Poesie Canzoni
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L'esordio dell'autore risale al 1882, quando la casa editrice Ricordi lo mise sotto contratto e fece pubblicare Nannì e E ghiammoncenne me'. Alcuni suoi versi del 1885 sono stati musicati dal compositore abruzzese Francesco Paolo Tosti per quella che resta una delle più famose canzoni in lingua napoletana, Marechiaro, e dal musicista tarantino-napoletano Mario Pasquale Costa di cui ricordiamo anche Era de maggio, in cui due giovani innamorati ricordano il loro primo incontro: a maggio, in un giardino profumato di rose. C'è poi Luna Nova e la spensierata Oilì oilà che irritò i benpensanti milanesi che non si sapevano spiegare il motivo di tanta ilarità in una città appena colpita da gravi epidemie.
Marechiaro si rivelò un ritratto per questo villaggio tra le rocce di Posillipo, nel quale Di Giacomo immaginò una bella ragazza, di nome Carolina, che si affaccia da una finestra ricca di piante di garofano. Sempre nello stesso anno Di Giacomo e Costa produssero un altro successo, la canzone appassionata Oje Carulì. Nel 1888 pubblicò la scanzonata Lariulà e scrisse la celeberrima 'E spingule francese, musicata da Enrico De Leva, riproduzione quasi integrale di un canto popolare di Pomigliano d'Arco.
L’autore: nato a Napoli il 12 marzo 1860, fu nella prima giovinezza studente di medicina; ma si diede ben presto al giornalismo e soprattutto alla poesia, collaborando a giornali napoletani (prima al Corriere del mattino di Martino Cafiero e al Pungolo, più tardi al Corriere di Napoli), e particolarmente scrivendo liriche, novelle e drammi, diverse espressioni di una medesima personalità artistica, in cui dominano una malinconia d’amore e una profonda pietà umana, raggiungenti a volte il tragico. La sua forma, musicale e pittorica insieme, è ammirevole per sobrietà e curatissima in ogni particolare, segnatamente nelle opere in dialetto napoletano. La preferenza per il dialetto - un dialetto assai affinato e come purificato e reso lieve e poetico - risponde al suo bisogno di liberarsi dalla letteratura. È perciò uno dei più schietti temperamenti lirici e dei più compiuti artisti che l'Italia abbia avuto nel periodo che va dal 1875 al 1900. Liriche perfette sono, tra i suoi versi, l'Appuntamento pel dichiaramento (per il duello camorristico), i sette sonetti A San Francisco (racconto d'un omicidio per gelosia commesso nel carcere napoletano omonimo), i primi due soprattutto di O' funneco verde (magistrali nelle descrizioni degli aspetti della Napoli plebea), Assunta (autodifesa giudiziaria d'un don José napoletano, che ha ammazzato una napoletana Carmen), Irma (una meretrice di strada, che ha mutato in questo nome "forestiero" quello indigeno di Peppinella), Don Aceno 'e fuoco (un gobbetto sguattero, che soffia il fuoco in cucina ed è innamorato della figlia del ricco capocuoco), Ncoppa 'a nu montone 'e munnezza (storia d'un canino randagio, stritolato da un tram e gettato su un mucchio di spazzatura), e tante e tante altre, non senza, per altro, citare due almeno tra le sue più popolari, e oggi cosmopolitiche, canzoni piedigrottesche: La luna nova nmiez'a lu mare e Quanno sponta la luna a Marechiaro.
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Anteprima del libro
Poesie Canzoni - Salvatore Di Giacomo
Salvatore Di Giacomo
POESIE
CANZONI
Poesia
KKIEN Publishing International
info@kkienpublishing.it
www.kkienpublishing.it
Prima edizione digitale: 2018
In copertina: Stampa raffigurante il golfo di Napoli e il Vesuvio
ISBN 9788833260211
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Table Of Contents
I SUNETTE ANTICHE
Nannina
I
II
III
Pe la via
2 de nuvembre
Da li ffeneste
Dispietto
La serenata
Nzurato
Minacce
Sfregio
Carmela
I
II
III
II VOCE LUNTANE
Fronna d’aruta!...
Comm’ a nu mare ca cuieto pare
Comm’ a nu suonno, dint’ a na nuttata
Comm’ a nu lume addó ll’ uoglio, mmiscato
’E cecate ’e Caravaggio
’E denare ’e ll’ acquaiuolo
Lettera malinconeca
Lettera amirosa
’E ccerase
Cuntrora
’O vico d’ ’e Suspire
Donn’ Amalia ’a Speranzella
Ncopp’ ’e Cchianche
’O vico d’ ’e Scuppettiere
A Capemonte
Vocca azzeccosa
Avite maie liggiuto...
