Briciole di storia
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Anteprima del libro
Briciole di storia - Lelio Finocchiaro
Albatros
Nuove Voci
Ebook
© 2016 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma
www.gruppoalbatrosilfilo.it
ISBN 978-88-567-8116-8
I edizione elettronica novembre 2016
PREFAZIONE
La Storia è, per definizione, la trascrizione cronologica di tutti gli avvenimenti di cui l’uomo si è reso protagonista, sin dall’inizio dei tempi.
È ovvio, naturalmente, che ogni avvenimento è conseguente a quelli che lo hanno preceduto e condiziona in qualche modo quelli che lo hanno seguito.
È anche vero, però, che alcuni di essi più di altri sono rimasti impressi nell’immaginario collettivo, e questo vuoi perché più importanti, vuoi perché più affascinanti, vuoi anche solo perché tuttora circondati da mistero.
Non è, quindi, del tutto peregrino proporre di alcuni di questi dei cenni con la segreta speranza che possano, in qualche lettore, fare sorgere il desiderio di saperne di più
.
Lelio Finocchiaro
SUL CONCETTO DI STORIA
Per noi comuni mortali la Storia è senz’altro quella che abbiamo letto sui libri di scuola e alla quale ci siamo totalmente (e forse anche un po’ ingenuamente) appoggiati per formare quelle conoscenze e quelle convinzioni che costituiscono, oggi, le nostre certezze e i nostri riferimenti. Abbiamo fatto bene? È proprio quella la storia vera? È proprio quello il reale svolgimento di accadimenti, di fatti e di interpretazioni che si sono succeduti negli anni? Per cercare di dare una risposta occorre anzitutto fare una distinzione. Gli storiografi possono essere divisi in due grandi categorie: quelli del presente e quelli del passato. Per secoli, fin dall’antichità, storici famosi come il greco Tucidide e molti dopo di lui, hanno sostenuto che per descrivere un evento storico bisognasse viverlo, sentirne direttamente il profumo e provarne, anche su se stessi, le reali sensazioni. Infatti, superato quel momento, gli eventi non potevano che essere guardati attraverso una lente che ne distorceva inevitabilmente la visione a discapito della realtà. Insomma, il massimo riconoscimento andrebbe allo storico che poteva vantarsi dicendo io c’ero
. I sostenitori di questa teoria sono dunque gli storici del presente, che però hanno il torto, perlopiù, di rappresentare la storia di alcuni gruppi dirigenti del periodo descritto, e della loro politica, gruppi che lo storico sosteneva o avversava, e di cui spesso faceva egli stesso parte, e di conseguenza la consideravano come l’unica degna di essere tramandata. Questo il motivo per cui molti, gli storiografi del passato, appunto, hanno ritenuto necessario che dovesse passare del tempo, prima di essere in grado di descrivere un avvenimento storico in modo asettico e obiettivo, senza subire l’influenza delle emozioni del momento. Ed è per rispettare questo principio che anche i libri di storia si fermano sino a una certa data e non arrivano mai alla storia attuale
. Questo potrebbe sembrare, in un primo momento, un approccio vantaggioso, ma anche qui, per lo storico che volesse descrivere seriamente eventi a distanza
, nascono grossi problemi. Infatti in questo caso non possono fare a meno di dipendere da quelli che potremmo chiamare genericamente gli archivi
. In effetti, qualunque sia la ricerca che dovessimo intraprendere, le nostre conoscenze dipenderebbero in toto dalla quantità e dalla qualità dei documenti che il governo del momento, che gestisce quella parte di se stesso che chiama archivi
, decide di mettere a nostra disposizione. Le limitazioni imposte sulla libera consultazione degli archivi sono invero molteplici e a volte incomprensibilmente complicate. Anzitutto i documenti non sono disponibili se non è intercorso un congruo lasso di tempo (in Inghilterra gli archivi tengono solo per sé i documenti per almeno quarant’anni, il Vaticano ha liberalizzato gli accessi – e non per tutti – al 1939 e non oltre, in Italia il Tribunale speciale per la difesa dello Stato
ha secretato i propri documenti per 70 anni, quasi fosse un processo penale, e così via).
In secondo luogo è incontrovertibile che ogni stato abbia la possibilità di conservare tutta la documentazione disponibile mentre ha la possibilità (non è detto che lo faccia, ma sicuramente può farlo
) di scegliere quali documenti, dopo un certo tempo, possono essere resi accessibili e a chi. In pratica si renderebbe vero l’assioma che sarebbe il vincitore
a scrivere la Storia. Questo darebbe spiegazione del perché storie del passato, a partire dall’Antica Atene passando dalla Rivoluzione d’Ottobre e dalle lotte arabo-palestinesi, hanno potuto godere di descrizioni e interpretazioni
anche sensibilmente differenti tra loro.
