Il re del mondo
Di René Guénon
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Leggere un testo come “Il Re del Mondo” significa dismettere i panni rassicuranti dell’uomo moderno per ammantarsi di atemporalità, di sacrale inattualità. Questo testo, denso di dottrina e significati esoterici, pubblicato per la prima volta in Francia nel 1927 dal celebre studioso René Guénon con il titolo Le Roi du Monde, si presenta come una decodificazione dei contenuti esoterici di due enigmatiche opere: Mission de l’Inde di Saint-Yves d’Alveydre e Bêtes, Hommes et Dieux, di Ferdinand Ossendowski.
Il compito dell’autore, autorevole depositario della Tradizione, è quello di liberare i due testi da ogni deriva romanzesca per far affiorare, come se si trattasse di un’alchemica opera di distillazione, l’essenza dei principi alla base delle vicende narrate che ruotano intorno al “centro iniziatico” di Agarttha e intorno al suo capo Brahmatma, il Re del Mondo. Questo titolo è attribuito al Manu e designa il principio dell’intelligenza cosmica la quale, riflettendo la luce spirituale pura, formula la Legge (Dharma) che regge il mondo e l’attuale ciclo di esistenza. Il principio è inoltre l’archetipo dell’uomo inteso come pensante (Manava). René Guénon spiega con una serie di importanti e documentati riferimenti che il Re del Mondo ha una funzione ordinatrice e regolatrice riassunta nell’Equilibrio, cioè nel Dharma stesso, il quale riflette nel mondo manifestato “l’immutabilità del Principio Supremo”.
René Guénon osserva come esista una Terra Santa, oggi invisibile, della quale tutte le altre sarebbero state una emanazione e come tale Terra sia custodita nella sua inacessibilità da misteriosi guardiani, i quali le garantirebbero solo alcune relazioni esterne – relazioni possibili esclusivamente agli iniziati. L’autore ritiene infine che non sia importante stabilire se il centro primordiale abbia una localizzazione spaziale avendo per lui i fatti geografici – come quelli storici – un valore simbolico che conferirebbe loro un “significato superiore”.
Un testo utile a chi vuole intraprendere il cammino lungo il sentiero della conoscenza esoterica, accompagnato da un maestro formidabile in grado di fornirci un insegnamento indispensabile.
L'autore: scrittore, esoterista, intellettuale francese, ha svolto un'intensa attività di studio e ricerca volta all'esposizione di alcuni aspetti delle cosiddette «forme tradizionali» (Taoismo, Induismo, Islam, Ebraismo, Cristianesimo, Ermetismo, ecc.), intese come differenti espressioni del sacro, funzionali allo sviluppo delle possibilità di realizzazione spirituale dell'essere umano. Numerose le sue opere, prevalentemente scritte in francese. Tali lavori sono stati tradotti e costantemente ripubblicati in oltre venti lingue, esercitando una notevole influenza, a partire dalla seconda metà del Novecento, soprattutto nella precisazione dei concetti di esoterismo e Tradizione.
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Anteprima del libro
Il re del mondo - René Guénon
1
NOZIONI SULL’«AGARTTHA» IN OCCIDENTE
Nell’opera postuma di Saint-Yves d’Alveydre pubblicata nel 1910 con il titolo Mission de l’Inde
{1}, troviamo la descrizione di un centro iniziatico misterioso chiamato Agarttha
; molti lettori di quel libro avranno probabilmente supposto che si trattasse di un racconto del tutto immaginario e privo di qualsiasi fondamento reale. Se volessimo prendere tutto alla lettera, infatti, troviamo al suo interno delle inverosimiglianze che potrebbero giustificare un tale giudizio, almeno per coloro che si basano sulle apparenze esteriori; e Saint-Yves deve avere sicuramente avuto delle buone ragioni per non pubblicare egli stesso quell’opera, scritta moltissimo tempo prima e mai veramente completata. Prima di allora, d’altra parte, in Europa non si era mai fatto riferimento né dell’Agarttha
né del suo capo, il Brahmâtmâ
, se non da parte di uno scrittore di scarsissima serietà e nessuna autorità, Louis Jacolliot{2}; pensiamo, cioè, che egli volesse realmente parlare di quelle cose durante un suo soggiorno in India, ma le ha poi manipolate, come tutto il resto, secondo il suo stile particolarmente fantasioso.
