Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Patavina mors
Patavina mors
Patavina mors
E-book345 pagine4 ore

Patavina mors

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Amedeo Martoni, irascibile commissario di polizia criminale a Padova, viene coinvolto da un’amica nelle indagini per la morte di uno scienziato ambientale.
L’indagine porta Martoni nel mondo della ricerca scientifica, della discussione sui rischi climatici del pianeta, del dramma della fuga dei cervelli, della parentopoli universitaria e della progressiva intrusione delle mafie nel tessuto produttivo veneto.
Nel contempo la disordinata vita privata del commissario Martoni viene condizionata dalla politica locale, spingendolo a trovare rifugio nei luoghi della propria infanzia.
Le vicende e gli intrighi che portano Martoni alla soluzione del caso si sviluppano nella società veneta, nel campus universitario di Berkeley, in Artide, in Andalusia, in scenari di guerra stranieri e di fronte alle minacce più severe poste dalla natura al genere umano.
LinguaItaliano
Data di uscita26 gen 2024
ISBN9791223000502
Patavina mors

Correlato a Patavina mors

Titoli di questa serie (12)

Visualizza altri

Ebook correlati

Gialli per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Patavina mors

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Patavina mors - Andrea Marion

    1.png

    I Sorrisi del Leone

    57.

    Andrea Marion

    Patavina

    mors

    romanzo

    Ogni riferimento a persone esistenti, o esistite, o a fatti accaduti, quando non riconducibili a fatti reperibili nella cronaca

    o nella storiografia, è da ritenersi casuale e frutto

    della fantasia dell’autore.

    Copertina di Renato Carlassara

    1ª edizione: maggio 2021

    2ª edizione: maggio 2022

    Proprietà letteraria riservata

    2021 © Piazza Editore

    via Chiesa, 6 - 31057 Silea (TV)

    Tel. 0422.1781409

    www.piazzaeditore.it - info@piazzaeditore.it

    e-mail dell’autore: andy.marion@gmail.com

    ISBN 978-88-6341-253-6

    Dai lacci sciogliemmo

    l’avvinto pensiero

    che or libero spazia

    sui campi del vero.

    E sparsa la luce

    sui popoli fu.

    Di Canti di Gioia

    Inno goliardico patriottico

    Prefazione

    La bufera e oltre

    Come si è spesso notato (si tratta di un fatto piuttosto evidente), la letteratura italiana dell’ultimo secolo ha annoverato tra i suoi protagonisti autori che non provenivano dall’accademia e neppure da ambienti letterari riconosciuti come tali.

    Si trattava, piuttosto, di scrittori che si erano formati ed erano vissuti all’interno di mondi professionali spesso lontani da interessi anche tangenzialmente umanistici.

    Non possiamo neppure parlare di loro come di veri e propri outsiders visto che i più illustri esponenti di questa categoria e cioè Italo Svevo, commerciante e Carlo Emilio Gadda, ingegnere, sono stati i più sorprendenti narratori rispettivamente della prima e della seconda metà del Novecento, se non addirittura i più grandi.

    La provenienza non casualmente eccentrica ha consentito a questi protagonisti delle nostre lettere un giro d’orizzonte più largo e spesso più intrigante di quello esibito da letterati di formazione più tradizionale. Soprattutto ha permesso loro di evitare alcuni vizi come l’intimismo, l’autobiografismo compiaciuto, il provincialismo nostalgico, assai presenti nella nostra letteratura più o meno recente. Letteratura che, con fine ironia, Alberto Arbasino ha giudicato incapace di allontanarsi troppo dal tinello di casa.

    Andrea Marion va sicuramente ricondotto ad una matrice culturale di questo tipo. Ingegnere e studioso ambientale di professione, formatosi per lo più negli Stati Uniti (ma anche in altri vari Paesi), in anni nei quali pochissimi della sua generazione poterono o vollero farlo, ha visto nel suo singolare giro d’orizzonte cozzare e mescolarsi clamorosamente le trasformazioni poderose di società diverse e lontane, con il più radicale mutamento che il Veneto (sua terra d’origine e riferimento identitario) abbia mai subito. Veneto passato impetuosamente dalla condizione di piccolo mondo antico rurale e periferico, a quella condizione radicalmente post-moderna di area affluente e centrale negli scambi economici europei e mondiali.