Descrizioni e interpretazioni, si badi bene, assolutamente vere, destinate a essere smentite solo nel caso sostenessero di essere le uniche
vere. In definitiva il ragionamento appena fatto porta alla conclusione che lo storiografo, sia esso del presente come del passato, in realtà difficilmente può sostenere di essere esaustivo, mentre ne fa risaltare la propria relatività. Dal che deriva che ogni evento storico, dal più antico e misterioso al più recentemente analizzato e descritto, in realtà non è mai realmente esaurito, restando in attesa di una possibile e prevedibile nuova trattazione capace di fornire nuova luce ad avvenimenti superficialmente e frettolosamente classificati come acquisiti.
LA STORIA DELLA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA
Quando Alessandro il Macedone, durante lo sfolgorante cammino che lo portò a conquistare la maggior parte del mondo allora conosciuto, occupò l’Egitto, fondò una città cui diede il proprio nome, Alessandria, destinata in breve tempo a divenire il porto più importante del mediterraneo e centro di scambio con il mondo ellenico.
Alla sua morte, nel 323 a.C., avvenuta quando aveva appena 37 anni, tutto il suo impero venne diviso, in mancanza di eredi, fra i suoi tre generali (chiamati diadochi). L’Egitto toccò a Tolomeo, che così fondò la dinastia che da lui prese il nome e che si concluse con Cleopatra, l’ultima dei Tolomei. Fu proprio con Tolomeo Sotere e col suo successore Tolomeo il Filadelfo che nacque e prese vigore la Biblioteca di Alessandria, anche se alcuni sostengono che l’idea iniziale fosse partita addirittura da Aristotele, maestro di Alessandro.
L’intenzione era quella di rendere la Biblioteca il centro assoluto dello scibile di allora, detentrice e distributrice di tutto il sapere in forma scritta mediante un uso sapiente delle copie dei manoscritti. A dirigere la Biblioteca furono chiamati i più colti e rispettati saggi dell’epoca (il primo sovrintendente, nominato direttamente dal re, fu Zenodoto di Efeso).
Svariate decine di scriba vennero inviati laddove erano custodite opere e manoscritti di ogni genere, per farne copie da riportare nella Biblioteca, e ogni nave che gettava l’àncora nel porto era obbligata a consegnare ogni manoscritto che si trovasse a bordo, di cui peraltro riceveva una copia.
In breve tempo fu incredibile il numero di papiri e codici che trovarono posto nella Biblioteca. Le stime sono variabili, ma alcune arrivano a contarne fino a 750.000, un numero assolutamente enorme.
Nella Biblioteca si adottò un sistema di catalogazione che non è dissimile da quelli in uso tuttora.
I rotoli di papiro (si ricorda che un rotolo doveva, per convenzione, essere lungo almeno quanto bastava a contenere un dialogo di Platone) venivano raggruppati per argomento e conservati in appositi fori nelle pareti, mentre a seguito del divieto di esportazione del papiro, imposto dall’Egitto, la necessità di trovarne un succedaneo portò all’uso della pergamena (nome derivante dalla città di Pergamo in Turchia), di origine animale. Quest’ultima condusse alla scrittura su fogli e pagine, impilati e rilegati come i volumi di oggi, e chiamati codici. Per questi vennero adottati, per la conservazione, degli appositi armadi, suddivisi per argomenti e stanze.
All’interno della reggia il Tempio delle Muse (Museion) comprendeva la Biblioteca, oltre a un osservatorio astronomico e uno zoo, ma non era ammesso il pubblico. Al contrario nel tempio dedicato a Serapide (il Serapeo) erano custoditi circa 50.000 manoscritti di libera consultazione.
Durante la direzione di Eratostene di Cirene si cominciarono a raccogliere scritti di carattere scientifico, mentre fino ad allora gli argomenti erano stati di carattere religioso o filosofico. Ricordiamo che Eratostene calcolò il diametro terrestre in 12.629 chilometri, valore straordinariamente prossimo a quello ricavato con i metodi moderni.
Dato l’intenso traffico col mondo ellenico, la Biblioteca sentì la necessità di tradurre in greco anche i manoscritti relativi al credo ebraico. Vennero convocati sei saggi per ogni tribù ebraica (dodici, come è noto), che concordemente approvarono una stesura della Bibbia in greco che da loro prese il nome di Bibbia dei settanta
.
Per secoli la biblioteca di Alessandria fu riferimento per tutte le altre biblioteche esistenti.
Incerte sono le cause della sua fine. Un duro colpo lo ricevette dalla spedizione di guerra di Giulio Cesare, durante la quale furono incendiati diversi magazzini che si trovavano lungo la cortina del porto, ma alcune fonti storiche sostengono che il bruchion, il quartiere che conteneva la Biblioteca, sia stato distrutto nella guerra che verso il 270 a.C. oppose l’imperatore Aureliano a Zenobia, regina di Palmira, che aveva osato impadronirsi dell’Egitto.