Nel 1924 si è però verificato un fatto nuovo e in parte inatteso: il libro Bêtes, Hommes et Dieux
, nel quale Ferdinand Ossendowski racconta le peripezie accadute durante un viaggio alquanto movimentato compiuto fra il 1920 e il 1921 attraverso l’Asia centrale, riporta, soprattutto nell’ultima parte, dei racconti quasi identici a quelli di Saint-Yves; e i molti commenti che sono stati fatti su questo libro ci offrono, riteniamo, l’occasione di rompere finalmente il silenzio sulla questione dell’Agarttha
Alcuni spiriti scettici o malpensanti hanno accusato Ossendowski di aver semplicemente plagiato Saint-Yves, mettendo in evidenza tutte le concordanze delle due opere; e infatti sono numerose quelle che presentano, anche nei dettagli, somiglianze davvero sorprendenti. Vi si trova innanzitutto, e che poteva sembrare inverosimile anche in Saint-Yves, l’affermazione dell’esistenza di un mondo sotterraneo che estende le sue ramificazioni ovunque, sotto i continenti e anche sotto gli oceani, favorendo lo stabilirsi di invisibili comunicazioni fra tutte le regioni della terra; Ossendowski, del resto, non rivendica una simile asserzione e anzi dichiara di non sapere cosa pensare in proposito; la attribuisce invece a vari personaggi incontrati lungo il viaggio. Venendo a punti specifici, ritroviamo il passo in cui il «Re del Mondo» è rappresentato davanti alla tomba del suo predecessore, quello in cui si parla dell’origine degli Zingari (Bohémiens), che un tempo avrebbero vissuto nell’Agarttha
{3}, e molti altri ancora. Saint-Yves afferma che durante la celebrazione sotterranea dei «Misteri cosmici», vi sono momenti in cui i viaggiatori che si trovano nel deserto si fermano, e anche gli animali rimangono silenziosi{4}; Ossendowski ci assicura di aver assistito personalmente a uno di quei momenti di raccoglimento generale. Ma c’è soprattutto, fra le strane coincidenze, la storia di un’isola oggi scomparsa, dove sarebbero vissuti uomini e animali straordinari: a questo proposito, Saint-Yves cita il riassunto del viaggio di Iambulo fatto da Diodoro Siculo, mentre Ossendowski parla del viaggio di un antico buddista del Nepal, e le loro descrizioni divergono per pochissimi dettagli; se davvero esistono due versioni di questa storia provenienti da fonti così lontane l’una dall’altra, potrebbe risultare interessante ritrovarle e confrontarle con cura.
Abbiamo ritenuto importante sottolineare l’insieme di queste concordanze, ma vorremmo altresì sottolineare che non sono sufficienti a convincerci del plagio; la nostra intenzione, d’altronde, è di non addentrarsi in una discussione che, francamente, non ci interessa. Indipendentemente dalle testimonianze che Ossendowski stesso ci ha fornito, sappiamo da altre fonti che racconti di questo genere sono frequenti in Mongolia e in tutta l’Asia centrale; aggiungendo che si ritrova qualcosa di simile nelle tradizioni di quasi tutti i popoli. D’altra parte, se anche Ossendowski avesse parzialmente copiato la Mission de l’Inde
non riusciamo a capire perché abbia omesso certi passaggi di grande effetto, né perché abbia cambiato la forma di certe parole, scrivendo per esempio Agharti
invece di Agarttha
, il che invece si spiega molto bene nel caso egli avesse ottenuto da fonte mongola le informazioni che Saint-Yves aveva invece ottenuto da fonte indù (sappendo per certo che egli fu in contatto con almeno due Indù){5}; non comprendiamo nemmeno perché abbia usato, per designare il capo della gerarchia iniziatica, il titolo di «Re del Mondo», che non figura in nessuna parte del testo di Saint-Yves. Anche ammettendo certi prestiti
, resta comunque il fatto che Ossendowski afferma talvolta cose che non hanno il loro equivalente nella Mission de l’Inde
, e che egli non ha certo potuto inventare dal nulla, tanto più che, essendo interessato più alla politica che alle idee e alle dottrine, e ignorando tutto ciò che riguarda l’esoterismo, è stato evidentemente incapace di coglierne egli stesso l’esatta portata. Valga, ad esempio, la storia di una «pietra nera» inviata un tempo dal «Re del Mondo» al Dalai-Lama
, trasportata in seguito a Urga, in Mongolia, e scomparsa circa cento anni fa{6}; ora, in numerosissime tradizioni le «pietre nere» hanno un ruolo importante, da quella che era il simbolo di Cibele fino a quella incastonata nella Kaabah
della Mecca{7}. Per fare un altro esempio: il Bogdo-Khan
o «Buddha vivente», che troviamo a Urga, conserva, insieme ad altre cose preziose, l’anello di Gengis-Khan sul quale è inciso uno swastika
, e una placca di rame sulla quale è incisa il sigillo del «Re del Mondo»; da ciò pare che Ossendowski abbia potuto vedere solo il primo di questi due oggetti, e che ben difficilmente avrebbe potuto immaginare l’esistenza del secondo: non sarebbe stato per lui più naturale parlare di una placca d’oro?