    È probabilmente questa la prima cosa che colpisce i lettori di Marion, che siano essi giovani o più in là con gli anni: la consapevolezza, onnipresente nelle sue pagine, della quantità, vastità e qualità delle trasformazioni che il Veneto ha attraversato nell’ultimo mezzo secolo. Trasformazioni economiche, sociali, urbanistiche, culturali, politiche, linguistiche, religiose, artistiche, ambientali, antropologiche e via di questo passo.

    Ne siamo tutti più o meno consapevoli ma ciò che scrive Marion ci squaderna questi mutamenti davanti agli occhi in una percussione rapidissima e con uno sguardo panottico che sembra illuminare tutto di una luce particolare e inedita.

    Perché è questo il vero centro di questo come di altri libri di Marion: al di là dell’armatura del romanzo giallo, dei caratteri più o meno convenzionali dei personaggi, degli spunti autobiografici, mai comunque compiaciuti e di maniera, ciò che risalta netto nel profilo e nelle molte sfaccettature di questo lavoro è il vero e proprio cataclisma che abbiamo attraversato.

    Cataclisma dopo il quale ci ritroviamo, sorpresi e vagamente disorientati, come marinai portati da una tempesta su di una spiaggia già vista ma difficilmente riconoscibile.

    È come se Marion fosse sbarcato un po’ prima di noi su questa spiaggia e adesso ci venisse incontro trafelato e vagamente ansioso non solo per mostrarci la situazione dentro la quale siamo approdati, ma anche per stupirsi con noi dell’enormità del fortunale che ci ha travolto.

    È questo che dà alla sua prosa il carattere torrenziale, compulsivo, talvolta angosciato e reattivo che ci investe.

    Non sono molti quelli che hanno veramente guardato all’interno di ciò che ho cercato di chiamare il cataclisma che abbiamo attraversato, con lo sguardo vigile, appassionato e partecipe di Marion. È per questo che possiamo perdonargli alcune forzature.

    Teniamoci care le sue pagine, fanno parte della nostra esperienza più di quanto crediamo.

    Roberto Melchiori

    Nota al lettore

    Per una maggior partecipazione alla vicenda narrata, l’autore suggerisce al lettore che ne abbia l’opportunità di accompagnare la lettura con l’ascolto dei brani di volta in volta indicati nel testo. Al fine di facilitare il lettore, al termine del romanzo è presentata

    la Playlist, l’indice dei brani suddiviso per capitoli.

    1.

    "Past the point of no return, the final threshold, the bridge is crossed, so stand and watch it burn..."¹

    Il trillo del telefono arrivò stridente ad interferire su Christine e il Fantasma dell’Opera definitivamente consci del loro destino. Amedeo mise in pausa lo stereo e andò a rispondere. La voce che gli arrivò dall’altro capo gli fece istantaneamente mettere da parte il musical ed Andrew Lloyd Webber.

    «Ciao papà».

    «Ciao Loriana, che sorpresa. Che succede?»

    «C’è che ho deciso di tornare, voglio votare Rossana… ho trovato un volo economico».

    «Davvero? Questa sì che è una bella sorpresa, quando arrivi?»

    «Arrivo a Tessera venerdì sera alle sette e quaranta, vieni a prendermi tu?»

    «Ci mancherebbe altro, certo che vengo io!»

    «Come va la campagna elettorale, papà?»

    «Bene, meglio del previsto. E poi se torni anche tu, un voto in più. Hai rivisto le tue posizioni politiche, se vieni a votare Rossana».

    «Beh, non proprio, sai che di mio voterei sempre simboli di sinistra. Ma Rossana è Rossana, mi è sempre stata simpatica ed è l’unica donna candidata alla presidenza».

    «Speriamo ci siano tante donne a pensarla come te!»

