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Danzare la vita
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E-book206 pagine3 ore

Danzare la vita

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La danza come espressione della vita
"Che cosa accadrebbe se, invece di limitarci a costruire la nostra esistenza, avessimo la follia o la saggezza di danzarla?". Roger Garaudy, filosofo francese fuori dagli schemi ed anticonvenzionale, ci offre una riflessione sulla danza moderna in quanto simbolo dell'azione di vivere, e di vivere intensamente i conflitti, le angosce e le speranze del nostro tempo. La danza è partecipazione, celebrazione; si collega al lavoro, alla festa, all'amore e alla morte. Tutta la vita ruota intorno alla danza e si danza nei momenti importanti della vita. E, allora, perchè non danzarla? 
LinguaItaliano
Data di uscita27 lug 2020
ISBN9788833260716
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    Anteprima del libro

    Danzare la vita - Roger Garaudy

    cover.jpg

    Roger Garaudy

    Danzare

    la vita

    Pratica filosofica

    KKIEN Publishing International

    info@kkienpublishing.it

    www.kkienpublishing.it

    Ed. originale: Dancer sa vie, 1970

    Traduzione dal francese di Alessia Roquette

    Prima edizione digitale: 2020

    In copertina: Isadora Duncan

    ISBN 9788833260716

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    Table Of Contents

    Prefazione

    La danza della vita

    La danza come modo di vivere

    Come la danza divenne una lingua morta

     Preludio al risveglio della bella addormentata nel bosco

    I pionieri

    Isadora Duncan danzatrice dionisiaca

    Denishawn

    I creatori della danza moderna

    Martha Graham

    Mary Wigman, danzatrice faustiana – Rudolf Von Laban e la logica del movimento

    Doris Humphrey: il rapporto dell’uomo col mondo

    La danza dopo il 1950

    La nuova danza

    Maurice Béjart e la danza prospettiva

    Riflessioni sull’avvenire della danza

    Prefazione

    Qualche anno fa, in vacanza su un’isola del Mediterraneo orientale rimasta ancora fuori, a quell’epoca, dal giro turistico, ho vissuto per alcune settimane durante l’estate, la vita dei pescatori, dei contadini autentici, che aveva il ritmo dell’aria, dell’acqua, della luce, dei vegetali.

    La sera, finita la giornata, il villaggio si trova raccolto sulla piazza, fra i due caffè, il grosso albero, la fontana e la strada che conduce al porto. Le persone passano, si guardano, si salutano, sorridono, scompaiono, tornano, vanno a sedersi. Un muricciolo di pietra, una panchina, una sedia davanti a uno dei caffè, il bordo della fontana. La notte è appena scesa (rapidità del tramonto in Oriente). Silenzio. Poi gli uomini si mettono a parlare. Allora, quasi sempre, dopo un certo lasso di tempo, il tono sale: discussioni, dispute - nessuno è d’accordo - incomprensione. Certe sere scoppiano zuffe violente e senza ragione. Interrogati l’indomani, danno questa risposta: Sono corse parole!».

    Sono della stessa razza, dello stesso ambiente sociale, della stessa età... eppure le parole hanno per ognuno un significato diverso. Le stesse parole. Mito di Babele!

    In altre sere, il silenzio si prolunga, poi un uomo si alza e danza - un altro - un terzo - gli altri stanno a guardare ma gli occhi ne attestano l’unione profonda, la partecipazione totale. La danza continua fino a notte inoltrata, i danzatori ogni tanto si danno il cambio, e quando alla fine ognuno torna a casa regna l’unità, la gioia è vera, il riposo perfetto. La parola divide, la danza è unione. Unione del’uomo e del suo prossimo. Unione dell'individuo e della realtà cosmica.

    La danza è un rito: rituale sacro, rituale sociale. Si ritrova in essa quel duplice significato che è all'origine di ogni attività umana.

    Danza sacra: l’uomo è solo di fronte all’Incomprensibile: angoscia, paura, attrattiva, mistero. Le parole non servono a niente. Per quale motivo chiamare ciò Dio, Assoluto, Natura, Caso? ... Quello che occorre è entrare in contatto. Ciò che L’uomo cerca al di là della comprensione è la comunicazione. La danza nasce da questo bisogno di dire l'indicibile, di conoscere l'ignoto, di essere in rapporto con l'altro.

