante. Lo posso scrivere?»

    «Certo, altrimenti non gliel’avrei detto».

    «E potrei sottoporle l’articolo prima di mandarlo in stampa, in modo da assicurarmi di non aver scritto delle corbellerie?»

    «Sarà un piacere. Gradisce un altro bicchiere?»

    Glielo riempì per metà senza attendere la risposta.

    «Signor Tesla» fece il giornalista, «si dice che lei sia un seduttore; insomma, che piaccia molto alle donne. Mi risulta che abbia schiere di corteggiatrici. Si fanno molti nomi, che per eleganza tacerò».

    Tesla unì le mani lunghe e affusolate sotto il mento e sorrise.

    «Eppure pare che lei, come dire, non solo non sia mai stato sposato, ma anche che rifiuti tutte le proposte di matrimonio e di fidanzamento che ha ricevuto…»

    «Tss tss, tutte esagerazioni. Non nego di possedere un certo charme, che fa colpo sulle donne, ma prima di tutto viene il mio lavoro. Ho sempre ritenuto le donne un disturbo nel mio mestiere… Ritengo, anzi, che la castità abbia molto giovato alle mie capacità scientifiche. E poi le donne, come dire, mi mettono in soggezione. Le ritengo esseri superiori, come lo era mia madre. Anche se di recente trovo che stiano perdendo la loro femminilità nello sforzo di assomigliare agli uomini, sempre più interessate come sono, al pari di molti di noi, ai soldi e al potere».

    Il giornalista nascose un risolino nella mano.

    «Ehm, e se…»

    «Un momento, mi lasci dire ancora una cosa… Vede, un inventore possiede una natura così intensa, ricca di caratteristiche così selvagge e passionali che, nel dare se stesso a una donna, perderebbe tutte le sue qualità. Gli inventori non hanno tempo per la vita coniugale. La sfido a citare una sola grande invenzione realizzata da un uomo sposato».

    «Be’, a dire il vero me ne vengono in mente diverse» rispose un po’ spiazzato il giornalista.

    «Su, mi faccia un nome».

    Il giornalista emise un sospiro. Non voleva in nessun modo contraddirlo.

    «D’accordo, può darsi che abbia ragione lei…»

    «Mi accorgo che l’ho messa in imbarazzo. Cambiamo argomento. Che altro voleva chiedermi?»

    Rincuorato, il giornalista ne approfittò subito: «Credo che il nostro pubblico muoia dalla voglia di sapere a cosa sta lavorando ora. Cosa bolle in pentola? Cos’altro tirerà fuori dal cilindro nei prossimi mesi, nei prossimi anni? Tutti si aspettano grandi cose da lei».

    Tesla sorrise ancora una volta, prima di rispondere.

    «Sto lavorando a un potentissimo radiotrasmettitore che intendo brevettare a breve. E a un automa telecomandato che farà furore in ambito militare… Ha mai sentito parlare di teleautomatica

    «Sì, qualcosa ho sentito».

    «Personalmente ho passato anni a progettare automi controllati a distanza e credo sia possibile produrre robot che agiranno come se fossero dotati di ragione, benché in misura limitata, e che avvieranno una rivoluzione in molti settori commerciali e industriali… Ma tutto ciò riguarda una branca della scienza ancora più ampia e complessa di cui molti si rifiutano anche solo di parlare, perché andrebbe contro la morale corrente… Sto parlando di dotare questi automi di intelligenza e volontà proprie».

    Il giornalista lo fissava a bocca aperta.

    «Ma lasciamo stare per ora questi discorsi… E comunque, come saprà, la mia ossessione resta quella di diffondere l’energia, e con essa ogni tipo di informazione, da una parte all’altra del globo attraverso l’aria, senza l’uso di fili: ci sto ancora lavorando e non dispero di venirne a capo quanto prima grazie al mio trasmettitore d’amplificazione in versione potenziata».

    «Molto interessante» fece il giornalista vuotando il bicchiere d’un fiato, come per farsi coraggio. «È vero dunque quanto si dice, ossia che lei lavora sempre e non dorme mai? E che regalerà al mondo un futuro radioso?»

    «Lo spero. In ogni caso, ho la coscienza a posto. Posso asserire, senza tema di smentita, di aver dedicato al mio lavoro quasi ogni ora del giorno, e a volte anche della notte. Naturalmente, se per lavoro s’intende una prestazione d’opera resa a ore ben definite della giornata secondo regole ben precise, ecco, quello non l’ho mai fatto. È una cosa che mi ucciderebbe. Ma se s’intende il dedicarsi anima e corpo a un’idea, a un progetto, a qualunque ora del giorno, anche mentre si pranza, si passeggia o si cerca di prendere sonno, allora può senz’altro considerarmi come il più infaticabile dei lavoratori. Riflettere sui problemi scientifici è un’attività che per me non ha nulla di stancante. La considero, anzi, riposante; un vero e proprio balsamo per la mia salute mentale. Qualcosa che mi rilassa e al tempo stesso rinvigorisce la mente».

    «È sempre stato così? In altre parole, da bambino, com’era? Insomma, quando ha scoperto la sua vocazione?»

    «Prestissimo. Naturalmente all’inizio ci si avvicina alla scienza in maniera del tutto istintiva, senza metodo, stimolati soltanto da un’immaginazione vivace e ribelle. Ma col tempo mettiamo ordine a questo modo anarchico di procedere, e diventiamo sempre più pianificatori e metodici, insomma disciplinati. Devo ammettere che da piccolo non sempre ho assecondato questi miei istinti, a volte anzi li sopprimevo, e questo mi ha impedito di capire chi fossi fino all’età adulta. Intendo dire che questo negare la mia vera natura mi ha impedito per molto tempo di realizzare che ero un inventore».

    «Come mai?»

    «Be’, innanzitutto perché avevo un fratello molto più intelligente e capace di me. Mi superava in tutto. Era quello che potremmo definire un genio. Lui, sì. Il confrontarmi con lui mi inibiva, se capisce cosa intendo. Mai avrei pensato di possedere delle qualità al di sopra della media. Il genio era lui, non io!»

    «E poi che accadde?».

    «Mio fratello morì prematuramente per una caduta da cavallo, lasciando i miei genitori distrutti nell’animo e nel corpo e così sentii che dovevo prendere il suo posto, se capisce cosa intendo, impegnandomi al massimo in tutto ciò che facevo. Andai avanti così fino a diciassette anni; e allora ebbi una vera e propria rivelazione: scoprii il piacere che mi procurava escogitare soluzioni a vari problemi della vita pratica e della fisica. Archimede è sempre stato il mio ideale. Certo, non si può dire che non ammiri le opere degli artisti, ma per me in fondo non sono che ombre e apparenze. L’inventore invece dà al mondo creazioni palpabili, che vivono e funzionano. E così, sempre di più i miei pensieri presero a rivolgersi con determinazione al mondo delle invenzioni. Mi ero accorto

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