    «Bene, vado papà, ho un’amica a cena. Ci vediamo all’aeroporto!»

    Loriana stava svolgendo un anno di studi nei Paesi Bassi con il programma Erasmus. Aveva vinto una borsa per frequentare l’Università di Utrecht, dove seguiva i corsi di ecologia nella sede ritenuta forse la miglior scuola europea della materia. Aveva deciso di rientrare per pochi giorni in Italia in occasione delle elezioni regionali.

    Amedeo Martoni, il padre di Loriana, non rivestiva più il ruolo di Capo della Polizia del Veneto. Il suo incarico, iniziato proprio con la devoluzione della competenza dallo Stato alla Regione, era stato propiziato dall’enorme popolarità che gli avevano dato il caso Camilli e il caso Lardoni, ma si era risolto nella sua rinuncia per motivi personali solo un anno e mezzo dopo l’inizio dell’incarico.

    La motivazione ufficiale era stata la discesa in campo politico dell’allora fidanzata Rossana Bauli. Rossana aveva fondato il VAF-Veneto Autonomo Federalista, un nuovo partito regionalista antagonista del centrodestra in Veneto, e questo aveva generato incompatibilità con la posizione molto delicata svolta da Amedeo a fianco del Presidente della Regione, espressione proprio del centrodestra.

    Amedeo aveva conosciuto Rossana nel corso di un’indagine per omicidio a Torre Veneta, la cittadina di cui lei era sindaco a quel tempo. L’aveva ritrovata due anni dopo, ed il suo sorriso aveva squarciato come un sole tra le nuvole cupe il cuore di Amedeo, afflitto senza cura dal vuoto lasciato da Magda Castiglia.

    Aveva agito con il suo solito impeto. Si era presentato inaspettatamente a casa della donna, il giorno del suo compleanno, con una maschera sul volto. Uno di quei nasi finti esagerati, che gli permetteva di proporsi senza mezzi termini ad una donna di nome Rossana, come Cyrano. Portava con sé un mazzo di fiori variopinti e una versione scritta di suo pugno delle parole più celebri dell’eroe di Rostand: Che cos’è un bacio? Un apostrofo rosa tra le parole t’amo. Un po’ da cioccolatino Perugina, ma aveva funzionato.

    La passione aveva travolto quei due cuori in cerca di sfide, dando alla loro unione la propulsione di un missile spaziale.Il ridimensionamento graduale dell’incontenibile slancio fisico iniziale tra i due amanti aveva però dapprima riportato la navicella a due posti entro l’atmosfera terrestre e poi generato una traiettoria che inevitabilmente aveva condotto alla caduta in pieno oceano.

    Il rapporto tra Amedeo Martoni e Rossana Bauli era già andato in crisi prima della fondazione del VAF e aveva boccheggiato ansimante prima dell’inevitabile annegamento. La ritrovata verve politica di Rossana aveva contribuito a tale processo, indicando che il serbatoio di passione della bella signora da cui attingevano Amedeo e il VAF fosse unico e che per questo risultassero di fatto incompatibili. Ben presto, fu evidente come a lui non bastasse la fantasia per evitare la sconfitta in quello scontro impari.

    La rabbia di Amedeo, amante sconfitto dalla concezione della vita di Rossana piuttosto che da avversari in carne ed ossa, che vedeva allontanarsi l’oggetto dei suoi desideri e della sua bramosia, lo aveva quasi portato a non aderire al VAF. A quel nuovo partito di cui era stato ispiratore e ideologo, nei lunghi dialoghi che seguivano i loro incontri amorosi.

    Non era arrivato a tanto, rimanendo attivista convinto del VAF, anche perché Rossana gli aveva comunque confermato il ruolo di ministro dell’interno, del suo interno più profondo. Continuavano a vedersi, non ufficialmente, clandestinamente, quasi esclusivamente per fare sesso e per dare una tregua alla sfiancante attività politica di Rossana. Amedeo era diventato una sorta di toyboy incanutito, ruolo al quale, pur con qualche riserva mentale, si dedicava con tutta l’esperienza e la maestria di cui fosse capace, trovando pure una forma di compiacimento nell’interpretare un ruolo che poteva essere stato scritto da Guy de Maupassant, fosse vissuto ai nostri giorni.