III ’O FÙNNECO VERDE
’O Fùnneco
I
II
’A disgrazziata
I
II
III
IV
V
’O guaio
Ll’ appuntamento p’ ’o dichiaramento
Schiattiglia
’O nteresse
La mala ntenzione
’A fattura
Dopp’ ’o magnatismo
’A suppresa ’o iuoco piccolo
’A strazzione
’A vammana ’e pressa
Nnammurate nfucate
Scungiuro dopp’ a nu guaio
Chiacchiariatella ’e niente
IV ZI’ MUNACELLA
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
V ’O MUNASTERIO
I
II
III
IV
V
VI
VII
VIII
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
XX
XXI
XXII
XXIII
XXIV
XXV
XXVI
XXVII
XXVIII
XXIX
XXX
XXXI
XXXII
XXXIII
XXXIV
XXXV
XXXVI
XXXVII
VI CANZONE
Oi marenà
Reginella
A Marechiare
Era de maggio...
Luna nova
Canzona amirosa
’E spingole frangese
Lariulà
’A nuvena
Tiritì tiritommolà!
All’erta, sentinella!
Serenata napulitana
Pusilleco
Chitarrata
Tarantella sorrentina
Ammore piccerillo!
’A cammisa affatata
’A sirena
Nannina Palomma
Ma chi sa?
Carcioffolà
Ho un ben formato cuore!...
Campagnola
Cucù!
Tiempe d’ammore!
’A senzitiva
Songo i’!
’A mugliera ca primm’ ’e spusà...
’E tre surdate
’On Aceno ’e fuoco
’A testa d’aruta
Palomma ’e notte
Bella, ca ’e tutte ’e belle...
Tarantella scura
Ll’ appuntamento
VII A SAN FRANCISCO
VIII ARIETTE E SUNETTE
Comme va?...
Pianefforte ’e notte
Doppo n’anno
Maria Ro’!...
’A chitarra
Notte ’e luna
’E ttrezze ’e Carulina
Arietta a ll’antica
Tutto se scorda
Dint’ ’o ciardino
Dint’ ’o suonno
Bongiorno, Ro’!...
Maria! Maria!
Vurria scrivere nu libbro
Canzona ’e maggio
... E s’ annasconne
’O cacciatore
Ventariello
Marzo
Dimanna e risposta
Pe superbia
’E rimpetto
Da ’o quarto piano
Nummero vintuno
Vurria...
Ammore abbasato
Buono Natale!
Povera Rosa!
Arietta
Ll’ ortenzie
Furtunata
Capillo’
Nonna nonna
Assunta
Ncopp’ a nu muntone ’e munnezza
Angèleca
Sunetto amaro
Brìggeta
Vocca addurosa
Mbriaco
Nuttata ’e Natale
IX VIERZE NUOVE
’A strata
I ’e rrobbe vecchie
II ’a lezzione
III Irma
IV stasera...
V ’o pranzo a ’o nnammurato
VI ll’ acciso
Cimarosa
Nu sbaglio
Na tavernella...
Principio d’anno
Si dummeneca è bon tiempo...
Primmavera
Zincara nera
Ll’ ombra
Si è Rosa ca mme vo’...
Dint’ ’a Villa
Parole d’ammore scuntento
’O tiempo
Gelusia
’E matina, pe Tuleto
Suonno ’e na notte ’e vierno
Lassammo fa’ Dio...
X ARIETTE E CANZONE NOVE
Voce d’ammore antiche
Zincaresca
Calasciunate
Mutivo ’e primmavera
Mpunto ’e ccinche d’ ’a matina
Bella, ca pe paura...
Suspirata
’E spezziale ca...
Frunnell’ ’amenta...
Na palummella ianca
Màmmema dice...
Fronn’ ’e limone!
Aria d’ ’o setteciento
Oi ma’, quanno...
Ce sta na cosa...
È stata Viulante!...
Ncopp’ ’o palcuscenico ’e l’ «Eden»
Femmene, femmene!...
Duie caruofene scarlate...
Serenata a na vicina
Ll’ora ’e ll’appuntamento
Na casa mm’ aggia fa’...
Aurora ’int’ ’o specchio
Amice, si ve dice...
Mutive ’e canzone
Na voce luntana...
Damme ’a mano...
Doie «purticese»
Siente, si vide...
Virgiliana
Pe Carmela...
Catena...
E tu pigliatillo...
Quanno stammo vicine...
Che fa?...
Si stu miérolo mme sesca...
’E llacreme d’ammore...
Ll’ ato iuorno...
Stammo ’int’ aùsto e chiove...
Arillo, animaluccio cantatore...
Aspetta ’a primmavera...