    Danza profana: l'uomo è membro di un determinato gruppo etnico, sociale, culturale. Ha bisogno di sentire che fa totalmente parte di questo gruppo: di essere in rapporto con gli altri. Più delle leggi, dei costumi, dei vestiti, del linguaggio è il gesto che dà origine a questa unione. Le mani si congiungono, il ritmo unisce i respiri, nasce la danza folcloristica, con il suo leitmotiv universale: il girotondo, la farandola...

    Danza sacra, danza profana: il solista solo di fronte all’ignoto metafisico, il gruppo unito nella sua funzione sociale. L'origine e la realtà di ogni danza va ricercata in queste due forme essenziali.

    È un luogo comune parlare della solitudine dell'uomo di oggi all'interno di una civiltà che lo dilania. L'uomo soffre non solo di questa solitudine, ma anche e soprattutto di una profonda divisione all’interno del suo essere. Noi abbiamo dissociato l'educazione del corpo, da quella dello spirito e da quella di quel centro (qui si incespica ancora sulle parole) che chiamiamo, secondo le usanze, l'anima, il cuore, l'intuizione, la conoscenza trascendente. Le scienze fisiche e naturali fanno astrazione da questo principio e dalla sua diffusione nell’universo, La nostra religione non soddisfa i bisogni dell’intelligenza. Il nostro intelletto nega il corpo mentre la medicina non vuol saper nulla né dell’anima né dello spirito.

    Un universo di paralitici che per tutto il giorno, in ufficio, in macchina, a casa, davanti alla televisione, a tavola e che, durante la settimana, fanno funzionare solo una piccola parte della corteccia cerebrale, si butta a capofitto nei week-end e nei giorni di festa in un’attività pseudosportiva incoerente e senza alcun rapporto con l’esistenza profonda di tutto il singolo: lo spirito qua, il corpo là, qui il sesso, laggiù il cuore: eterna vivisezione che ogni essere attualmente avverte con profondo disagio.

    La danza è una delle rare attività umane in cui l’uomo si trova totalmente impegnato: corpo, cuore e spirito: La danza è uno sport (completo). La danza è anche una meditazione, un modo di conoscenza introversa ed estroversa insieme. Qualche anno fa, in India, incontrai un maestro yogi di fama e autenticità, e gli manifestai il mio desiderio di fare dello yoga, profondamente, e non quella piccola cultura fisica per persone ipertese. Lui mi rispose: "La parola yoga vuol dire unione. Questa unione lei può trovarla attraverso la danza perché anche la danza è unione. Lei è un danzatore: Siva, il Signore del mondo, il grande yogi è chiamato anche Natarajà, il re della danza... Lei è un danzatore: beato lei. La sua danza sia il suo yoga, non ne cerchi altri. Poi guardandomi, più tardi, al momento di separarci soggiunse: Ah! Se tutti gli occidentali potessero nuovamente imparare a danzare".

    Gli spettacoli di danza hanno ogni giorno un successo più grande, un pubblico più giovane, più numeroso. Nel XX secolo il balletto prende il posto occupato nel XIX dall’opera, nel XVII e XVIII dal teatro parlato. La danza ha ripreso nel corteggio delle arti quel posto che le era stato tolto da una civiltà cristiana e puritana. Ma questo è sufficiente? La danza non è solo uno spettacolo, e l’entusiasmo di un pubblico nuovo e fervoroso non porterà a nulla se una profonda rivoluzione non le restituirà il suo posto all’interno di una società che cerca se stessa.

    Per il bambino danzare è importante quanto parlare, o contare o imparare la geografia. È essenziale per il bambino, nato danzante, non disimparare questo linguaggio sotto l’influsso di un’educazione repressiva e frustrante. Che ognuno, all’uscita da uno spettacolo di danza che ha gustato, si ponga questo problema e lo consideri sul piano dell’esistenza e non su quello dello spettacolo, e trasferisca quella gioia sul piano della partecipazione duratura.

    Il posto delta danza è nelle case, per le strade, nella vita.