    L’influenza di Amedeo sui primi passi politici di Rossana quale leader di partito era stata decisiva. Nei dialoghi rilassati a letto, Amedeo aveva trasferito in Rossana tutta la sua avversione per ciò che di sabaudo aveva condizionato la storia degli ultimi due secoli della regione. Un revisionismo storico che, assieme al federalismo e all’antistatalismo, era diventato uno dei fondamenti ideologici del nuovo partito, e poi una delle armi più potenti della campagna elettorale di Rossana, capace di muovere verso di lei fasce di popolazione colte, tradizionalmente avverse al linguaggio fin troppo semplice e diretto degli avversari del centrodestra.

    Amedeo aveva anche condizionato Rossana nella scelta del simbolo del VAF, quel leone alato rampante a lui tanto caro, con una zampa sul libro aperto e l’altra chiusa che tiene un ramoscello d’ulivo. Amedeo aveva in realtà proposto la rosa di Motchane in zampa al leone, ma Rossana aveva voluto evitare ogni riferimento al socialismo, optando per un simbolo moderato e proprio della tradizione cristiana.

    Quel leone, sovrastato dalla scritta VOTA BAULI, campeggiava ora in molti spazi temporanei di affissione in ogni città e paese del Veneto. Il VAF si presentava per la prima volta alle elezioni, alle regionali.

    Oltre al simbolo, Amedeo aveva anche convinto Rossana a giocare simpaticamente con i suoi potenziali elettori. Alle riunioni pubbliche preelettorali ad un certo punto veniva intonata: «Con Rossana puoi, fare quello che non puoi fare mai! C’è Rossana e con Rossana si può fare di piùùùù!». La parafrasi della famosa pubblicità natalizia, tra l’altro proprio della Bauli, era ridicola, ma funzionava! Un pezzo di quella parte disincantata dell’elettorato che non credeva più alla politica apprezzava la gag alla Checco Zalone, trascurava l’affinità con i coretti berlusconiani del passato, e ricambiava la risata con il voto al VAF.

    Ma nella rinuncia di Amedeo al ruolo apicale nella polizia veneta c’era inoltre, anzi soprattutto, la naturale ritrosia di Amedeo Martoni verso incarichi dirigenziali e gestionali, che gli toglievano quel sanguigno contatto con la realtà che nutriva il suo bisogno di essere e percepirsi paladino di giustizia, nella forma leggendaria di un Orlando, certamente altrettanto furioso.

    E così la combinazione di una scusa efficace e del pieno convincimento interiore avevano riportato Amedeo Martoni al ruolo di commissario di Polizia, ancora sotto la gestione del comandante Minazzi, ma senza in quel periodo alcun incarico internazionale con l’Interpol.

    Ad Amedeo mancavano molto i viaggi in America, unica forma di evasione verso i ricordi di gioventù, e l’irrinunciabile dialogo con Bob Marshal, capo della polizia di Oakland, con il quale aveva mantenuto una splendida amicizia.

    L’attività del commissario Amedeo Martoni era circoscritta al Veneto ed indirizzata in particolare alla penetrazione della criminalità organizzata nel tessuto produttivo. L’ultima frontiera era l’ingresso delle mafie nella filiera del prosecco, diventato prodotto di consumo mondiale tanto da superare per fama persino il radicchio e il tiramisù.

    La problematica era all’ordine del giorno, al punto che i mezzi d’informazione veneti ne parlavano quotidianamente. Oramai anche don Luigi Ciotti con la sua associazione Libera, promuoveva tra i giovani l’impegno per la giustizia civile in tutto il Nord Est.

    Nella vita privata, il commissario Martoni si sentiva sempre più svincolato dagli obblighi verso i figli. Si era abituato da tempo ad avere contatti solo occasionali con Loriana. Spesso i contatti consistevano nel fare conoscenza con gli amici del cuore della figlia che, per fortuna di Amedeo, Loriana sceglieva immancabilmente sempre appassionati di sport.