I
SUNETTE ANTICHE
NANNINA
I
Uocchie de suonno, nire, appassiunate,
ca de lu mmele la ducezza avite,
pecché, cu sti guardate ca facite,
vuie nu vrasiero mpietto m’appicciate?
Ve manca la parola e mme parlate,
pare ca senza lacreme chiagnite,
de sta faccella ianca anema site,
uocchie belle, uocchie doce, uocchie affatate!
Vuie, ca nziemme a li sciure v’arapite
e nziemme cu li sciure ve nzerrate,
sciure de passione mme parite.
Vuie, sentimento de li nnammurate,
mm’avite fatto male e lu ssapite,
uocchie de suonno, nire, appassiunate!
II
A ll’ ùnnece lu vico s’ è scetato
pe lu rummore ca fanno li suone;
da vascio, nu cucchiero affemmenato
se sta sbrucanno sotto a nu barcone.
Ncopp’ a nu pandulino accumpagnato
isso s’ammullechea cu na canzone;
nzuócolo se ne va lu vicenato:
«Che bella voce, neh, che spressione!»
– Aràpela, Nannì, sta fenestella!
Siente la santanotte, anema mia!
Salutame, Nannì, cu sta manella! –
E addereto a li llastre fa la spia,
cu ll’ uocchie nire nire, Nanninella...
Ah! ca mo moro pe la gelusia!
III
E apposta pe lu vico addó affacciate,
gioia, doppo tre ssere io so’ passato;
li ddoie feneste steveno nzerrate,
sulo lu barcunciello allumenato.
Doppo d’avé pe n’ ora spassiato,
mm’ è parzo de sentì strille e resate;
è asciuto ’o guardaporta e m’ ha chiammato,
m’ ha ditto: – Mio signo’, vuie c’aspettate? –
Ll’ aggio risposto: – Duie bell’ uocchie nire
stanno ccà ncoppa e li vvoglio vedere
ll’ ùrdema vota, e po’ voglio murire!
– Levàteve da capo sti penziere, –
isso m’ ha ditto – ve ne putit’ ire:
st’ uocchie nire mo so’ de nu cucchiere...
PE LA VIA
Nu cane sperzo pe mmiezo Tuleto
(ve pararrà n’ esaggerazzione)
m’ ha fatto tale e tanta mpressione
ca manco nzuonno stongo cchiù cuieto.
Lu malumore e la cumpassione
me fanno sbarià quanno me sceto;
me pare tanno de vederme arreto
stu cane c’ ha perduto lu patrone.
Chella sera chiuveva. Arreparato
stev’ isso, sotta sott’ a nu barcone,
sicco, nfuso, abbeluto e appaurato.
Pecché me so’ fermato a lu puntone?
Pecché a guardarlo me songo vutato?...
Vuie vedite!... Che brutta mpressione!
2 DE NUVEMBRE
I’ nun saccio pecché, quanno murette
màmmema bella e, comm’ a nu stunato,
sulo, a tenerla mente io rummanette,
appede de lu lietto addenucchiato;
tanno, io nun saccio pecché, nun chiagnette,
guardannola accussì, zitto, ncantato,
comm’ a na vota ch’ essa s’ addurmette,
mentr’ io vicino lle steva assettato...
Mo ca fa n’ anno ca ll’ aggio perduta,
mo, mo ca nzuonno me sta cumparenno,
mo la necessità nn’ aggio sentuta...
E mo mme vene a chiàgnere, e chiagnenno
sceto sti mmura ca ll’ hanno saputa,
nfonno sti ccarte addó stongo screvenno...
DA LI FFENESTE
Aggio appurato ca se chiamma Rosa,
essa ha saputo ca me chiammo Ndrea...
Che faccio mo? Lle dico o no quaccosa?
Veco ca cierti vvote me smiccea.
Nun me pare na zita cuntignosa;
quanno m’affaccio, cchiù ride o pazzea...
È naturale, o vo’ fa’ la vezzosa?
Che ve pare? Fa overo o me cuffea?
Tene ciert’uocchie! Tene na vucchella!...
Nu pède piccerillo piccerillo!...
Na mana piccerella piccerella!...
Si putesse menarle nu vasillo!
... Zi’... sta cantanno!... Siente che vvucella!...
«Me sto criscenno nu bello cardillo!...»
DISPIETTO
Doppo tre mmise ll’ aggio vista aiére;
essa pure m’ ha visto e s’ è fermata:
se ne ieva pe ncopp’ a li Quartiere,
e dint’ a na puteca s’ è mpezzata.
Pe vedé senza fàreme vedere,
nfenta aggio fatto de cagnare strata;
ma la nfama, capenno stu penziere,
è asciuta, s’ è vutata e s’ è turnata.