Queste prime osservazioni preliminari sono sufficienti per ciò che ci siamo proposti, in quanto vogliamo rimanere assolutamente estranei ad ogni polemica e questione personale; se citiamo M. Ossendowski e Saint-Yves, è solo perché quello che hanno detto può servire come punto di partenza per considerazioni che non hanno niente a che vedere con quanto si potrà pensare dell’uno o dell’altro, e la cui importanza supera di molto le loro individualità e anche la nostra che, in questo ambito, non deve certo essere superiore. Non vogliamo nemmeno dedicarci a una «critica del testo» più o meno inutile, in merito alle loro opere, ma fornire indicazioni che non sono ancora state date da nessuno e che possono in qualche misura aiutare a chiarire quello che Ossendowski chiama il «mistero dei misteri»{8}.
2
REGALITÀ E PONTIFICATO
Il titolo di «Re del Mondo», considerato nella sua accezione più elevata, più completa e nello stesso tempo più rigorosa, viene attribuito principalmente a Manu
, il Legislatore primordiale e universale il cui nome si ritrova, sotto forme diverse, presso numerosi popoli antichi; per citarne alcuni, il Mina
o Menes
degli Egizi, il Menw
dei Celti e il Minosse
dei Greci{9}. Tale nome, per altro, non si identifica con un personaggio storico o più o meno leggendario; ciò che indica, in realtà, è un principio, l’Intelligenza cosmica che riflette la Luce spirituale pura e formula la Legge (Dharma
) propria delle condizioni del nostro mondo o del nostro ciclo di esistenza; ed è, allo stesso tempo, l’archetipo dell’uomo considerato nella sua caratteristca peculiare di essere pensante (in sanscrito mânava
).
D’altra parte, ciò che importa sottolineare è che tale principio può essere manifestato da un centro spirituale riconosciuto nel mondo terrestre, da un’organizzazione incaricata di conservare integralmente il deposito della tradizione sacra, di origine «non umana» (apaurushêya
) per mezzo della quale la Conoscenza primordiale si comunica attraverso le epoche a coloro che sono in grado di riceverla. Il capo di tale organizzazione, rappresentante in qualche modo dello stesso Manu
, potrà legittimamente portarne il titolo e gli attributi; inoltre, dato il grado di conoscenza che deve aver raggiunto per poter esercitare la sua funzione, si identifica realmente col principio di cui è in certo modo l’espressione umana e davanti al quale la sua individualità scompare. Così è per l’Agarttha
, se questo centro ha raccolto, come suggerito da Saint-Yves, l’eredità dell’antica «dinastia solare» (Sûrya-vansha
) che risiedeva un tempo a Ayodhyâ{10} e che faceva risalire la propria origine a Vaivaswata
il Manu
del ciclo attuale.
Saint- Yves, come abbiamo già ricordato, non considera tuttavia il capo supremo dell’Agarttha
quale «Re del Mondo»; lo presenta piuttosto come «Sovrano Pontefice» e inoltre lo pone a capo di una «Chiesa brâhmanica», definizione che risente di una idealizzazione un pò troppo occidentalizzata{11}. A parte quest’ultima riserva, ciò che egli dice completa quanto a sua volta dice Ossendowski; sembra che ciascuno dei due si sia preoccupato di evidenziare soltanto l’aspetto più direttamente corrispondente alle proprie tendenze e inquietudini dominanti, poiché in sostanza, si tratta di un doppio potere, al