    Anche Cacio, alias di Carlo Giovanni, secondo figlio di Amedeo Martoni, era oramai cresciuto e sentiva sempre meno la necessità dei genitori per lo sviluppo dei propri rapporti personali. Il ragazzo aveva un bel carattere, aveva l’innato gusto del paradosso e della battuta fulminante. Era la carezza del cuore di Maura, l’ex moglie di Amedeo, che in Loriana e Cacio trovava le ragioni ed il conforto dell’aver avuto l’ardire, in un tempo della propria vita, di legarsi a quella deviazione statistica del genere umano che rispondeva al nome di Amedeo Martoni.

    Cacio coltivava la passione della storia e dell’archeologia, e questo era divenuto il collante periodico tra padre e figlio. Amedeo aveva comprato un’auto sportiva decappottabile, e d’estate proponeva a Cacio itinerari in varie parti d’Europa nei quali immancabilmente il ragazzo trovava imperdibili occasioni di contatto con la storia. Il Vallo di Adriano e i ruderi medievali nell’alta Inghilterra, la civiltà gallo-romana nella bassa Francia, quella vichinga in Scandinavia, quella araba nella Spagna mediterranea e i luoghi delle grandi Battaglie della storia, Poitiers, Lipsia, Sterling, Teutoburgo,Termopili e altre, offrivano a padre e figlio delle scelte sempre azzeccate.

    E così, per periodi estivi variabili tra dieci e venti giorni, le strade del continente assistevano al passaggio di quella coppia di baldi giovanotti, divisi solo anagraficamente da quarant’anni, che sfrecciavano con i capelli al vento diretti all’incontro con il passato.

    Nella stessa misura in cui diminuivano i rapporti con i figli, si infittivano i rapporti, un tempo ridotti a visite con frequenza poco più che mensile, di Amedeo con i suoi anziani genitori, oramai entrati nell’età in cui le visite mediche e le pratiche riabilitative riempivano l’agenda settimanale.

    Amedeo viveva quei ritorni a casa in un suo modo originale. Lungo il tragitto in auto che lo portava al paese in cui era cresciuto, canticchiava sempre Montagne verdi, e le lancette dell’orologio di Amedeo sembravano ruotare velocemente in senso antiorario, riportando il suo intero sistema all’età in cui viveva stabilmente in quei luoghi. Gli inevitabili incontri casuali con vecchi compagni di scuola riportavano definitivamente i suoi pensieri a quel tempo passato e il suo idioma all’uso esclusivo del dialetto.

    Suo padre Martino contrastava questa nostalgia di Amedeo, chiedendogli continuamente del lavoro e dei nipoti, ma poi ci pensava la madre Elvira a riportarlo lì dove Amedeo doveva stare, senza se e senza ma, in quel ruolo di figlio ancora non del tutto autonomo, da tenere a bada e da proteggere tanto dalle insidie della vita quanto dai colpi di freddo.

    Amedeo lì stava bene, caricandosi i doveri dell’accudimento e al contempo scaricando tutte le altre ansie che opprimevano la sua vita padovana di commissario di polizia. Ringiovaniva, al suo paese, aveva l’impressione persino che gli ricrescessero i capelli perduti. Chiamava i vecchi amici aspettandosi che avessero tutto il tempo per lui, e ci rimaneva male a prendere atto che per loro la vita lì era normale, e che, ad un certo punto, dovevano bandire le chiacchiere con lui.

    Ma la cosa che davvero riportava Amedeo allo status integrale di ragazzo era assistere all’occasionale visita ai genitori di un vecchio parente o di un emigrante in Canada o in Australia che tornava al paese di origine. Lì immancabilmente assisteva allo spettacolo del padre che sciorinava intrecci parentali e identificava le persone attraverso le ‘mende’² locali.