Altre fonti riportano come fine della Biblioteca la conquista araba nel VI secolo. Sembra che a chi gli chiedeva cosa fare di tutti quei rotoli ritrovati, il califfo Omar rispondesse: Se ciò che si trova nei rotoli esiste anche nel Corano, allora è inutile, se non è nel Corano, allora non serve
.
E fu così che per mesi gli arabi riscaldarono l’acqua per le truppe bruciando tutto il sapere accumulato sino ad allora.
La Biblioteca di Alessandria, oggi, esiste nuovamente ed è un concentrato stupefacente di moderne tecnologie, ma naturalmente nulla a che vedere col fascino della Biblioteca di una volta.
L’ ARCA DELL’ALLEANZA
L’Arca dell’Alleanza, perfettamente descritta nel Libro dell’Esodo, conteneva, secondo la Bibbia, un vaso colmo di manna
, la verga di Aronne e le Tavole della Legge, e costituiva lo strumento attraverso il quale Dio parlava a Mosè e quindi al suo popolo. Sappiamo, sempre dalla Bibbia, in quali circostanze fu affidata a Mosè sul monte Sinai e come venne usata durante la conquista della Terra Promessa. Tuttavia, secondo il Deuteronomio, al momento dell’inaugurazione del tempio di Salomone conteneva solo le Tavole della Legge. Il compito di trasportare l’arca era riservato ai Leviti, e a chiunque altro era vietato toccarla. Quando Davide fece trasportare l’arca a Gerusalemme, durante il viaggio un uomo di nome Uzzà vi si appoggiò per sostenerla, ma cadde morto sul posto (Samuele).
In realtà tre sono le domande che accompagnano la storia dell’Arca. La prima: è davvero esistita? La seconda: quale sarebbe il suo vero significato? E la terza: dove potrebbe trovarsi ai nostri giorni?
Adolph Hitler credette profondamente nel potere delle reliquie e incaricò il suo fedele Himmler e il Colonnello Otto Rahn (che fecero ricerche addirittura in Tibet e Nepal) di cercare l’Arca e il Graal, intriso di quelle ancorché superficiali conoscenze esoteriche che avrebbero dato vita a organizzazioni occulte come la Ultima Thule, da cui doveva derivare la tristemente famosa organizzazione militare conosciuta come Schultz Stallfen (SS). Non a caso aveva scelto la svastica (simbolo di pace solare) facendola divenire sinistrorsa ed emblema universale di terrore. Leen Ritmayer, l’architetto che durante gli scavi sulla montagna del tempio scoprì il Sancta Santorum, sostiene che le sue dimensioni corrispondano perfettamente a quelle che avrebbe dovuto avere l’Arca. In ogni caso, prima della distruzione del Tempio da parte di Nabucodonosor, nella Bibbia l’Arca è nominata più di duecento volte, mentre dopo praticamente sparisce. Forse per ossequiare Geremia (II libro dei Maccabei), che dopo avere nascosto l’Arca in una grotta del monte Nebo profetizzò: E non si dirà più Arca del Patto del Signore! Perché non verrà più in mente, non se ne avrà ricordo, non si ricercherà né si rifarà più
.
L’Arca dell’Alleanza non è solo uno degli oggetti più antichi di cui si tramandi la storia. In effetti è anche uno degli oggetti più sacri per due religioni: la Cristiana e l’Ebraica. Per l’ebraica, dato che contiene le tavole della legge, è da un lato la prova dell’intervento Divino nella storia umana, dall’altro è l’elemento che fa assurgere il popolo ebraico a popolo eletto. Non è un caso che con la comparsa dell’Arca una banda di poveri pastori sbandati diventi, appunto, il popolo eletto, come non è un caso che, quando scompare, il popolo ebraico venga sottomesso dai babilonesi e portato in cattività a Babilonia.
Da un punto di vista esoterico, l’Arca è lo scrigno del sapere Divino, della conoscenza, della parola perduta. E chi la troverà si impossesserà di questa conoscenza.
Da un punto di vista puramente archeologico, è un reperto particolarmente importante e antico con una grande valenza religiosa. Per una corrente ebraica è l’oggetto ritrovato il quale si potrà costruire il terzo Tempio.
Che fine ha fatto l’Arca?
Per molti studiosi sarebbe andata distrutta verso il VI secolo a.C., ma sono tuttora molte le teorie che, basandosi su più o meno attendibili indizi storico-archeologici, si dicono sicure di sapere il luogo in cui potrebbe trovarsi.
Abbiamo già detto della possibilità che si trovi, nascosta da Geremia, nel monte Nebo (ipotesi biblica), ma esiste anche una ipotesi ebraica
secondo cui, in realtà, nascosta dai sacerdoti al saccheggio assiro-babilonese e successivamente, a Tempio ricostruito, rimessa