Io so’ rummaso friddo. Me sbatteva
mpietto lu core, e mmocca la parola
vuleva dì: – Buongiorno... – e nun puteva.
Uno ll’ha ditto: – Che bella figliola! –
E, pe farme dispietto, essa redeva..
Essa redeva!... E se n’ è ghiuta sola.
LA SERENATA
A li ffeneste de la Vecaria
saglie, ogne ssera, all’ ùnnece sunate,
cu panduline e chitarre scurdate,
la santanotte de li mammamia.
Manco n’ anema passa pe la via;
ma, certo, arreto de li cancellate,
sente sti suone e sti vvoce abbrucate
lu malo sbirro de la pulezia...
«Che sciorta nera a cchiagnere peccate!
ma quante ancora chiagneno pe tte,
quanta figlie de mamma ammanettate!
Angelarè, mpo’ mpa’! Fatte vedé!...»
Ah! ca vurria spezzà sti fferriate!...
E lu sbruffea la stesa: – «Angelarèee!...»
NZURATO
Comm’ è bello a fumà doppo mangiato,
a panza chiena, ncopp’ a nu divano,
e rrummané mez’ ora arrepusato,
ll’ acchiala a ll’ uocchie e nu giurnale mmano!
Stanno ’e vvote accussì, miezo stunato,
sento, piglianno suonno chiano chiano,
’o piccerillo mio ca s’è sfrenato,
e ’a mamma ca lu strilla da luntano.
Bebè, tutto na vota, spaparanza
la porta, trase, me lu veco arreto ...
Muglièrema lu votta e po’ se scanza...
Zompa, allucca, strascina lu tappeto;
po’ se vene a menà ncopp’ a la panza...
Eccómme! Manco ccà stongo cuieto!...
MINACCE
– Sentite, mia signo’, vuie pe dispietto
passate spisso spisso pe sta via,
e ghiusto nnanze a la puteca mia
facite ’o sentimento derimpetto!
Embè, che fa? P’ammore o gelusia
mo nun se sceta cchiù stu core mpietto...
Vuie ve spassate cu nu don pippetto?
E i’ so’ lu ddio de la sciampagnaria!
Ma... siente, mia signo’... Sa’ che t’ aviso?
Sta pazziella dura tropp’ assaie;
nun passà cchiù, si vuo’ fa buono... e’ ntiso?
Ca po’, quanno succedeno li guaie,
quanno t’ avraggio fatto nu straviso,
tanno surtanto te n’ addunarraie!
SFREGIO
Ha tagliata la faccia a Peppenella
Gennareniello de la Sanità;
che rasulata! Mo la puverella,
mo proprio è stata a farse mmedecà.
Po’ ll’ hanno misa ’int’ a na carruzzella,
è ghiuta a ll’ Ispezzione a dichiarà,
e ’o dellicato, don Ciccio Pacella,
ll’ ha ditto: – Iammo! Di’ la verità.
Ch’ è stato, nu rasulo, nu curtiello?
Giura primma, llà sta nu crucefisso
(e s’ ha tuccato mpont’ a lu cappiello).
Di’, nun t’ ammenacciava spisso spisso?
– Chi? – ha rispuost’ essa. – Chi? Gennareniello!
– No!... V’ o giuro, signo’! Nun è stat’ isso!...
CARMELA
I
Carmela s’ ha spusato a nu signore,
porta cappiello e veste commifò,
cumanna a cammarera e a servitore,
e s’ è mparata a di’ pure: Oibò!
Essa se scorda de lu primm’ ammore,
ma stu core scurdà nun se ne pò;
stu tradimento accresce lu dulore,
cchiù ce penzo e sbaréo quanto cchiù sto!
Ma da me primma Carmela ha sentuto
lu primmo trascurzetto nzuccarato:
primm’ a me, primm’ a me mpietto ha strignuto!
Ll’ avria sapé chisto ca s’ ha spusato
tutto lu bbene ch’ essa mm’ ha vuluto,
tutte li vase ca nce simmo dato!...
II
Aiére, dint’ a na carrozza, stesa,
passaie, guardanno. Io steva ’n trammuè;
me voto, la cunosco... E la surpresa
fuie tal’ e tanta, ca strellaie: – Carmè!... –
Cu na manella, ca teneva appesa
a lu spurtiello, salutaie. Pecché,
certo, mm’ aveva visto; ma la mpesa
nun se vutaie pe nun se fa’ vedé.
Ma vedett’ io! La gente, arreto a me,
pe lu strillo ca i’ dette, mme guardava;
uno dicette: – Fosse pazzo, neh? –
Mpietto lu core comme me zumpava!
No! no!... Nun me putevo trattené!...