    «Te ricordito de Ioachin Baruio, che el gavèa sposà a sorea de Toni Saresa… ciò, lu jera nevodo de Nani Pueghin che el jera uno che gavèa schèi lora. El gavèa i campi dadrìo de ‘a ostaria de ‘a Cea Sacheta… ciò a Ioachin ghe xe morta a mojer, el jera restà co’ tre fioi da cressar…».³

    Racconti che potevano durare ore e in cui Amedeo veniva di tanto in tanto coinvolto da un riferimento familiare:

    «Ciò Madeo, sto Ioachin jera tanto amigo col fradeo de to amia Teresina».⁴

    «Sì, pupà, me ‘a ricordo ‘a xia, quea che me fasèa sempre a torta coi peri»⁵ rassicurava Amedeo per non rompere l’appassionata ricostruzione del padre.

    «Proprio èa, bravo!».

    Amedeo si era chiesto spesso come al suo paese il cognome Sartor potesse essere diventato Pueghin, ma non c’erano regole, le mende si propagavano dal passato senza alcuna idea sulla provenienza né tantomeno sulla loro motivazione. Del resto, in un mondo in cui era bastata una sola generazione per trasformare piròn in forchetta e caivo in nebbia, Amedeo non poteva chiedere troppo a se stesso e nemmeno al padre.

    A volte Amedeo si fermava a dormire nella sua camera di un tempo, rimasta immutata, fredda d’inverno e calda d’estate come nei peggiori ricordi della sua gioventù. La cosa perciò accadeva preferibilmente nelle mezze stagioni, ed inevitabilmente ogni anno a maggio o a settembre, quando Amedeo partecipava alla immancabile gita della classe ’65 del paese. Gita con destinazioni ogni anno diverse, organizzata dal comitato presieduto dall’amico Mico Postumia.

    «Madeo, Madeo, svejate!»⁶, la madre si era presentata alla porta.

    «Mama, assame dormir».⁷

    «El to teefono sona, Madeo, vuto che te ‘o porte in camera?»⁸

    «No Mama, vegno mi, asseo sonar che riciamo mi».⁹

    Sollevatosi in posizione seduta sul bordo del letto, Amedeo si era messo le mani alla testa.

    "Porca miseria… che’l cojon de Furino, el me gà impenìo de rosso",¹⁰ Amedeo era tornato tardissimo la sera prima dalla gita di classe e dalla cena a Bardolino, sul lago di Garda.

    Arrivato lentamente al salotto dove aveva lasciato il telefono rientrando, Amedeo si stropicciò gli occhi per consultare il display. Lesse Alina Pavan, suo amore di un tempo lontano, giornalista di cronaca giudiziaria del Mattino di Padova. Premette il tasto della richiamata. Occupato. Notò la presenza di un messaggio nella segreteria telefonica.

    «Amedeo, sono Alina, devo parlarti, subito! Agli istituti universitari è stato trovato morto un professore che credo tu conosca da molto tempo, e che mi stava raccontando un sacco di cose. Sono certa sia stato ucciso. Vediamoci il prima possibile, ti prego, chiamami appena puoi!»

    2.

    L’I-House Cafè a quell’ora era sempre molto affollato.

    Alla calca contribuivano immancabilmente un buon numero dei residenti della International House, circa 600 studenti da ogni parte del mondo, tutti iscritti alla University of California a Berkeley. Ma in quell’angolo del campus tra Piedmont e Bancroft confluivano ogni sera anche altri studenti, rendendolo per tutto l’anno luogo di socializzazione serale multiculturale quanto il campus era luogo diurno di trasferimento multiculturale delle conoscenze.

    Amedeo aveva cenato nella mensa interna dell’I-House, si era trattenuto a lungo alla chiusura con la cassiera Sandy, che adorava il suo accento italiano quanto insegnargli le più disparate forme in cui lo slang americano ed in particolare californiano si differenziasse dal british english.

    Amedeo aveva capito che era solo questione di tempo, che sarebbe presto riuscito ad uscire con Sandy, a farsi invitare da lei e quindi ad appoggiare le mani su quelle meravigliose protuberanze che sagomavano convessamente le divise da cassiera dell’I-House dining room.

