Da zero alle stelle
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Musica e parole possono rendere migliore la nostra vita, Maria Giovanna Farina lo vuole affermare dal suo punto di vista filosofico con uno stile sciolto, dove non manca emozione ed ironia. Un percorso autobiografico e terapeutico che, giungendo alla musica delle stelle, sa ritornare continuamente, toccando l'anima, all'origine del viaggio.
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Anteprima del libro
Da zero alle stelle - Maria Giovanna Farina
MARIA GOVANNA FARINA
Da zero alle stelle
viaggio nella musica con
Renato Zero
Alberto Fortis
Mariella Nava
Cristiana Pegoraro
e la Filosofia
Pratica filosofica
Direzione: Maria Giovanna Farina
Comitato scientifico:
Paolo Beretta (Università Vita-Salute San Raffaele di Milano)
Moira De Iaco (Università del Salento, Lecce)
Giovanni Gaetani (Università degli Studi di Roma Tor Vergata)
Giacomo Pezzano (Università degli Studi di Torino)
Stefano Scrima (Alma Mater Studiorum – Università di Bologna)
Federico Sollazzo (Università delle Scienze di Szeged)
Marco Viscomi (Università degli Studi di Perugia)
KKIEN Publishing International
info@kkienpublishing.it
www.kkienpublishing.it
Prima edizione digitale: 2016
Illustrazione in copertina: Da zero alle stelle
di Daniela Lorusso
daniela.lorusso.milano@gmail.com
ISBN 9788894229202
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Table Of Contents
Prefazione
Musica e lacrime
Premessa
Introduzione
Renato Zero
la grande madre
La favola mia
la favola del mondo
I° intermezzo
il tradimento
Conoscere Cartesio
al di là dell’ufficialità
Una sosta
e facciamo il punto
Alberto Fortis
la metafora nel sogno
II° intermezzo
la morte
Mariella Nava
incontro col femminile
III° intermezzo
l’amicizia
Giuliana,
una vita in musica
Cristiana Pegoraro
la pianista che cura l’anima
IV° intermezzo
l’amore
Dalla musica
alle immagini
Epilogo
Felicità, istruzioni per l’uso
Conclusioni
Riconoscimenti
Ringraziamenti
Bibliografia
testi citati
Bibliografia
brani musicali citati
Con le parole del filosofo Renato Cartesio
dedico il libro
alla Musica e all’Amicizia
E finalmente vedo terra, mi affretto velocemente alla spiaggia;
e tralascio qui molte cose per amore di brevità, molte le tralascio
per dimenticanza, ma per la maggior parte per ignoranza.
Accetto tuttavia che questo parto della mia intelligenza,
così informe e quasi parto di un’orsa, ora terminato, giunga
fino a te, come ricordo della nostra familiarità e come certissima
testimonianza del mio affetto nei tuoi confronti…
Da il Compendium musicae
di Renè Descartes
dato in dono a Isaac Beeckman nel 1618.
Prefazione
Musica e lacrime
Quando a Maria Giovanna venne in mente di scrivere questo libro me lo comunicò con l’entusiasmo dell’EUREKA! Era da tempo che cercava un argomento che la soddisfacesse dal punto di vista editoriale e nel contempo le desse la possibilità di mettere a frutto parte delle riflessioni raccolte in anni di lavoro. Con lo stesso entusiasmo mi disse: «tu, che te ne intendi di musica, devi farmi una bella prefazione.»
Ad una richiesta tanto perentoria come dire di no? Il fatto poi che me ne intendessi di musica è prettamente da un punto di vista amatoriale, non certo professionale, anche se mi sarebbe piaciuto, ma di questo a lei poco gliene importava.