    Allora, come diceva Nietzsche nella Nascita della tragedia: Lo schiavo è liberato, allora si spezzano tutte le barriere rigide e ostili che la miseria, l’arbitrio, la moda insolente hanno eretto fra gli uomini. Ora, attraverso il vangelo dell’armonia universale, ognuno si sente non solo riunito, riconciliato, fuso col prossimo, ma anche identico a se stesso, come se il velo di Maya si fosse stracciato e come se ormai solo i lembi ne svolazzassero davanti al misterioso Uno-primordiale.

    Maurice Béjart

    La danza della vita

    La danza come modo di vivere

    «Che cosa accadrebbe se, invece di limitarci a costruire la nostra esistenza, avessimo la follia o la saggezza di danzarla»?

    Oggi è forse questa una delle domande più grosse che pongono i giovani nel contestare le finalità stesse del mondo che affidiamo loro.

    La danza moderna - quella che si delinea all’inizio del xx secolo con Isadora Duncan, Ruth Saint-Denis e Ted Shawn; che si configura pienamente dal 1925 al 1960 nell’opera di tre giganti: Martha Graham, Mary Wigman, Doris Humphrey; quella che si sviluppa dopo il 1960 con la «nuova danza» sotto forma di domanda e persino di contestazione - non è forse un inizio di risposta a questo problema vitale?

    Infatti questa danza non è solo un’arte ma un modo di vivere.

    La «danza moderna» si collega così - al di là di quattro secoli di «balletto classico» e venti secoli di disprezzo del corpo da parte di un cristianesimo pervertito dal dualismo platonico - a quello che fu la danza presso tutti i popoli e in tutti i tempi: l’espressione, attraverso movimenti del corpo organizzati in sequenze significanti, di esperienze che trascendono il potere delle parole e del mimo. La danza è un modo di esistere.

    Non semplice gioco, ma celebrazione, partecipazione e non spettacolo, la danza si collega alla magia e alla religione, al lavoro e alla festa, all’amore e alla morte. Gli uomini hanno danzato in tutti i momenti solenni della loro esistenza: la guerra e la pace, il matrimonio e i funerali, la semina e le messi.

    Il termine stesso di danza, in tutte le lingue europee: «danse», «dance», «tanz», deriva dalla radice tan che, in sanscrito, significa «tensione». Danzare è sperimentare ed esprimere con la massima intensità il rapporto dell’uomo con la natura, con la società, con l’avvenire e i suoi dei.

    Danzare significa anzitutto stabilire un rapporto attivo fra l’uomo e la natura, è prendere parte al movimento cosmico e al suo dominio.

    Quando il cacciatore paleolitico disegna un bisonte sulle pareti delle caverne di Lascaux o di Altamira, la tensione del tratto dà all’uomo un potere reale sulla bestia; quell’incurvatura della schiena, tesa come un arco, rivela la sicurezza dell’occhio e della mano che scopre la minaccia della fiera pronta a balzare. È la prima conoscenza sintetica ed estetica del mondo, conoscenza immediata, anteriore al concetto e alla parola.

    La danza del cacciatore che imita, con la stessa potenza ed elasticità, il movimento dell’animale di cui ha rivestito la maschera, nella grotta delle Combarelles, è già una vittoria dell’uomo per quando dovrà affrontarlo in futuro. Simile rapporto con la preda non è solo quello del lavoratore con l’oggetto del suo lavoro, né quello del guerriero di fronte al nemico, ma anche quello del seduttore nei confronti della donna desiderata.

    Identificarsi attraverso la danza col movimento e con le forze della natura, per captarle imitandole, diviene una necessità primordiale della vita quando, con l’insediamento in un territorio e con la nascita dell’agricoltura, la conoscenza dei ritmi della natura è ormai un bisogno vitale.

    Nell’Egitto di seimila anni fa, quando la notte cominciava a impallidire e si spegnevano gli astri, la cui celeste danza era l’immagine stessa dell’ordine della natura, all’alba, l’uomo, angosciato di non percepire più quell’immagine, dava loro il cambio per conservare l’ordinamento del cielo imitandolo: cominciava allora la danza della stella del mattino con i suoi girotondi, e quel balletto simbolico, contemporaneo alla nascita dell’astronomia, insegnava ai figli dell’uomo, col movimento figurato dei pianeti, le leggi che reggevano il ciclo armonioso dei giorni e delle stagioni, le leggi che permettevano di prevedere e quindi di dominare le piene del Nilo rendendole non distruttrici, ma fecondanti, preparando per tempo le dighe e i canali.