    Non sapeva bene con chi si sarebbe fermato a parlare quella sera al Cafè. Era a Berkeley da meno di due mesi e sapeva di dover praticare innanzitutto la lingua. Il suo inglese costruito al liceo su Shakespeare e i Preraffaelliti era del tutto insufficiente per il suo status di studente di scambio a Berkeley. Ad ogni lezione si trovava in difficoltà a capire quello che il professore diceva, e doveva perdere ore e ore a ricostruire i concetti da studiare direttamente sui libri di testo dei corsi che frequentava. Oltre a sfinirlo mentalmente, l’insufficienza della sua lingua parlata gli provocava brutte figure in sequenza.

    Era stato terribile per lui superare l’iscrizione iniziale all’Università all’ufficio del Registrar. Arrivato il suo turno, gli era risultato così difficile capire cosa l’addetta gli dicesse che aveva continuato a ripetere «Sorry, I do not understand, can you speak slowly please?»¹¹ a cui l’addetta si adattava riducendo alla velocità minima, quasi dello spelling, le prime parole seguenti, per poi tornare ad accelerare fino alla stessa speditezza iniziale. Nel frattempo, dietro di lui si era creata una fila lunghissima di studenti che avevano cominciato a protestare sempre più animosamente, e che lo avevano guardato in cagnesco quando, dopo un’attesa lunghissima, Amedeo si era finalmente tolto di mezzo.

    Era arrossito anche quando a lezione di Particle Physics, prendendo appunti a matita direttamente sul libro, aveva fatto un errore, e non trovando una gomma nell’astuccio si era rivolto alla sua compagna di banco chiedendole se potesse dargli un rubber, che in inglese significa gomma da cancellare, ma che in California era stato ormai rimpiazzato dal termine eraser, per mantenere l’unica accezione di rubber=preservativo.

    Non avrebbe mai pensato di potersi trovare in tali continue difficoltà, ma in molti lo avevano confortato spiegandogli che, portando pazienza e insistendo, dopo poche settimane il paradiso dell’inglese parlato si sarebbe dischiuso d’incanto di fronte a lui.

    Vagando per il Cafè, nel quale Eternal Flame delle Bangles che usciva dagli altoparlanti si sommava al volume altissimo delle voci quasi urlanti che provenivano dai tavoli, e zigzagando tra camerieri e pitchers¹², aveva sentito chiamare il suo nome.

    «Amedeo, come here!»

    Il richiamo di evocazione felliniana veniva formulato anche in questo caso da una avvenente ragazza con i capelli lunghi e mossi, ma castani, che teneva in mano un bicchiere di birra, seduta al tavolo con quattro giovani. Riconobbe il gruppo dei cinque, tutti residenti come lui dell’I-House.

    «Hi Kitty, bonsoir Pierre, hi Sebastian, ciao Alvise, hi Aramis…».

    «Ah, uno altro italiano… e la pasta, e la pizza e la mamma e la mafia!», aveva pronunciato Pierre, alzando il bicchiere in segno di saluto.

    Era il gruppo di amici di Alvise Pepito, uno dei quattro studenti di Padova arrivati a Berkeley con Amedeo quell’anno. I costanti contatti dei primissimi giorni tra i padovani inviati a Berkeley si erano immediatamente diluiti per la ricerca di ciascuno di loro di compagnie in cui evitare di parlare la propria lingua.

    Per questo Amedeo si era andato a sedere all’estremità opposta del tavolo rispetto ad Alvise, vicino a Sebastian Boekers, olandese di Amsterdam, studente di Master alla Law School¹³, specializzato in diritto commerciale e in particolare di copyright¹⁴ internazionale.

    Amedeo e Sebastian avevano intavolato una discussione tra il serio e il faceto che si era protratta fino a notte fonda. L’oggetto, dopo alcune birre di entrambi, era stato l’ipotesi di esportare nel mondo il marchio del Cacao Meravigliao, di cui Amedeo aveva illustrato la natura spiegando a Sebastian della trasmissione televisiva italiana di Renzo Arbore Indietro Tutta e delle ballerine brasiliane scosciate.

    I due erano stati

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1