Devo dire però che l’idea mi piacque, la ritenevo originale. Raccontare la crescita musicale di qualcuno poco avvezzo all’arte della musa preposta alla musica, attraverso l’espressione di quattro artisti del campo musicale, mi prendeva. Inoltre, conoscendo lo stile divulgativo e accattivante di Maria Giovanna e il suo saper rendere la filosofia accessibile a tutti in modo da poterne trarre vantaggio nella quotidianità, sapevo che questo lavoro sarebbe stato utile a molti e non solo a quanti conoscono gli artisti in questione.
Quattro artisti, quattro momenti distinti e conseguenti, ognuno che contrassegna uno spazio temporale e la riporta in un dato periodo della vita: Renato Zero, la grande madre, la chioccia protettiva che tutti accoglie e ama; Alberto Fortis, il simbolismo, la metafora con le sue colorite figure retoriche, famose le piroette di sabbia e le guglie del Duomo; Mariella Nava, la signora della musica a rappresentare il femminile, dote, a suo dire, sempre più difficile da trovare oggigiorno ed infine la bella e brava concertista Cristiana Pegoraro, l’anima della grande musica, il momento aulico del cammino. La lettura è arricchita da quattro, tanto per rimanere in tema, intermezzi in cui l’autrice dando e cogliendo spunti di riflessione si sofferma su alcuni temi maggiormente affrontati nei testi delle canzoni: l’amore, l’amicizia, la morte e il tradimento. E conclude con una riflessione sulla felicità introducendo sempre sapientemente gocce di filosofia che surrettiziamente incuriosiscono e conducono, anche il lettore, poco incline al suo studio, ad apprezzarla e ad approfondirne la conoscenza.
Ritengo la musica anche un mezzo di trasporto temporale, forse il migliore, poche note hanno la capacità di fare viaggiare nel tempo alla velocità della luce per condurre là, dove null’altro è capace di arrivare. Essa non chiede mai il permesso, ti prende e ti trans-porta, non importa dove sei, cosa fai, con chi sei, ti cattura e basta e il luogo del ricordo persiste nella mente indifferente pur senza di lei. Essa può essere un valido aiuto alla memoria per la sua capacità, oltre a quella di trans-portare, anche di riesumare ricordi che altrimenti resterebbero seppelliti nell’oblio; quante volte particolari momenti sono riaffiorati alla coscienza grazie alla musica? Penso che a chiunque sia capitato, almeno per una volta, di trovarsi in una posizione del genere. Un punto su cui vorrei indugiare quel tanto da creare una riflessione è relativo a quanto sia determinante l’esecuzione del brano nel ri-condurre chi ascolta nei luoghi del passato; ossia, lo stesso motivo interpretato da un altro esecutore sortirebbe lo stesso effetto ai fini del ricordo? Lascio la risposta al lettore.
Un’altra cosa che non posso tralasciare, sempre relativa alle variazioni, anche minime, della musicalità del brano, è quando accade, soprattutto nei remake, che alcune note vengano volutamente cambiate da chi canta per dare una parvenza di nuovo, ebbene questa forma di revisionismo irrita tutte quelle persone che conoscono il brano nella versione originale: a detta di molti non c’è nulla di più cacofonico del sentire alterate le note conosciute, è qualcosa che innervosisce; qualcuno se n’è accorto ed ha riportato l’esecuzione al canto originale. Sono pochi i casi in cui un ri-facimento è apprezzabilmente ascoltabile. Per chi non conosce il pezzo non c’è alcun problema, ma mi chiedo, vi chiedo, ne vale la pena? Certi rifacimenti danno la netta idea di chi, esaurita la vena, è arrivato alla frutta o come dico io alla tovaglia da scuotere. Cambiare una nota sarebbe come cambiare un particolare di ciò che è stato, affermare che non andava bene, immemori che in quel dato momento era invece la cosa migliore. Probabilmente lo zoccolo duro dei fan, quelli che seguono il loro idolo nelle trasferte e preferiscono non usare neppure un pizzico di senso critico non ci badano, ma questi, per fortuna, non sono la maggioranza. Dobbiamo molto alla musica, oltre a rallegrare gli animi ed accompagnarci nei momenti più gioiosi e felici, pensiamo alla marcia nuziale, essa possiede altre doti che non esiterei a definire catartiche e terapeutiche e credo, a questo punto, che un cenno al rapporto musica – pianto, sebbene e forse proprio per questo, nel libro sia solo sfiorato, meriti la nostra attenzione. Certamente non tutte le musiche provocano il pianto, l’espressione catartica e liberatoria per eccellenza, e, sicuramente, quelle che lo provocano ad alcuni, non lo causano ad altri; vi sono però alcuni brani che fanno piangere più di altri ed altri, invece, che non commuovono per niente.