    Il flusso e riflusso del fiume i cui ritmi regolavano i lavori della semina e della mietitura, immagine della morte e della risurrezione della natura, venivano celebrati in primavera nei miti e nei riti di danze drammatiche ricordando Osiride, il dio le cui membra disperse venivano cercate e raccolte dalla sorella Iside per essere bruciate sul rogo funerario perché il dio potesse rinascere a un’altra vita.

    In questa espressione dell’unità organica dell’uomo e della natura, l’India ha fatto «della danza di Siva l’immagine più chiara dell’attività di Dio che un’arte o una religione possa mai vantare» scrive Ananda Coomaraswamy.

    Da danza del dio Siva ha per tema l’attività cosmica: «Il nostro Dio, dice un inno sacro dell’India, è il dio danzatore che, simile al calore del fuoco quando avvolge la legna, irradia il suo potere nello spirito e nella materia, e travolge anche loro nella danza».

    La danza di Siva esprime le cinque attività divine: la creazione continua del mondo, perché dal ritmo di questa danza l’universo è nato e si evolve; la conservazione di questo universo perché l’equilibrio di questo cosmo in continuo movimento è conservato solo dal ritmo della danza; la distruzione: le forme si distruggono perché possano nascerne altre all’infinito e Siva danza nella fiamma dei palazzi incendiati; la reincarnazione perché la danza di Siva mostra il cammino attraverso parecchie vite al di là delle illusioni di esistenze limitate; la salvezza infine, o l’ultima liberazione attraversai la quale ognuno prende coscienza di ciò che egli è tutta l’eternità: un momento dell’attività ritmica di Siva, il dio danzatore.

    Goomaraswamy riassume così il significato essenziale della danza di Siva: essa è anzitutto l’immagine del gioco ritmico, sorgente di ogni movimento dell’essere; inoltre libera l’uomo illimitato dall’illusione di essere un individuo chiuso entro, i confini della sua pelle: il suo corpo e il suo essere sono l’universo intero; infine il «luoghi» della danza, il centro dell’universo, è nel cuore di ogni uomo.

    Chi sa comprendere la danza sacra conosce la via che affranca dall’illusione individualistica, perché la danza è la sua stessa natura, la sua vita spontanea e totale al di là di ogni fine particolare e limitato: egli si identifica al movimento ritmico di tutto ciò che abita in lui.

    La danza è allora una maniera, totale di vivere il mondo: è insieme conoscenza, religione.

    Saggezza plenaria per la quale Dio è la forza creatrice sempre nascente e sempre operante nel cuore, di ogni esistenza.

    Essa ci rivela che il sacro è anche carnale e che il corpo può insegnare quello che uno spirito, se vuole essere disincarnato, non conosce: la bellezza e la grandezza dell’atto quando l’uomo non è diviso con se stesso ma interamente presente a quello che fa.

    Cogliamo questo arricchimento della vita, quando la danza esercita su di noi il fascino del mare, delle nuvole, del fuoco o dell’amore.

    Infatti l’amore, come la danza, ha preceduto il fiorire dell’uomo: negli insetti, negli uccelli e in ogni specie di animali, la danza fa parte dell’atto dell’amore. Nella danza nuziale delle libellule, il maschio danza per affascinare la femmina; risvegliata allo stesso desiderio, essa si unisce a questa danza che sì completa nell’unione degli amanti.

    Luciano di Samosata, parlando dell’amore primordiale scriveva: «La danza è nata al principio di tutte le cose; ha visto la luce insieme a Eros, perché questa danza primigenia appare già nel coro delle costellazioni, nel movimento dei pianeti e delle stelle, nei girotondi e nelle evoluzioni che essi intrecciano nel cielo e nell’armonia del loro ordine»

    Per Dante, nell’ultimo canto della Divina Commedia in cui la danza è un’attività superiore dei beati nel «Paradiso», è 1’«amor che move il sole e l’altre stelle».

    Dal Cantico dei cantici a santa Teresa d’Avila, l’amore umano è sempre stato il simbolo dell’amore divino come in alcune danze liturgiche dell’India i gesti dell’amore carnale richiamano la presenza del sacro.

    La danza non è solo l’espressione e la celebrazione della continuità organica dell’uomo con la natura; è anche realizzazione della comunità viva degli

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