Quale spiegazione si può dare a questo fatto?
Anche ascoltando la musica che più predispone al pianto, come per esempio le opere di Puccini o il Requiem di Mozart, la maggior parte delle volte non si giunge alla emissione di lacrime, per lo più, per i soliti motivi per cui non si deve piangere, esse rimangono in nuce e la contrazione temporo-mandibolare ci aiuta a perseguire questo scopo.
Per prima cosa, affinché la musica possa agire in tal senso è necessario che abbia qualcosa in comune con il vissuto di chi ascolta, che evochi ricordi soprattutto della giovinezza. In assenza di questa condizione è poco probabile che possa realizzarsi il pianto. Chiarito questo punto occorre far presente che esistono alcune tematiche, come possono essere per esempio quelle relative alla Patria, che entrano a far parte del vissuto di ognuno, (bene o male il senso patriottico ci è stato inculcato più o meno velatamente sin da bambini e l’inno nazionale rappresenta per ogni cittadino la reificazione sonora della Patria) e altre, come la partecipazione a funerali o a funzioni e celebrazioni in cui molti piangono, che ci rendono più sensibili alle lacrime. Nella genesi del pianto "da musica" un ruolo importante lo rivestono anche gli strumenti musicali impiegati per l’esecuzione del brano: lo stesso pezzo, può generare sensazioni differenti a seconda che sia eseguito dalla banda, da un coro, da una voce solista, da un piccolo gruppo musicale oppure da un’orchestra sinfonica.
Quindi, in base a queste considerazioni direi che un certo tipo di musica assolve la funzione di produrre lacrime a causa della immediatezza con cui sa ri-portare a situazioni il cui ricordo predispone al pianto e, gli strumenti musicali usati per l’esecuzione, le condizioni psicofisiche e l’ambientazione venutasi a creare, in quel determinato contesto, contribuiscono, a volte, in modo determinante. Infine il pianto si può considerare un sistema di misura per valutare la bontà di un pezzo: a certe persone la musica, come certe opere d’arte in genere, anche della Natura, quando raggiungono livelli eccelsi che toccano il profondo dell’Io, fanno accapponare la pelle e scaturire lacrime.
Dobbiamo altresì ricordarci che la musica non è solo il prodotto di importanti strumenti musicali in grado di esprimere interi brani senza l’ausilio di accompagnamento, ma anche di strumenti monotonali: cosa sarebbe la "Danza delle ore" del Ponchielli senza lo squillante, deciso e delicato suono del triangolo?
Max Bonfanti, filosofo
Premessa
Raccontare e raccontarsi è una caratteristica peculiare dell’essere umano originata dal bisogno. Parliamo di noi, ci narriamo per cercare un confronto affinché gli altri possano offrirci il loro parere, ci raccontiamo per ascoltare la nostra "voce" e sentirci meno soli, per non essere dimenticati cosicché le nostre gesta possano trovare un luogo di memoria personale nell’immenso teatro della vita.
Scrivere, disegnare, cantare, suonare sono quattro modelli di espressione adatti al raccontarsi per lasciare un segnale del nostro passaggio: per non essere cancellati. La pittura e la scultura sono modalità espressive che allietano con vario grado di intensità i nostri sensi; sia un dipinto di Van Gogh che il disegno di un bambino della scuola materna, testimoniano la storia dei loro autori, trasmettono